PAOLO BELLINI, l’ex terrorista indagato per le stragi di Capaci e di via Georgofili

Strage di Bologna, l’intercettazione di Paolo Bellini: “Ho sopportato quarant’anni di fango e infamità perché c’era di mezzo un giuramento”

 

È possibile che Paolo Bellini si trovasse in Sicilia il 23 maggio ‘92, quando Cosa Nostra fece saltare in aria un tratto dell’autostrada A29 uccidendo Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta?
I suoi rapporti con il boss Nino Gioè, con il quale condivise alcuni mesi di detenzione nel carcere di Sciacca tra l’81 e l’82, dove a sua volta Bellini era stato spostato su input dell’allora capo del Dap ed ex procuratore di Bologna Ugo Sisti, possono aver avuto un ruolo nella stagione delle stragi mafiose del ’92-’93? Bellini, che addirittura ammette di essere stato nel covo di Gioè e Giovanni Brusca, potrebbe aver suggerito a Cosa Nostra la strategia di attacco al patrimonio artistico italiano, messa in atto nella strage di via dei Georgofili a Firenze e con le bombe piazzate a Roma e Milano nel ’93. È la stessa «primula nera» a dire agli inquirenti che aveva parlato con Gioè della Torre di Pisa. Su queste piste stanno lavorando due Direzioni distrettuali antimafia, Firenze e Caltanissetta, che hanno iscritto il nome di Bellini tra i nuovi indagati per le stragi di Capaci e via dei Georgofili.
«In concorso con altri — si legge nel decreto di perquisizione a suo carico — istigava i vertici di Cosa Nostra che accoglievano l’idea criminosa, realizzando attentati diretti a colpire il patrimonio storico, artistico e monumentale del Paese».  
Ma l’accusa che gli rivolge la procura di Caltanissetta è anche di aver partecipato «quale concorrente morale all’organizzazione e all’esecuzione del delitto di strage» di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonino Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani.
Altre accuse gravissime, dopo la condanna per la strage di Bologna, che Bellini ha rigettato quando la scorsa settimana è stato sentito dai magistrati delle due procure antimafia. CORRIERE DELLA SERA


Strage di Bologna, l’intercettazione di Paolo Bellini: “Ho sopportato quarant’anni di fango e infamità perché c’era di mezzo un giuramento”

Che tipo di giuramento ha fatto Paolo Bellini? Quale promessa solenne ha impedito all’ex primula nera di difendersi da quelle che lui definisce “infamità“, che poi sarebbero le molteplici accuse per cui è stato condannato?
E a causa di questo giuramento che Bellini non ha mai raccontato i segreti di cui è probabilmente custode?
Sono domande che è impossibile non porsi dopo aver letto le intercettazioni dell’ex
estremista nero, arrestato oggi su richiesta della procura generale di Bologna.
Dopo una vita vissuta pericolosamente, nell’aprile del 2022 l’ex esponente di
Avanguardia Nazionale è stato condannato all’ergastolo in primo grado per la strage del 2 agosto 1980: 85 morti e oltre 200 feriti.
Una condanna che arriva a quarant’anni dai fatti, per i quali l’ex
primula nera era già stato prosciolto. A farlo finire nei guai è un filmato amatoriale girato da un turista svizzero, negli attimi precedenti all’esplosione: si vede un giovane coi baffi e i capelli ricci muoversi alla stazione del capoluogo emiliano. Secondo Maurizia Bonini, la sua ex moglie, quell’uomo è proprio Bellini, che all’epoca dei fatti portava un paio di baffi identici, lo stesso taglio di capelli e aveva la medesima fossetta sul viso. Un riconoscimento fondamentale quello dalle sua ex moglie, che porterà alla condanna di Bellini al carcere a vita.


