Scontro fra Alfredo Morvillo e Maria Falcone sul ricordo di Capaci. “Stop agli impresentabili”, “Antimafia da passerella”

 

E, ora, le sue parole suonano anche come una critica, neanche troppo velata, a Maria Falcone, la sorella di Giovanni, che durante la campagna elettorale dell’anno scorso si scagliò contro gli impresentabili («La politica non si può permettere sponsor che non siano adamantini, Dell’Utri e Cuffaro non lo sono»), quest’anno invece ha firmato un accordo con Lagalla per realizzare un nuovo museo dell’antimafia. E non accetta critiche. Piuttosto, lancia un appello all’unità: «È il tempo di andare avanti – scrive Maria Falcone in una lettera a “Repubblica Palermo” – di perseverare nella ricerca della verità e al contempo smettere di usare l’antimafia per fare carriera, per fare passerella». E ancora: «È il tempo di non abbassare la guardia e al contempo costruire ponti tra le diverse componenti sociali, pretendere impegni da chi vuole unirsi allo sforzo del cambiamento, senza criticare a priori, magari rianimati da una certa nostrana acida propensione alla presunzione». Parole forti contro chi si «spertica in commenti dottorali», contro chi «gioca a ping pong con la memoria, le cose sono cambiate», scrive la sorella di Falcone.

Così, oggi, sarà il primo 23 maggio del centrodestra in prima fila. A Roma, la maggioranza designerà alla presidenza della commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo, la deputata di FdI contestata da molti parenti delle vittime di mafia per le ombre di antichi rapporti con personaggi della destra eversiva. A Palermo, invece, nella manifestazione ufficiale davanti all’aula bunker, parlerà anche il presidente della Regione Renato Schifani, attualmente sotto processo a Caltanissetta con l’accusa di essere stato una delle “talpe” di Antonello Montante, l’ex leader di Confindustria condannato in appello a 8 anni.

Morvillo ha già fatto sapere che non andrà all’aula bunker: sarà invece nel liceo dove studiò la sorella. Alla manifestazione col ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non andrà neanche Giuseppe Di Lello, magistrato dello storico pool antimafia di Falcone e Borsellino. Morvillo ha scritto: «Palermo abbia la coerenza di non partecipare alle commemorazioni, non lo merita la città, non meritano Falcone e Borsellino che il loro ricordo sia macchiato dalla rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia». Maria Falcone difende la sua scelta di un nuovo percorso con questo centrodestra: «Un sostegno che non è regalia, carità, clientele, bensì unità nel lavoro, adesione ad un progetto che mette al centro i giovani e la comunità, occasione per creare spazi nuovi, luoghi di vita e non simulacri di ricordi o peggio altari della memoria da imbiancare solo alla scadenza degli anniversari».


 

Duro intervento del magistrato sulle pagine di La Repubblica

 

“La premessa sulla quale sembra che siamo tutti d’accordo è che la mafia sia la principale responsabile dello stato di degrado in cui versa la Sicilia. In termini di bassi livelli di istruzione scolastica, grave disoccupazione, sfruttamento dei lavoratori in nero, arretratezza culturale, scarso o quasi nullo interesse da parte della grande imprenditoria, emigrazione di tanti validissimi giovani in altre parti d’Italia o all’estero, nonché frequenti condizionamenti illeciti di ogni aspetto della vita dell’Isola, con particolare riferimento all’attività della pubblica amministrazione, alla gestione del denaro pubblico e alle consultazioni elettorali”.


“problema di importanza primaria” che “dovrebbe venire prima di qualunque interesse di singoli cittadini o di gruppi, prima di interessi legati al raggiungimento di poltrone istituzionali del tanto agognato potere, di fronte al quale tanti perdono il lume della ragione”.

“bisogna ancora una volta sottolineare che non si può ritenere che sia soltanto un problema di repressione, ma è altresì un problema sociale, culturale, è un modo di vivere”.

Lo Stato “ha il merito di aver introdotto una legislazione antimafia certamente adeguata alla gravità del fenomeno”.
“Lo Stato con l’arresto di tutti gli uomini di Cosa nostra latitanti e con l’individuazione e condanna di tanti altri uomini d’onore’, ha certamente pagato il suo debito nei confronti di tutti quei suoi servitori che hanno pagato con la vita il proprio impegno nella lotta alla mafia”.
Ma non ci si può accontentare. Perché “il secondo imprescindibile aspetto della lotta alla mafia è quello sociale e conseguentemente politico, che coinvolge la cosiddetta società civile”.

“Attuare un comportamento eticamente disdicevole, come quello di fare accordi con la mafia, dovrebbe comportare, al di là della sanzione penale, una valutazione negativa del consesso sociale, a patto che quest’ultimo creda in quei principi etici violati”

“A Palermo aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole? Aver fatto accordi con la mafia dovrebbe significare aver tradito la propria terra, le proprie origini; chi lo ha fatto dovrebbe essere considerato un traditore. Accade tutto questo a Palermo? Aggiungeva Paolo Borsellino che, in un breve periodo di entusiasmo, conseguente ai numerosi arresti originati dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, Giovanni Falcone gli disse: ‘La gente fa il tifo per noi’.

Oggi, nel 2023, nella terra delle stragi, nella terra dove Cosa nostra ha ucciso tanti uomini delle istituzioni, tutti eccezionali servitori dello Stato, tanti comuni cittadini, persino un bambino e addirittura un sacerdote, possiamo ritenere che la gente faccia il tifo per Falcone e Borsellino, cioè per l’antimafia? Consentitemi di avere seri dubbi”.Palermo, per la sua storia che tutti conosciamo, dovrebbe essere la capitale dell’antimafia, la capitale di una vera cultura antimafiosa. Invece continua a essere, nonostante i grandi risultati raggiunti da forze dell’ordine e magistratura, la capitale del solito squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città.

