AGENDA ROSSA – Le testimonianze di Agnese, Lucia e Manfredi Borsellino

 

LE TESTIMONIANZE DEI FIGLI DEL DOTTOR BORSELLINO SULL’AGENDA ROSSA

“Il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, l’agenda rossa da cui non si separava mai”, ha raccontato la figlia del giudice, Lucia Borsellino, il 19 ottobre del 2015, quando è stata chiamata a testimoniare al quarto processo per la strage. Le sue parole sono state confermate dal fratello Manfredi che ha ricordato l’immagine del padre che scriveva “compulsivamente sul diario”. “Dopo la morte di Giovanni Falcone – ha detto Manfredi Borsellino ai giudici della corte d’Assise – la usava continuamente. E non per appuntare fatti personali. Era certamente un modo per segnare eventi e cose di lavoro importanti. Se non fosse andata persa, le indagini sulla sua morte avrebbero certamente preso un’altra direzione”.


Strage di via d’Amelio, Lucia Borsellino: “Mio padre quel giorno aveva l’agenda rossa”.

Deposizioni al processo in corso a Caltanissetta. L’ex ministro della Difesa, Salvo Andò: “Fui io ad avvertire Borsellino della minaccia attentati”. Si commuove in aula il figlio Manfredi  “Il 19 luglio del 1992, il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, un’agenda rossa da cui non si separava mai” Lo ha detto in aula a Caltanissetta la figlia del magistrato assassinato dalla mafia, Lucia Borsellino, al processo sulla strage di via d’Amelio.  “Non so perché la usasse – ha aggiunto – o cosa ci fosse scritto perché non ero solita chiedergli del suo lavoro”. Paolo Borsellino, quella domenica mattina del 19 luglio del 1992, giorno dell’attentato in cui venne ucciso, prima di uscire da casa, nella sua borsa inserì un’agenda marrone, un’agenda rossa, il costume da bagno chiavi di casa e sigarette. Quella stessa mattina, arrivò nella casa della famiglia del magistrato, una telefonata del procuratore di Palermo, Pietro Giammanco.  A riferirlo, è stata in Corte d’Assise di Caltanissetta, nel corso del processo per la strage di via d’Amelio, Lucia Borsellino, figlia del magistrato ucciso. “Dopo la strage – ha detto Lucia Borsellino – la borsa ci venne riconsegnata dal questore Arnaldo La Barbera, ma mancava l’agenda rossa. Mi lamentai subito della mancanza di quell’agenda rossa. Ho avuto una reazione scomposta. Me ne andai sbattendo la porta. Chiesi con vigore che fine avesse fatto la borsa e il questore Arnaldo La Barbera, rivolgendosi a mia madre, gli disse che probabilmente avevo bisogno di un supporto psicologico perché ero particolarmente provata. Mi fu detto che deliravo. La Barbera escludeva che l’agenda fosse nella borsa”.

Lucia Borsellino ha anche riferito, che il padre teneva anche un’agenda grigia, con la copertina dell’Enel, dove era solito annotare tutto, in maniera quasi maniacale. Agenda, le cui fotocopie, sono state consegnate alla Procura di Caltanissetta e in particolare alla dottoressa Palma, mentre l’originale è ancora in possesso della famiglia Borsellino. Lucia Borsellino ha anche detto, che il procuratore Giammanco probabilmente quella mattina cercava il giudice Borsellino per affidargli inchieste riguardanti Palermo, visto che il magistrato in quel periodo si occupava del trapanese.  Lucia Borsellino ha aggiunto che il giudice Paolo rimase particolarmente turbato quando l’allora fidanzato della figlia Lucia, gli chiese di esprimere un parere su Bruno Contrada, ex funzionario del Sisde: “Mio padre – ha sottolineato – disse che Contrada era una persona della quale non bisogna parlare. Credo che la sua espressione fosse assolutamente eloquente in maniera negativa. Lo vidi molto turbato”. Lucia Borsellino ha anche riferito che dopo le dichiarazioni rese dalla madre alla Procura di Caltanissetta, un alto ufficiale dei Carabinieri, Antonio Subranni, disse che sua mamma era malata di alzheimer. “Cosa che escludo categoricamente perché mia mamma era malata di leucemia ed è stata lucida fino alla morte”, ha proseguito. Si è commosso in aula Manfredi Borsellino, ricostruendo gli ultimi momenti di vita del padre. “Sono momenti che non si possono rimuovere”, ha detto deponendo davanti alla Corte d’Assise. “Quel giorno mio padre, prima di lasciare la villa dove avevamo pranzato, mi salutò due volte. Lo accompagnai lungo la strada, dove erano parcheggiate le blindate e insieme percorremmo una settantina di metri. Aveva in una mano la borsa che poi sistemò in macchina”. “Dopo la strage di Capaci mio padre usava l’agenda rossa in modo compulsivo. Scriveva costantemente. E si trattava sicuramente di appunti di lavoro e dell’attività frenetica di quei giorni”. Il figlio del giudice si è detto certo che nell’agenda, scomparsa dopo la strage dalla borsa in cui il magistrato la custodiva, ci fossero cose importanti. “Mio padre – ha spiegato – dopo la morte di Falcone era consapevole che sarebbe toccato a lui e di essere costantemente in pericolo. Aveva l’esigenza di lasciare tracce scritte. Non poteva metterci in pericolo rivelandoci delle cose”. Borsellino è convinto che se l’agenda rossa fosse stata trovata le indagini sulla morte del padre avrebbero avuto una piega diversa. “Nessuno ci chiese perché attribuivamo tanta importanza all’agenda rossa. E invece credo che investigativamente fosse importante fare accertamenti”, ha aggiunto Manfredi Borsellino che ha lungamente parlato del diario da cui il padre, raccontano i familiari, soprattutto negli ultimi giorni di vita non si separava mai e che scomparve dalla borsa del giudice dopo l’eccidio. “Quando l’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera ci ridiede la borsa – ha aggiunto – e vedemmo che l’agenda non c’era e chiedemmo conto della cosa, si irritò molto. Sembrava che gli interessasse solo sbrigarsi e che gli stessimo facendo perdere tempo. Praticamente disse a mia sorella Lucia che l’agenda non era mai esistita e che farneticava. Usò dei modi a dir poco discutibili”

