Chiusa con un’assoluzione piena la sua persecuzione mediatico-giudiziaria che imputava a lui e ai suoi colleghi del Ros una trattativa Stato mafia che, nei fatti, non c’è mai stata, ora l’ex-generale dei carabinieri, Mario Mori, intervistato da Nicola Porro a ‘Quarta Repubblica‘, chiede di sollevare finalmente il sipario, con una Commissione parlamentare d’inchiesta ad hoc, su una questione, quella del dossier mafia e appalti, su cui, da decenni, grava uno strano mistero.
Una vicenda che investe la Procura di Palermo e che riporta alla memoria il disappunto di Paolo Borsellino per un’archiviazione inaspettata che taluni giudicano frettolosa.
“La politica italiana crei una Commissione parlamentare di inchiesta sull’inchiesta ‘mafia e appalti‘ per andare a fondo. Perché, se come ha detto la sentenza del processo Borsellino quater, l’inchiesta mafia e appalti è la causa della strage, mi sembra doveroso per i morti e i vivi che si trovi la verità”.
Ma cosa è il dossier ‘mafia e appalti’? Nel 1989 la Procura di Palermo da una delega ai Ros dei Carabinieri con l’intento di accertare “la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”. Appalti che sarebbero stati gestiti da mafia, imprenditori e politica.
Con quella delega in mano Mori, con l’allora giovane capitano Giuseppe De Donno, tra il 1990 e l’inizio del 1991, lavorò per mesi per mettere a fuoco i rapporti e le relazioni che c’erano all’interno di un gruppo di potere fatto da imprenditori, politici e mafiosi che decidevano gli appalti e si spartivano i proventi.
Il 20 febbraio del 1991 l’allora tenente colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, ufficiali del Ros dei Carabinieri, consegnano alla Procura di Palermo, nelle mani di Giovanni Falcone, l’informativa che racconta, per la prima volta, tutti i rapporti tra Cosa nostra e il mondo degli affari.
Per i pubblici ministeri della Procura di Palermo non c’erano elementi sufficienti per procedere penalmente contro alcuni personaggi dell’imprenditoria nazionale, e così nel luglio del 1992 chiesero l’archiviazione.
Per i Ros, invece, quel rapporto sarebbe stato “scientificamente insabbiato per salvare un sistema di corruzione” che altrimenti avrebbe anticipato la stagione giudiziaria milanese di Tangentopoli.
Il 14 luglio del 1992 si tenne in Procura a Palermo un briefing dei magistrati. E, in quella occasione, Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta ‘Mafia e appalti’.
Ma, dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei magistrati presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione.
Borsellino in altre parole, in quella occasione, in pratica, si fece portavoce delle lamentele dei Ros.
E questo proprio mentre, il giorno prima, i pm titolari di quell’indagine avanzarono già richiesta di archiviazione proprio sulle posizioni degli imprenditori.
Ma i titolari di quell’inchiesta, Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato (oggi senatore Cinque Stelle) sentiti come testimoni al processo sul depistaggio Borsellino hanno escluso che mai Borsellino fece quei rilievi durante la riunione.
Anche il magistrato Nico Gozzo, oggi alla Procura nazionale antimafia, sentito dal Csm, parlò dei rilievi che Borsellino fece sul dossier mafia-appalti, aggiungendo altri elementi importanti.
Di recente la Procura di Caltanissetta ha aperto un nuovo fascicolo per fare luce su quel dossier che venne archiviato nell’estate del 1992, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, come ha detto l’avvocato della famiglia del giudice, Fabio Trizzino al processo depistaggio “mentre stavano ancora chiudendo la bara di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi“.
Parole pesanti che fanno intuire gli interessi enormi su quella vicenda.
Mori affronta anche la questione della sua persecuzione giudiziaria per una trattativa che non c’è mai stata.
“Molti giornalisti ci hanno costruito delle carriere, non solo magistrati. Dei giornalisti hanno vissuto e vivono con le veline delle procure”, accusa il generale Mario Mori commentando le parole di Fiammetta Borsellino che, intervistata dopo la sentenza del processo trattativa dall’Adnkronos, disse: “C’è chi ha costruite delle carriere, sul nulla. Su processi che poi si sono dimostrati dei fallimenti. Ne faccio una questione deontologica”.
