A PROPOSITO DI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA.
Il primo nella storia della criminalità mafiosa che si pentì, fu Giuseppe Ruvolino, un emigrante calabrese a New York. Fu arrestato dalla polizia di New York e con la promessa della libertà collaborò tradendo i propri compagni. Ottenuta la libertà e resosi conto dello sgarro che aveva fatto e temendo per la sua vita ritornò con tutta la sua famiglia in Calabria. La notte del 4 settembre 1910 nel paesino di Quattronari, ignoti
entrarono nella sua abitazione e lo uccisero con asce e coltelli: sterminarono l’intera famiglia composta dalla moglie e sei figli, il più piccolo aveva 4 mesi. Si racconta che i vicini udirono l’imprecazione di una delle bambine “zio non mi ammazzare”. I killer non furono identificati.
Un altro pentito, ma di grosso calibro fu Joe Valachi figlio di immigrati napoletani: nacque New York nel 1910. Divenne un importante mafioso della famiglia di Vito Genovese. Arrestato con Genovese, si convinse che gli altri lo ritenevano un collaboratore dell’Fbi a tal punto che uccise in carcere un uomo credendolo un killer incaricato di ammazzarlo. Collaborò con lo Stato americano e svelò per primo il none di Cosa nostra: morì nel 1971. (durante la mia permanenza nel New Jersey, -1993- frequentai gli stessi luoghi dov’era stato Valachi).
Invece, il primo italiano pentito di mafia fu Melchiorre Allegra, un medico trapanese, mafioso che divenne collaboratore di giustizia. Morì nel 1951.
Ma il vero pentito fu Leonardo Vitale, che io considero un pentito nel vero senso della parola. Disse : «Il mio crimine è stato quello di essere nato e cresciuto in una famiglia di tradizioni mafiose, e di aver vissuto in una società dove tutti sono mafiosi e per questo rispettati, mentre quelli che non lo sono vengono disprezzati» . Nel marzo del 1973, si presentò spontaneamente alla Mobile di Palermo e dichiarò che stava attraversando una crisi religiosa. Raccontò al commissario Bruno Contrada di aver commesso due omicidi e uno tentato: disse anche che nel sequestro Cassina, erano coinvolti Riina, Calò e Ciancimino. I mafiosi da lui indicati furono tutti assolti. Fu condannato a 25 anni di carcere, ma ne scontò 7 nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto perchè considerato seminfermo di mente. Fu il primo a parlare dell’esistenza della “Commissione provinciale”. Uscì dal carcere nel giugno del 1984 e rilasciò un intervista a un giornalista, dicendo “So che mi ammazzeranno”. Una domenica mattina, del mese di dicembre ’84, mentre usciva da una chiesa, venne freddato con un colpo di lupara.
E poi conobbi per averli interrogati coi magistrati, Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno, Gaspare Mutolo, Pino Marchese, Stefano Calzetta, Francesco Marino Mannoia, Giovanni Drago, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera. 11.6.2025 PIPPO GIORDANO