Dalla Cosa Nostra alla Cosa Nuova

 

Matteo Messina Denaro e la borghesia mafiosa. Ne parliamo, in un confronto a due voci, con Umberto Santino, sociologo, fondatore del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” e ideatore del “No Mafia Memorial”, e Victor Matteucci, autore di numerosi saggi, tra cui “Gli Estranei”, analisi sull’underclass e le identità borderline

Partiamo dalla cronaca dall’arresto di Matteo Messina Denaro e dal fatto che lui possa collaborare chiarendo alcuni segreti di questi anni soprattutto riguardo alle stragi, alle coperture di cui sembrerebbe aver usufruito.

Messina Denaro… adesso ci si aspetta che tiri fuori le carte di Riina, che sveli i segreti. A parte il fatto che è malato, con una limitata aspettativa di vita, credo pure che vorrà morire come capomafia, è difficilissimo che dica qualcosa. In ogni caso, sarebbe comunque una mezza verità, una verità parziale, soprattutto riguardo alle stragi. Una verità completa potrebbe venire soltanto se decidessero di parlare dall’interno delle istituzioni. Comunque, io non credo che lui parlerà.

 

Qual è la lettura che possiamo fare della cosiddetta guerra di mafia che si consuma tra il 1981 e il 1983?

È stato piuttosto un assedio dei corleonesi nei confronti dei palermitani – afferma Umberto Santino – e ha origine dalla richiesta dell’espulsione, che chiamano “posare”, di Badalamenti e dalle uccisioni di Salvatore Inzerillo e Stefano Bontade. La verità è che i Corleonesi, riguardo al traffico internazionale di droga, non godevano della sponda americana. Loro erano i parenti poveri, mentre Badalamenti e gli altri ricoprivano un ruolo apicale in questo business. Il ricorso alla violenza, con l’eliminazione fisica da parte dei Corleonesi degli uomini legati a Badalamenti, deriva dal fatto che non c’era una spartizione equa dei profitti derivanti dalla droga e questo perché Bontade, Inzerillo e Badalamenti, invece, avevano l’appoggio americano per il trafficoc he aveva come mercato di consumo dell’eroina gli Stati Uniti. Le fasi della produzione: dalla materia prima, la morfina base, passando dalla raffinazione sino al prodotto finito, era soprattutto nella mani di Badalamenti, che aveva installato le raffinerie attorno all’aeroporto nel territorio di Cinisi, dove esercitava la signoria territoriale. Dall’aeroporto partivano le partite di eroina che venivano commercializzate negli Stati Uniti attraverso le pizzerie. In pratica, grazie agli americani, coprivano la filiera che va dalle grandi partite di droga fino alla polverizzazione degli spacciatori. A quel punto, mancando loro questa dimensione internazionale, i Corleonesi scatenano la guerra sia all’interno di Cosa Nostra sia contro lo Stato per conquistare una posizione egemonica, ovviamente suscitando effetti boomerang. Per capirci, se non fossero stati uccisi Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, oggi non esisterebbe la legge Antimafia. Senza questi delitti e stragi, non ci sarebbe stato il carcere duro, come anche l’ergastolo ostativo.

Mafia E Sistema Relazionale

Si dice (e può corrispondere a verità) che c’era un conflitto permanente tra Riina e Provenzano.

Questo lo si può evincere anche da comportamenti privati molto diversi. Provenzano – aggiunge il presidente del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” – i propri figli li ha tenuti da parte: Francesco Paolo ha studiato e si è laureato, aveva ottenuto una borsa di studio in Germania ma gliel’hanno tolta, secondo me sbagliando del tutto; quelli di Riina, invece, sono un tutt’uno con il tessuto mafioso. Si dice che c’era anche un conflitto tra Riina e Provenzano riguardo ai delitti istituzionali, ma Provenzano ha finito con l’avallare la linea di Riina, che è stata una linea suicida, frutto di una sorta di onnipotenza criminale. Come dicevamo prima, senza i grandi delitti e le stragi non ci sarebbe stata la reazione dello Stato.

