CAPACI – Il cunicolo della strage

 

 

IMMAGINI


Tra aprile e maggio, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi (rispettivamente capi dei “mandamenti” di San Lorenzo, della Noce e di Porta Nuova) compirono alcuni sopralluoghi presso l’autostrada A29, nella zona di Capaci, per individuare un luogo adatto per la realizzazione dell’attentato e per gli appostamenti.
Nello stesso periodo avvennero riunioni organizzative nei pressi di Altofonte (a cui parteciparono Giovanni Brusca, Antonino Gioè, Gioacchino La Barbera, Pietro Rampulla, Santino Di Matteo, Leoluca Bagarella), in cui avvenne il travaso in 13 bidoncini di 200 kg di esplosivo da cava procurati da Giuseppe Agrigento (mafioso di San Cipirello). I bidoncini vennero poi portati nella villetta di Antonino Troìa (sottocapo della Famiglia di Capaci), dove avvenne un’altra riunione (a cui parteciparono anche Raffaele Ganci, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino e Salvatore Biondo), nel corso della quale avvenne il travaso dell’altra parte di esplosivo (tritolo e T4) procurata da Biondino e da Giuseppe Graviano (capo della Famiglia di Brancaccio)

Negli stessi giorni Brusca, La Barbera, Di Matteo, Ferrante, Troìa, Biondino e Rampulla provarono varie volte il funzionamento dei congegni elettrici che erano stati procurati da Rampulla stesso e dovevano servire per l’esplosione. Effettuarono varie prove di velocità, e collocarono sul tratto autostradale antecedente il punto dell’esplosione un frigorifero e dei segni di vernice rossa, che al passaggio del corteo servivano a segnalare il momento in cui azionare il radiocomando, per compensare il ritardo di millisecondi che l’impulso avrebbe impiegato per attivare il detonatore. Tagliarono inoltre i rami degli alberi che impedivano la visuale dell’autostrada. La sera dell’8 maggio Brusca, La Barbera, Gioè, Troia e Rampulla provvidero a sistemare con uno skateboard i tredici bidoncini (caricati in tutto con circa 400 kg di miscela esplosiva) nel cunicolo di drenaggio sotto l’autostrada, nel tratto dello svincolo di Capaci, mentre nelle vicinanze Bagarella, Biondo, Biondino e Battaglia svolgevano le funzioni di sentinelle.

 

 
 
 
 