“Mio padre, dopo la morte di Giovanni Falcone, attendeva con ansia di essere interrogato dai magistrati della procura nissena, a tal punto che una volta disse pubblicamente: io qui non vi posso dire nulla, ciò che ho da dire lo dirò ai magistrati competenti – ha sottolineato – Mio padre sapeva perfettamente che sarebbe stato estremamente difficile sottrarsi al suo destino”. In realtà Paolo Borsellino avrebbe dovuto essere ascoltato dai colleghi di Caltanissetta che indagavano sulla strage di Capaci, il 20 luglio ma il giorno prima fu ucciso. Manfredi Borsellino ha poi aggiunto che sua mamma è stata chiamata a testimoniare, in un’aula di un tribunale, una sola volta mentre sia per lui che per la sorella Lucia, questa è la prima volta che vengono chiamati a testimoniare dinanzi ad una Corte d’Assise. A proposito invece dell’ex funzionario del Sisde, Bruno Contrada, Manfredi Borsellino ha riferito che il padre non ha mai pronunciato questo nome. “Probabilmente era una persona – ha spiegato – che mio padre non stimava”.  Prima dei figli del magistrato aveva deposto l’ex ministro della Difesa, Salvo Andò. “Vidi in aeroporto, a Roma, Paolo Borsellino dopo la strage di Capaci. Ci appartammo per parlare e io gli accennai alla nota del capo della polizia Parisi in cui si parlava di un rischio di attentati ai nostri danni. Lui, meravigliato, mi disse di non essere stato informato della vicenda”, ha raccontato Andò al processo che vede imputati i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Calogero Pulci e Francesco Andriotta.

Andò aveva saputo da Parisi, allora capo della polizia, di un piano di attentati che avrebbe avuto come bersagli sia lui che Borsellino.Nessuno però avrebbe avvertito il giudice. Il teste ha poi negato di avere mai avuto dai carabinieri del Ros richieste di supporto politico per contatti con esponenti di Cosa nostra. Sull’avvicendamento al Viminale tra Vincenzo Scotti e Nicola Mancino, secondo alcune ipotesi investigative finalizzato a neutralizzare l’attività antimafia avviata da Scotti, Andò ha detto: “Scotti non mi ha mai detto nulla di ciò. Anzi quando si dimise da ministro non fece cenno a desideri di proseguire la sua azione, mi disse solo che, avendo la Dc posto i suoi davanti alla scelta tra la carica di parlamentare e quella di ministro, di avere optato per il Parlamento”.

Andò ha anche detto di non sapre nulla della presunta trattativa Stato-mafia: “Non ho mai incontrato Mario Mori”, ex comandante del Ros, ha detto Ando’. “Non l’ho mai cercato, nè mi ha mai cercato. Stranamente non ha mai avuto rapporti con me. Credo che forse avesse rapporti con altre forze politiche. Altri invece, visto il mio ruolo nel Psi e in qualità di ministro della Difesa, invece li tenevano. Non so nulla di rapporti fra i vertici del Ros e Vito Ciancimino. Se notizie del genere fossero arrivate all’allora prefetto Parisi, lui mi avrebbe informato”. Andò ha anche aggiunto che non conosceva l’allora Capitano del Ros Giuseppe De Donno e di aver conosciuto Antonio Subranni, anche lui ufficiale del Ros, in un’occasione conviviale. L’ex esponente del Psi, ha altresì riferito che dopo l’omicidio Lima, Giovanni Falcone gli disse che “presto scoppierà un gran casino. C’era il segnale di un clima di guerra. Ho avuto l’impressione che Falcone a Palermo vivesse male. C’era chi lo amava ma anche chi tendeva ad isolarlo. Mi disse la mia vita vale meno di questo bottone”.  Dopo Andò i giudici ascoltano la figlia del giudice, Lucia Borsellino:  “Il 19 luglio del 1992, il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, un’agenda rossa da cui non si separava mai- ha detto Lucia Borsellino – non so perché la usasse – ha aggiunto – o cosa ci fosse scritto perché non ero solita chiedergli del suo lavoro”. La prossima udienza è fissata per domani alle 10,30. IL SICILIA 19.10.2015


Al processo ascoltati oggi Manfredi e Lucia, figli del magistrato assassinato dalla mafia il 19 luglio 1992. Borsellino quater: l’agenda rossa sparita e l’irritazione di La Barbera. 