“E’ un messaggio brutto da dare alla società – aveva aggiunto Fiammetta Borsellino – che alla fine si costruiscono carriere su processi che vengono pubblicizzati prima della fine del processo”.
SECOLO D’ITALIA 9.5.2023 Roberto Fulli
Mori: “Istituire Commissione su dossier ‘mafia e appalti'”
“La politica italiana crei una Commissione parlamentare di inchiesta sull’inchiesta ‘mafia e appalti’ per andare a fondo. Perché, se come ha detto la sentenza del processo Borsellino quater, l’inchiesta mafia e appalti è la causa della strage, mi sembra doveroso per i morti e i vivi che si trovi la verità”. Lo ha detto, ieri sera, intervistato da Nicola Porro a ‘Quarta Repubblica’, il generale Mario Mori dopo la sentenza sul processo trattativa. Ma cosa è il dossier ‘mafia e appalti’? Tutto nasce da una delega conferita nel 1989 dalla Procura di Palermo ai Ros dei Carabinieri che aveva come obiettivo principale quello di accertare “la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”. Dunque, per la prima volta, si metteva nero su bianco che c’erano dei “condizionamenti” di Cosa nostra negli appalti pubblici. Un triangolo formato da mafia, imprenditori e politica.
“Dal contesto della presente informativa” si evidenzia “una trama occulta, sostanziata da intrecci, relazioni ed intese, volta al fine di prevaricare norme e regole e, allo stesso tempo, di giungere all’accaparramento del denaro pubblico con un’avidità mai esausta e comune sia ai malfattori mafiosi che agli imprenditori a loro collegati i quali poi, tramite i primi, finiscono per esercitare anch’essi e con gusto il potere mafioso”. Eccola, nero su bianco, l’informativa sul dossier mafia e appalti. Quella informativa era l’inizio dell’indagine. C’era un gruppo di potere fatto da imprenditori, politici e mafiosi che decidevano gli appalti e si spartivano i proventi”. Su quella indagine Mori, con l’allora giovane capitano Giuseppe De Donno, tra il 1990 e l’inizio del 1991, lavorò per mesi. E’ il 20 febbraio del 1991 quando l’allora tenente colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, ufficiali del Ros dei Carabinieri, consegnano alla Procura di Palermo, nelle mani di Giovanni Falcone, l’informativa che racconta, per la prima volta, tutti i rapporti tra Cosa nostra e il mondo degli affari.
Per i pubblici ministeri della procura di Palermo non c’erano elementi sufficienti per procedere penalmente contro alcuni personaggi dell’imprenditoria nazionale, e così nel luglio del 1992 chiesero l’archiviazione. Per i Ros quel rapporto sarebbe stato “scientificamente insabbiato per salvare un sistema di corruzione” che altrimenti avrebbe anticipato la stagione giudiziaria milanese di Tangentopoli.
Il 14 luglio del 1992 si tenne in Procura a Palermo un briefing dei magistrati, e in quella occasione Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta ‘Mafia e appalti’. Dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei magistrati presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione.
Borsellino, in altre parole, in quella occasione, si fece portavoce delle lamentele dei Ros. Proprio mentre il giorno prima i pm titolari di quell’indagine avanzarono già richiesta di archiviazione proprio sulle posizioni degli imprenditori. Ma i titolari di quell’inchiesta, Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, sentiti come testimoni al processo sul depistaggio Borsellino hanno detto che mai Borsellino fece quei rilievi durante la riunione.
Anche il magistrato Nico Gozzo, oggi alla Procura nazionale antimafia, sentito dal Csm, parlò dei rilievi che Borsellino fece su mafia-appalti, aggiungendo altri elementi importanti.
