RENATO CORTESE

 

Una vita contro la mafia, intrappolata nella ragnatela di una spy story molto italiana. Renato Cortese, il superpoliziotto che arrestò Bernardo Provenzano dopo 43 anni di latitanza, è finito suo malgrado al centro dell’intrigo internazionale che ruota intorno alla figura dell’oligarca kazako Mukhtar Ablyazov. Un ricercato da catturare, fuggito all’estero con una borsa piena di miliardi di euro o un sedicente oppositore che manovra per deporre il regime nell’ex Repubblica sovietica? O, come è più probabile, entrambe le cose. Nel gorgo di una bufera politica, nella tempesta di una campagna mediatica, in una giostra di paradossi diplomatico-giudiziari, la vicenda kafkiana che ha sconvolto la vita dell’investigatore più famoso d’Italia. Fermato da un’accusa infamante a un passo dal raccogliere i frutti di una carriera in prima linea.


 

RENATO CORTESE, un poliziotto di razza a Cernobbio

Programma

 

Le immagini

SERVIZIO TG ESPANSIONE TV  14.10.2022


SERVIZIO di CIAO COMO


 

CENTRO STUDI SOCIALI CONTRO LE MAFIE – PROGETTO SAN FRANCESCO

 


L’arresto di Provenzano. Il racconto di Cortese – VIDEO


Renato Cortese: “Così lo catturai Provenzano. Quel giorno finì un incubo”

“Quell’11 aprile del 2006, il giorno in cui abbiamo finalmente arrestato il “fantasma” Bernardo Provenzano, in quella masseria di pastori a Montagna dei Cavalli vicino a Corleone, è stato il giorno più lungo della mia vita ed anche di quella dei miei uomini. Per 43 anni era sfuggito ad ogni ricerca, si era fatto beffa dello Stato. E quando finalmente lo abbiamo ammanettato si è determinato il convincimento che lo Stato potesse vincere quella battaglia. Il mito dell’invincibilità di Cosa Nostra era finalmente crollato “.

Renato Cortese, 51 anni, entrato in Polizia nel 1991, ora a capo del Servizio Centrale della Polizia e che quell’11 aprile del 2006 era capo della Sezione Catturandi della Squadra Mobile di Palermo, ricorda ogni attimo, ogni sensazione di quella storica cattura e degli anni di lavoro che l’hanno preceduta.
Cosa ha provato quando si è visto Provenzano davanti, in carne ed ossa?
“Io ed i miei uomini eravamo certi che si nascondesse lì ma avevamo anche paura di avere fallito come tante altre volte. Quando me lo sono visto davanti, anche se l’ultima foto segnaletica risaliva al 1966, era come se lo conoscessi da tempo. Non c’è stato neanche bisogno di chiedergli se era Bernardo Provenzano, perché ormai, dopo anni ed anni di studio del suo profilo e della sua psicologia, sapevo chi era quell’uomo ormai anziano e che era il capo di Cosa Nostra”.
Come siete arrivati, dopo anni ed anni di ricerche a quel “fantasma”?
“Fu una manina che usciva da una porta di quella masseria e che ritirava un pacco che ci diede la certezza che Bernardo Provenzano si nascondesse proprio li. Da giorni e notti tenevamo d’occhio quella masseria di pastori dove facevano formaggi e ricotta e la casa di Corleone dove abitavano la moglie ed i figli di Provenzano e da quella casa era uscito un pacco consegnato ad un uomo che poi lo ha portato nel rifugio. Quel pacco lo abbiamo seguito per oltre 24 ore, fino a quando era stato consegnato a quella manina, la sua”.
A Provenzano da anni davano tutti la caccia, ed alla fine è stato lei a catturarlo. Una bella soddisfazione.
“Non fu un lavoro facile. Provenzano aveva chiuso i rapporti con la famiglia, con tutto il mondo esterno, non avevamo telefonate, solo qualche pizzino (messaggi di Provenzano sequestrati in altri contesti, ndr), ma avevamo qualche piccolo indizio ed una pista che abbiamo seguito per mesi e mesi senza soluzione di continuità. Ricordo serate e nottate a discutere con l’allora procuratore di Palermo Giuseppe Pignatone e con il pm Michele Prestipino sulla pista più sicura. E finalmente quel giorno, decidemmo di entrare in azione”.
E quando se l’è trovato davanti?
“Finalmente! Abbiamo detto, finalmente è finita. Era lui con accanto la sua macchina da scrivere, con i pizzini che aveva appena scritto ai suoi uomini e quelli che aveva ricevuto. Li abbiamo trovato anche il suo miele particolare e la cicoria, il suo piatto preferito”.
14 Luglio 2016 LA REPUBBLICA 


Mafia: arrestò Provenzano, in teatro la storia di Renato Cortese

(ANSA) – PALERMO, La storia di un investigatore di razza della Polizia di Stato diventa una piece teatrale. Un Cortese silenzio.

