Falcone, sfuggito per la seconda volta a un attentato, resterà a Palermo «Prima o poi la mafia mi ucciderà» L’ha detto ad alcuni amici – «La prossima volta ci proveranno con un’auto-bomba» – Le cosche non gli perdonano l’utilizzo dei pentiti Palermo. Agenti dinanzi all’ingresso della villa di Falcone
Un migliaio di persone ha partecipato a Palazzo delle Aquile ad una manifestazione di solidarietà indetta dall’amministrazione comunale al giudice Falcone e per sollecitare una più incisiva azione dello Stato contro la mafia. Erano presenti tra gli altri il presidente della commissione parlamentare antimafia Gerardo Chiaromonte e il presidente della Regione Sicilia, Nicolosi. Il sindaco Leoluca Orlando ha detto: -Ancora una volta Palermo ha registralo la sfida tracotante della mafia mentre vivevamo collettivamente un momento di analisi e di riflessione dopo la consultazione elettorale-. Il sindaco ha giudicato -inquietante la complessità ed il livello tecnico dell’attentato, inquietante anche il messaggio terroristico che da questo attentato avrebbe dovuto derivare-. (Ansa)
Salvato da un appuntamento
Ormai ne sono certo: prima o poi quelli mi ammazzeranno…’. Saranno più o meno le undici di sera: nella villetta dell’Addaura appena «bonificata» da un ordigno esplosivo, Giovanni Falcone è a cena con gli amici più intimi, quasi tutti magistrati. Lui sembra aver smaltito la tensione delle ultime ore. Ma quando qualcuno gli suggerisce di sparire per un po’ da Palermo, la reazione è violenta. No, il giudice antimafia continua a lavorare.
‘La prossima, lo so già, sarà un’auto-bomba…’, dice con tono fatalista. Sa bene che la tensione di due, tre anni fa, ormai sì è allentata, sa che la telefonata di solidarietà giuntagli l’altro pomeriggio da Francesco Cossiga non può, da sola, riempire le crepe che nel muro dell’antimafia serpeggiano sempre più profonde. Eppure il giudice rimane, continua la sua vita blindata.
Chiamatelo orgoglio, puntiglio o se preferite, senso dello Stato. Falcone comunque resta qui, e non perché sia un eroe. Semplicemente, qualsiasi altra scelta lo farebbe vergognare.
Non ha figli, delle sue decisioni deve rispondere solo a una moglie che, come lui, fa il magistrato. Ormai non c’è più dubbio: se questo odiatissimo, isolato -signore dell’antimafia’ oggi non è fatto a brandelli, il merito è soltato di un paio di coincidenze e dell’intuito di un poliziotto che fra breve riceverà un encomio solenne. Proprio cosi: giacché quella bomba era sotto la villa di Falcone da diciotto ore almeno. Dovevano ammazzarlo martedì fra le quattordici e le sedici, l’ora in cui di solito si affaccia sulle scaletta della villa all’Addaura per prendere il sole. „ Martedì 20 giugno, ore 13. Falcone è in ufficio. Nella villa in cui si è trasferito da tre settimane, restano alcuni agenti di guardia. Ed è intorno all’ora di pranzo che uno di essi nota le manovre di un «sub».
Affiora a una quarantina di metri dalla riva, sospinge un piccolo canotto giallo, approda proprio sotto la costruzione, un po’ a sinistra. Indossa la muta, porta le pinne.
Nulla di strano, considerando che a quell’ora, all’Addaura, i bagnanti si affollano sulla scogliera. Il «sub» arriva a terra, tira fuori dal canotto una borsa azzurra, si piazza sugli scogli. Resta lì circa tre quarti d’ora.
Non ha figli, delle sue decisioni deve rispondere solo a una moglie che, come lui, fa il magistrato. Ormai non c’è più dubbio: se questo odiatissimo, isolato -signore dell’antimafia’ oggi non è fatto a brandelli, il merito è soltato di un paio di coincidenze e dell’intuito di un poliziotto che fra breve riceverà un encomio solenne. Proprio cosi: giacché quella bomba era sotto la villa di Falcone da diciotto ore almeno. Dovevano ammazzarlo martedì fra le quattordici e le sedici, l’ora in cui di solito si affaccia sulle scaletta della villa all’Addaura per prendere il sole. „ Martedì 20 giugno, ore 13. Falcone è in ufficio. Nella villa in cui si è trasferito da tre settimane, restano alcuni agenti di guardia. Ed è intorno all’ora di pranzo che uno di essi nota le manovre di un «sub».
Affiora a una quarantina di metri dalla riva, sospinge un piccolo canotto giallo, approda proprio sotto la costruzione, un po’ a sinistra. Indossa la muta, porta le pinne.
Nulla di strano, considerando che a quell’ora, all’Addaura, i bagnanti si affollano sulla scogliera. Il «sub» arriva a terra, tira fuori dal canotto una borsa azzurra, si piazza sugli scogli. Resta lì circa tre quarti d’ora.
Poi si confonde fra la gente. Ore 19. Sul mare non c’è più nessuno, gli agenti di scorta alla villa sono rilassati. Falcone non c’è, è tornato e ripartito per il palazzo di giustizia.