Di recente la procura di Caltanissetta ha aperto un fascicolo per fare luce su quel dossier che venne archiviato nell’estate del 1992, dopo le stragi di Capaci e Borsellino, come ha detto l’avvocato della famiglia del giudice Fabio Trizzino al processo depistaggio “mentre stavano ancora chiudendo la bara di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi”. ADNKRONOS 9.5.2023
Stato-mafia, Borsellino e appalti. Mori a tutto campo: voglio che si crei commissione inchiesta
“Adesso mi devo riqualificare e devo pensare, per gli anni che mi restano, a come fare. Ho passato più di quarant’anni della mia vita a fare l’ufficiale a servizio permanente effettivo. Per venti anni ho fatto l’imputato indagato in servizio permanente. Non dico che è stata una passeggiata, anzi qualche volta mi sono innervosito, però posso dire che l’ho affrontata bene perché vedevo la luce in fondo al tunnel. Ero innocente e lo avrei dimostrato”. Queste le prime parole nella lunga intervista realizzata ieri sera da Nicola Porro a ‘Quarta Repubblica’ al generale Mario Mori – dopo che la Cassazione ha confermato la sua assoluzione nel processo sulla trattativa Stato-Mafia. Nicola Porro: Lei ha combattuto con Dalla chiesa il terrorismo. Erano anni duri e avete dovuto fare una vera e propria battaglia. Poi tre processi, uno dietro l’altro. Tre accuse, una dietro l’altra. Com’è possibile che il terrorismo, che aveva rapporti con un pezzo dei Servizi, con un pezzo dello Stato, non l’hanno coinvolta né lei né il Generale Dalla Chiesa. Quanto invece alla mafia. Si era fatto delle domande, si è dato delle risposte?
Mario Mori: “La risposta è semplice e difficile. Nel terrorismo è stato un rapporto più stretto tra magistratura e polizia perché era un gruppo di iniziati. Veramente era qualche cosa di nuovo, di difficile da comprendere e quindi eravamo tutti investigatori in pratica. Qualsiasi cosa si faceva, ci si scambiava prima le opinioni e poi si lavorava e quindi non c’è mai stato motivo con la procura di Torino, con quella di Milano, con Firenze e poi con Napoli. È andato tutto bene. Per la mafia io pensavo che fosse la stessa cosa, ma nel frattempo era cambiato il Codice di procedura penale. E alcuni di noi, me compreso, eravamo nati col vecchio Codice di procedura. Poi c’era la convinzione – supponenza forse da parte nostra – che tutti conoscessero il nostro metodo e il che non era vero”. Porro: ‘La prima accusa è che il covo di Riina non è stato da lei perquisito. È stato assolto. Perché lei e Ultimo – il famoso capitano – non perquisite il luogo in cui Riina andava a dormire?’. Il generale spiega: “Non le rispondo con le mie parole, le rispondo con la parola della sentenza che mi manda assolto insieme a Sergio De Caprio. E dice che in quella circostanza la proposta venne dai carabinieri dei Ros e fu accettata dalla Procura che corse il rischio di perdere eventualmente quello che c’era dentro”.
Insomma era stato fatto un accordo di non perquisire l’abitazione. ‘Qual è il motivo investigativo?’ Mario Mori chiarisce: “Perché noi, oltre ad aver catturato Riina, conoscevamo l’autista che quotidianamente portava in giro Ninetta Bagarella, la moglie di Riina. Conoscevamo i due imprenditori mafiosi, i Sansone, che avevano dato la casa a Riina e che erano sotto osservazione. Quindi noi volevamo continuare l’azione, come si faceva per il terrorismo: se c’erano 10 persone che noi avevamo individuato come brigatisti rossi, ne arrestavamo al massimo 8 perché 2 ci servivano per continuare l’indagine sulle Brigate Rosse”. Il termine ‘trattativa’ con l’ex sindaco, mafioso, di Palermo fu utilizzato proprio da Mori. Lo stesso generale rispondendo a Nicola Porro ha spiegato: “Lo dico a Firenze alla Corte d’Assise. Siccome conosco l’italiano – perché ho fatto anche il classico quindi lo conosco l’italiano – trattativa sta per contatto, accordo, intesa, rapporto. Si possono usare mille termini. Perché ho usato trattativa? Perché è una trattativa tra me e Ciancimino lui era la parte in difficoltà, aveva un processo in atto, stava per essere riarrestato. Io ero la parte forte perché praticamente contavo su questo per convincerlo a collaborare. È stata una trattativa. Perché quando il magistrato convince il mafioso a collaborare non è una trattativa?”.
Porro chiede: ‘Il magistrato può, il carabiniere no’. Mario Mori risponde: “Io posso perché ero un ufficiale di polizia giudiziaria e il 203 del codice di procedura penale mi consentiva di fare una trattativa”. Ma lei lo dice a qualcuno che stava iniziando a fare questo piccolo accordo? Mori: “No, non lo dico perché nell’agosto del `92 quando cominciammo io non mi fidavo del procuratore della Repubblica di Palermo, il dottor Pietro Giammanco. Non mi fidavo e l’ho dimostrato”. E perché non si fidava? Mario Mori ribatte: “Marzo `92: Borsellino torna a Palermo e viene nominata a giugno. 23 maggio `92: muore Giovanni Falcone con la moglie e tre uomini di scorta. Passiamo al 19 giugno 1992: due ufficiali dei Ros si presentano a casa di Borsellino e gli dicono che nel circuito carcerario stanno pensando a ucciderlo”.