Storia di un Uomo delle Istituzioni” è il titolo dello spettacolo del regista e attore Vincenzo Pirrotta che andrà in scena stasera, Domenica 5 dicembre, alle ore 21, presso la sala Onu del Teatro Massimo di Palermo.  Il testo di Pirrotta, caratterizzato dai ritmi legati alla tradizione del “Cunto”, traccia la vita professionale di Renato Cortese, ex Questore di Palermo, dipanandosi dai successi investigativi relativi alla cattura di pericolosi latitanti mafiosi come il capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano, fino alle indagini su un noto latitante kazako. Quest’ultima vicenda, terminata con l’espulsione della moglie e della figlia del ricercato, è sfociata nell’apertura di un procedimento penale attualmente pendente presso la Corte di Appello di Perugia.  Il testo di Vincenzo Pirrotta delinea il percorso delle vicende professionali di Renato Cortese con uno stile asciutto, lasciando allo spettatore, la possibilità di maturare un giudizio autonomo, anche sulle attuali vicende processuali, senza influenzarlo nè con lo stile narrativo nè con tesi preconcette. L’iniziativa, promossa da Libera e sostenuta da numerose associazioni, testimonia l’affetto e la stima nei confronti di un rappresentante delle Istituzioni da parte di tanti esponenti del mondo della cultura, dello spettacolo e della società civile che hanno voluto stringersi attorno all’Uomo e al Poliziotto.


La cittadinanza onoraria di Palermo all’ex questore Renato Cortese. I commercianti del Cassaro organizzano una festa

di Salvo Palazzolo
La cerimonia si terrà martedì. Il ritorno in città dell’investigatore che ha segnato un pezzo importante della storia dell’antimafia dopo le stragi del 1992
Quando partì, due anni fa, scrisse una lettera dai toni appassionati. “Ciao Palermo… con il cuore spezzato vado via da una città che mi ha accolto con affetto, che mi ha visto crescere ed invecchiare, che mi ha visto soffrire e gioire e che con me ha sofferto e gioito”. L’avevano appena condannato per il caso Shalabayeva, ma era solo la sentenza di primo grado di un processo alquanto controverso. Renato Cortese è stato poi assolto in appello, il 9 giugno scorso. E, adesso, torna per un giorno a Palermo: martedì, il sindaco Roberto Lagalla gli conferirà la cittadinanza onoraria. Poi, dopo la cerimonia, ci sarà una festa davanti alla Cattedrale, voluta dall’associazione “Cassaro Alto”. Dice uno degli organizzatori: “Un piccolo gesto per dire grazie a un uomo che ha reso più libera questa città”. Così scriveva ancora Renato Cortese nella sua lettera di saluto alla città: “Ho visto una Palermo distrutta, schiacciata e disorientata dalla ferocia e dalla barbarie della mafia, e ho lottato con lei e per lei…Sono stati anni duri, difficili, costellati di morti, ma ognuno di essi è stato un seme… Il seme della coscienza civile, del riscatto, della legalità, della giustizia… E oggi vedo una Palermo sempre straordinariamente bella, affascinante e testarda, che si è ripresa quello che credevano di poterle strappare: il futuro”. Arrivò a Palermo nell’estate del 1992, dieci giorni dopo la strage Borsellino: il suo primo incarico dopo aver vinto il concorso in polizia fu all’ufficio Volanti della questura. Qualche anno dopo, iniziò ad occuparsi di indagini antimafia e della cattura dei latitanti. Nel 1996, Renato Cortese faceva parte della squadra che arrestò Giovanni Brusca, il boss che aveva azionato il telecomando della strage di Capaci. “Quella sera del 20 maggio, ero nella sala intercettazioni della Mobile – raccontò in un’intervista a Repubblica – da lì seguivo i miei uomini ad Agrigento. Un ispettore ebbe l’idea di fare passare una moto smarmittata proprio mentre Brusca era al telefono. In questo modo, individuammo il suo covo. Quando facemmo irruzione, stava vedendo un film su Giovanni Falcone”.
Dopo Brusca, arrivarono le catture di altri superlatitanti: da Pietro Aglieri a Salvatore Grigoli, a Gaspare Spatuzza. L’11 aprile 2006, Cortese ammanettò Bernardo Provenzano dopo una latitanza che durava da 43 anni. Di sicuro, martedì, ad accompagnarlo saranno i suoi “ragazzi” del Gruppo Duomo, i poliziotti della squadra mobile che hanno segnato un pezzo di storia di Palermo. Ci saranno anche i ragazzi di alcune associazioni che operano nelle periferie di Palermo, con cui Renato Cortese questore di Palermo per tre anni e mezzo ha intessuto un dialogo e un percorso intenso. “Certo, adesso, sarebbe bello riavere il dottore Cortese a Palermo, come prefetto”, sorride il titolare del bar Marocco, alle prese con gli ultimi dettagli della festa di martedì. “Speriamo che presto gli venga riaffidato un incarico di rilievo, so che per adesso sta al ministero. Questo nostro Paese ha bisogno del suo coraggio”. La Repubblica 1.10.2022

