I “pizzini” e la “posta” conservata, come è stato arrestato Messina Denaro

 

Emerge sempre più chiaramente il percorso investigativo e le indagini che hanno portato, lo scorso 16 gennaio, all’arresto di Matteo Messina Denaro.

Arresto dopo arresto, seppur con le indagini ancora in corso per cercare i fiancheggiatori di Messina Denaro e per dissipare le nebbie in cui si cela la “borghesia mafiosa” e la sua individuazione, vengono comunicati dettagli e tracce investigative il cui riserbo è stato criticato ma oggi ci rendiamo conto che, proprio questo riserbo, ha permesso di non mettere in allarme nessuno dei sodali che, dal 16 gennaio a oggi, sono stati arrestati.

Indagini su Matteo Messina Denaro, determinanti i “pizzini”

Ancora una volta i cosiddetti “pizzini” sono stati determinanti. I sequestri eseguiti dalla polizia giudiziaria dal 16 gennaio a oggi, hanno permesso di entrare in possesso di una copiosa documentazione, la cui parte più preziosa, e foriera di rilevanti sviluppi investigativi, è sicuramente costituita proprio dai “pizzini”, redatti da, e per, il latitante. Ma l’attività era in corso da tempo.

Negli anni più recenti, poi, con riferimento a Matteo Messina Denaro, sono state acquisite le missive relative a tre diversi filoni di comunicazione. Il primo quello attivato con Bernardo Provenzano, i cui “pizzini” sono stati sequestrati 1’11 aprile 2006 in occasione della cattura; poi quello con Antonio Vaccarino, i cui “pizzini” sono stati acquisti attraverso l’ex SISDE; inoltre, quello con Salvatore Lo Piccolo i cui “pizzini” sono stati sequestrati il 5 novembre 2007, in occasione del suo arresto.

Si è trattato di bigliettini arrotolati, sigillati con il nastro adesivo, spesso veicolati e avvolti in piccoli pacchetti, in cui si fa ricorso a nomi in codice per indicare i mittenti, i destinatari e i terzi oggetto della trattazione epistolare, e che vengono consegnati brevi manu da una catena, più o meno lunga, di soggetti di comprovata fiducia, definiti dallo stesso Messina Denaro, nei suoi scritti, ‘tramiti’. Una regola ferrea è quella che, dopo averlo ricevuto e letto, il “pizzino” deve essere distrutto.

Tuttavia, se tale ferrea regola non è stata comprensibilmente osservata da Matteo Messina Denaro avendo lui la necessità di dialogare in termini più brevi e con minori precauzioni con i suoi familiari, e talvolta di conservare la “posta”, soprattutto quella in uscita, come promemoria delle innumerevoli faccende che gli venivano sottoposte, al contempo sono emersi preziosissimi elementi probatori da cui potere documentare con certezza il ruolo di tramite e di fedele esecutrice degli ordini del latitante svolto da “Rosetta” nel corso di diversi anni, eredità ricevuta dalla sorella, Anna Patrizia, arrestata nel 2013 e condannata, in appello, a 14 anni. Tra l’altro, il ruolo di custode preziosa dei segreti del latitante emergeva già nelle indagini svolte per giungere alla localizzazione di Matteo Messina Denaro e alla successiva cattura.

Il pizzino traditore

La sorella Rosalia, invece, ha colpevolmente evitato di distruggere alcuni dei “pizzini” ricevuti dal fratello, o comunque ne ha trascritto il contenuto su appunti manoscritti e nascosti nella sua abitazione in Castelvetrano e nella sua casa di campagna a Contrada Strasatti di Campobello di Mazara. È il caso del pizzino in cui, si legge nell’Informativa del R.O.S. del 9 febbraio 2023, vengono dettagliatamente illustrate tutte le acquisizioni investigative relative alla patologia di cui era, ed è, affetto Matteo Messina Denaro, agli interventi chirurgici subìti e da ultimo alla prenotazione, decisiva per il suo arresto, alla clinica “La Maddalena” di Palermo il 16 gennaio scorso.

La svolta investigative è giunta da attività tecnica svolta dal R.O.S., che, in occasione di un accesso riservato per installare microspie e telecamere all’interno dell’abitazione di Castelvetrano di Rosalia Messina Denaro, si è imbattuta in un appunto posto all’interno di una gamba cava di una sedia di alluminio, dove gli ufficiali di polizia giudiziaria e i tecnici stavano provando a posizionare una microspia autoalimentata.

La scoperta della patologia di Matteo Messina Denaro

Lo scritto, recante annotazioni confuse e in quel momento poco intellegibili, è stato precauzionalmente fotografato dagli operatori e lasciato occultato esattamente nel luogo in cui si trovava al fine di non pregiudicare le future attività di ascolto delle intercettazioni e non mettere in allarme “Rosetta”. Si trattava di un vero e proprio diario clinico di un soggetto, che, escludendo tutti i familiari per i quali le investigazioni in corso non davano evidenza di patologie oncologiche, non poteva che essere il fratello Matteo.

Proprio partendo dalle indicazioni sulla patologia sufficientemente precise e dalle date in cui l’ammalato aveva subìto più interventi chirurgici, la polizia giudiziaria, attraverso accertamenti prima al Ministero della Salute e poi su banche dati sanitarie nazionali, tutti analiticamente illustrati nella informativa citata, è giunta agevolmente all’identificazione del maschio adulto di età prossima a quella del latitante che si era sottoposto a detti interventi, cioè apparentemente Andrea Bonafede, poi identificato.

Le microspie e il blitz

I successivi accertamenti hanno dimostrato con certezza che il paziente oncologico non corrispondeva alla persona fisica censita, per cui i successivi step sanitari, ricostruiti attraverso la consultazione riservata della cartella sanitaria digitale, conducevano proprio alla visita prenotata alla clinica “La Maddalena” il 16 gennaio 2023. E quindi all’intervento con il quale Messina Denaro è stato definitivamente localizzato, identificato sotto le false generalità di Andrea Bonafede e finalmente tratto in arresto.

Che “Rosetta” non si sia resa conto del ritrovamento dell’appunto si evidenzia nel fatto che è stato nuovamente trovato durante la perquisizione all’interno della sua abitazione svoltasi il giorno dell’arresto del latitante. Ed è stato trovato esattamente nella stessa intercapedine, la gamba cava della sedia di alluminio, dove la polizia giudiziaria il 6 dicembre precedente aveva provato a installare una microspia autoalimentata, nello stesso posto dove era stato visto e fotografato quel giorno.

Un sottile filo, ben dipanato dai Carabinieri del R.O.S. e da coloro che li hanno coordinati, che ha portato al termine la latitanza di Matteo Messina Denaro e ad aprire, finalmente, la delicata indagine destinata a portare in carcere tutti suoi fiancheggiatori, anche quei “colletti bianchi” che, fino al 16 gennaio, hanno goduto dei benefici dispensati dal boss.

 

 

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