Il primo lavoro era quello di riuscire a entrare nel cunicolo e vedere com’era fatto.
Io ero un po stanco per tutto ciò che avevo fatto poco prima. Nel momento in cui provai a infilarmi nel cunicolo sentii un po d’affanno, mi mancò l’aria. E pensai: <>. La stessa cosa accadde a La Barbera. Nel frattempo arrivò Gioè, più riposato, più fresco. E disse: <>. Entrò al buio, tranquillo. Si infilò nel cunicolo e gridò: <>.
Ci eravamo procurati uno skateboard, quello che usano i ragazzini per giocare. Pensavamo di metterci i fustini sopra e di trasportarli in posizione orizzontale.
All’inizio, abbiamo fatto una vita da cani. Prima entravamo con le mani davanti e i piedi che restavano fuori, spingendo i fustini uno a uno. Dentro il cunicolo c’era un tubo da un pollice che usavamo come guida e che ci consentì di individuare il punto esatto dove collocare l’ultimo fustino a metà dell’autostrada. Entravamo a turno, io, Gioè, La Barbera.
Bagarella e Battaglia, in quella fase, ci coprivano le spalle. Mentre noi lavoravamo, loro, armati, si guardavano intorno. Tant’è vero che arrivò una pattuglia dei carabinieri, ma erano due poveretti che forse erano andati a fare pipì. Scesero, si fermarono, fecero quello che dovevano fare e se ne andarono senza vederci perché in quella zona ci sono alberi e cespugli e noi ci eravamo nascosti in tempo. Hanno rischiato di essere uccisi, e l’attentato sarebbe saltato. Continuammo il nostro lavoro.
Avevamo piazzato solo tre fustini e con difficoltà enormi. Con le mani in avanti e la faccia a terra. Per non lasciare impronte, calzavamo guanti da muratore, quelli di cuoio. Fu a questo punto che mi venne un’idea. Dissi a Gioè:<<Perché non ci mettiamo con la pancia sopra lo skateboard? Mettiamoci al contrario: con i piedi all’interno e spingiamo i fustini con i piedi, con la testa verso l’uscita. Tanto il primo fustino che ci fa da segnale c’è già. Ci leghiamo una corda al torace. Basta strattonarla e tu capisci che è il momento di tirarmi fuori>>. E così abbiamo fatto. Appena arrivavamo in fondo, ci fermavamo e quello che era fuori tirava senza fare fatica e ci faceva uscire.
Con i primi tre fustini avevamo impiegato un tempo infinito e con sforzi non indifferenti. Con gli altri, in un’oretta e mezzo, ci eravamo sbrigati. Infatti avevamo già posizionato il fustino più grosso con il detonatore dentro. Per evitare di rompere il filo del detonatore lo passammo sotto il tubo, in modo che non venisse danneggiato. Il filo attraversava i fusti, dal detonatore all’uscita.
Infine sistemammo altri fusti. Il cunicolo non lo chiudemmo.
Mettemmo solo un po di erbacce. Non l’abbiamo murato perché avremmo suscitato sospetti. Poi c’era Troia che, abitando a Capaci, poteva controllarlo giornalmente. Fra l’altro, l’ultimo tratto del cunicolo era libero e quindi dall’esterno non si vedeva niente. Lì vicino c’erano dei materassi che servivano da punto di riferimento.
La collocazione dell’esplosivo avvenne a fine aprile, questa volta di notte. Il buco era già stato scelto: era perfetto, stretto, piccolino, come mi aveva detto il mio parente. Poteva avere un’efficacia come quella che poi in realtà ebbe. Avevamo le idee abbastanza chiare. Sapevamo anche che l’auto di Falcone correva sempre nella corsia dei sorpassi.
Misurammo l’autostrada, da un punto all’altro, con una corda. Dovevamo riempirne di esplosivo solo metà. Ci siamo riportati questa misura all’interno del cunicolo.
Per arrivare a metà dell’autostrada bastava contare i tubi del cunicolo che misuravano un metro ciascuno e avevano un diametro di 50 centimetri.
Nell’altra corsia non collocammo l’esplosivo: si solleverà solo per effetto dell’esplosione…
Mettevamo nel conto anche il passaggio di qualche auto.  Ma era una possibilità su mille e ci augurammo che non si affiancasse nessuno alla macchina di Falcone. La consideravamo un’ipotesi molto remota perché, di solito, le macchine di scorta fanno allontanare le altre auto. Avevamo previsto anche questo.
Quindi, fatti tutti questi conteggi, tutte le prove, sistemato il frigorifero, arriviamo ai primi di maggio.
La notte in cui completammo l’operazione eravamo io, Gioè, Bagarella, Biondino, Salvatore Biondo il <>, Ferrante, Giovanni Battaglia, Pietro Rampulla e la Barbera.
Abbiamo cominciato al tramonto. Avevamo i telefonini. Biondino e Ferrante, quando li avremmo chiamati, avrebbero dovuto portarci l’esplosivo che avevamo depositato nella villa di Troia.  (Dal libro di Saverio Lodato -HO UCCISO GIOVANNI FALCONE
(Dal libro di Saverio Lodato -HO UCCISO GIOVANNI FALCONE- La confessione di Giovanni Brusca)

CUNICOLO DI DRENAGGIO RIEMPITO DI ESPLOSIVO –  IMMAGINI


 
GIOVANNI BRUSCA Iniziammo i turni il 21 maggio di pomeriggio. Eravamo sempre gli stessi ma Bagarella non c’era più. Infatti quando finimmo di collocare l’esplosivo, lui prese la moglie e se ne andò a Mazara del Vallo. In quel periodo era latitante.
La squadra si ridusse a me, La Barbera e Gioè, del mandamento di San Giuseppe Jato; Troia e Battaglia perché avevano la disponibilità del villino di Capaci; e Biondino, che faceva da tramite fra noi e i Ganci che si trovavano a Palermo. Ci eravamo messi d’accordo su come fare. Non potevamo andare sulla montagna dieci minuti prima, all’ultimo momento.
Appena arrivava il segnale della macchina che partiva, dovevamo andare a collocare la ricevente. Avevamo preparato degli spinotti che ormai si dovevano solo collegare. Avevamo l’antenna pronta e tutto il sistema era composto da un motorino che doveva andare a fare massa con un chiodo di ferro e poi sarebbe avvenuta l’esplosione.
Avevo anche detto a Ferrante: <<Giovà, mi devi fare la cortesia che quando arrivi in aeroporto, tu devi scendere dalla macchina. Devi guardare dentro l’auto di Falcone: dobbiamo essere sicuri che dentro non c’è qualcun altro. Dovessimo fare qualche pasticcio…Quindi tu lo devi vedere, Giovà; lo devi vedere. Hai capito? Scendi dalla macchina, ti metti all’ingresso del passaggio di polizia, in aeroporto. Falcone lo devi vedere entrare in macchina, devi essere sicuro. Capito Giovà? Solo allora telefoni a La Barbera>>.
Poteva fare quello che gli dicevo perché in quel momento era libero, non era latitante. Quindi lui vide in faccia il magistrato.
(Da -HO UCCISO GIOVANNI FALCONE- di Saverio Lodato. La confessione di Giovanni Brusca.)