 


Il neo questore di Palermo Cortese: “Che emozione. Un desiderio? Catturare Messina Denaro” [Video]

Vi trasmetto la mia gioia nel tornare a Palermo. Per chi è cresciuto in questi uffici, in queste strade, dopo l’esperienza professionale degli anni delle stragi, è un’emozione difficile da tradurre a parole. Considero Palermo casa mia e sono felice di potere, con la struttura di professionisti straordinari che ho intorno, di contribuire ad aumentare la percezione della sicurezza ai cittadini”. Lo ha detto il nuovo questore di Palermo, Renato Cortese, incontrando la stampa nel giorno del suo insediamento.

Cortese, che arrestò Bernardo Provenzano nel 2006, ha preso il posto di Guido Longo, diventato prefetto di Vibo Valentia. “Il mio primo pensiero quando mi hanno detto che sarei venuto qua è stato di grande emozione. Non sono favorevole ai ritorni, ma – ha aggiunto Cortese – Palermo ha un ruolo particolare nel mio percorsoprofessionale e ha sfide quotidiane. Da giovane funzionario uno ha dei sogni, tornare da questore a Palermo mi ha riempito di grande orgoglio e non finirò mai di ringraziare il capo della Polizia per l’opportunità che mi ha dato”.

Cortese l’11 aprile 2006, da capo della Squadra Catturandi, arrestò il superboss corleonese Bernardo Provenzano. E’ stato anche capo del Servizio centrale operativo della polizia.

“Il nostro desiderio è quello di porre fine alla latitanza diMessina Denaro, è un obiettivo importante. Chi sta lavorando per questo obiettivo non perde un giorno senza dedicarvi attenzione. La cattura non è di per sé la fine di un’organizzazione, perché bisogna assicurarli tutti alla giustizia, specie quelli storici come lui, ma – ha aggiunto Cortese – dovremo andare al di là del latitante e capire le dinamiche mafiose oggi. Cosa nostra non è quella di una volta, quando voleva attaccare il cuore dello Stato. Non manifesta più un carattere eversivo, ma ci sono dei segnali da parte di Cosa nostra: la mafia è una organizzazione particolare. Vi sono personaggi importanti che sono stati scarcerati, dinamiche e fenomeni che rappresentano nel loro insieme segnali che stiamo studiando complessivamente. Senza trascurare il mondo carcerario considerando che i capi storici sono tuttora detenuti”, ha aggiunto.

A chi gli chiedeva se ci fosse un rischio di riorganizzazione della mafia Cortese ha risposto così: “Cosa nostra è un’organizzazione particolare che vive di messaggi e dinamiche particolari. Vanno prese in considerazione alcune cose importanti che stiamo monitorando come alcuni personaggi di un certo calibro che sono stati scarcerati, ma al momento non abbiamo rischi concreti.Possono esserci messaggi trasversali come un’auto bruciata, ma – ha aggiunto – ci sono fenomeni che, nell’insieme, formano un’analisi di un certo livello che va fatta”.