Quando parliamo di figli e beni viene in mente Giuseppe Cimarosa, figlio di Lorenzo, condannato per mafia e collaboratore di giustizia. Nel suo caso, lo Stato rischia di fare ciò che non ha fatto la mafia perché il maneggio dove lavora e vive gli potrebbe venire confiscato perché fa parte dei beni del padre che ha collaborato danneggiando non poco Messina Denaro. Giuseppe ha sempre avuto Peppino Impastato come riferimento per la sua vita. A Peppino è intestato il centro studi, creato e presieduto da Umberto Santino. Un grande lavoro portato avanti insieme alla moglie, compagna di tante battaglie, Anna Puglisi, figura significativa della società civile palermitana.

Quello che io ho fatto per Peppino Impastato lo facevano Girolamo Li Causi, chefarà della lotta alla criminalità organizzata il tratto distintivo del suo impegno politico e istituzionale, e altri sindacalisti, denunciando con nomi e cognomi. Solo che tutto veniva fermato in istruttoria. Per Peppino, l’11 maggio del 1978, ho tenuto ho tenuto il comizio di chiusura della campagna elettorale che doveva fare lui, dicendo chi era e cosa faceva Badalamenti e che era il mandante dell’assassinio. Alcuni giorni dopo io e Anna avremmo appreso che la madre rompeva con la parentela mafiosa e ci siamo resi conto conto che Peppino era un caso unico nella storia della lotta alla mafia: figlio di un mafioso e nipote del capomafia Cesare Manzella che aveva cominciato a combattere la mafia a partire dalla sua famiglia. Per quanto riguarda il rapporto con le istituzioni, rispetto alla morte di Peppino Impastato, abbiamo per fortuna incontrato il giudice Rocco Chinnici e qualche altro magistrato, con quasi tutto il Palazzo di Giustizia che sosteneva la tesi dell’attentato e con i Carabinieri fino a oggi propensi per la tesi del suicidio. Con oltre venti anni di ritardo, per l’impegno dei familiari, di alcuni compagni di di Peppino e del Centro che gli fu intitolato, abbiamo ottenuto la condanna di Badalamenti, ma restava fuori dal processo il comportamento dei carabinieri e della magistratura. A quel tempo non esisteva il reato di depistaggio, quindi ci siamo rivolti alla Commissione parlamentare antimafia per una inchiesta sul ruolo di rappresentanti delle forze dell’ordine e della magistratura e abbiamo ottenuto un risultato storico: la relazione afferma che il procuratore capo facente funzione, cioè la più alta autorità del palazzo di giustizia, Gaetano Martorana, e Antonio Subranni, che allora era maggiore e poi sarebbe diventato generale, hanno depistato le indagini e coperto i mafiosi. Abbiamo vinto sul piano giudiziario, anche se con un enorme ritardo riguardo al piano politico, ma dal punto di vista mediatico, con il film “I Cento Passi” non c’è stata partita perché ha raggiunto milioni di persone. Numeri per noi inarrivabili. Va ricordato che non è stato la pellicola ad aprire il processo, come hanno sostenuto, perché nel 2000, anno del film, i processi erano già avviati. Il comitato, infatti, si costituisce nel ‘98 e nel 2000 è pronta la relazione dell’Antimafia

In una recente intervista, il giornalista le chiede: “C’è una borghesia che sta in silenzio di fronte al malaffare?”, alludendo a una borghesia che sarebbe vittima e intimorita. Invece, lei chiarisce che “qui c’è gran parte della borghesia che trova da un lato una convergenza economica con la mafia e, dall’altro, ne condivide la cultura, la mentalità. Una borghesia della quale fa parte anche la politica che chiede voti in cambio di favori. Un comportamento attivo, altro che silenzio”. Qui c’è una coabitazione di interessi, nel turismo, nei servizi.

Le mostro uno schema che rappresenta Cosa nostra al centro di un blocco sociale transclassista che va dagli strati sociali più bassi a quelli più alti: l’upperworld, la cosiddetta “borghesia mafiosa”, di cui parlo dai primi anni ’70 del secolo scorso. Il rapporto è organico. Prova ne sono gli investimenti nell’eolico dove ci sono funzionari e consulenti competenti che non vengono da Cosa Nostra, ma sono esponenti della borghesia, professionisti, imprenditori in grado di realizzare la produzione di energie rinnovabili. Non è un problema di vicinanza, quanto di vera convergenza tra la borghesia legale e la borghesia mafiosa che spesso ha il ruolo di finanziamento e di esecuzione del progetto. Come dicevo, i rapporti con l’Europa per i fondi europei chi li crea? Sicuramente personaggi che hanno competenze e ruoli adeguati. Loro non ci arriverebbero mai.


