Il generale Mori chiede una Commissione d’inchiesta sul dossier mafia e appalti nascosto a Borsellino

Chiusa con un’assoluzione piena la sua persecuzione mediatico-giudiziaria che imputava a lui e ai suoi colleghi del Ros una trattativa Stato mafia che, nei fatti, non c’è mai stata, ora l’ex-generale dei carabinieri, Mario Mori, intervistato da Nicola Porro a ‘Quarta Repubblica‘, chiede di sollevare finalmente il sipario, con una Commissione parlamentare d’inchiesta ad hoc, su una questione, quella del dossier mafia e appalti, su cui, da decenni, grava uno strano mistero.

Una vicenda che investe la Procura di Palermo e che riporta alla memoria il disappunto di Paolo Borsellino per un’archiviazione inaspettata che taluni giudicano frettolosa.

“La politica italiana crei una Commissione parlamentare di inchiesta sull’inchiesta ‘mafia e appalti‘ per andare a fondo. Perché, se come ha detto la sentenza del processo Borsellino quater, l’inchiesta mafia e appalti è la causa della strage, mi sembra doveroso per i morti e i vivi che si trovi la verità”.

Ma cosa è il dossier ‘mafia e appalti’? Nel 1989 la Procura di Palermo da una delega ai Ros dei Carabinieri con l’intento di accertare “la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”. Appalti che sarebbero stati gestiti da mafia, imprenditori e politica.

Con quella delega in mano Mori, con l’allora giovane capitano Giuseppe De Donno, tra il 1990 e l’inizio del 1991, lavorò per mesi per mettere a fuoco i rapporti e le relazioni che c’erano all’interno di un gruppo di potere fatto da imprenditori, politici e mafiosi che decidevano gli appalti e si spartivano i proventi.

Il 20 febbraio del 1991 l’allora tenente colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, ufficiali del Ros dei Carabinieri, consegnano alla Procura di Palermo, nelle mani di Giovanni Falcone, l’informativa che racconta, per la prima volta, tutti i rapporti tra Cosa nostra e il mondo degli affari.

Per i pubblici ministeri della Procura di Palermo non c’erano elementi sufficienti per procedere penalmente contro alcuni personaggi dell’imprenditoria nazionale, e così nel luglio del 1992 chiesero l’archiviazione.

Per i Ros, invece, quel rapporto sarebbe stato “scientificamente insabbiato per salvare un sistema di corruzione” che altrimenti avrebbe anticipato la stagione giudiziaria milanese di Tangentopoli.

Il 14 luglio del 1992 si tenne in Procura a Palermo un briefing dei magistrati. E, in quella occasione, Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta ‘Mafia e appalti’.

Ma, dalle successive dichiarazioni al Csm da parte dei magistrati presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione.

Borsellino in altre parole, in quella occasione, in pratica, si fece portavoce delle lamentele dei Ros.

E questo proprio mentre, il giorno prima, i pm titolari di quell’indagine avanzarono già richiesta di archiviazione proprio sulle posizioni degli imprenditori.

Ma i titolari di quell’inchiesta, Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato (oggi senatore Cinque Stelle) sentiti come testimoni al processo sul depistaggio Borsellino hanno escluso che mai Borsellino fece quei rilievi durante la riunione.

Anche il magistrato Nico Gozzo, oggi alla Procura nazionale antimafia, sentito dal Csm, parlò dei rilievi che Borsellino fece sul dossier mafia-appalti, aggiungendo altri elementi importanti.
Di recente la Procura di Caltanissetta ha aperto un nuovo fascicolo per fare luce su quel dossier che venne archiviato nell’estate del 1992, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, come ha detto l’avvocato della famiglia del giudice, Fabio Trizzino al processo depistaggio “mentre stavano ancora chiudendo la bara di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi“.

Parole pesanti che fanno intuire gli  interessi enormi su quella vicenda.

Mori affronta anche la questione della sua persecuzione giudiziaria per una trattativa che non c’è mai stata.

“Molti giornalisti ci hanno costruito delle carriere, non solo magistrati. Dei giornalisti hanno vissuto e vivono con le veline delle procure”, accusa il generale Mario Mori commentando le parole di Fiammetta Borsellino che, intervistata dopo la sentenza del processo trattativa dall’Adnkronos, disse: “C’è chi ha costruite delle carriere, sul nulla. Su processi che poi si sono dimostrati dei fallimenti. Ne faccio una questione deontologica”.

“E’ un messaggio brutto da dare alla società – aveva aggiunto Fiammetta Borsellino – che alla fine si costruiscono carriere su processi che vengono pubblicizzati prima della fine del processo”.

SECOLO D’ITALIA 9.5.2023 Roberto Fulli

 

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