Considero Palermo casa mia. Oggi – ha poi detto il neo questore – Palermo è cambiata rispetto agli anni in cui l’ho lasciata. L’attenzione è sempre alta, la mafia è un obiettivo importante ma non è l’unico della Polizia di stato. C’è l’ordine pubblico, l’immigrazione, il terrorismo, la sicurezza urbana. Se prendiamo il superlatitante il cittadino sarà sicuramente contento, ma vuole anche pulizia, polizia presente e attiva sul territorio, nelle strade”. Poi rivolge un accorato appello ai cittadini: “Devono sentirsi consapevoli che per noi il cittadino è importante ed è al centro dei nostri obiettivi. Chiediamo al cittadino di essere protagonista, che collabora, non solo con le denunce ma partecipe alla sicurezza che è un bene comune di tutti noi”.

“Palermo può sembrare fuori dal circuito del terrorismo, ma teniamo presente che la Sicilia e Palermo sono approdo di migliaia di migranti che non per forza sono legati al terrorismo. Ma è un fenomeno che monitoriamo”.

“Colpiscono positivamente i toni pacati e ricchi di emozione, ma determinati, del nuovo Questore di Palermo, Renato Cortese, nel presentarsi stamani agli organi di stampa”. Così a commentare la nomina a caldo è Filippo Virzì, portavoce dell’Ugl Sicilia, che aggiunge: “L’elevato profilo di Cortese, l’ottima conoscenza del territorio palermitano, e l’alta professionalità dallo stesso acquisita sul campo, costituiscono per noi tutti una garanzia e per i cittadini in particolare, che lui stesso ha più volte citato nel corso del suo intervento alla base del suo futuro operato, che ha anticipato, si baserà sulla sicurezza integrata, quindi su un rapporto sinergico fra le forze dell’ordine e il cittadino, in una città che come Palermo, ha tanto bisogno di sicurezza e stabilità”.


Palermo, il questore Renato Cortese lascia la città dopo la condanna: «Ho il cuore spezzato»

L’alto funzionario, che arrestò Bernardo Provenzano, paga la sentenza per la vicenda dell’espatrio di Alma Shalabayeva. La lettera alla città

 Se ne va dalla Sicilia «con il cuore spezzato» Renato Cortese, il questore costretto a lasciare Palermo perché non è bastata la sua storia cristallina nella lotta alla mafia, non è bastata la cattura di feroci latitanti e di padrini come Bernardo Provenzano ad evitargli una pesantissima condanna a 5 anni e quattro mesi per la vicenda dell’espatrio di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako, Mukhtar Ablyazov, assieme alla figlioletta di sei anni.
Le proteste dei funzionari La condanna in primo grado, emessa dai giudici di Perugia che hanno pure disposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’accusa di sequestro di persona, ha costretto il capo della polizia Franco Gabrielli ad adottare una misura di opportunità. Accolta da un coro di contenute proteste a Palermo dove oggi va via questo storico ex capo della «catturandi» e arriva un nuovo questore, Leopoldo Laricchia, spostato da Brescia, livornese di nascita, già impegnato da questore di Imperia e Lecce sul fronte dell’immigrazione.
«È il momento di andare» «Ciao Palermo», scrive Cortese nel suo messaggio alla città. «È arrivato il momento di andare, di partire, di lasciarti… con il cuore spezzato vado via da una città che mi ha accolto con affetto (…) che con me ha sofferto e gioito…». C’è una grande amarezza in chi ripensa a lutti, stragi, dolore alternati ai successi ottenuti sul fronte investigativo. Da «sbirro» capace di mettere le mani su boss come Giovanni ed Enzo Brusca, Leoluca Bagarella, fino all’arresto di Provenzano nelle campagne vicino a Corleone. Ecco alcuni titoli che lo davano candidato a una grande carriera. A cominciare dalla direzione nazionale della Dia dove, invece, al generale Giuseppe Governale è appena subentrato un alto funzionario come Maurizio Vallone. Per la stessa vicenda, travolto dalla sentenza e anch’egli rimosso il capo della polizia ferroviaria Maurizio Improta.
Espulsione e rimpatrio I fatti risalgono alla notte tra il 28 e 29 maggio 2013, quando Alma Shalabayeva e la figlia furono prelevate dalla polizia nella loro abitazione di Casalpalocco. Era ricercato il marito, il dissidente kazako Muktar Ablyazov. Ma alla donna fu contestato il possesso di un passaporto falso. Due giorni dopo, l’espulsione e il rimpatrio. Scattarono polemiche seguite due mesi dopo dalle dimissioni del capo di gabinetto del ministero dell’Interno Giuseppe Procaccini. Non passò invece la mozione di sfiducia per l’allora capo del Viminale Angelino Alfano. Donna e figlia sono poi rientrate in Italia, con il riconoscimento dell’asilo politico. Ma, usciti di scena quanti possono avere dato l’input ministeriale, l’inchiesta è proseguita solo a carico di Cortese, allora capo della Squadra Mobile a Roma, e di Improta, all’epoca capo dell’ufficio immigrazione.
Tristezza e rimpianto Va via Cortese, lasciando una Palermo diversa, come ha detto a Leoluca Orlando in un incontro affettuoso, come scrive nella lettera alla città: «Oggi tutti i sacrifici, le speranze, e i comuni desideri si stanno realizzando…». Rimpianto e tristezza calano però come una coltre sull’intera questura. Lo dicono i funzionari di Palermo con la loro associazione nazionale: «Grazie signor questore Renato Cortese. I tuoi funzionari e dirigenti della polizia di Stato ti dicono grazie per avere avuto l’onore di avere lavorato assieme a te per la nostra città di Palermo, grazie per la tua professionalità, per le tue doti morali e personali…». «Ingiustizia è fatta» Ultima occasione pubblica di Cortese a Palermo la cerimonia per ricordare lo scorso 25 settembre l’agguato del 1979 al giudice Cesare Terranova e al maresciallo Lenin Mancuso. Attorno alla lapide anche Vincenzo D’Agostino, il padre di un poliziotto ucciso con la moglie, ancora in attesa di giustizia dopo 35 anni, come prova la barba che da allora non s’è più tagliata: «E ci morirò con questa barba signor questore perché vedo che l’ingiustizia continua, anche sulla sua pelle…». Commentava così la richiesta a due anni appena avanzata dal pubblico ministero, poi più che raddoppiata con una sentenza che sarà comunque appellata da un numero uno adesso «a disposizione dell’amministrazione». 21.10.2020 di Felice Cavallaro CORRIERE DELLA SERA