“Nessuno ci chiese perché attribuivamo tanta importanza all’agenda rossa. E invece credo che investigativamente fosse importante fare accertamenti. Eppure quando l’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera ci ridiede la borsa, e vedemmo che l’agenda non c’era e chiedemmo conto della cosa, si irritò molto. Sembrava che gli interessasse solo sbrigarsi e che gli stessimo facendo perdere tempo. Praticamente disse a mia sorella Lucia che l’agenda non era mai esistita e che farneticava. Usò dei modi a dir poco discutibili ed anche quell’atto era irrituale. Non ricordo di aver firmato alcun verbale di restituzione né lo trovammo poi, firmato da me o da altri della famiglia. La Barbera ci disse solo di prendere per buono quel che ci stavano dando perché era tutto quello che c’era dentro la borsa”. E’ così che Manfredi Borsellino, teste dell’avvocato Fabio Repici (parte civile del fratello del giudice, Salvatore), ha riferito su quanto avvenuto il giorno in cui la borsa del padre fu riconsegnata alla famiglia. Entrambi i figli, Manfredi e Lucia, per la prima volta ascoltati in un processo sulla morte del padre, non sono riusciti ad individuare una data certa di quell’avvenuta riconsegna, indicandola orientativamente prima della fine del 1992, ma hanno confermato che l’agenda rossa era presente nella borsa del giudice il 19 luglio. Un racconto dove non sono mancati i momenti di emozioni, in particolare nel descrivere le poche ore che hanno preceduto la strage.

“Ricordo perfettamente che mio padre la inserì nella borsa assieme ad altri oggetti – ha detto Lucia – Non so perché la usasse o cosa ci fosse scritto perché non ero solita chiedergli del suo lavoro ma non se ne separava mai”. In merito allo scontro verbale con La Barbera, che coordinò il pool che indagò sulle stragi Falcone e Borsellino, ha aggiunto: “Io mi lamentai della scomparsa e chiesi che fine avesse fatto. La Barbera escluse che ci fosse stata e mi disse che deliravo. Quando gli manifesti il mio fastidio mi disse che avevo bisogno di aiuto psicologico. Io me ne andai anche sbattendo la porta”. Manfredi Borsellino, attualmente Commissario di Polizia di Cefalù, ha anche spiegato che “Quando ci fu riconsegnata la borsa c’erano alcune parti annerite, al suo interno vi erano diversi oggetti tra cui un’agenda marrone dove mio padre annotava alcuni numeri di telefono. Si c’erano alcune parti annerite, un po’ sporche, le condizioni di questa agenda erano comunque perfette. Per questo credo che l’altra agenda, quella rossa, che sicuramente era dentro la borsa, si sarebbe dovuta preservare”.

Il contenuto dell’agenda rossa. L’agenda rossa è però sparita in circostanze ancora oggetto di un’inchiesta da parte della Procura di Caltanissetta. “Quell’agenda era un’anomalia – ha aggiunto Manfredi Borsellino – negli anni precedenti non vi furono mai tre agende. Al massimo c’era quella legale (la grigia) o quella itinerante dove annotava i numeri di telefono (la marrone). In quell’anno però portava con sé l’agenda rossa ed in particolare dopo Capaci usata da mio padre in modo compulsivo. Scriveva costantemente. Un’agenda a mio modo di vedere dedicata al suo lavoro, per inserire atti processuali, spunti investigativi, tutto quello che riguardava le indagini. Non era un diario, ma qualcosa di più. Era anche quello un modo per proteggerci senza renderci depositari di segreti scomodi. Chiunque ha avuto nelle mani quell’agenda sicuramente non ha avuto bisogno di giorni per intuirne il contenuto e, visto l’uso esclusivo, ritengo che in uno scenario di guerra come quello di via d’Amelio siano bastati tempi rapidissimi per capire la portata del contenuto, anche aprendo una sola pagina. Se l’avessimo avuta probabilmente non sarebbe accaduto nulla di quello che è avvenuto poi, anche con innocenti che hanno pagato per qualcosa che non avevano fatto”.

Una testimonianza che non c’è  “Dopo Capaci – ha ricordato il figlio di Borsellino – mio padre aveva fretta di essere sentito dai colleghi di Caltanissetta che indagavano sull’eccidio e non si spiegava perché non lo convocassero. Tanto che in un’occasione pubblica (il 25 giugno a Casa professa, ndr) fece un intervento con cui tentò, secondo me, di sollecitare una convocazione. Dopo la morte di Falcone era consapevole che sarebbe toccato a lui e di essere costantemente in pericolo. Aveva l’esigenza di lasciare tracce scritte. Non poteva metterci in pericolo rivelandoci delle cose per questo utilizzava l’agenda rossa”.

