Biblioteca Paolo Borsellino, orgoglio comasco. Fiammetta: “Depistaggi e ombre sulla morte di mio padre”

 
 
 

 

 

Dopo l’annuncio ufficiale alla del primo aprile, la biblioteca della legalità è finalmente realtà: da oggi la biblioteca comunale di Como porterà il nome di Paolo Borsellino, magistrato ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio e simbolo della legalità.

L’intitolazione, inserita all’interno della settimana della legalità con eventi dedicati al tema, è avvenuta alla presenza della figlia del magistrato, Fiammetta Borsellino che è intervenuta successivamente con un lungo intervento supportato dalla presenza di Alessandro Galimberti, Presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e Presidente nazionale dei cronisti.

Molte le istituzioni presenti: il sottosegretario di Stato Nicola Molteni, il sindaco Mario Landriscina, gli onorevoli Alessio Butti, Chiara Braga e Alessandra Locatelli, il direttore generale della Direzione Investigativa Antimafia Giuseppe Governale, il presidente del Consiglio Regionale Alessandro Fermi, il Prefetto Ignazio Coccia, il Procuratore della Repubblica Nicola Piacente, Benedetto Madonia, direttore del Centro Studi Sociali contro le mafie-progetto San Francesco che ha promosso il progetto e molti altri rappresentanti delle istituzioni, delle Forze dell’Ordine e rappresentati della società civile rappresentata da associazioni, scuole e ordini professionali

“Mio padre era appassionato di linguaggi – ha sottolineato Fiammetta Borsellino – sapeva interpretare le allusioni, le ambiguità, i silenzi e i gesti della Sicilia e dei siciliani, dove spesso le parole significano altro. Con Giovanni Falcone capì che per muoversi nella giungla del linguaggio mafioso bisognava parlare la stessa lingua, che lui stesso aveva appreso sin da ragazzo nel quartiere palermitano La Kalsa, giocando con i figli dei mafiosi. Apprese quel linguaggio e lo utilizzò negli interrogatori. Buscetta fu come un insegnante di lingua straniera”.

 

 

“La mafia ha un inizio e una fine, come tutte le cose umane. Così disse Giovanni Falcone. Il raggiungimento della fine dipende però dall’impegno che tutti noi metteremo nella lotta all’illegalità. Non basta solo perseguire il reato ma capirne le cause. Mio padre ha dedicato tutta la vita per trovare risposte ai perché”.

“La morte di mio padre – ha continuato – arrivò al culmine dell’odio della compagine mafiosa contro coloro che combattevano l’illegalità. Mio padre cercò sempre la verità ma dopo la sua morte questa ricerca non è stata perseguita”. 

“Tutti sapevano e mio padre stesso si definì un morto che camminava – racconta Borsellino- nulla fu fatto per tutelare la sua incolumità. Dietro questa inerzia ci sono stati solo trasferimenti e nessuna defezione, e molti testimoni chiave non furono sentiti al processo, come Pietro Giammanco (morto lo scorso dicembre, ex Capo della Procura di Palermo dal 1990 al 1992, poi dimessosi e trasferitosi in Corte di Cassazione qualche mese dopo l’uccisione di Paolo Borsellino Ndr)”.


“Abbiamo convissuto  tutta la vita con il pericolo. Sapevamo che quella era l’unica strada percorribile e questo ci ha dato la forza di combattere e di vincere la paura. A volte camminavo davanti a lui, in senso di protezione. In quei 57 giorni si distaccò da noi, era avvolto in una tristezza di fondo, la tristezza di chi andava incontro al sacrificio. Mio padre e Falcone non erano santi ma uomini comuni che compivano il loro dovere”.
“Quando mafia e Stato si mettono d’accordo – ha sottolineato Borsellino – gli uomini come mio padre restano isolati. Dalle istituzioni, dai colleghi, dalle persone. Lo strumento mafioso più potente è l’omertà che si combatte con lo studio e la cultura”.


“Dopo la strage ci sono state attività depistatorie che hanno allontanato dalla verità. Venne formata una Procura inadeguata e le Istituzioni non potevano esserne all’oscuro. Le indagini furono affidate a Tinebra, appartenente alla massoneria e a magistrati alle prime armi. Abbiamo rispettosamente aspettato per 25 anni, e ancora non abbiamo avuto tutte le risposte. La verità sulla morte di mio padre è un atto dovuto da parte delle Istituzioni”.

“L’ex pm Giuseppe Ayala che entrò in contatto con la borsa di mio padre ha dato diverse versioni. Se trovata avrebbe potuto fornire molti elementi. I depistaggi sono stati tanti, con la complicità delle Istituzioni. Nonostante tutto questo io credo ancora nello Stato e nel popolo italiano. La mia terra, la Sicilia, ha un individualismo radicato ma allo stesso tempo ha partorito uomini come mio padre e Giovanni Falcone”.

Al termine del dibattito Claudio Ramaccini ha consegnato a Fiammetta Borsellino il riconoscimento “Pizzo contro Pizzo”, seguito dall’omaggio floreale del sindaco Landriscina e dai ringraziamenti del vicesindaco Alessandra Locatelli che ha ricordato tutti gli eventi promossi nella settimana della legalità, indirizzati soprattutto ai giovani.