Victor Matteucci. C’è una specie di linea di confine, una zona grigia di collaborazione attiva, in particolare nel settore dei servizi, nel turismo, nella distribuzione, per esempio nei centri commerciali e in tutti quegli ambiti in cui il lavaggio del denaro sembra più facile. La mafia dispone di un capitale liquido che magari gran parte della borghesia imprenditoriale non ha. In numerosi casi, molti borghesi professionisti, commercialisti, avvocati che hanno una attività magari limitata trovano nei rapporti con la mafia possibilità di avere accessi a nuovi redditi. Soprattutto perché assumono il ruolo di mediatori tra enti locali e imprese mafiose o tra aziende legali ed esponenti mafiosi.


Umberto Santino. I rapporti possono essere di vario tipo, però in larga parte sono organici con un ruolo di progettazione di attività intestato a soggetti di borghesia mafiosa. Per esempio, Provenzano aveva un ruolo fondamentale nella sanità e non avrebbe potuto senza i medici imprenditori. Un esempio? “Villa Santa Teresa” di Bagheria, in cui l’intervento della prostata costava tantissimo e i soldi li trovava l’allora presidente della Regione Siciliana, Salvatore Cuffaro. Provenzano, al quale faceva capo una serie di imprese per le forniture, credo che neppure capisse di che cosa si trattava.

Tornando al tema della borghesia mafiosa…

Umberto Santino.La borghesia mafiosa non è una novità degli ultimi anni, I “facinorosi della classe media” che si arricchiscono e comandano esercitando “l’industria della violenza” di cui parlava Leopoldo Franchetti nell’inchiesta privata sulla Sicilia, condotta assieme a Sidney Sonnino nel 1876, era già borghesia mafiosa. E lo è la borghesia dominante in Sicilia dagli anni ’50 del secolo scorso, di cui parlava l’economista e politico Mario Mineo. Sono queste le basi della mia analisi, che cerca di coniugare aspetti tradizionali e aspetti innovativi, che possono essere reciprocamente funzionali. Ho fatto prima l’esempio di Cinisi, dove la signoria territoriale, tradizionalmente esercitata attraverso l’estorsione, era funzionale al traffico di droga. Negli ultimi anni alcuni studiosi hanno individuato nell’estorsione l’attività costitutiva del fenomeno mafioso, considerato come “industria della protezione privata. In realtà l’estorsione rappresenta la dimensione statuale. Abitualmente è un’imposta nel senso che “mi devi pagare per riconoscere la mia statualità”, a volte si presenta come una tassa cioè un “do ut des”, in pratica si paga il prezzo della protezione. Recentemente è emersa una realtà che porta a scoprire che pagano anche un mafioso familiare. Per esempio, allo Sperone, ci sono casi in cui pagano il mafioso che hanno in famiglia perché in cambio porta a casa l’eroina da mettere nelle bustine. Pure i bambini vengono coinvolti, l’economia reale è questa. Si potrebbe dire: nel sistema illegale, contrariamente all’economia capitalistica legale, l’assunzione del singolo lavoratore sarebbe sostituita dall’assunzione di tutta la famiglia, un retaggio dell’economia patriarcale rurale.

Cosa ci dicono queste storie, Santino?

Quando si parla di mafia spesso ci si riferisce alla mafia urbano-imprenditoriale, alla mafia finanziaria, considerate come novità che cancellano il passato. La storia della mafia invece coniuga tradizione e innovazione. Come ho giù detto e ribadito, il passato e il presente convivono. L’estorsione è documentata a Palermo al mercato della Vucciria fin dal XVI secolo e c’è ancora, colme lo zoccolo duro identitario, e convive con gli aspetti moderni, dalla droga al riciclaggio del denaro sporco attraverso le più spericolate innovazioni finanziarie, dagli hedge fund al cyber crime. E anche sul piano politico c’è una continuità, la convergenza con partiti e istituzioni, anche se mutano le forme e il quadro geopolitico .