L’agenda grigia  Se l’agenda rossa risulta sparita c’è un altro documento, comunque importante, che i figli di Borsellino hanno ritrovato e consegnato all’autorità giudiziaria: l’agenda grigia, quella dove il magistrato appuntava i conti, i numeri di telefono, e l’elenco degli appuntamenti. Sono stati Lucia Borsellino ed il fratello a consegnare quel documento la prima volta all’allora pm di Caltanissetta Anna Palma. Ha detto la figlia del giudice: “Visto quanto accaduto nella storia di questo paese (riferendosi ai diversi documenti spariti in altri casi, ndr) chiesi espressamente che ne facessero delle fotocopie e che acquisissero quelle, ma che l’originale ci fosse restituito”.

“Quando Subranni disse che mia madre non era lucida”  Sia Manfredi che Lucia Borsellino hanno poi ribadito, rispondendo alle domande di Repici, che fino all’ultimo respiro la madre “è stata assolutamente lucida”. La Borsellino ha ricordato che l’ex capo del Ros, Antonio Subranni, dopo aver appreso delle dichiarazioni accusatorie fatte contro di lui dalla vedova Borsellino, che raccontò di aver appreso dal marito che “Subranni era punciutu”, aveva messo in dubbio le capacità mentali della donna da anni malata di leucemia. “Disse che aveva l’alzheimer – ha aggiunto – ma non era vero”. La figlia del giudice ha anche spiegato i motivi che indussero la madre in un primo momento a non fare certe dichiarazioni: “Credo avesse paura di essere lasciata sola dalle istituzioni e che noi potessimo rimanere isolati. Ma col tempo si è sentita più libera e la sua sete di giustizia si è andata affermando sempre di più, anche perché le preoccupazioni nei nostri confronti si andavano attenuando”. “Lei aveva deciso di farci da schermo – ha aggiunto Manfredi Borsellino – Per anni lo ha fatto. Ci sono cose che poi ho letto nel libro che ha scritto con Salvo Palazzolo (Ti racconterò tutte le storie che potrò, ndr) che per me erano inedite. Ma al tempo era assolutamente lucida così come quando fu sentita dai magistrati”. Ma Lucia Borsellino, ex assessore alla Sanità della Regione Siciliana, ha anche parlato di Bruno Contrada, ex numero tre del Sisde, condannato a dieci anni per concorso esterno a Cosa nostra, raccontando un episodio vissuto con il padre: “Una sera a cena il fidanzato che avevo allora chiese un parere a mio padre. Mio padre disse che Contrada era una persona della quale non bisogna parlare. Credo che la sua espressione fosse assolutamente eloquente in maniera negativa. Lo vidi molto turbato”.

Andò ed il mancato allarme a Borsellino. Prima dei due figli del magistrato ad essere sentito è stato l’ex ministro della Difesa, Salvo Andò che in particolare ha ricostruito l’incontro avvenuto il 28 giugno 1992, all’aeroporto di Roma: “Vidi in aeroporto, a Roma, Borsellino dopo la strage di Capaci. Ci appartammo per parlare e io gli accennai alla nota del capo della polizia Parisi in cui si parlava di un rischio di attentati ai nostri danni. Lui, meravigliato, mi disse di non essere stato informato della vicenda”. Quell’informativa era stata confermata all’ex ministro dal prefetto Parisi, allora capo della polizia. “Si parlava di un piano di attentati che avrebbe avuto come bersagli sia me che Borsellino. E mi disse che la notizia era assolutamente fondata. Quando lo appresi? Prima di Capaci (anche se così fosse non si vedrebbe il perché lo stesso ex ministro ne ha parlato con Borsellino soltanto sul finire di giugno, ndr)”. Resta il fatto che quelle informazioni fornite da Parisi erano un primo avviso, in quell’estate, in cui si parlava di un attentato nei confronti del magistrato palermitano. Infatti anche successivamente, il 16 luglio, in un’informativa del Ros si parlava di un attentato in preparazione nei confronti di Antonio Di Pietro e Paolo Borsellino. Il primo fu avvisato e dopo qualche tempo fu trasferito in Costa Rica sotto falso nome. Al secondo la nota fu trasmessa il giorno successivo ma arrivò a Palermo soltanto nei giorni successivi alla strage. Come mai nessuno informò direttamente Borsellino? Una domanda che resterà sempre aperta.

“Lui (Borsellino, ndr)- ha aggiunto Andò – rimase molto sorpreso di quella notizia. Era strano che non fosse stato informato”. Durante la sua deposizione l’ex ministro della Difesa ha anche negato di aver mai avuto dai carabinieri del Ros “richieste di supporto politico per contatti con esponenti di Cosa nostra”, nonostante proprio i carabinieri avrebbero dovuto rispondere direttamente al suo Ministero. “Avevo rapporti con il Capo di Stato maggiore che mi informava ma mai ho avuto notizie sui colloqui con Ciancimino. Perché il Ros contattò Martelli e non me? Non lo so. Io non avevo rapporti con loro” ha poi aggiunto.