 


 

La lettera di saluto a Palermo del dottor Cortese


Shalabayeva, sentenza ribaltata in appello: Renato Cortese assolto

 
 
 
 

Cortese Presidente Onorario del Parlamento della Legalità. “In questo clima di impegno non accettare è impossibile”

 Inoltre ha partecipato all’incontro avvenuto all’istituto superiore “Francesco Ferrara ” di Palermo dove abbiamo attivato il Parlamento della Legalità internazionale e Multietnico. Infine ha partecipato al Convitto Nazionale Giovanni Falcone alla presentazione del libro “Peccatori si corrotti mai” scritto da me e da Salvatore Sardisco. Questo ricordo che la prefazione venne curata da Lia Sava all’epoca Procuratore Generale della Repubblica di Caltanissetta con l’introduzione di Mons. Carmelo Ferraro, Arcivescovo emerito, Arcidiocesi di Agrigento. E le conclusioni sono state affidate al Dott. Renato Cortese. Il testo che comprende anche una lettera di Papa Francesco è stato pubblicato con Edizioni Ex Libris “.Un cammino di crescita culturale, legati ai valori della legalità che crede nella condivisione con i giovani e con tutti coloro che credono nei valori della giustizia. Il Parlamento della Legalità internazionale in tutti questi anni ne ha fatto di strada.
 “Ci tengo a sottolineare, racconta il professore Mannino, che questo è un movimento culturale interconfessionale, apartitico che nasce dal forte grido di “Verità e giustizia” soprattutto dopo quanto avvenuto nelle stragi del 92′. Il punto di svolta racconta Mannino è il 18 marzo 1989 quando il giudice Borsellino venne accolto da me all’Istituto Marco Polo insieme a Antonino Caponnetto e decisi di fondare il Parlamento di cui il coordinatore del pool antimafia è stato il primo presidente onorario. E oggi siamo contenti che sia il Dott. Cortese”.
Tra le tante iniziative imminenti il fondatore e presidente ci confida: “Presto sarà inaugurata la “Panchina della pace” dinanzi la sede del Parlamento a Monreale. Abbiamo già parlato con il sindaco, estenderemo l’invito al neo Presidente onorario augurandoci che possa partecipare e vivere con noi questo ulteriore momento culturale”. SICILIAUNONEWS  13.9.2022

L’ostaggio, il poliziotto Renato Cortese nella trappola del caso Shalabayeva

Anticipiamo qui brani de “L’ostaggio” di Enrico Bellavia (Zolfo editore,), sul caso Alma Shalabayeva. Il processo ha assolto Renato Cortese , condannato in primo grado a 5 anni per sequestro di persona. Il 4 ottobre il superpoliziotto riceverà la cittadinanza onoraria di Palermo.