Victor Matteucci. In una visione di Stato/Antistato, in cui l’Antistato si configura come vero e proprio Stato nello Stato, potremmo considerare, l’estorsione come una sorta di prelievo fiscale,

Umberto Santino. È un prelievo fiscale a tutti gli effetti, ma l‘Antistato lo inserisco tra gli stereotipi perché in realtà con c’è contrapposizione ma contiguità. Soprattutto per la mafia siciliana, storicamente, il rapporto con le istituzioni è costitutivo. Si può parlare di antistato come contrapposizione formale allo stato democratico, ma con quello che si può definire lo Stato reale, riguardo alla Costituzione materiale, il rapporto è di funzionalità reciproca; si tratta di una collusione storica. La prova è che in Sicilia c’è stato un movimento contadino tra i più forti d’Europa che non si poteva contenere soltanto con la repressione istituzionale. Occorreva l’uso della “violenza altra”, esterna allo Stato, poi legittimata con l’impunità.

Victor Matteucci. Azzarderei a dire che l’atto fondativo dello Stato non è il 2 giugno 1946, ma il Primo Maggio del 1947 cioè Portella della Ginestra, prova della correità tra mafia e Stato contro i contadini…

Umberto Santino. Portella della Ginestra arriva dopo gli assassinii di tanti sindacalisti. Si può dire che emblematicamente, per l’eclatanza del fatto, rappresenta il culmine della violenza mafiosa che, parlando del secondo dopoguerra, poiché qui in Sicilia la guerra finisce nel ‘43, comincia già nel 44. Non corrisponde a verità che ci sia stato un apporto della mafia sul piano militare nello sbarco degli Alleati. Lo sbarco in Sicilia è secondo per numero di personale impiegato e quantità di armamenti soltanto allo sbarco in Normandia, quindi qualcosa di enorme. I mafiosi a quel tempo erano quasi tutti al confino o in carcere e quelli che erano liberi e disponibili erano poche centinaia. Invece è stato fondamentale il rapporto dei mafiosi nel dopo-sbarco, nel controllo sociale perché una volta che si ristabilisce già prima della Costituzione il telaio delle rappresentanze, cioè i partiti, i sindacati, ricominciano le lotte. Nel ’44 c’è al potere il governo di unità antifascista, nell’ottobre dello stesso anno il ministro dell’Agricoltura, il comunista Fausto Gullo, emana decreti, tra cui quello delle terre incolte da assegnare alle cooperative contadine e l’altro sulla divisione dei prodotti al 60 per cento ai coltivatori e al 40 per cento ai proprietari , che suscitano le lotte contadine. Ed è quella l’unica volta che le lotte contadine hanno avuto la sponda istituzionale. E’ lì che si scatena la violenza mafiosa che ha il punto più alto nella strage di Portella del primo maggio del ’47, dieci giorni dopo la vittoria delle sinistre raccolte nel Blocco del Popolo alle elezioni regionali del 20 aprile. Si teme che si stia rovesciando il sistema dei rapporti. Il 47 è fondamentale perché cade il governo di unità antifascista, con l’espulsione delle sinistre e la nascita del potere democristiano. Con gli accordi di Yalta il mondo è diviso in due, tra Stati Uniti e Unione Sovietica e l’Italia fa parte della semisfera sotto l’influenza americana e il Partito comunista e quello socialista non possono restare nell’area governativa perche si considerano legati all’Unione Sovietica. La prima attività del Centro siciliano di documentazione è stato il convegno nazionale “Portella della Ginestra: una strage per il centrismo”. Nasce da Portella quella che ho definito la “democrazia bloccata”.

Victor Matteucci. Facendo un salto in avanti, seguendo sempre il ragionamento di Umberto Santino rispetto a una compartecipazione attiva della borghesia, si potrebbe affermare che i sistemi clientelari del Mezzogiorno, quelli organizzati nella prima Repubblica, fino al 1994 per intenderci, che erano strutturati con mediatori politici tra Stato e Regioni come Lima in Sicilia, Gaspari in Abruzzo, Gava in Campania, e una serie di professionisti che mediavano tra enti locali e imprese private, siano una sorta di incubatori mafiosi, sistemi finalizzati a drenare risorse pubbliche da un lato e consenso politico dall’altro.