Che fine ha fatto ‘la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità’? Credo che se ne sia persa la traccia. Se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”.

“La cultura mafiosa non riguarda solo la mentalità dei criminali, degli uomini di Cosa nostra, ma ha un’accezione più ampia poiché con essa si intende la negazione delle regole sociali a favore delle regole private e di gruppi, quella rete di rapporti stratificata nel tempo fatta di scambio di favori, appoggi elettorali, gestione del potere amministrativo indirizzata al perseguimento di interessi di singoli o di gruppi, a discapito degli interessi della collettività”.
Ed infine un invito: “Falcone e Borsellino appartengono soltanto a una piccola parte di Palermo, quella Palermo che porta avanti con grande impegno i loro ben noti ideali.

I nostri cari indimenticabili Giovanni e Paolo non appartengono certamente alla Palermo che convive col “puzzo del compromesso morale”, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Questa Palermo abbia la coerenza di non partecipare alle commemorazioni: non lo merita la città, non meritano Falcone e Borsellino che il loro ricordo sia macchiato dalla rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia”.


“La politica che convive con ambienti in odore di mafia non partecipi al ricordo della strage di Capaci”: la lettera del cognato di Falcone

 

Il ricordo di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino non sia macchiato dalla “rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia“. È una lettera durissima quella inviata da Alfredo Morvilloall’edizione palermitana di Repubblica, proprio alla vigilia del trentunesimo anniversario della strage di Capaci. Una lunga analisi in cui il magistrato, fratello di Francesca Morvillo e dunque cognato di Falcone, si scaglia contro una parte della città di Palermo: quella che continua a beneficiare di appoggi mafiosi. “Falcone e Borsellino – scrive Morvillo – appartengono soltanto a una piccola parte di Palermo, quella Palermo che porta avanti con grande impegno i loro ben noti ideali. I nostri cari indimenticabili Giovanni e Paolo non appartengono certamente alla Palermo che convive col ‘puzzo del compromesso morale‘, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Questa Palermo abbia la coerenza di non partecipare alle commemorazioni: non lo merita la città, non meritano Falcone e Borsellino che il loro ricordo sia macchiato dalla rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-socialecon ambienti notoriamente in odore di mafia”.

A chi si riferisce Morvillo? L’ex procuratore capo di Trapani non fa nomi ma parla di” squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città”. E spiega che “se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia.
Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Un passaggio che sembra un evidente riferimento ai recenti avvenimenti politici di Palermo e della Sicilia, con Roberto Lagalla e Renato Schifani eletti sindaco e governatore con l’appoggio fondamentale di Marcello Dell’Utri e Totò Cuffaro, rispettivamente condannati in via definitiva per concorso esterno e favoreggiamento alla mafia.

All’inizio della sua analisi Morvillo ricorda una frase di Borsellino: “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. E quindi il cognato di Falcone commenta: “Attuare un comportamento eticamente disdicevole, come quello di fare accordi con la mafia, dovrebbe comportare, al di là della sanzione penale, una valutazione negativa del consesso sociale, a patto che quest’ultimo creda in quei principi etici violati”. Poi però Morvillo si pone una domanda retorica: “A Palermo aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole? Aver fatto accordi con la mafia dovrebbe significare aver tradito la propria terra, le proprie origini; chi lo ha fatto dovrebbe essere considerato un traditore. Accade tutto questo a Palermo? Aggiungeva Paolo Borsellino che, in un breve periodo di entusiasmo, conseguente ai numerosi arresti originati dalle dichiarazioni di Buscetta, Giovanni Falcone gli disse: La gente fa il tifo per noi. Oggi, nel 2023, nella terra delle stragi, nella terra dove Cosa nostra ha ucciso tanti uomini delle istituzioni, tutti eccezionali servitori dello Stato, tanti comuni cittadini, persino un bambino e addirittura un sacerdote, possiamo ritenere che la gente faccia il tifo per Falcone e Borsellino, cioè per l’antimafia? Consentitemi di avere seri dubbi”.

Secondo il fratello di Francesca Morvillo “Palermo, per la sua storia che tutti conosciamo, dovrebbe essere la capitale dell’antimafia, la capitale di una vera cultura antimafiosa. Invece continua a essere, nonostante i grandi risultati raggiunti da forze dell’ordine e magistratura, la capitale del solito squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città. Che fine ha fatto ‘la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità’? Credo che se ne sia persa la traccia. Se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare”. Il magistrato sottolinea che “la cultura mafiosa non riguarda solo la mentalità dei criminali, degli uomini di Cosa nostra, ma ha un’accezione più ampia poiché con essa si intende la negazione delle regole sociali a favore delle regole private e di gruppi, quella rete di rapporti stratificata nel tempo fatta di scambio di favori, appoggi elettorali, gestione del potere amministrativo indirizzata al perseguimento di interessi di singoli o di gruppi, a discapito degli interessi della collettività. In questo cammino nella strada dell’antimafia i cittadini dovrebbero trovare nelle istituzioni, che essi stessi hanno voluto, una guida indiscussa e autorevole, che voglia e sappia indicare loro la direzione da seguire. Purtroppo, invece, troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia. Non c’è alcun segnale che in questa terra sia di primaria importanza liberarsi della cappa mafiosa, a qualunque costo. Dalle nostre parti l’unica cosa che conta è raggiungere il potere, a qualunque costo”.