Al pomeriggio, fra le quattordici e le sedici, di solito prende il sole sul balcone della villetta ma oggi non ha potuto farlo. A Palermo da alcuni giorni si trovano due giudici svizzeri che hanno collaborato coi palermitani in una rogatoria riguardante vecchie storie di riciclaggio. Bisogna ospitarli adeguatamente.
Al pomeriggio, fra le quattordici e le sedici, di solito prende il sole sul balcone della villetta ma oggi non ha potuto farlo. A Palermo da alcuni giorni si trovano due giudici svizzeri che hanno collaborato coi palermitani in una rogatoria riguardante vecchie storie di riciclaggio. Bisogna ospitarli adeguatamente.
Questo lo ha spinto a tornare in tribunale subito dopo pranzo. Niente sole, oggi. E niente bombe. Mercoledì, ore 7,25. Sul tetto della villa all’Addaura, gli agenti si sgranchiscono le ossa. La notte è passata, fra poco Falcone uscirà e ci sarà il caffè per tutti. Poi uno si affaccia sulla scogliera e vede un paio di pinne e una muta da sub.
Qualcuno scende fino al mare: accanto alla scala, in posizione nascosta, c’è una grande borsa azzurra. Falcone, che stava uscendo, viene sospinto a forza in casa. Ore 8,30. Mentre il giudice è già lontano, un esperto dei carabinieri scosta con precauzione i bordi della borsa azzurra. Dentro, ci sono una scatola metallica, un meccanismo con una luce intermittente ed una specie di «timer».
Tre congegni di innesco? Se uno poteva servire a far esplodere la bomba a distanza e un altro a massacrare chi l’avesse impugnata, che funzione” poteva avere il contasecondi, simile a quelli che si montano sui forni a raggi infrarossi?
La risposta arriverà alcune ore dopo da Fernando Masone, da pochi mesi nuovo questore di Palermo: «fi timer serviva solo a rendere meno pericoloso il trasporto’.
Ore 10. U «timer» viene fatto brillare con l’innesco: agli esperti della polizia scientifica, per capire di cosa si trattava, resterà solo 11 disegno fatto dall’artificiere. Ma il comando a distanza è rimasto intatto, come l’esplosivo: 58 candelotti di gelatina, quasi 20 chili, prodotti, a Brescia e acquistati da un grossista siciliano che poi li aveva rivenduti, con tanto di autorizzazione, a un’azienda che gestisce una serie di cave. ‘L’innesco è lo stesso adoperato in altri tre attentati’, dicono gli esperti: quello contro Rocco Cliinnicl, la strage di Pizzolungo e quella del treno Napoli-Milano, alla vigilia del Natale di cinque anni fa.
Ma il movente? Perché le cosche hanno deciso proprio adesso, proprio quando le grandi inchieste paiono esaurite, di attentare alla vita dell’uomo-simbolo nella lotta alla mafia?
Tre congegni di innesco? Se uno poteva servire a far esplodere la bomba a distanza e un altro a massacrare chi l’avesse impugnata, che funzione” poteva avere il contasecondi, simile a quelli che si montano sui forni a raggi infrarossi?
La risposta arriverà alcune ore dopo da Fernando Masone, da pochi mesi nuovo questore di Palermo: «fi timer serviva solo a rendere meno pericoloso il trasporto’.
Ore 10. U «timer» viene fatto brillare con l’innesco: agli esperti della polizia scientifica, per capire di cosa si trattava, resterà solo 11 disegno fatto dall’artificiere. Ma il comando a distanza è rimasto intatto, come l’esplosivo: 58 candelotti di gelatina, quasi 20 chili, prodotti, a Brescia e acquistati da un grossista siciliano che poi li aveva rivenduti, con tanto di autorizzazione, a un’azienda che gestisce una serie di cave. ‘L’innesco è lo stesso adoperato in altri tre attentati’, dicono gli esperti: quello contro Rocco Cliinnicl, la strage di Pizzolungo e quella del treno Napoli-Milano, alla vigilia del Natale di cinque anni fa.
Ma il movente? Perché le cosche hanno deciso proprio adesso, proprio quando le grandi inchieste paiono esaurite, di attentare alla vita dell’uomo-simbolo nella lotta alla mafia?
La spiegazione sembra univoca: il «caso Contorno», le notizie sull’uso che negli ultimi mesi sarebbe stato fatto dei «pentiti», su quell’infiltrarli di nuovo in un tessuto che li aveva respinti, hanno causato la condanna. A Falcone, in sostanza, Cosa Nostra non perdonerebbe di essersi servito così disinvoltamente degli «infami».