La moglie di Ayala. Ultimo teste ascoltato quest’oggi è stata poi la moglie dell’ex magistrato Giuseppe Ayala, Natalia Jung, nipote del famoso psichiatra Carl Gustav Jung. La donna, rispondendo alle domande dell’avvocato Repici, ha ricostruito quanto avvenuto nel pomeriggio del 19 luglio 1992. “Ci trovavamo al Mirabella residence, ad un certo punto sento un boato. Pensai che era qualcosa che riguardava la mia macchina ed ero scesa sotto. Vedevo tutta la gente affacciata. Poi vidi anche mio marito e ci facemmo un cenno d’intesa. Mi dovevo recare da mia madre. Poi tornai indietro perché non ero tranquilla con quello che era successo ma Giuseppe non c’era. Pensai che fosse andato a vedere. Se ricevetti telefonate? Sì, diverse. Si era diffusa la voce che fosse successo qualcosa a mio marito ma non era così”. Tra queste telefonate anche quella con Felice Cavallaro, cronista del Corriere. La Jung ha poi aggiunto di aver saputo dal marito l’episodio della ritrovamento della borsa di Borsellino. “Lui – ha detto – da magistrato prese la borsa anche se non aveva titolo per prenderla, poi la consegnò ad un carabiniere che era là vicino. Se parlammo di questo anche con Cavallaro? No. Non ricordo se parlammo anche in sua presenza”. L’audizione della moglie di Ayala si era resa necessaria dopo che nell’aprile 2013 era stato cavallaro a raccontare che, dopo aver sentito l’eco della bomba e aver osservato la colonna di fumo salire dalla zona della fiera del Mediterraneo, la moglie di Ayala risultava in casa tanto che gli aveva risposto al telefono. Allora l’avvocato Repici aveva evidenziato un contrasto tra quelle dichiarazioni e quanto scritto dallo stesso Cavallaro e Ayala nel libro “La guerra dei giusti” (pubblicato nel ’94 dalla Rizzoli). “Non ricordavo il fatto che Natalia Jung fosse giù per strada e che evidentemente sia risalita in casa quando ha ricevuto la mia telefonata mentre Ayala andava verso via D’Amelio…”, disse Cavallaro dopo aver riletto le pagine 34 e 35 del suo libro. “Adesso che l’ho letto ricordo questo particolare, la signora Natalia dopo il boato e dopo l’incontro con Giuseppe Ayala risalì in casa e io lì la trovai quando telefonai…”. “Nel senso che al momento del boato non era in casa ed era appena andata via?”, chiese Repici. “Si… come è scritto qui stava per andare a trovare la madre…”, rispose Cavallaro. Ed oggi la donna ha in parte confermato. amduemila 19 Ottobre 2015. di Aaron Pettinari

L’ipotesi che il diario abbia resistito alla deflagrazione  Manfredi è certo che il diario abbia resistito, come l’altra agenda ritrovata intatta nella borsa del magistrato, alla deflagrazione di via D’Amelio in cui rimase ucciso Borsellino. Ma la sorte del documento che entrambi i figli del giudice ritengono prezioso non si è mai scoperta. Come hanno raccontato i Borsellino, la valigetta del padre venne loro restituita dopo qualche settimana dalla morte del magistrato. Dentro c’era tutto tranne l’agenda rossa


Lucia Borsellino: “L’agenda rossa : quella mattina ho visto mio padre metterla in borsa”  – VIDEO

 


LUCIA VEDE L’AGENDA DENTRO LA BORSA DEL PADRE  

Ebbene, che Paolo Borsellino avesse portato con sé l’agenda in questione anche quel 19 luglio 1992, non v’è alcun dubbio. Infatti, la figlia Lucia Borsellino, quella mattina, era con lui, nello studio di casa, quando il padre riordinava la propria scrivania e metteva proprio quell’agenda rossa dentro la sua borsa, subito prima di uscire

  • TESTE L. BORSELLINO – Lo ricordo perché dormendo nel suo studio vidi proprio gli oggetti che stava recuperando, tra cui un’agenda marrone, un’agenda rossa, il costume da bagno, le chiavi, le sigarette e qualche altra cosa; non ricordo se avesse anche qualche carta con sé, però ricordo tranquillamente che ordinò il tavolo riponendo all’interno della borsa questi oggetti..