Umberto Santino. Non solo il modello è lo stesso per ripartizione di attività e territori e per modello organizzativo ma alcune volte i sistemi coincidevano anche con le persone. In ogni caso è un contesto quello della corruzione che è il corridoio in cui si incontrano Stato è mafia. Adesso è voce comune, ne parlano magistrati come Scarpinato, che ci sia una mafia mercatista: la mafia ormai è manageriale, quindi basta con le coppole. Poi non c’è più la Cosa Nostra e il rappresentante di questo passaggio sarebbe proprio Matteo Messina Denaro. Oggi c’è la Cosa Nuova, che significa impresa, finanza. Lo dicevo nel mio testo “La mafia finanziaria” del 1986 quando imperversava la teoria della mafia imprenditrice, ma ripeto: “il nuovo non cancella il passato”.

Di che cosa parliamo quando ci riferiamo alla Cosa Nuova?

Umberto Santino. Sarebbe questo sistema economico a livello internazionale dominato soprattutto da società finanziarie più che imprenditoriali. C’è questa realtà primitiva a livello locale di controllo del territorio che convive con aspetti più moderni e che, però, si tende a sottovalutare. Poi c’è la questione dell’uso della violenza e qui ritengo che si debba stare attenti perché non è necessario che ammazzino materialmente. Già solo il fatto che taluni personaggi siano in grado di farlo è sufficiente a costituire un’intimidazione di fatto.

Victor Matteucci. In tutto questo ricordiamo che, secondo l’Istat, il Pil italiano è partecipato dal capitale delle criminalità. Compaiono, infatti, voci sul traffico di droga e la prostituzione. Si parla di oltre il 13%, ma credo che sia una stima per difetto. Ci dobbiamo chiedere se lo Stato italiano possa permettersi di farne a meno.

Umberto Santino. Questo conteggio andrebbe fatto a livello europeo internazionale per avere una dimensione verosimile del capitale non osservato circolante. Anche l’economia illegale utilizza la logica di mercato. Segue l’andamento della domanda e dell’offerta. Il fatto è che la maggior parte delle attività criminali è attività di servizio. Per inciso, anche la droga è un servizio perché molti pensano che porti un beneficio fisico. Lo smaltimento dei rifiuti tossici pericolosi, per esempio, la criminalità organizzata lo offre a un prezzo fortemente concorrenziale rispetto ai costi che avremmo con quello legale. Tutto rientra in una logica del libero mercato.

Victor Matteucci. Anche l’usura. Chi non è bancabile utilizza i circuiti illegali per avere prestiti, un servizio anche quello. Se vogliamo parlare in termini di organizzazione equivalente allo stato legale che si organizza con servizi bancari, servizi di protezione, assicurazione, addirittura welfare perché paga i parenti di chi sta in carcere. I prestiti usurai sono tipici di uno Stato strutturato. Senza dimenticare l’aumento diffuso della precarietà che stiamo vivendo in questo periodo con contratti a termine, job act, lavoro schiavistico che alimenta forme di emarginazione e di esclusione sociale.

Cosa fare, dunque?

Umberto Santino. Paradossalmente saremmo nella condizione migliore per agire adesso perché ci sono alcune migliaia di straricchi che posseggono quanto miliardi di persone. Tenuto conto della quantità e numerosità degli emarginati, ci troveremmo nella situazione migliore per un rovesciamento. Gli emarginati, però, non hanno una rappresentanza, la lotta di classe adesso la fanno i padroni perché hanno il potere di emarginare, di ampliare, di approfondire le diseguaglianze e concentrare sempre di più la ricchezza.

Victor Matteucci. Anche perché storicamente il Pc, la sinistra istituzionale, i sindacati hanno sempre tutelato la società integrata e, appunto, garantita.