Ma se così è, le notizie che giungono da Caltanissetta non possono che alimentare nuove inquietudini. Lì, nel distretto di corte d’appello più vicino a Palermo, è da poche settimane In corso un’inchiesta su strane lettere anonime che sono state recapitate, fra gli altri, a giornalisti, leader politici, esponenti dell’antimafia. Lettere che dipingono Falcone — ma non solo lui — come l’artefice di sotterranee lotte di potere, amico in privato di potenti che pubblicamente combatte, subomatore di «pentiti». Non è ancora una certezza, ma quasi: quelle lettere anonime (che, al di là delle intenzioni di chi le ha scritte, hanno finito per coincidere con l’attentato) vengono da uno che conosce molti piccoli segreti dell’ambiente. Da uno che si trova nel Palazzo. Forse, da un magistrato di Palermo. Giuseppe Zaccaria
Messaggio di morte a Don Chisciotte
Messaggio di morte a Don Chisciotte Messaggio di morte a Don Chisciotte (Per Falcone stessa strategia del delitto Chinnici: la mafia prende di mira giudici isolati dallo Stato) L’intenzione era quella di ripetere la strage che uccise il giudice Chinnici. Modalità c tecniche analoghe, incuranza per gli estranei che sarebbero stati coinvolti, grande effetto simbolico. La scelta della vittima, il giudice Falcone, avrebbe caricato di significato l’attentato mafioso: la mafia è sempre forte, inarrestabile, vendicatrice. Il fallimento dell’attentato, dovuto alla attenzione degli uomini addetti alla sicurezza del giudice, muta di poco la gravità dell’accaduto, poiché non cambia il messaggio lanciato dalle organizzazioni mafiose. Ouando Chinnici venne ucciso l’atmosfera attorno ai magistrati che istruivano i più gravi processi di mafia era molto pesante. Chinnici, nei mesi che precedettero la sua morte, era sfiduciato e pessimista. L’indifferenza e le critiche che accompagnavano il gruppetto di giudici istruttori di Palermo che egli aveva organizzato per seguire i processi di mafia gli facevano sentire il peso dell’isolamento. E nell’isolamento era inutile l’impegno giudiziario contro la mafia. Dopo la sua morte si disse che i grandi delitti di mafia non provocano, ma certificano la sconfitta della vittima, concludendo il ciclo iniziato con la diffamazione, con l’irrisione, con la riduzione all’impotenza. E puntualmente la mafia si rifa viva e progetta la strage, dopo che Falcone e gli altri magistrati che non cessano di indagare sulle attività della mafia sono stati logorati, divisi e depotenziati. Di loro si è detto che non sanno fare il loro mestiere, che sono dei fanatici esibizionisti e che pensano alla carriera.
La struttura di lavoro che avevano creato è stata ridimensionata. Da una immagine di organizzazione e funzionalità dello Stato, si e passati a quella di isolati Don Chisciotte. Durante l’estate scorsa nel Consiglio Superiore della Magistratura si svolse una vera battaglia a favore e contro i gruppi di lavoro dei magistrati inquirenti e in particolare, poiché si trattava dell’ufficio istruzione di Palermo, dei cosiddetti pool antimafia.
La struttura di lavoro che avevano creato è stata ridimensionata. Da una immagine di organizzazione e funzionalità dello Stato, si e passati a quella di isolati Don Chisciotte. Durante l’estate scorsa nel Consiglio Superiore della Magistratura si svolse una vera battaglia a favore e contro i gruppi di lavoro dei magistrati inquirenti e in particolare, poiché si trattava dell’ufficio istruzione di Palermo, dei cosiddetti pool antimafia.
Alla fine il Csm riuscì a produrre un documento, che sembrò apprezzabile per l’equilibrio e per il deciso appoggio alle realtà organizzative che la magistratura era riuscita a darsi. Quel documento terminava con l’avvertimento che il Consiglio avrebbe vigilato affinché l’efficienza dei gruppi di lavoro non venisse diminuita. Ma quella vigilanza — se mai effettivamente esercitata — non ha dato frutti. Il clima di smobilitazione ha continuato a crescere. Che cosa sia avvenuto tra le forze di po¬ lizia è meno noto, ma è ben chiaro, dopo l’incredibile vicenda di Contorno, che non esiste il coordinamento cui dovrebbe dedicarsi l’Alto commissario Sica, secondo le direttive del ministro Gava. I vertici, le conferenze stampa e le relazioni alla Commissione parlamentare antimafia servono a poco c danno l’immagine di un attivismo parolaio, che si contrappone all’attivismo concreto della mafia. Sullo stesso piano — quello delle parole inutili — si pongono le sollecitazioni a misure di guerra, che, se non altro, sono irrealizzabili. Non si vede invece il solidale impegno di tutte le istituzioni e articolazioni dello Stato, che potrebbe innescare la necessaria mobilitazione della gente, dando una indicazione morale univoca. La lotta politica non cambia registro. Nelle consultazioni per il nuovo governo, si parla forse della lotta alla mafia? E c’è anche da chiedersi se in Sicilia, nelle recenti elezioni la ricerca dei voti e delle preferenze ha seguito il vecchio metodo e si è ancora affidata alla collaudata rete mafiosa. Se cosi fosse — mentre il sindaco Orlando viene sbeffeggiato come protagonista dell’antimafia — non ci si stupirebbe che, per gli uomini che lavorano per lo Stato, l’aria che tira sia pessima. Vladimiro Zagrebelsky
LA STAMPA 22 Giugno 1989