46 Cfr. deposizione di Carmelo Canale, nel verbale d’udienza dibattimentale del 6.5.2013, pag. 98:

  • “TESTE CANALE C. – Allora, per quelli che sono i miei ricordi, credo che sia o Agnese Borsellino o Lucia mi riferirono… mi riferirono che suo marito aveva ricevuto… o l’aveva visto il professore Tricoli, aveva ricevuto una telefonata da un funzionario e lui aveva annotato un numero lunghissimo della Germania, perché, come le dicevo poc’anzi, ci preparavamo per andare a fare la rogatoria nuovamente in Germania, e quindi lui aveva annotato il numero di telefono proprio su quell’agenda rossa.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Questo il giorno della domenica, il 19 luglio?
  • TESTE CANALE C. – Sì, prima di… prima di andarsene a Palermo. Questo me lo riferisce o la signora Agnese Borsellino o Lucia, o qualcuno della famiglia, o lo stesso professore Tricoli, non… non ho un ricordo”.

47 Cfr. deposizione di Antonio Vullo, nel verbale d’udienza dibattimentale del 8.4.2013, pag. 34:

  • AVV. REPICI – La prima: ha ricordo se… o meglio, il giorno in cui andaste, il pomeriggio del 19 luglio andaste a prendere il dottor Borsellino a Villagrazia di Carini, partendo verso Palermo il dottor Borsellino aveva una borsa professionale con sé?
  • TESTE VULLO A. – Ma io l’ho… l’ho visto uscire con la borsa, però non… non l’ho visto se l’ha messa in auto o meno, però l’ho visto con la borsa.
  • AVV. REPICI – Cioè lui è uscito di casa con la borsa.

E MANFREDI VEDE IL PADRE USCIRE CON LA BORSA  

Inoltre, nel pomeriggio, quando il Magistrato riceveva una telefonata di lavoro a Villagrazia di Carini, usava proprio l’agenda rossa per annotarvi un lungo numero di telefono tedesco, in vista della nuova rogatoria che s’apprestava ad effettuare in Germania. Ancora, quando usciva dalla casa di villeggiatura di detta località, per recarsi a Palermo, dalla madre, in via D’Amelio, Paolo Borsellino aveva con sé la sua borsa, così come l’aveva quando salutava, per l’ultima volta, il figlio Manfredi 

  • AVV. REPICI – Dottore, una precisazione: lei vide allontanarsi suo padre da Villagrazia di Carini nel pomeriggio?
  • TESTE M. BORSELLINO – Allora, mio padre da Villagrazia di Carini è andato via una volta che già, previ accordi con mia nonna, doveva… doveva raggiungerla per portarla dal cardiologo. Io ho trascorso buona parte della mattinata, il pranzo con mio padre; il pranzo un po’ come tanti pranzi siciliani durò abbastanza, dopodiché mio padre credo che ricevette pure una o due telefonate, non ricordo bene, tant’è che forse cercava una penna per annotarsi qualche cosa, comunque dopo il pranzo, ripeto, la nostra villa era aperta, probabilmente all’interno di quella villa aveva lasciato lui la borsa, perché comunque la nostra villa rimane tutto il tempo aperta, era da molto che era chiusa, per cui l’abitudine era di aprire finestre, porte, etc. Dopo pranzo mio padre è andato a riposare. Io mi trattenni, invece, presso la villa del professore Tricoli, c’era un campo da… un tavolo da ping-pong, quindi mi misi a giocare a ping-pong, e mio padre è rimasto nella villa a riposare. In realtà lo capimmo dopo che non era andato a riposare, perché accanto… intanto non era salito sopra, dove c’era la camera matrimoniale dei miei genitori, ma si era trattenuto in una stanza giù, che, diciamo, ai tempi era adibita a… era la stanza matrimoniale dei… la camera matrimoniale dei miei nonni; e poi abbiamo notato che c’era un portacenere pieno, proprio carico di cicche di sigarette, cicche peraltro abbastanza recenti, perché lì la casa era chiusa da diverso tempo, per cui non poteva che… non potevano che essere riconducibili a lui. Si trattenne poco a riposare, perché, ripeto, il pranzo era finito tardi, abbastanza tardi; peraltro durante quelle ore abbiamo trascorso dei momenti assolutamente sereni, spensierati, anche mio padre pareva di buonumore. Poi però, ripeto, si andò a riposare. Era sua abitudine fare una (…) una piccola pausa dopo pranzo, però dovrebbe essere durata abbastanza poco, perché già era tardi, eravamo nel pomeriggio inoltrato. Quando mio padre ha deciso di… di prepararsi per fare rientro a Palermo, si è vestito lì nella casa nostra, ci ha raggiunto nella villa del professore Tricoli; ricordo che aveva questa borsa che teneva nella mano; chiese anche notizie un po’ del tour de France com’era andato, come non era andato, salutò tutti i commensali di quella… perché comunque aveva detto che si sarebbe allontanato, poi però è ritornato per salutare tutte le persone con cui aveva pranzato; ovviamente salutò mia madre, i miei zii, mia nipote, dopodiché io lo aspettavo in qualche modo sull’uscio della… del cancello della villa Tricoli e lui mi fece segno come dire: “Manfredi, vieni con me, accompagnami fino alla macchina”. Tra l’altro io credo che seppi in quel momento che stava andando da mia nonna, perché sapevo che sarebbe rientrato anticipatamente perché aveva necessità di… lavorava tantissimo in quei giorni e comunque lui era un momento in cui non gradiva probabilmente che noi familiari (…) entrassimo con lui nella macchina blindata o ci muovessimo con lui. Non lo so, probabilmente percepiva… anzi, no, sicuramente percepiva un pericolo maggiore dopo la morte di Falcone, ce lo disse in modo evidente: “Guardate, siamo a un punto di non ritorno, la morte… cioè Giovanni Falcone per me rappresentava uno scudo, dopo di lui io non ho più…” Ci diceva, siccome per tanti anni si era sforzato di farci condurre una vita normale, ci disse che non sarebbe più riuscito a garantirci questa vita normale, probabilmente avremmo vissuto tutti una situazione, lui in particolare, dalla quale non sarebbe più potuto sfuggire, non si sarebbe potuto sottrarre più a certi dispositivi di sicurezza. Io che in quei giorni seguivo molto mio padre anche con lo sguardo, quando andava via al Palazzo di Giustizia la mattina, quando rientrava, ero un po’ ansioso devo dire, anche quella mattina effettivamente mi è venuto naturale, a prescindere che mio padre mi chiedesse di fare questi due passi insieme, che poi…
  • AVV. REPICI – Quindi quel pomeriggio intende?
  • TESTE M. BORSELLINO – Sì, sì, quel pomeriggio, quando… dico, la distanza tra la villa del professore Tricoli e dove erano parcheggiate le tre macchine blindate, inclusa quella in cui poi entrò mio padre, che guidava mio padre, dico, è una distanza veramente irrisoria, parliamo di settanta metri, però io me li feci tutti insieme a… a mio padre. Scusate, non è facile parlare di questo istante, perché… (…) Niente, quindi percorro questo tratto di strada con mio padre. Ricordo bene anche un particolare: mio padre aveva la borsa da una parte e la mano assolutamente libera dall’altra. Ho solo un piccolo… faccio solo una piccola confusione sul fatto che questa borsa per un piccolo tratto gliel’ho portata io; però, in realtà, o gliel’ho portata io o l’ha portata lui, perché poi è stato lui a metterla dentro la macchina blindata, lui aveva la borsa, tutto il contenuto all’interno della borsa, l’altra mano era assolutamente libera, lo accompagno… proprio le macchine, gli agenti di scorta, i ragazzi, erano tutti che l’aspettavano, tranne forse uno che l’ha seguito insieme a me in questi settanta metri, tutti che l’aspettavano in questo piazzale che c’è all’ingresso del residence. Mio padre mi sa… mi salutò due volte. (…).