 
La collocazione dell’esplosivo avvenne a fine aprile, questa volta di notte. Il buco era già stato scelto: era perfetto, stretto, piccolino, come mi aveva detto il mio parente. Poteva avere un’efficacia come quella che poi in realtà ebbe. Avevamo le idee abbastanza chiare. Sapevamo anche che l’auto di Falcone correva sempre nella corsia dei sorpassi.
Misurammo l’autostrada, da un punto all’altro, con una corda. Dovevamo riempirne di esplosivo solo metà. Ci siamo riportati questa misura all’interno del cunicolo. Per arrivare a metà dell’autostrada bastava contare i tubi del cunicolo che misuravano un metro ciascuno e avevano un diametro di 50 centimetri.
Nell’altra corsia non collocammo l’esplosivo: si solleverà solo per effetto dell’esplosione…
Mettevamo nel conto anche il passaggio di qualche auto di <>. Ma era una possibilità su mille e ci augurammo che non si affiancasse nessuno alla macchina di Falcone. La consideravamo un’ipotesi molto remota perché, di solito, le macchine di scorta fanno allontanare le altre auto. Avevamo previsto anche questo.
Quindi, fatti tutti questi conteggi, tutte le prove, sistemato il frigorifero, arriviamo ai primi di maggio.
La notte in cui completammo l’operazione eravamo io, Gioè, Bagarella, Biondino, Salvatore Biondo il <>, Ferrante, Giovanni Battaglia, Pietro Rampulla e la Barbera. Abbiamo cominciato al tramonto. Avevamo i telefonini. Biondino e Ferrante, quando li avremmo chiamati, avrebbero dovuto portarci l’esplosivo che avevamo depositato nella villa di Troia.
(Dal libro di Saverio Lodato -HO UCCISO GIOVANNI FALCONE
 

GIOVANNI BRUSCA
Iniziammo i turni il 21 maggio di pomeriggio. Eravamo sempre gli stessi ma Bagarella non c’era più. Infatti quando finimmo di collocare l’esplosivo, lui prese la moglie e se ne andò a Mazara del Vallo. In quel periodo era latitante.
La squadra si ridusse a me, La Barbera e Gioè, del mandamento di San Giuseppe Jato; Troia e Battaglia perché avevano la disponibilità del villino di Capaci; e Biondino, che faceva da tramite fra noi e i Ganci che si trovavano a Palermo. Ci eravamo messi d’accordo su come fare. Non potevamo andare sulla montagna dieci minuti prima, all’ultimo momento.
Appena arrivava il segnale della macchina che partiva, dovevamo andare a collocare la ricevente. Avevamo preparato degli spinotti che ormai si dovevano solo collegare. Avevamo l’antenna pronta e tutto il sistema era composto da un motorino che doveva andare a fare massa con un chiodo di ferro e poi sarebbe avvenuta l’esplosione.
Avevo anche detto a Ferrante: <<Giovà, mi devi fare la cortesia che quando arrivi in aeroporto, tu devi scendere dalla macchina. Devi guardare dentro l’auto di Falcone: dobbiamo essere sicuri che dentro non c’è qualcun altro. Dovessimo fare qualche pasticcio…Quindi tu lo devi vedere, Giovà; lo devi vedere. Hai capito? Scendi dalla macchina, ti metti all’ingresso del passaggio di polizia, in aeroporto. Falcone lo devi vedere entrare in macchina, devi essere sicuro. Capito Giovà? Solo allora telefoni a La Barbera>>.
Poteva fare quello che gli dicevo perché in quel momento era libero, non era latitante. Quindi lui vide in faccia il magistrato.
(Da -HO UCCISO GIOVANNI FALCONE- di Saverio Lodato. La confessione di Giovanni Brusca)