Nicola Porro: Lo dite a Borsellino? Due dei suoi uomini? Mario Mori: “C’è anche scritto. Il 25 giugno Borsellino chiede di parlarmi riservatamente, fuori dal tribunale. Mi dice: “Ci vediamo alla caserma Carini di Palermo”. E mi chiede di riprendere mafia appalti, che lui già conosceva. 13 luglio: il dottor Scarpinato e il dottor Lo Forte chiedono l’archiviazione di mafia appalti. 14 luglio: riunione della Dda di Palermo.
Borsellino chiede come sta andando l’inchiesta mafia appalti e nessuno gli dice che la stavano archiviando. 16 luglio: Borsellino si incontra a Roma con Lo Forte, Natoli e l’onorevole Carlo Vizzini e parla diffusamente di mafia appalti. Tant’è che Vizzini depone in tribunale e racconta questo. 19 luglio: alle 07:30 del mattino, lo dice la signora Agnese Borsellino, Giammanco telefona a Borsellino e gli dice che gli ha conferito finalmente – perché fino ad allora non lo aveva data – la delega per operare anche in provincia di Palermo. Pomeriggio del 19 salta in aria Paolo Borsellino con 5 uomini della scorta. 22 luglio: il dottor Giammanco inoltra la richiesta di archiviazione di mafia appalti che viene archiviata il 14 agosto”.
Tre giorni dopo la morte di Borsellino archiviano l’inchiesta che Borsellino e Falcone volevano tenere in piedi. Mario Mori: “Allora, secondo lei, io mi potevo fidare del dottor Giammanco? No. Siccome sapevo che stava per andare via e sarebbe venuto Gian Carlo Caselli ho aspettato il 15 gennaio del `93. Fortuna volle che quel giorno arrestiamo Totò Riina”. Nicola Porro: Quindi lei pensava che ci fosse un pezzo della magistratura che in realtà aveva dei rapporti con la mafia? Mario Mori: “Che comunque mi ostacolava in maniera pesante. E quindi io non ero disposto a mettere a disposizione le mie acquisizioni in quel momento”. Nicola Porro: Senta, un’altra cosa che le chiedo. Si è chiesto per quale motivo dopo l’arresto di Riina che è un’operazione straordinaria evidentemente perché avviene dopo le stragi iniziano tutti dalla procura di Palermo queste attività di indagini nei suoi confronti, poi dopo parleremo anche dei giornali. Ma perché la procura di Palermo indaga su di lei, è legittimo indagare. Mario Mori: ‘Certo, perché secondo alcuni magistrati questa operazione, quella di non aver perquisito subito e non aver informato. Noi eravamo convinti che dopo la cattura, noi l’avevamo spiegato cosa volevamo fare. Volevamo aspettare qualche giorno per iniziare a pedinare. Questo probabilmente è stato valutato male e in maniera diversa da quella che era la nostra posizione per la Procura’.
Mario Mori più avanti nell’intervista concessa a Nicola Porro spiega: ‘No, il modo di operare del Ros era un modo particolare, che prevedeva una certa libertà di azione che però doveva essere concordata di volta in volta. Noi non volevamo l’assoluta possibilità di fare quello che volevamo però quando avevamo definito un quadro investigativo, nell’ambito di quel quadro investigativo volevamo dire la nostra parola e questo a Palermo non andava”. Nicola Porro: Ma c’è stato qualche terrorista che ha beccato e non ha arrestato? Mario Mori: ‘Certamente sì. Io comandavo l’anti terrorismo di Roma. Nel 1980 iniziammo un’operazione contro la colonna romana delle Brigate rosse, arrestiamo una quindicina di persone tra cui anche coloro che avevano detenuto Moro nella prigione ma ne lasciammo fuori 5 ma parlando con il consigliere strutture perché dobbiamo continuare a seguire le Br se no questi continuano ad ammazzare e il consigliere Gallucci disse capitano può essere che domani ammazzano lei o ammazzano me, andiamo avanti. Dopo due anni ne abbiamo arrestati altri 15, è sparita la colonna romana.’