NESSUNA TRACCIA   Di detta agenda rossa, tuttavia, non v’era più alcuna traccia, quando la borsa del Magistrato veniva restituita ai suoi familiari, diversi mesi dopo la strage, con ancora dentro tutti gli altri effetti personali, integri (fra i quali persino un pacchetto di sigarette, oltre ad un’altra agenda marrone).

L’istruttoria dibattimentale, oltre a far emergere molteplici contraddizioni fra le deposizioni dei vari testi esaminati sulla sparizione dell’agenda in questione, evidenziava un comportamento veramente inqualificabile da parte del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo: infatti, il dottor Arnaldo La Barbera dapprima diceva alla vedova Borsellino che la borsa del marito era andata distrutta ed incenerita nella deflagrazione (come risulta dalla deposizione del Maggiore Carmelo Canale, sul punto, de relato dalla Sig.ra Agnese Piraino) salvo poi restituirgliela, diversi mesi dopo (come si vedrà a breve), negando -in malo modo- l’esistenza di agende rosse.

  • P.M. Dott. LUCIANI – Questa circostanza che ora le leggo. Le ho già menzionato l’articolo apparso (…) sul settimanale “Esse”.
  • TESTE CANALE C. – Sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – In quella circostanza lei, è un virgolettato, quindi volevo capire se è… ma poi, diciamo, sul punto lei è stato anche specificamente sondato da questo ufficio, lei dice, o meglio, almeno è riportato virgolettato, quindi dovrebbero essere le sue parole: “Arnaldo La Barbera mi ha detto che la borsa è andata distrutta…”
  • TESTE CANALE C. – E’ così.
  • P.M. Dott. LUCIANI – “…disse a Canale la signora Agnese Borsellino”. E infatti sul punto lei viene escusso il 13 novembre del 2012 dalla Procura di Caltanissetta e anche in quella sede lei dichiara: “Sul punto confermo sostanzialmente, il contenuto di quanto riferito nell’intervista, precisando che la notizia secondo cui Arnaldo La Barbera aveva detto che la borsa era andata distrutta è stata da me appresa da Agnese Borsellino…”
  • TESTE CANALE C. – Sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – “…che me lo disse pochi giorni dopo il 19 luglio del ’92”.
  • TESTE CANALE C. – Sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Glielo leggo perché, diciamo, lei l’ha posta in forma dubitativa ora.
  • TESTE CANALE C. – Sì, sì, ma io credo… credo di aver detto questo.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Qua è assertivo, invece.
  • TESTE CANALE C. – Io credo di aver detto questo. Io confermo integralmente questo, cioè perché io quando… quando ho avuto l’opportunità di parlare con Agnese Borsellino, lei immagini l’indomani cosa c’era a casa.

