Pubblichiamo uno stralcio di una lunga intervista rilasciata dal magistrato Massimo Russo sul sito “La voce di New york” e che parla del primo vero pentito di mafia ,Antonino Patti . il boss marsalese sconfessa , con le sue dichiarazioni , montagne di verbali firmati agli inquirenti da Vincenzo Calcara e da Pietro Scavuzzo. Patti , ha ammesso di essere responsabile di 40 omicidi , con le sue dichiarazioni nel 1996, apre le porte ai magistrati alla vera “mappatura” del sistema mafioso trapanese.
Massimo russo risponde sul quel periodo storico che conosce molto bene . Russo fu considerato un “pupillo “di Paolo Borsellino.
l’ombra dei falsi pentiti e dei depistaggi strategici
All’epoca della sua permanenza a Marsala, e anche dopo, ha avuto la possibilità di ascoltare alcuni collaboratori di giustizia: ha mai avuto dubbi su alcuni di essi, e se sì perché?
“Li ho avuti e, come era mio dovere, sono stato consequenziale. Mi riferisco in particolare a due soggetti,Vincenzo Calcara e Pietro Scavuzzo, che nei primi anni ’90 hanno reso dichiarazioni riguardanti Cosa Nostra in provincia di Trapani. Bisogna però fare un’importante premessa per capire cronologicamente alcuni fatti. Sino a quella data soltanto Tommaso Buscetta e pochi altri avevano parlato dell’organizzazione mafiosa ma le loro dichiarazioni avevano riguardato per lo più l’articolazione palermitana di Cosa Nostra. Nella provincia di Trapani non c’era stato mai nessun dichiarante se non negli anni ’30, Melchiorre Allegra, un medico di Castelvetrano, e negli anni ’50, taleLuppino, che avevano dato qualche scarna notizia sulla presenza di famiglie mafiose sul quel territorio. Sul finire degli anni ’80 alcuni valentissimi investigatori della Polizia di Stato e dei Carabinieri, tra cui Rino Germanà, avevano delineato con le loro indagini il contesto mafioso in cui operavano alcuni soggetti ritenuti appartenenti alle locali famiglie, oggetto di denuncia con memorabili rapporti giudiziari.
Soltanto nel 1996 Antonio Patti, uomo d’onore della famiglia di Marsala, si apre alla collaborazione con la Giustizia accusandosi di oltre 40 omicidi, facendo per la prima volta l’organigramma e tracciando uno spaccato criminale inedito della potente mafia della provincia di Trapani. Quando Calcara e Scavuzzo rendono le loro dichiarazioni il quadro delle conoscenze su Cosa Nostra trapanese era molto limitato, sicché le loro accuse nei confronti di soggetti già denunciati alla autorità giudiziaria si configuravano quali straordinarie conferme, da una parte alle felici intuizioni degli investigatori e dall’altra alla loro stessa credibilità. Parallelamente, le chiamate di correo nei confronti di altri soggetti mai emersi prima nel panorama investigativo risultavano difficilmente confutabili ma non per questo meno credibili tanto più che, ad onore del vero, altre parti deiloro racconti erano stati puntualmente riscontrati.
Così quando ad un certo punto Scavuzzo, che diceva di essere un uomo d’onore della famiglia di Vita, comincia a parlare di Vincenzo Sinacori quale appartenente all’organizzazione mafiosa ead alzare il tiro riferendo alcuni fatti riguardanti, se non ricordo male, i rapporti che questiavrebbe intrattenutocon un importante politico nazionale, le sue dichiarazioni apparirono credibili proprio perché Sinacori era stato denunciato perché indiziato di essere una pedina di rilievo del sodalizio mafioso di Mazara del Vallo. Però Sinacori, quando viene catturato e comincia a collaborare con la Giustizia, alle nostre contestazioni mosse sulla base delle dichiarazioni rese da Scavuzzo, risponde in modo tranciante: “Guardate che io Scavuzzo non lo conosco, non l’ho mai incontrato, non ci ho mai avuto rapporti. E vi dico di più, non solo non lo conosco, ma non è nemmeno uomo d’onore, non è nessuno. Noi mafiosi non lo conosciamo”.
Siccome queste affermazioni provenivano da un capo mafioso, reggente del potente mandamentodi Mazara del Vallo in cui era compresa la famiglia di Vita, l’unico atto che poteva dirimere il radicale contrasto tra le due dichiarazioni, consentendoci di capire chi mentiva, era quello di procedere ad un confronto faccia a faccia tra i due, con il cosiddetto confronto all’americana. Purtroppo quell’atto non è stato ripreso dalle telecamere ma mi è rimasto impresso nella memoria perché si capì subito chi era il vero mafioso e chi aveva mentito spudoratamente. Sinacori confermò le sue dichiarazioni, ribadendo di non conoscerlo; subito dopo fu fatto entrare Scavuzzo al quale leggemmo le dichiarazioni rese in precedenza, chiedendogli di confermarle. Prima che arrivasse la sua risposta, Sinacori, intimandogli di guardarlo negli occhi, lo fulminò domandogli: “Sig. Scavuzzo, ma nuiautri ni canuscemu?” [“ma noi ci conosciamo?”]E Scavuzzo, mantenendo la testa abbassata: “No, no, forsemi sono sbagliato”. Non provò nemmeno ad abbozzare altre risposte, rimase zitto. Inesorabilmente zittito, prima ancora che dalla tranciante domanda di Sinacori, dall’eloquentepotenza rivelatrice di quell’incontro,all’evidenza il primo!