Le cimici del Ros e della Dia 

 
L’ex estremista nero non la prende bene. Minaccia l’ex moglie, ma pure Francesco Maria Caruso, il presidente della corte d’Assise che lo ha condannato: promette di vendicarsi, uccidendo uno dei Bonini e colpendo il figlio del magistrato Caruso, che fa il diplomatico in Brasile, lo stesso Paese dove lui è stato latitante per anni.
Sono quelle minacce che oggi hanno fatto riaprire a Bellini le porte del carcere. Le parole dell’ex estremista nero, infatti, vengono registrate dalle microspie ambientali piazzate dalla
Dia e dal Ros. Dall’ordinanza di custodia cautelare della corte d’Assise d’Appello di Bologna si scopre che Bellini è attenzionato anche dalla procura di Firenze e da quella di Caltanissetta, gli uffici inquirenti competenti per le stragi del 1992 e 1993. Grazie al coordinamento della procura nazionale Antimafia, le note della Dia con le intercettazioni arrivano ai magistrati di Bologna. Che hanno chiesto e ottenuto l’arresto di Bellini. In quelle carte, però, non ci sono solo le minacce dell’imputato contro l’ex moglie e il giudice che lo ha condannato. No, Bellini dice anche altro.
“Sono dentro a cinquant’anni di storia d’Italia” 
È il 5 dicembre del 2022 e l’ex estremista nero sta pranzando a casa sua con la moglie e il cognato. È un fiume in piena: parla del processo subito e manifesta la sua rabbia nei confronti del giudice Caruso, che chiama “il cambogiano“, perché fa i processi come “il cambogiano Pol Pot“. Poi dice anche altro: “Io ho sopportato quarant’anni a stare zitto, tutto il fango che mi hanno buttato addosso per quarant’anni, quel gruppo specializzato. Infamità nei miei confronti e nei confronti di una classe politica particolare, va bene?”, si sfoga. Quindi spiega ai suoi familiari: “Non potevo contrastarli perché c’era di mezzo un giuramento, va bene? Ecco, adesso basta, hanno superato tutti i limiti”. Di che giuramento parla Bellini? Con chi è stato siglato? E cosa prevedeva? Secondo la Corte d’Assise d’Appello questo fantomatico “giuramento” ripropone la questione dei rapporti di Bellini con “alcune istituzioni“, che presenta tutt’ora “punti oscuri“. In questo senso i giudici evidenziano come si tratta di uno sfogo ” inquietante, dato il contesto nel quale l’imputato si è sempre mosso”. Un contesto che Bellini sembra rivendicare nel suo lungo sfogo: “Allora è tutto un sistema nei miei confronti che dura dal 1970Cinquant’anni, sono cinquant’anni di storie d’Italia dentro alle quali io sono stato dentro un pò di qua, un pò là, un pò di su, un pò giù, hanno usato delle cose, degli atti di processi dove sono stato archiviato e li hanno riesumati e li han fatti diventare come se fossero veri, non parlando e non dicendo che quelli erano atti già archiviati”. Quando dice di avere avuto un ruolo in cinquant’anni di storia italiana Bellini ha ragione. Nato a Reggio Emilia nel 1953, ha vissuto una vita da film. Esordisce come militante dell’estrema destra in Avanguardia nazionale, poi diventa pilota di aerei e trafficante di opere d’arte con la falsa identità di Roberto da Silva, quindi si trasforma in killer della ‘ndrangheta ma pure in un collaboratore di giustizia quando si autoaccusa dell’omicidio di Alceste Campanile, un militante di estrema sinistra assassinato nel 1975: il delitto rimarrà insoluto fino al 1999 quando Bellini confessa. Nel suo curriculum anche l’esperienza di testimone al processo sulla cosiddetta
Trattativa tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra: viene chiamato a raccontare i suoi rapporti con Nino Gioè, boss poi morto suicida in carcere in circostanze misteriose. Ma racconta pure l’esperienza da infiltrato dei carabinieri nelle cosche con l’obiettivo di recuperare opere d’arte rubate. Episodi opachi e mai chiariti che oggi hanno fatto finire Bellini sotto inchiesta anche per le stragi di Capaci, di Firenze, Roma e Milano.