Dunque, si può affermare[…] che l’istruttoria dibattimentale ha fatto emergere le persistenti zone d’ombra sull’argomento, anche per le notevoli ambiguità e la scarsa linearità di alcuni dei testimoni assunti, sovente in contraddizione reciproca fra loro.  Non sono stati ancora raccolti elementi chiarificatori in grado di dipanare, in maniera definitiva, la matassa relativa alle modalità della sparizione dell’agenda rossa del Magistrato (certamente non sottratta da appartenenti a Cosa nostra), che si sarebbe rivelata di fondamentale importanza per lo sviluppo delle indagini sulle vicende stragiste.
Tuttavia, alcuni dati possono senz’altro esser affermati, alla luce delle emergenze istruttorie: già nell’immediatezza della strage, attorno all’automobile blindata del Magistrato ucciso, vi erano una pluralità di persone in cerca della sua borsa e di quello che la stessa conteneva, ivi compresi alcuni appartenenti ai Servizi Segreti; chi notava detta presenza di quella “gente di Roma” (oggettivamente anomala, se non altro per i tempi), non riteneva di riferire alcunché ai propri superiori gerarchici od ai Pubblici Ministeri (la circostanza, come detto, veniva affermata dal Sovrintendente Maggi, per la prima volta in assoluto, nel dibattimento di questo processo, oltre vent’anni dopo i fatti; anche il Vice Sovrintendente Garofalo veniva sentito, per la prima volta, dalla Procura di Caltanissetta, nell’anno 2005); ai familiari di Paolo Borsellino non veniva mai notificato alcun verbale di sequestro della borsa del loro congiunto ed alla vedova veniva mentito, considerato che il dottor Arnaldo La Barbera le diceva che detta borsa era andata distrutta nella deflagrazione, sebbene risulti (come detto) che il reperto giungeva nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo già nel pomeriggio del 19 luglio 1992; chi portava la borsa nell’ufficio del Dirigente della Squadra Mobile di Palermo, non riteneva di dover fare alcuna relazione di servizio (almeno fino a cinque mesi dopo), né di dover far rilevare che vi erano degli appartenenti ai Servizi Segreti sullo scenario della strage; alcuni mesi dopo la strage, il dottor Arnaldo La Barbera riteneva di recarsi, personalmente, a casa della Sig.ra Agnese Piraino, per la restituzione della borsa del marito, che avveniva in maniera irrituale e frettolosa (ancora una volta, non veniva redatto alcun verbale, né consta alcuna relazione di servizio); in detta occasione, innanzi alla richiesta della figlia, Lucia Borsellino, di riavere indietro anche l’agenda rossa del padre (non presente fra gli altri suoi effetti personali, dentro la borsa), il Dirigente della Squadra Mobile di Palermo, con un atteggiamento infastidito e sbrigativo, affermava, in maniera categorica (ed apodittica), che non esisteva alcuna agenda rossa da restituire; a fronte dell’insistenza della ragazza (che usciva persino dalla stanza, sbattendo la porta), il dottor Arnaldo La Barbera, con la sua voce roca, diceva alla vedova che sua figlia necessitava di assistenza psicologica, in quanto “delirava” [Cfr. deposizione di Lucia Borsellino, nel verbale d’udienza dibattimentale del 19 ottobre 2015, pagg. 58 s:

TESTE L. BORSELLINO – Sì, disse proprio… non era stata per niente contemplata l’ipotesi che potesse esserci un altro… un altro oggetto, per cui, al mio insistere, mi fu detto addirittura che deliravo.] o “farneticava” [Cfr. deposizione di Manfredi Borsellino, nel verbale d’udienza dibattimentale del 19 ottobre 2015, pagg.156:

TESTE M. BORSELLINO – Ma io mi riferisco al modo con cui si rivolse soprattutto a mia sorella e poi a noi tutti, sostenendo che farneticava, sostenendo che si stava inventando lì per lì il discorso dell’agenda rossa quasi per farle… per fargli perdere tempo. Cioè lui ha avuto… lui, sostanzialmente, non era venuto per acquisire informazioni, per avere dei colloqui investigativi, che in quel momento penso fosse il minimo dovere avere con la moglie e con i figli di Paolo Borsellino, cioè lui è venuto là semplicemente per liberarsi del… della borsa e del contenuto che… di cui riteneva di potersi liberare, cioè che non aveva rilevanza investigativa per lui e… e andarsene (…).].
Un atteggiamento, questo, che rivelava non solo una impressionante insensibilità per il dolore dei familiari di Paolo Borsellino, ma anche una aggressività volta a mascherare la propria evidente difficoltà a rispondere alle domande poste, con grande dignità e coraggio, da Lucia Borsellino, nel suo forte e costante impegno di ricerca della verità sulla morte del padre. A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA 14.7.2021 – Borsellino Quater

 

Archivio digitale logo base