Mori poi aggiunge: ‘Il nucleo Dalla Chiesa e poi il Ros che ha operato in Sicilia operava in uno stato indubbio di emergenza. Se con le Brigate Rosse lo Stato ha tremato, nel 1992 lo Stato italiano era in ginocchio per colpa di Cosa Nostra o mi sbaglio?’. Nicola Porro: L’avete sconfitta la mafia oggi? Mario Mori: ‘La mafia in Italia è sconfitta, la cultura mafiosa no’. Nicola Porro: Il suo rapporto con Falcone e Borsellino qualcuno lo ha messo in dubbio, anche nei Ros, mi sbaglio o anche lì c’è stato un tentativo di dire che non eravate sempre d’accordo? Mario Mori: “Io conoscevo molto bene Giovanni Falcone, ci davamo del tu, mia moglie conosceva sua moglie e quindi era un ottimo rapporto datato. Borsellino l’ho conosciuto quando Borsellino, tornando da Marsala, è giunto a Palermo, quindi pochi mesi. Erano due personaggi certamente superiori alla media degli altri magistrati con cui era possibilissimo lavorare. Borsellino, io penso ancora più di Falcone, è entrato nel meccanismo di Mafia Appalti, tanto è vero che non lo dico io ma lo conferma il dottor Di Pietro che racconta di contatti tra Paolo Borsellino e Di Pietro perché volevano unire le indagini di Mafia Appalti di Palermo con quella di Mani Pulite a Milano.
Nicola Porro: C’è qualcosa che ha sbagliato e di cui si pente in questi anni dopo che è stato una vittima di vent’anni di persecuzione giudiziaria? Mario Mori: “Di errori se ne fanno tanti. Sicuramente abbiamo sbagliato soprattutto anche caratterialmente: io sono un brutto carattere quando qualcuno mi contrasta e sono convinto di avere ragione perdo la calma e a volte offendo anche”. Nicola Porro: Il suo obiettivo oggi qual è? L’ultima volta mi ha detto che doveva vivere fino alle sue assoluzioni: non mi dica che ora è finita la sua vita. Mario Mori: “Io voglio una cosa, voglio che la politica italiana crei una commissione parlamentare sul problema di Mafia Appalti perché se, come ha detto Borsellino Quater Mafia Appalti è la causa di morte di Paolo Borsellino mi sembra doveroso per i morti – per Falcone, per Borsellino, per tutti gli altri morti – e per i vivi – in particolare per la famiglia Borsellino – che si trovi la verità su questa storia.
Nicola Porro: Ma li abbiamo trovati tutti i colpevoli… Mario Mori: “Quale? L’esecutore materiale? Ma poi ci sono anche i mandanti in ogni vicenda giudiziaria”. Nicola Porro: Lei crede quindi a quel famoso terzo livello di cui si è parlato tantissimo? Mario Mori: “Io voglio che per esempio tutti i magistrati distrettuali di Palermo ancora vivi – e sono ancora quasi tutti vivi – che il 14 luglio omisero di dire a Borsellino che stavano archiviando Mafia Appalti vengano a dire perché è successo questo fatto qua, perché Caltanissetta ha tenuto per venti anni la documentazione di questi interrogatori che fece il CSM dal 29 luglio in poi e il mio avvocato per due volte ha avuto rifiutato la consultazione della pratica. Solo nel 2020 l’avvocato ha ottenuto da Caltanissetta la possibilità di controllare il fascicolo e ha depositato questi atti nell’appello della Trattativa”. Nicola Porro: Ha anche fatto il capo dei Servizi Segreti. Le è piaciuto di più la sua vita lavorativa sul campo per cercare terroristi e mafiosi o la sua vita nei Servizi Segreti? Mario Mori: “Certamente quella con Dalla Chiesa e poi al Ros”. Nicola Porro: I Ros oggi sono diversi da quelli che c’erano un tempo? Mario Mori: “Non molto perché hanno operato con la cattura di Messina Denaro con la stessa tecnica che usavamo noi”. Nicola Porro: Ci hanno messo un po` più di anni rispetto a Riina però… Mario Mori: “Angelosanto era un mio capitano del Ros quindi…’. IL FOGLIETTONE
Mario Mori/ “Trattativa Stato-mafia, sapevo che avrei avuto ragione”
Mario Mori senza filtri a Quarta Repubblica. La Cassazione ha confermato la sua assoluzione nel processo sulla trattativa Stato-mafia, ora l’ex generale Ros dei carabinieri ha spiegato di essere sempre stato certo della sua innocenza: “Adesso mi devo riqualificare e devo pensare, per gli anni che mi restano, a come fare. Ho passato più di quarant’anni della mia vita a fare l’ufficiale a servizio permanente effettivo. Per venti anni ho fatto l’imputato indagato in servizio permanente. Non dico che è stata una passeggiata, anzi qualche volta mi sono innervosito, però posso dire che l’ho affrontata bene perché vedevo la luce in fondo al tunnel”.