Le intercettazioni sui servizi

 
Nelle intercettazioni ambientali più volte Bellini appare furente per la condanna subita a Bologna. Se la prende col giudice che l’ha condannato, con l’ex moglie che l’ha riconosciuto, con l’avvocato di parte civile. Ma pure con soggetti imprecisati. Lo fa, per esempio, la mattina del 27 dicembre. La Dia annota che Bellini sembra parlare da solo, rivolgendosi a un fantomatico interlocutore: “Questi stanno a spigne (spingere, ndr). Adesso non dico niente io e se mettermi latitante un’altra volta … mah, a me non interessa ma dove eravate prima ? Quando la Procura Generale si muoveva, faceva … Oh si, s’é mossa bene ! Come no, si son comportati bene perbacco! Allora come si fa a mandarlo e come si fa a mandarlo”. L’ex primula nera si riferisce evidentemente al momento in cui la procura generale di Bologna ha avocato l’inchiesta sui mandanti della strage: ma a chi si rivolge quando dice “dove eravate prima“?
Chi è che doveva intervenire? Un altro
passaggio oscuro viene captato quando Bellini legge le motivazioni della sua condanna, depositate il 5 aprile del 2023. Si sta soffermando sul passaggio relativo ai suoi rapporti con l’intelligence: “Sono emersi nel processo elementi di prova diretta o anche soltanto indiziaria capaci di evidenziare l’esistenza di una relazione stretta ed anche reiterata nel tempo di Paolo Bellini con servizi segreti“. Le microspie registrano l’imputato mentre commenta: “Io coi servizi non c’ho mai avuto a che fare… e non ci voglio avere a che fare“. Gli inquirenti sottolineano che Bellini usa il presente: “Non ci voglio (adesso) avere a che fare”. A mettere in fila i legami tra l’imputato e l’intelligence sono proprio le motivazioni di quella sentenza. I giudici della corte d’Assise di Bologna ricordano “le coperture del Sid“, il vecchio servizio informazioni della Difesa, che aveva “protetto Bellini dopo l’omicidio di Alceste Campanile“.
Ma i giudici ricordano anche che l’imputato fu protetto durante la latitanza, nel 1976, quando viveva con “una falsa identità – quella del fantomatico pilota brasiliano
Roberto Da Silva – ma riusciva a ottenere permessi e licenze amministrative in modo rapido e senza reali controlli”. D’altra parte, c’è scritto sempre nella sentenza, il padre di Bellini, Aldo, aveva rapporti strettissimi col senatore del Msi Franco Mariani e con Ugo Sisti, procuratore di Bologna: “Soggetti entrambi aventi relazioni privilegiate con i servizi di sicurezza”, annotano i giudici.
La corte ricorda anche i contatti tra i carabinieri e Bellini, che “con apparente
disinvoltura esemplicità, a presentarsi come mediatore tra le istituzioni e la mafia siciliana, recandosi nel covo di Nino Gioè e di Giovanni Brusca ed arrivando persino a dare loro dei suggerimenti, tra e i quello di minacciare di colpire il patrimonio artistico”.
A sentire Brusca, il boia di Capaci che poi diventerà pentito, a suggerire le stragi del 1993 sarebbe stato proprio Bellini.
Il diretto interessato, però, ha sempre negato. Ora, per quelle bombe, è indagato.
di Giuseppe Pipitone e Giovanna Trinchella| 29 Giugno 2023 FQ
 

Paolo Bellini è indagato per la strage di Capaci e per le bombe del 1993: è stato interrogato dai pm di Caltanissetta e Firenze