Si può annientare un uomo tenendolo in vita? È sufficiente rovesciargli addosso un’accusa infamante. Basta contraddire con un tratto di penna un’intera esistenza. Lasciare che lo spettro di una carriera finita, bollata con marchio di ignominia offuschi meriti e successi e agiti giorni e notti. Basta il confino in un limbo indefinito a sprecare le proprie ore. Questa è la storia di un cacciatore diventato preda. Il capro espiatorio di una ir-ragion di Stato. È la storia del miglior poliziotto italiano passato per il calvario di una condanna per sequestro di persona. Reo di un crimine aberrante: «Lesa umanità mediante deportazione». Un’enormità punita con cinque anni di carcere, tanto quanto basta a precludere il ritorno in attività. Ma è soprattutto la storia esemplare di un testacoda politico-giudiziario nel quale la gogna non è il mezzo ma il fine ultimo. La cronaca di un’impostura. La partitura di un teorema basato sul nulla. O quantomeno su nulla che sia stato dimostrato. L’ordito di una trama che restituisce un sacrificio, per giunta inutile. Questa è la storia di Renato Cortese, calabrese, classe 1964, entrato in polizia da funzionario nel 1991 e diventato dirigente generale dopo cinque lustri in prima linea. Capo della Catturandi della gloriosa Squadra mobile di Palermo, anima del gruppo Duomo che ha arrestato il superboss Bernardo Provenzano, alla guida della Mobile di Reggio Calabria e di Roma, al vertice del Servizio centrale operativo, quindi questore a Palermo. E chissà cos’altro gli avrebbe riservato il futuro: forse capo della Dia, la Direzione investigativa antimafia, trampolino di lancio, probabilmente, per l’empireo del Viminale. Curriculum invidiabile e invidiato, titoli in abbondanza per puntare legittimamente ancora in alto. Lungo un percorso, certo, più accidentato della strada. Tra quei corridoi ministeriali dove i sussurri sono più minacciosi delle urla, la moquette più infida dell’asfalto e le ragioni di opportunità più subdole di un agguato. (…) Il 21 ottobre 2020 Renato Cortese lascia Palermo «con il cuore spezzato», come scrive in una lettera aperta alla città che questo calabrese di Santa Severina sente come sua. (…) Poche ore prima, quella che era una carriera lanciata al massimo si è infranta sull’incredibile sentenza del Tribunale di Perugia che ha ritoccato al raddoppio le pur dure richieste, 2 anni e 4 mesi, dell’accusa. E invece sono cinque anni per sequestro di persona, la macchia di una presunta macchinazione risoltasi con una extraordinary rendition. Cinque anni che valgono l’interdizione dai pubblici uffici e lo spettro del carcere. (…) Casal Palocco, Roma, martedì 28 maggio 2013, ore 24. Ventisei agenti, un nucleo congiunto formato da poliziotti della Squadra mobile diretta da Renato Cortese e della Digos, diretta da Lamberto Giannini, futuro capo della polizia, entra nel parco di una villa elegante alla periferia Sud di Roma. Quartiere residenziale per l’alta borghesia, verde, abitazioni più che confortevoli, riparate oltre la cortina di muri e alberi, lascito dell’esercizio di stile della pianificazione razionalista, è oggi la naturale estensione della città che tende verso il mare e si ritrova in pineta. Lì abita Alma Shalabayeva (si pronuncia con l’accento sulla terza a: Shalabàyeva), nata in Kazakistan nel 1966. Nessuno la conosce però con il suo vero nome. Per tutti è Alma Ayan, nata in Centrafrica nello stesso anno. E così si presenta ai poliziotti, esibendo un passaporto dell’ex colonia francese, teatro delle crudeltà dell’autoproclamatosi imperatore Bokassa diventata un’incerta Repubblica, esposta ai venti cangianti delle pulsioni popolari e militari e al centro di un intenso traffico di documenti falsi. (…) La notte dell’irruzione a Casal Palocco i poliziotti però non sono interessati ad Alma Ayan e alle sue bugie. Cercano un latitante. Risponde al nome di Mukhtar Ablyazov, classe 1963. È un oligarca kazako, banchiere e sedicente oppositore del regime filorusso di Nursultan Nazarbaev, passato tempo dopo, nel 2019, nelle mani del delfino, il presidente Qasym-Jomart Tokayev, che dopo un po’ ha rotto con il suo padrino, estromettendolo nel 2022 da presidente del Consiglio di sicurezza. (…) Alma, dunque, non ha alcun titolo valido per rimanere in Italia. E poiché i kazaki dicono che è una loro cittadina, è lì che deve tornare. (…) Quando il carrello dell’aereo si stacca da terra, Renato Cortese non può sapere ancora che un pezzo della sua vita se ne va via verso un Paese del quale sapeva molto poco. Da quel momento sarà lui l’ostaggio. Incatenato a una storia surreale. Da poliziotto impavido diventerà un codardo che non ha esitato a sbarazzarsi di una povera donna e della figlia per compiacenza verso i kazaki. (…) Perugia, 9 giugno 2022, 20.17. «Assolti perché il fatto non sussiste». Il silenzio è rotto da un brusio che si fa ovazione, dall’abbraccio e dal pianto che è gioia. Scaccia dieci ore di tensione, due anni di purgatorio e nove di scartoffie e amarezze. Dissolve le ombre e libera da un peso. Il fatto non sussiste. Non c’è nulla, non c’è mai stato. E neppure questo processo d’Appello avrebbe dovuto esistere. Se non ci fosse stato quell’altro, il primo grado, nato da un’inchiesta che ha puntato sui poliziotti, sperando di dimostrare che avessero obbedito a ordini infami, rendendosi complici di un crimine odioso. E invece? Funzionari e agenti hanno agito secondo la legge, nessuna violazione, nessuna compiacenza, nessuna sudditanza a despoti stranieri. Alma Shalabayeva ha mentito sulla sua identità e esibito un passaporto falso, poi ha amministrato con sapienza e astuzia il ritorno di immagine che ne è derivato. Con un giorno al Cie è riuscita nell’intento di smacchiare la biografia ufficiale del marito. L’immagine di dissidente di Mukhtar Ablyazov è una sagoma che è servita a distrarre dalle vere ragioni che l’avevano indotto a fuggire dal Kazakistan: il tesoro portato via da un Paese, il suo, ricco di materie prime da cui discendono fortune in mano a pochi. Un malloppo ora ben al sicuro nei paradisi fiscali. Chi è stato tenuto in ostaggio in questa storia sono solo gli imputati, spinti giù nel girone dell’assurdo, lungo la rupe su cui rotolano le macerie del nostro sistema giudiziario, della politica e di certa informazione.  La giustizia, in questo caso, con la lentezza che le è propria, ha riparato all’errore, il che non cancella il danno prodotto. Anzi, lo fa risaltare. Difficilmente, politica e informazione faranno altrettanto. Confideranno sulla memoria labile di un Paese che metabolizza tutto in fretta. Invece bisogna dire e ripetere che tutto questo è accaduto davvero. E non si può dimenticare. Non si deve.


