[LA RIFLESSIONE] Paolo Borsellino, la questione del tempo riguarda la verità

 

5 Agosto 2022

«È facile oggi cadere nella tentazione di voltare pagina dicendo che ormai è passato molto tempo e che bisogna guardare avanti. No, per amor di Dio! Senza memoria non si va mai avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Abbiamo bisogno di mantenere la fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che accadde, che risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza umana diventi sempre più forte di fronte a ogni volontà di dominio e di distruzione». Così Papa Francesco nel n. 249 di Fratelli tutti.

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Questo riguarda anche l’orrore, la puzza, il cancro sociale che è la mafia. Scrivere a pochi giorni dalla commemorazione del martirio di giustizia di Paolo Borsellino e della sua scorta, scrivere con dei legami personali autentici con i familiari delle vittime, chiede una doppia attenzione: non cedere alle danze rituali delle commemorazioni fatte più per far diventare passato lontano quegli eventi ed eroi mitologici quelle vittime, e non rendere vana la loro morte di giustizia, consentendo con rassegnazione alla separazione tra la storia e la verità. Esiste una sorta di litania sociale: bisogna avere fiducia nella giustizia! Il rapporto tra memoria e fiducia, in una terra di mafia come la nostra, è complesso perché è segnato dal sangue delle vittime, dalle grida delle loro madri, dal dolore dei loro familiari e amici, dai loro collaboratori rimasti ancora vivi ma con l’odore della morte addosso.

La questione del tempo non riguarda dunque il passato, ma la verità. Sono passati 30 anni ma la verità non è emersa, non appartiene ancora alla memoria collettiva perché tutti possano ancora avere fiducia nella giustizia. I depistaggi, le menzogne, i silenzi raccontano, invece, che tra la memoria e la fiducia, legame di popolo con la giustizia, si annidano e si incuneano spesso, come viscidi virus mortali, logiche di potere, di corruzione, di collusione, di tradimenti, di consegne dei giusti agli assassini perché diventino vittime. Il sangue delle vittime diventa grido di innocenza, memoria di sacrificio, domanda di giustizia, giudizio per gli operatori di morte. Allo stesso modo della passione del Crocifisso- Risorto. Il Vangelo conosce e annuncia come beatitudine la fame e la sete della giustizia. È una beatitudine posta al confine sociale e conflittuale della coscienza dei familiari delle vittime con la fame e la sete di vendetta. Ma la vendetta non è l’altra faccia della medaglia della giustizia. Va detto con forza e con profezia che nessuna scelta di vendetta porterà mai alla giustizia e alla restituzione della verità. La vendetta è anch’essa una logica di morte, di male, e si offre come cibo dalle strutture di peccato.

Ma la vendetta non sazia, sporca soltanto. La giustizia, invece, giunge attraverso la via della verità, ed essa rende liberi, capaci di non dimenticare ma di interrompere le storie di male. «Ne hanno bisogno le vittime stesse – persone, gruppi sociali o nazioni – per non cedere alla logica che porta a giustificare la rappresaglia e ogni violenza in nome del grande male subìto. Per questo, non mi riferisco solo alla memoria degli orrori, ma anche al ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli o grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità. Fa molto bene fare memoria del bene». Così si chiude sempre il n. 249 della Fratelli tutti.

don Vito Impellizzeri per Condividere