Non solo la condanna in primo grado per la strage di Bologna. Paolo Bellini è indagato anche per la bomba a Capaci, per quelle in via dei Georgofili a Firenze, in via Palestro a Milano e in via Fauro a Roma. La novità emerge dalle carte che oggi hanno portato all’arresto dell’ex Primula nera. Alla procura generale di Bologna, infatti, sono arrivate le intercettazioni compiute dalla Diae dal Ros dei carabinieri su ordine delle procure di Caltanissetta e Firenze. Le cimici piazzate in casa di Bellini hanno registrato le sue minacce nei confronti dell’ex moglie, che riconoscendolo in un filmato dell’epoca lo ha fatto condannare all’ergastolo per la strage alla stazione, ma pure di Francesco Maria Caruso, il presidente della corte d’Assise di Bologna che ha emesso la sentenza. Quelle intercettazioni sono state girate alla procura generale di Bologna, che ha chiesto e ottenuto l’arresto dell’ex esponente di Avanguardia nazionale. Bellini è detenuto a Spoleto, ma prima dell’arresto ha fatto in tempo a presentarsi davanti ai magistrati di Caltanissetta e Firenze: l’interrogatorio era fissato per due giorni fa, il 27 giugno. L’indagato, che è stato anche perquisito, ha negato ogni addebito.
A più di trent’anni dai fatti gli uffici inquirenti competenti per le stragi del 1992e 1993 stanno continuando a indagare su uno dei periodi più misteriosi della storia italiana. E hanno iscritto sul registro degli indagati anche Paolo Bellini, ex estremista di destra, pilota di aerei e trafficante di opere d’arte con la falsa identità di Roberto da Silva, killer della ‘ndrangheta ma pure sedicente infiltrato in Cosa nostra per conto dei carabinieri. Un uomo dalle mille vite, che è entrato e uscito dai misteri italiani degli ultimi quarant’anni. In passato Bellini era già stato indagato per le stragi di Firenze, Roma e Milano ma è stato archiviato nel 2005. È la prima volta, invece, che viene messo sotto inchiesta per la strage di Capaci. La procura di Caltanissetta, infatti, vuole chiarire i retroscena legati alla presenza dell’ex primula nera in Sicilia nei mesi precedenti all’eliminazione di Giovanni Falcone.
Nel dicembre del 1991 Bellini si trova sull’isola: quello è un momento cruciale, perché viene pianificato il piano d’attacco allo Stato di Cosa nostra. Bellini sostiene di essere venuto in Sicilia perché doveva recuperare alcuni crediti. All’epoca viveva di questo: otteneva il pagamento dei debiti per conto terzi. Per questo motivo contatta Nino Gioè, un mafioso che poi farà parte del commando della strage di Capaci e che lui aveva conosciuto nel carcere di Sciacca dieci anni prima, nel 1981. Dice Bellini di aver chiesto aiuto a Gioè per riscuotere quei crediti a Catania e Palermo: i due concordano di vedersi il giorno dopo ad Altofonte. Non è chiaro cosa si dissero e neanche chi andò poi a raccogliere quei soldi. Di sicuro c’è solo che Bellini decise di passare la notte a Enna. Una vicenda singolare: in pratica l’ex Primula nera arriva con la nave a Messina, si dirige verso Palermo ma si ferma a Enna, cioè esce dall’autostrada e si arrampica sul capoluogo più alto d’Italia dove quel giorno, il 6 dicembre del 1991, sta nevicando. È l’unica città dove sta nevicando in Sicilia, Bellini può fermarsi a Caltanissetta, a Cefalù, ovunque: invece sceglie una sosta più impervia, più lunga, lontana dalla sua meta e dove c’è la neve. Arriva in albergo, cerca sull’elenco telefonico – così dice – il numero di Gioè e chiede di incontrarlo per la questione dei crediti da riscuotere. Soldi che nessuno andrà mai a incassare. Neanche un tentativo; ci avrebbe pensato Gioè – dice Bellini – ma Gioè non ci penserà mai. Casualmente, però, Enna è nella stessa zona dove proprio in quei giorni del dicembre 1991 Riina ha radunato il gotha di Cosa nostra per progettare le stragi dei mesi successivi. Proprio durante quelle riunione il capo dei capi ordina ai suoi di rivendicare bombe e omicidi con una oscura sigla, fino a quel momento comparsa solamente in nord Italia. La sigla è quella della Falange Armata. Chi è Bellini? Cosa fa a Enna quando Cosa nostra progetta le stragi? È per rispondere a queste domande che è finito indagato a Caltanissetta.
Le strade di Bellini e Gioè s’incrociano anche pochi mesi dopo, alla fine del 1992. Sostiene l’ex Primula nera che, dopo la strage di via d’Amelio, va dal maresciallo dei carabinieri Roberto Tempesta e propone d’infiltrarsi in Cosa nostra. E’ la cosiddetta trattativa per recuperare le opere d’arte perdute: Bellini contatta il suo vecchio amico Gioè e gli propone di recuperare preziosi e quadri rubati. In cambio lo Stato avrebbe dovuto garantire benefici carcerari ad alcuni boss mafiosi detenuti. I carabinieri negano, ma in ogni caso di quella storia non se ne farà nulla. Eppure quella vicenda lascia in sospeso inquietanti interrogativi. Per esempio: è vero che Bellini suggerì ai mafiosi di colpire il patrimonio artistico dello Stato? Lo sostiene Giovanni Brusca, il boia della strage di Capaci, poi diventato pentito. Si era nascosto dietro a una porta per origliare il colloquio tra Bellini e Gioè. E il primo, a un certo punto, avrebbe detto: “Cosa accadrebbe se sparisse la Torre di Pisa?”. Bellini, però, nega: non fu lui a pronunciare quella frase, ma Gioè. Il quale, però, non può più replicare: è morto impiccato nel carcere di Rebibbia. Un suicidio stranissimo, anche perché Gioè lascia una lettera in cui sembra essere sul punto di collaborare con la giustizia: è la notte tra il 28 e 29 luglio del ’93, poche ore dopo la strage di Milano. In via Palestro è saltato in aria il Padiglione d’arte contemporanea, un importante pezzo del patrimonio artistico culturale italiano, che però era poco noto al grande pubblico: una cosa è il Duomo, un’altra il Pac. Esattamente come era avvenuto il 27 maggio per la Torre dei Pulci in via dei Georgofili: non sono gli Uffizi e non è neanche la Torre di Pisa. Poco prima della morte di Gioè le bombe colpiscono pure le chiese romane di San Giorgio in Velabro e San Giovanni in Laterano, che hanno la particolarità di portare i nomi di battesimo di quelli che allora erano i presidenti della Camera (Giorgio Napolitano) e del Senato (Giovanni Spadolini): una strategia elaborata che non sembra essere farina del sacco di mafiosi come Luchino Bagarella, Giovanni Brusca detto lo scannacristiani, Giuseppe Graviano detto Madre natura. Da chi arriva un’idea così raffinata? Cosa nostra ha avuto per caso un suggeritore? È quello che vogliono capire gli inquirenti, che ancora oggi indagano su quei fatti. di Giuseppe Pipitone e Giovanna Trinchella| 29 Giugno 2023 FQ