 

Una vita contro la mafia, intrappolata nella ragnatela di una spy story molto italiana. Renato Cortese, il superpoliziotto che arrestò Bernardo Provenzano dopo 43 anni di latitanza, è finito suo malgrado al centro dell’intrigo internazionale che ruota intorno alla figura dell’oligarca kazako Mukhtar Ablyazov. Un ricercato da catturare, fuggito all’estero con una borsa piena di miliardi di euro o un sedicente oppositore che manovra per deporre il regime nell’ex Repubblica sovietica? O, come è più probabile, entrambe le cose. Nel gorgo di una bufera politica, nella tempesta di una campagna mediatica, in una giostra di paradossi diplomatico-giudiziari, la vicenda kafkiana che ha sconvolto la vita dell’investigatore più famoso d’Italia. Fermato da un’accusa infamante a un passo dal raccogliere i frutti di una carriera in prima linea.


A nome della città di Palermo esprimo profonda stima e ammirazione nei confronti di Renato Cortese, al quale ho avuto il piacere di conferire la Cittadinanza onoraria.
La sua figura sarà legata per sempre alla storia della nostra terra. Renato Cortese ha dato tanto a questa città e a tutta la Sicilia, andando sempre oltre quell’antimafia di facciata fatta di slogan e intenti. Lo dimostrano gli arresti di Bernardo Provenzano e di altri latitanti di Cosa nostra, quando era a capo della sezione Catturandi e lo dimostra il suo operato nel periodo in cui è stato questore a Palermo che, oltre a mirare alla prevenzione e al contrasto alla criminalità e alla mafia, ha posto grande attenzione ai quartieri più in difficoltà, con importanti ricadute sociali e pedagogiche.
Ritengo quindi di parlare a nome di ogni cittadino di questa città, nell’esprimere profondo ringraziamento per l’inestimabile contributo ad un percorso di maturazione culturale e sociale avviato nel nostro territorio. ROBERTO LAGALLA Sindaco di Palermo 4.10.2022
 