A proposito della presunta trattativa Stato-mafia, Porro ha ricordato una sua frase in un processo precedente. “Io sono andato a parlare con il sindaco di Palermo, mafioso, e con lui inizio una trattativa”, le parole del generale Mario Mario citate dal conduttore di Quarta Repubblica. Netto l’intervistato: “Lo dico a Firenze alla Corte d’Assise. Siccome conosco l’italiano – perché ho fatto anche il classico quindi lo conosco l’italiano – trattativa sta per contatto, accordo, intesa, rapporto. Si possono usare mille termini. Perché ho usato trattativa? Perché è una trattativa tra me e Ciancimino lui era la parte in difficoltà, aveva un processo in atto, stava per essere riarrestato. Io ero la parte forte perché praticamente contavo su questo per convincerlo a collaborare. È stata una trattativa. Perché quando il magistrato convince il mafioso a collaborare non è una trattativa. Il magistrato può, il carabiniere no? Io posso perché ero un ufficiale di polizia giudiziaria e il 203 del codice di procedura penale mi consentiva di fare una trattativa”.
Mario Mori a Quarta Repubblica
Mario Mori ha poi ricordato di non aver detto a nessuno di questo piccolo accordo e il motivo è semplice: “No, non lo dico perché nell’agosto del ‘92 quando cominciammo io non mi fidavo del procuratore della Repubblica di Palermo, il dottor Pietro Giammanco. Non mi fidavo e l’ho dimostrato”. La fiducia aveva delle basi chiare: “Marzo ‘92: Borsellino torna a Palermo e viene nominata a giugno. 23 maggio ’92: muore Giovanni Falcone con la moglie e tre uomini di scorta. Passiamo al 19 giugno 1992: due ufficiali dei Ros si presentano a casa di Borsellino e gli dicono che nel circuito carcerario stanno pensando a ucciderlo”. Mario Mori ha ripercorso la vicenda in maniera dettagliata: “C’è anche scritto. Il 25 giugno Borsellino chiede di parlarmi riservatamente, fuori dal tribunale. Mi dice: “Ci vediamo alla caserma Carini di Palermo”. E mi chiede di riprendere mafia appalti, che lui già conosceva. 13 luglio: il dottor Scarpinato e il dottor Lo Forte chiedono l’archiviazione di mafia appalti. 14 luglio: riunione della Dda di Palermo. Borsellino chiede come sta andando l’inchiesta mafia appalti e nessuno gli dice che la stavano archiviando. 16 luglio: Borsellino si incontra a Roma con Lo Forte, Natoli e l’onorevole Carlo Vizzini e parla diffusamente di mafia appalti. Tant’è che Vizzini depone in tribunale e racconta questo. 19 luglio: alle 07:30 del mattino, lo dice la signora Agnese Borsellino, Giammanco telefona a Borsellino e gli dice che gli ha conferito finalmente – perché fino ad allora non lo aveva data – la delega per operare anche in provincia di Palermo. Pomeriggio del 19 salta in aria Paolo Borsellino con 5 uomini della scorta. 22 luglio: il dottor Giammanco inoltra la richiesta di archiviazione di mafia appalti che viene archiviata il 14 agosto”. Mario Mori ha dunque preferito restare in silenzio e aspettare l’arrivo del sostituto di Giammanco, ovvero Gian Carlo Caselli. Non sono mancate le stoccate, a partire da chi “ha costruito la carriera sul processo sulla trattativa Stato-mafia”, citando “pubblici ministeri e giornalisti”.
Il Rapporto “Mafia&Appalti” e l’eliminazione del dottor Paolo Borsellino