Ancora più singolare la vicenda di Vincenzo Calcara che nel novembre del 1991 dichiara di volere collaborare con la Giustizia. Si autoaccusa di fare parte della famiglia mafiosa di Castelvetrano, di essere stato “punciuto” da Francesco Messina Denaro; accusa tanti altri soggetti di essere appartenenti all’organizzazione. Alcuni, in primis lo stesso Messina Denaro, già noti alle forze dell’ordine e alla magistratura per essere stati denunciati proprio per il reato di cui all’art.416 bis; altri, del tutto sconosciuti, almeno quali soggetti inseriti o gravitanti nel locale contesto mafioso, come per esempio Tonino Vaccarino, accusato di essere tra i capi della famiglia mafiosa castelvetranese, di essere implicato nell’omicidio dell’ ex sindaco di Castelvetrano Vito Lipari e addirittura di essere il mandante di un attentato al dott. Borsellino che avrebbe dovuto eseguire lo stesso Calcara.
Però, alcuni anni dopo, quando cominciano a collaborare con la giustizia i mafiosi “veri” (i Patti, Sinacori, Ferro, Milazzo, tutti della provincia di Trapani, o i palermitani come Brusca ed altri che avevano rapporti strettissimi con i trapanesi), interrogati sui fatti narrati da Calcara e sulle sue accuse, ma tutti all’unisono ci dicono: “Scusate, ma di che state parlando? Ma Calcara non è assolutamente nessuno, nulla sa né può sapere di cose di mafia”. Realizziamo, quindi, che Calcara non solo aveva riferito cose non vere ma soprattutto emerge subito tutta la sua profonda ignoranza – e dunque il suo mendacio – su cose essenziali riguardanti proprio l’assetto organizzativo di Cosa Nostra e cioè su informazioni basilari per uno che dichiarava di esserne un appartenente.
Un passo particolarmente significativo della sentenza,(N°9/98),per l’omicidio di Ciaccio Montalto dal Tribunale di Caltanissetta, che motiva la sua inattendibilità soggettiva, scolpisce lapidariamente proprio questo aspetto: Calcara non è in grado di dare informazioni minimali sull’organizzazione mafiosa, non sa parlare dei mandamenti e delle famiglie mafiose della provincia di Trapani nè addirittura del suo stesso mandamento di appartenenza, Castelvetrano, dimostrando di non conoscere quali altre famiglie ne fanno parte. Ricordo che lo stesso Sinacori, quasi a volere spazzare via ogni dubbio sulla figura di Calcara, considerato ancora mafioso e conoscitore di cose di mafia, in una pausa di uno dei suoi primi interrogatori mi fa:“Scusi Dr. Russo, lei che ormai da tempo è il magistrato che meglio conosce le dinamiche di cosa nostra trapanese sa chi è il vero capo, e non soltantoquello operativo, in provincia?”E io: “Si, ovviamente, Matteo Messina Denaro”. E Sinacori:“Bene, e le risulta che Calcara sino ad adesso ne abbiamai parlato?”. Con una battuta, Sinacori mise a nudo la credibilità di Calcara che, in effetti, non aveva mai parlato della persona certamente più importante e di rilievo nel panorama mafioso trapanese. Era la prova che Calcara non aveva proprio idea di chi fosse Messina Denaro Matteo e quale ruolo avesse in Cosa Nostra come emerso anche di recente nell’ambito delle intercettazioni nel carcere di Opera allorquando Riina parla di Matteo Messina Denaro come di un suo pupillo a lui affidato dal padre Francesco per farlo “crescere”, in una specie distage formativo mafioso! Calcara, dunque, sedicente mafioso, ha retto la parte del mafioso pentito, sapendo di non poter essere smentito da nessuno, sino a quando non sono stati i veri mafiosi a sbugiardarlo e poi qualche sentenza a demolirne la credibilità. Forse non era stato previsto che anche nella roccaforte mafiosa della provincia di Trapani arrivassero iveri pentiti a chiarire come stavano effettivamente le cose!
Tutto questo, insieme ad altre cose, mi ha portato ad imputare Calcara di autocalunnia, per essersifalsamente accusato di fare parte di Cosa Nostra con l’aggravante di averla agevolata avendo,secondo l’ipotesi accusatoria, impedito o comunque ritardato con le sue false dichiarazioni – da accertarsi quanto “farina del suo sacco” e quanto eventualmente ispirato o sollecitato da altri e da chi- le indagini nei confronti dei veri appartenenti a Cosa Nostra. Successivamente non mi sono più occupato della vicenda Calcara e se non ricordo male quel processo non si celebrò in quanto frattanto maturò la prescrizione del reato”.
Fonte La Voce di New York