
“Senza un intervento legislativo che preveda effetti favorevoli per il ‘pentito’, il fenomeno della collaborazione con la giustizia degli imputati è destinato ad esaurirsi in breve tempo. Se è questo che si vuole e se si ritiene che, di fronte ad una criminalità organizzata dilagante e sempre più minacciosa, lo strumento del pentitismo non rappresenti un utile mezzo di indagini istruttorie, occorre che lo si dica chiaramente affinché, per lo meno, non si ingenerino illusioni o aspettative in coloro che, sia pure per mero tornaconto personale, avevano ritenuto ingenuamente che il loro contributo all’accertamento di gravissimi crimini sarebbe stato apprezzato, prima o poi, dal Paese”. Le parole pronunciate da Giovanni Falcone nell’aprile 1986 a Courmayeur, al Convegno “La legislazione premiale
“A volte ci si chiede se ci sono pentiti « veri » e pentiti «falsi ». Rispondo che è facile da capire se si conoscono le regole di Cosa Nostra. Un malavitoso di Adrano (Catania), un certo Pellegriti che aveva già collaborato utilmente coi magistrati per delitti commessi in provincia di Catania, aveva stranamente dichiarato di essere informato sull’assassinio a Palermo del presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella. Nel 1989 mi reco con alcuni colleghi a trovarlo in prigione per saperne di più e il Pellegriti racconta di essere stato incaricato da mafiosi palermitani e catanesi di recapitare nel capoluogo siciliano le armi destinate all’assassinio.
Era chiaro fin dalle primissime battute che mentiva. Infatti è ben strano che un’organizzazione come Cosa Nostra, che ha sempre avuto grande disponibilità di armi, avesse la necessità di portare pistole a Palermo; né è poi pensabile, conoscendo le ferree regole della mafia, che un omicidio «eccellente », deciso al più alto livello della Commissione, venga affidato ad altri che a uomini dell’organizzazione di provata fede, i quali ne avrebbero dovuto preventivamente informare solo i capi del territorio in cui l’azione si sarebbe svolta; mai comunque estranei come il Pellegriti. I riscontri delle dichiarazioni di Pellegriti, subito disposti, hanno confermato, come era previsto, che si trattava di accuse inventate di sana pianta. “
Estratto dal libro di Giovanni Falcone e Marcelle Padovani, uscita della prima edizione fine 1991, dopo il deposito dell’ ordinanza sentenza sugli omicidi politici.
«Pentitismo e garanzie» – Intervento di Giovanni Falcone al convegno del 22 aprile 1986 promosso dall’ANM a Torino
“Quanto accaduto con i processi Borsellino 1 e bis, deve indurre noi magistrati a riflettere sulla necessità che le indagini preliminari e i processi che ne conseguono siano sempre improntati a criteri di assoluto rigore nell’analisi degli elementi di prova, senza farsi condizionare dal logiche di tipo emergenziale, da convinzioni preconcette o ancora dalla incapacità di cambiare idea quando gli accertamenti processuali lo impongono sulla base di una analisi obiettiva e scevra da condizionamenti di sorta. Credo di potere affermare che Paolo Borsellino sarebbe pienamente d’accordo con questa affermazione sé è vero che in un discorso tenuto agli studenti di Bassano del Grappa il 26 gennaio 1989, pur mettendo in rilievo l’importanza del ruolo dei pentiti, evidenziò il rischio dell’uso poco professionale di tale strumento di ricerca della prova, affermando : «Il pentito non deve essere la scorciatoia, il pentito deve dare la chiave di lettura di certe cose, il pentito deve dare l’indirizzo e poi il giudice deve andarsi a cercare, a riscontrare quelli che sono appunto i riscontri obiettivi alle dichiarazioni dei pentiti» – Sergio Lari – Procuratore della Repubblica – 19/07/2021
A PROPOSITO DI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA.
Il primo nella storia della criminalità mafiosa che si pentì, fu Giuseppe Ruvolino, un emigrante calabrese a New York. Fu arrestato dalla polizia di New York e con la promessa della libertà collaborò tradendo i propri compagni. Ottenuta la libertà e resosi conto dello sgarro che aveva fatto e temendo per la sua vita ritornò con tutta la sua famiglia in Calabria. La notte del 4 settembre 1910 nel paesino di Quattronari, ignoti
entrarono nella sua abitazione e lo uccisero con asce e coltelli: sterminarono l’intera famiglia composta dalla moglie e sei figli, il più piccolo aveva 4 mesi. Si racconta che i vicini udirono l’imprecazione di una delle bambine “zio non mi ammazzare”. I killer non furono identificati.
Un altro pentito, ma di grosso calibro fu Joe Valachi figlio di immigrati napoletani: nacque New York nel 1910. Divenne un importante mafioso della famiglia di Vito Genovese. Arrestato con Genovese, si convinse che gli altri lo ritenevano un collaboratore dell’Fbi a tal punto che uccise in carcere un uomo credendolo un killer incaricato di ammazzarlo. Collaborò con lo Stato americano e svelò per primo il none di Cosa nostra: morì nel 1971. (durante la mia permanenza nel New Jersey, -1993- frequentai gli stessi luoghi dov’era stato Valachi).
Invece, il primo italiano pentito di mafia fu Melchiorre Allegra, un medico trapanese, mafioso che divenne collaboratore di giustizia. Morì nel 1951.
Ma il vero pentito fu Leonardo Vitale, che io considero un pentito nel vero senso della parola. Disse : «Il mio crimine è stato quello di essere nato e cresciuto in una famiglia di tradizioni mafiose, e di aver vissuto in una società dove tutti sono mafiosi e per questo rispettati, mentre quelli che non lo sono vengono disprezzati» . Nel marzo del 1973, si presentò spontaneamente alla Mobile di Palermo e dichiarò che stava attraversando una crisi religiosa. Raccontò al commissario Bruno Contrada di aver commesso due omicidi e uno tentato: disse anche che nel sequestro Cassina, erano coinvolti Riina, Calò e Ciancimino. I mafiosi da lui indicati furono tutti assolti. Fu condannato a 25 anni di carcere, ma ne scontò 7 nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto perchè considerato seminfermo di mente. Fu il primo a parlare dell’esistenza della “Commissione provinciale”. Uscì dal carcere nel giugno del 1984 e rilasciò un intervista a un giornalista, dicendo “So che mi ammazzeranno”. Una domenica mattina, del mese di dicembre ’84, mentre usciva da una chiesa, venne freddato con un colpo di lupara.
E poi conobbi per averli interrogati coi magistrati, Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno, Gaspare Mutolo, Pino Marchese, Stefano Calzetta, Francesco Marino Mannoia, Giovanni Drago, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera.
11.6.2025 PIPPO GIORDANO