Umberto Santino. Il sindacato è nato dove c’erano le grandi concentrazioni operaie che era possibile organizzare perché già di per sé avevano uno spazio di unificazione nella stessa fabbrica. Quello attuale è la conseguenza del periodo post-fordista quando cominciano lo sgretolamento, l’atomizzazione del lavoro ed entra in crisi la stessa idea di sindacato. Adesso il sindacato si occupa anche del mondo dei driver, ma con grande difficoltà perché non è facile organizzare un mondo che già di per sé è precario e atomizzato. Per esempio, i call center a un certo punto se ne vanno in India, laddove il costo del lavoro è minore. C’è poco da fare. A Palermo abbiamo Biagio Conte, che è stato considerato l’ammortizzatore sociale per gli ultimi, mentre don Pino Puglisi veniva usato come ammortizzatore del mondo giovanile. Con le istituzioni che non svolgono il loro compito.

Victor Matteucci. Vorrei fare una domanda a Umberto Santino e chiedergli da siciliano quanta responsabilità attribuisce agli aristocratici meridionali, alla classe borghese, ai proprietari terrieri di derivazione latifondista rispetto a quello che è successo dopo. Ritiene che la deriva della borghesia meridionale di provenienza familistico rurale abbia contribuito e facilitato lo sviluppo della criminalità organizzata?

Umberto Santino. Le responsabilità non riguardano soltanto le classi dirigenti meridionali, ma anche le classi dirigenti nel loro complesso. È convenuto per esempio che il rapporto venisse fatto con quelli che Franchetti che chiamava i facinorosi della classe media perché questi assicuravano il controllo sociale. Tutto si teneva all’interno di una violenza che in parte era istituzionale con il brigantaggio e i grandi fenomeni di divergenza nei confronti dello Stato, mentre un’altra parte veniva appaltata a organizzazioni che assicuravano il lavoro sporco con la legittimazione attraverso l’impunità. La responsabilità è di tutte le classi dirigenti, non solo quelle siciliane. Certo quelle meridionali siciliane hanno avuto un ruolo fondamentale nell’accettare il fatto che si tollerasse, anzi che si promuovesse questa violenza privata.

Victor Matteucci. Ora, considerando l’attuale contesto di globalizzazione che sta producendo una massa di estranei, di esclusi, questa condizione andrebbe analizzata attentamente per i rischi di disagio e devianza che essa determina. D’altra parte, se è vero che proprio l’esclusione è all’origine della criminalità organizzata, questa potrebbe anche dar luogo alla nascita di un’organizzazione politica antagonista. In ogni caso, la mancata integrazione di masse rilevanti di individui rappresenta un rischio per la tenuta istituzionale.

Umberto Santino. Si dovrebbe fare qualcosa in termini di integrazione, rappresentanza e tutela, ma nulla. Lo stesso sindacato riesce a farlo sino a un certo punto. A livello partitico, politico, non si riesce a operare. Gli unici che si sono posti il problema, a loro modo, sono stati quelli del Movimento 5 Stelle con il reddito di cittadinanza. Quel poco di sinistra legata a queste forme di lotta alla povertà di tipo assistenziale, che in qualche modo serve per sopravvivere, è merito loro.

Victor Matteucci. Quindi si pone il problema dell’integrazione di queste masse di esclusi?

Umberto Santino. Si pone un problema che, però, non riusciamo a risolvere per costruire un’economia a misura d’uomo. Usare il patrimonio finanziario che c’è per eliminare le povertà e incrementare il lavoro. Per esempio, mettere in sicurezza il territorio significherebbe una grande mole di lavoro per un secolo soprattutto in una realtà come quella italiana. Adesso vogliono fare il ponte e c’è la lievitazione delle spese militari, perché “dobbiamo difendere “la democrazia” dall’attacco che arriva da Mosca. Censuravano pure Papa Francesco quando diceva “ Ma la Nato abbaiava”. Putin è un criminale, ma si è fatto di tutto per escludere la Russia dal quadro internazionale, mentre Volodymyr Zelensky viene invitato al Festival di Sanremo perché è diventato il rappresentante della democrazia in pericolo, pur essendo un piccolo dittatore che ha eliminato qualsiasi forma di opposizione. La situazione è senza uscita. Bisognerebbe spendere in base un progetto che elimina o attenui le disuguaglianze, invece si fa di tutto per incrementarle.

VITA 23.1.2023