Un Uomo Cortese


17.5.2017 – Renato Cortese, l’uomo che catturò Provenzano, questore di Palermo

Dal primo marzo cambio di questore a Palermo. Al posto di Guido Longo, promosso prefetto (andrà a Vibo Valentia), nel capoluogo siciliano arriverà Renato Cortese, 52 anni. Un nome da anni legato a doppio filo con la Sicilia: c’era lui a capo della sezione catturandi l’11 aprile 2006, quando fu catturato il superboss Bernando Provenzano.  La nomina di Cortese arriva dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’interno Marco Minniti. Una laurea in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma e una carriera in Polizia, dove è entrato nel 1991, sempre in prima linea: prima di dirigere la squadra mobile di Reggio Calabria, Cortese e’ passato per il Servizio centrale operativo e ha guidato la sezione catturandi della Mobile di Palermo.  In Sicilia, coi suoi uomini, ha scovato ricercati del calibro di Gaspare Spatuzza, Enzo e Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Benedetto Spera e Salvatore Grigoli. Ma la preda più ambita  resta senza dubbio il padrino di cosa nostra Bernardo Provenzano, catturato a Corleone l’11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza e dopo  42 giorni e notti d’appostamenti e otto anni di indagini massacranti. Nel 2012 è diventato capo della mobile di Roma, poi è stato messo a capo del Servizio Centrale della polizia. GIORNALE DI SICILIA 


28.5.2012 – Cambio alla Mobile: lascia Rizzi e arriva Cortese, il cattura latitanti

Nominato il nuovo capo della squadra Mobile: Renato Cortese prende il posto di Vittorio Rizzi che, dopo cinque anni, lascia

Cambia il comandante della squadra mobile di Roma: arriva a San vitale Renato Cortese che prende il posto di Vittorio Rizzi che lascia dopo cinque anni.

Renato Cortese approda nella capitale con un curriculum di tutto rispetto: è considerato l’esperto nella cattura dei latitanti e suo fu l’arresto di Bernardo Provenzano, allora fu il primo a entrare nel casolare di ‘Montagna dei cavalli’ nei pressi di Corleone, dove si trovava Bernardo Povenzano, latitante da 46 anni.

Oltre alla cattura del secolo che gli è valsa, insieme ad altri successi, una promozione a primo dirigente, Cortese ha scovato latitanti di primissimo piano.
A Reggio Calabria arriva il 15 giugno del 2007, due mesi prima della strage di Duisburg, in cui vengono uccise sei persone. Due anni di indagini e la mobile calabrese mette a segno un importantissimo risultato: l’arresto di Giovanni Strangio, considerato l’ideatore e uno degli autori della strage in Germania. Durissimo colpo alla ‘ndrangheta, che mette un punto alla sanguinosa faida di San Luca. Ma questi sono solo due degli innumerevoli successi che Cortese ha alle spalle. Il 6 febbraio scorso ha lasciato la guida della Squadra Mobile nella citta’ dello Stretto per un nuovo incarico allo Servizio Centrale Operativo della polizia. A Roma Cortese ritrova il procuratore Giuseppe Pignatone, con cui ha gia’ lavorato a Palermo e a Reggio. Una coppia vincente, a giudicare dai risultati, nella lotta contro la criminalita’.

“Dopo quattro anni di lavoro quotidiano in comune, posso dire che è stato per me un onore poter incontrare un uomo come Vittorio Rizzi, capo della Mobile romana. Una persona integerrima e trasparente ma, soprattutto, un investigatore straordinario”. Lo afferma il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. “Il suo impegno per migliorare i livelli di sicurezza a Roma – aggiunge – è stato costante, giornaliero, profondo e non poteva non conseguire quei successi che sono solo il frutto di questo lavoro duro. Il mio non è un ringraziamento di routine ma l’attestazione di una stima che Rizzi si è conquistato sul campo. A lui, quindi, va il mio grazie sentito e il grazie, soprattutto, della città. Rivolgo anche i miei auguri di buon lavoro a Renato Cortese, nuovo dirigente della Mobile, insieme al quale sono certo che proseguirà il lavoro comune quotidiano” ROMA TODAY


 

a cura di Claudio Ramaccini – Direttore  Centro Studi Sociali contro la mafia – PSF