 

Paolo Bellini, ex terrorista di Avanguardia Nazionale, arrestato per la strage di Bologna del 1980

 

È stato definito un uomo dai mille volti: ladro di mobili antichi, truffatore, autore di omicidi e pilota d’aerei. È stato coinvolto in diverse vicende giudiziarie, tra cui il processo sulla trattativa Stato-Mafia del 1992

 

E’ tutto questo Paolo Bellini, la ’Primula nera’, così lo chiamavano, settant’anni compiuti solo pochi giorni fa, ex terrorista di Avanguardia nazionale, condannato in primo grado all’ergastolo nell’aprile del 2022 dalla Corte d’Assise di Bologna, presieduta dal giudice Francesco Maria Caruso, come quinto esecutore della strage del 2 agosto 1980 in concorso con gli ex Nar (Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, quest’ultimo condannato solo in primo grado, l’appello è tutt’ora in corso). Dalla metà degli anni Settanta il reggiano Bellini è stato protagonista delle cronache giudiziarie. Autore di omicidi come quello nel 1975 del militante di Lotta Continua Alceste Campanile, che confesserà solo nel 1999 (verrà condannato nel 2009 ma poi prosciolto per prescrizione del reato).
Nel 1976 diventa latitante per sfuggire ad un mandato di cattura per tentato omicidio: si rifugia in Sudamerica, per ricomparire in Italia nel 1981 con il falso nome di Roberto Da Silva, brasiliano. Nel 1983 Bellini viene indagato la prima volta per la strage di Bologna, ma sarà in seguito scagionato. Nel 1988 conosce in carcere l’uomo d’onore Antonino Gioè, che lo definisce “infiltrato dello Stato” nella lettera scritta prima di morire dopo gli attentati del ’93. E il pentito Giovanni Brusca lo indica come “suggeritore” della strategia per colpire i monumenti.
Nel 2019, quando i magistrati della Procura generale chiedono e poi ottengono la revoca del proscioglimento disposto dal Tribunale bolognese il 28 aprile 1992, in relazione alla strage della stazione, Bellini lavora come pizzaiolo nel Lazio sotto falso nome dopo essere uscito dal programma speciale di protezione. Poi il rinvio a giudizio e l’inizio del processo nell’aprile del 2021: “Mi sento come Sacco e Vanzetti” fu il suo unico commento prima di entrare in aula. La Procura generale smonta il suo alibi che aveva retto 40 anni e la ex moglie lo riconosce in un video amatoriale girato in stazione la mattina del 2 agosto 1980, subito dopo l’esplosione della bomba che fece 85 morti e oltre 200 feriti. Il 6 aprile 2022 viene condannato all’ergastolo, in primo grado.

 


𝗦𝗲 𝗹𝗲 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗰𝗲𝘁𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝘀𝘃𝗲𝗹𝗮𝗻𝗼 𝗶𝗹 𝗳𝗶𝗹𝗼 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝗲𝗴𝗮 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗼𝗿𝗶𝘀𝘁𝗶 𝗻𝗲𝗿𝗶, 𝗺𝗮𝗳𝗶𝗼𝘀𝗶 𝗲 𝗽𝗼𝘁𝗲𝗻𝘁𝗶


La pista nera dietro le bombe 1992 – 1993

 

 
 

 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco