L’arresto di Provenzano. Il racconto di Cortese – VIDEO
14.7.2016 Renato Cortese: “Così lo catturai PROVENZANO. Quel giorno finì un incubo”
“Quell’11 aprile del 2006, il giorno in cui abbiamo finalmente arrestato il “fantasma” Bernardo Provenzano, in quella masseria di pastori a Montagna dei Cavalli vicino a Corleone, è stato il giorno più lungo della mia vita ed anche di quella dei miei uomini. Per 43 anni era sfuggito ad ogni ricerca, si era fatto beffa dello Stato. E quando finalmente lo abbiamo ammanettato si è determinato il convincimento che lo Stato potesse vincere quella battaglia. Il mito dell’invincibilità di Cosa Nostra era finalmente crollato “.
Renato Cortese, 51 anni, entrato in Polizia nel 1991, ora a capo del Servizio Centrale della Polizia e che quell’11 aprile del 2006 era capo della Sezione Catturandi della Squadra Mobile di Palermo, ricorda ogni attimo, ogni sensazione di quella storica cattura e degli anni di lavoro che l’hanno preceduta.
Cosa ha provato quando si è visto Provenzano davanti, in carne ed ossa?
“Io ed i miei uomini eravamo certi che si nascondesse lì ma avevamo anche paura di avere fallito come tante altre volte. Quando me lo sono visto davanti, anche se l’ultima foto segnaletica risaliva al 1966, era come se lo conoscessi da tempo. Non c’è stato neanche bisogno di chiedergli se era Bernardo Provenzano, perché ormai, dopo anni ed anni di studio del suo profilo e della sua psicologia, sapevo chi era quell’uomo ormai anziano e che era il capo di Cosa Nostra”.
Come siete arrivati, dopo anni ed anni di ricerche a quel “fantasma”?
“Fu una manina che usciva da una porta di quella masseria e che ritirava un pacco che ci diede la certezza che Bernardo Provenzano si nascondesse proprio li.
Da giorni e notti tenevamo d’occhio quella masseria di pastori dove facevano formaggi e ricotta e la casa di Corleone dove abitavano la moglie ed i figli di Provenzano e da quella casa era uscito un pacco consegnato ad un uomo che poi lo ha portato nel rifugio. Quel pacco lo abbiamo seguito per oltre 24 ore, fino a quando era stato consegnato a quella manina, la sua”.
A Provenzano da anni davano tutti la caccia, ed alla fine è stato lei a catturarlo. Una bella soddisfazione.
“Non fu un lavoro facile. Provenzano aveva chiuso i rapporti con la famiglia, con tutto il mondo esterno, non avevamo telefonate, solo qualche pizzino (messaggi di Provenzano sequestrati in altri contesti, ndr), ma avevamo qualche piccolo indizio ed una pista che abbiamo seguito per mesi e mesi senza soluzione di continuità. Ricordo serate e nottate a discutere con l’allora procuratore di Palermo Giuseppe Pignatone e con il pm Michele Prestipino sulla pista più sicura. E finalmente quel giorno, decidemmo di entrare in azione”.
E quando se l’è trovato davanti?
“Finalmente! Abbiamo detto, finalmente è finita. Era lui con accanto la sua macchina da scrivere, con i pizzini che aveva appena scritto ai suoi uomini e quelli che aveva ricevuto. Li abbiamo trovato anche il suo miele particolare e la cicoria, il suo piatto preferito”.
14 Luglio 2016 LA REPUBBLICA
22.11.2022 – Renato Cortese, il poliziotto che catturò Provenzano a capo dell’ufficio ispettivo del Viminale
La nomina decisa dal Consiglio dei ministri segna un risarcimento morale dopo che la sua carriera si è interrotta per il processo sul presunto sequestro di Alma Shalabayeva da cui è stato assolto
Prima ancora che con la nomina – decisa ieri dal Consiglio dei ministri – di direttore dell’Ufficio centrale ispettivo del ministero dell’Interno, il riscatto era arrivato con il conferimento della cittadinanza onoraria di Palermo.
Per Renato Cortese, il poliziotto che aveva visto la carriera interrotta per una brutta pagina di storia giudiziaria, è stato quello il vero risarcimento morale ricevuto direttamente dalla città dove ha speso gran parte della carriera, e di cui era diventato questore, rimosso nel 2020 dopo una sentenza di condanna. Considerata da quasi tutti (a cominciare dagli stessi vertici della polizia) un po’ surreale; ma sempre di sentenza si trattava, sia pure di primo grado, e andava rispettata.
A giugno di quest’anno è arrivata il verdetto d’appello: assolto«perché il fatto non sussiste» dal presunto sequestro di persona nei confronti di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako espulsa dall’Italia nel 2013 dopo un controllo della polizia che cercava (e non trovò) il marito per eseguire un mandato di cattura internazionale. Cortese e gli altri imputati – tra cui Maurizio Improta, anche lui rimosso dal precedente incarico dopo il primo verdetto e in seguito all’assoluzione nominato questore di Trento – hanno visto così riconosciuta l’innocenza sempre reclamata in una vicenda dove la ricostruzione dei fatti era malferma e il possibile movente mai acclarato.
Ora anche l’amministrazione di competenza ha «rimesso in carreggiata» il percorso del poliziotto che non solo nel 2006 ha catturato Bernardo Provenzano, il boss mafioso dalla latitanza record durata 43 anni, ma ha dedicato gran parte della sua attività al contrasto alla criminalità organizzata. Cominciando proprio dalla Sicilia e da Palermo dove arrivò nel 1992, appena ventottenne, all’indomani delle stragi di Capaci e via D’Amelio.
Con i capimafia tutti in libertà, in una città paralizzata dalla paura e dalla convinzione che – trucidati Falcone e Borsellino – nessuno sarebbe stato in grado di liberarla dal giogo di Cosa nostra. Cominciò dall’impiego sulle Volanti, il lavoro di Cortese, ma ben presto fu dirottato sulle caccia ai ricercati, con indagini sempre più complesse e “tecnologiche”, sfociate in arresti importanti: da Giovanni Brusca (il «boia di Capaci») a Pietro Aglieri, il «padrino» che in casa aveva allestito un piccolo altare per celebrare messa; da Gaspare Spatuzza, il «colonello» dei fratelli Graviano che da pentito riscriverà la storia delle stragi, fino – appunto – a Provenzano. Successi che hanno contribuito a sconfiggere quanto meno il mito dell’incrollabilità della mafia, e che hanno portato Cortese a dirigere la Squadra mobile di Reggio Calabria, in un periodo in cui il contrasto alla ‘ndrangheta ha ripreso vigore dopo la strage di Duisburg (2007) che aveva mostrato al mondo intero il potere raggiunto da quell’organizzazione criminale.
Da lì, seguendo una ideale «linea della palma» simile a quella evocata daLeonardo Sciascia, Cortese è sbarcato a Roma, prima dirigente della Mobile (con indagini che hanno svelato le diramazioni ‘ndranghetiste e mafiose nella capitale) e poi al vertice del Servizio centrale operativo, l’ufficio che coordina le più importanti indagini della polizia in tutta Italia.
In seguito è arrivata la nomina a questore di Palermo, che era per lui la chiusura di un cerchio. Spezzata da quell’accusa di sequestrodi persona che avrebbe organizzato nel 2013 (quando guidava la Mobile di Roma), senza però che né l’inchiesta né il processo di primo grado avessero individuato i mandanti né le ragioni di un simile reato. Per il quale l’accusa, nel corso del dibattimento svolto a Perugia a causa del coinvolgimento di una giudice di pace romana (anche lei condannata in primo grado e assolta in appello) chiese una pena minima e quasi incongrua per un rapimento. Il tribunale invece andò oltre, con la condanna a cinque anni di reclusione che però non ha retto al dibattimento di appello, dove sono stati ascoltati i testimoni citati dalla difesa che in primo grado erano stati rifiutati. Adesso, dopo due anni di «limbo» e dopo che Palermo l’ha inserito ufficialmente tra i suoi “ì«cittadini onorari», la carriera di Renato Cortese ricomincia il corso. Aprendo un altro cerchio. 22 novembre 2022 Corriere della Sera
Una vita contro la mafia, intrappolata nella ragnatela di una spy story molto italiana. Renato Cortese, il superpoliziotto che arrestò Bernardo Provenzano dopo 43 anni di latitanza, è finito suo malgrado al centro dell’intrigo internazionale che ruota intorno alla figura dell’oligarca kazako Mukhtar Ablyazov. Un ricercato da catturare, fuggito all’estero con una borsa piena di miliardi di euro o un sedicente oppositore che manovra per deporre il regime nell’ex Repubblica sovietica? O, come è più probabile, entrambe le cose. Nel gorgo di una bufera politica, nella tempesta di una campagna mediatica, in una giostra di paradossi diplomatico-giudiziari, la vicenda kafkiana che ha sconvolto la vita dell’investigatore più famoso d’Italia.
1.10.2022 – La cittadinanza onoraria di Palermo all’ex questore Renato Cortese. I commercianti del Cassaro organizzano una festa
La cerimonia si terrà martedì. Il ritorno in città dell’investigatore che ha segnato un pezzo importante della storia dell’antimafia dopo le stragi del 1992
Quando partì, due anni fa, scrisse una lettera dai toni appassionati. “Ciao Palermo… con il cuore spezzato vado via da una città che mi ha accolto con affetto, che mi ha visto crescere ed invecchiare, che mi ha visto soffrire e gioire e che con me ha sofferto e gioito”. L’avevano appena condannato per il caso Shalabayeva, ma era solo la sentenza di primo grado di un processo alquanto controverso. Renato Cortese è stato poi assolto in appello, il 9 giugno scorso. E, adesso, torna per un giorno a Palermo: martedì, il sindaco Roberto Lagalla gli conferirà la cittadinanza onoraria. Poi, dopo la cerimonia, ci sarà una festa davanti alla Cattedrale, voluta dall’associazione “Cassaro Alto”. Dice uno degli organizzatori: “Un piccolo gesto per dire grazie a un uomo che ha reso più libera questa città”. Così scriveva ancora Renato Cortese nella sua lettera di saluto alla città: “Ho visto una Palermo distrutta, schiacciata e disorientata dalla ferocia e dalla barbarie della mafia, e ho lottato con lei e per lei…Sono stati anni duri, difficili, costellati di morti, ma ognuno di essi è stato un seme… Il seme della coscienza civile, del riscatto, della legalità, della giustizia… E oggi vedo una Palermo sempre straordinariamente bella, affascinante e testarda, che si è ripresa quello che credevano di poterle strappare: il futuro”. Arrivò a Palermo nell’estate del 1992, dieci giorni dopo la strage Borsellino: il suo primo incarico dopo aver vinto il concorso in polizia fu all’ufficio Volanti della questura. Qualche anno dopo, iniziò ad occuparsi di indagini antimafia e della cattura dei latitanti. Nel 1996, Renato Cortese faceva parte della squadra che arrestò Giovanni Brusca, il boss che aveva azionato il telecomando della strage di Capaci. “Quella sera del 20 maggio, ero nella sala intercettazioni della Mobile – raccontò in un’intervista a Repubblica – da lì seguivo i miei uomini ad Agrigento. Un ispettore ebbe l’idea di fare passare una moto smarmittata proprio mentre Brusca era al telefono. In questo modo, individuammo il suo covo. Quando facemmo irruzione, stava vedendo un film su Giovanni Falcone”.
Dopo Brusca, arrivarono le catture di altri superlatitanti: da Pietro Aglieri a Salvatore Grigoli, a Gaspare Spatuzza. L’11 aprile 2006, Cortese ammanettò Bernardo Provenzano dopo una latitanza che durava da 43 anni. Di sicuro, martedì, ad accompagnarlo saranno i suoi “ragazzi” del Gruppo Duomo, i poliziotti della squadra mobile che hanno segnato un pezzo di storia di Palermo. Ci saranno anche i ragazzi di alcune associazioni che operano nelle periferie di Palermo, con cui Renato Cortese questore di Palermo per tre anni e mezzo ha intessuto un dialogo e un percorso intenso. “Certo, adesso, sarebbe bello riavere il dottore Cortese a Palermo, come prefetto”, sorride il titolare del bar Marocco, alle prese con gli ultimi dettagli della festa di martedì. “Speriamo che presto gli venga riaffidato un incarico di rilievo, so che per adesso sta al ministero. Questo nostro Paese ha bisogno del suo coraggio”. La Repubblica 1.10.2022 di Salvo Palazzolo
9.6.2022 – Shalabayeva, sentenza ribaltata in appello: Renato Cortese assolto
9.6.2022 Caso Shalabayeva, dopo nove anni tutti assolti gli imputati
Tra loro gli ex capi della Squadra mobile e dell’Ufficio immigrazione della Questura di Roma, Renato Cortese e Maurizio Improta. Ribaltata la sentenza di primo grado che li aveva condannati per sequestro di persona
La Corte di Appello di Perugia ha assolto con formula piena gli imputati accusati di sequestro di persona per le presunte irregolarità legate al rimpatrio di Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, espulsa verso il Kazakistan nel 2013 insieme alla figlia Alua e poi entrambe tornate in Italia. Tra loro gli ex capi della Squadra mobile e dell’Ufficio immigrazione della questura di Roma, Renato Cortese e Maurizio Improta.
Al termine della camera di consiglio della Corte di Appello del Tribunale di Perugia i due superpoliziotti Renato Cortese, ex capo della Squadra Mobile di Roma ed ex questore di Palermo che nella sua carriera ha catturato anche il boss della mafia Bernardo Provenzano, e Maurizio Improta, ex capo dell’ufficio immigrazione e ed ex vertice della Polfer, imputati a Perugia insieme ad altri quattro poliziotti, Francesco Stampacchia, Luca Armeni, Vincenzo Tramma e Stefano Leoni e al giudice di pace Stefania Lavore, sono stati dunque tutti assolti, ribaltando la sentenza di primo grado.
In primo grado, infatti, gli imputati erano stati tutti condannati: Renato Cortese, Maurizio Improta, Luca Armeni e Francesco Stampacchia a 5 anni, Vincenzo Tramma a 4 anni, Stefano Leoni a tre anni e sei mesi. Erano stati tutti riconosciuti responsabili di sequestro dipersona.
Assolta anche l’allora giudice di pace Stefania Lavore alla quale comunque non era stato contestato il sequestro di persona
Lacrime e abbracci alla lettura della sentenza. Ad attendere il verdetto colleghi e collaboratori degli imputati, arrivati da ogni parte d’Italia.
Il caso
Nella notte tra il 28 e 29 maggio 2013 Alma Shalabayeva e la figlia vengono prelevate dalla polizia nella loro abitazione di Casalpalocco: le forze dell’ordine cercavano il marito, il dissidente kazako Muktar Ablyazov, ma alla donna viene contestata l’accusa di possesso di un passaporto falso. Due giorni dopo, firmata l’espulsione, vengono rimpatriate. Le due donne tornano poi in Italia e viene loro riconosciuto l’asilo politico.
La vicenda giudiziaria
Il 14 ottobre del 2020 c’è stata la sentenza di primo grado che ha visto la condanna per Cortese, Improta e per i due poliziotti Stampacchia e Armeni a cinque anni di reclusione. Il giudice di pace, Stefania Lavarone, è stata condannata a due anni e sei mesi. Gli alti due poliziotti invece hanno avuto una pena di tre anni e sei mesi di reclusione, Leoni, mentre Tramma ha avuto quattro anni. Pene raddoppiate rispetto alle richieste sollecitate dal pubblico ministero. Un ”rapimento di Stato” secondo quanto riportato dal terzo collegio presieduto da Giuseppe Narducci nelle motivazioni della sentenza.
Una ricostruzione contestata dalle difese degli imputati e con la riapertura dell’istruttoria dibattimentale, chiesta e ottenuta nonostante il parere contrario della procura generale, con l’avvio del processo di secondo grado sono stati ascoltati in aula i magistrati romani che nel 2013 si occuparono a piazzale Clodio del caso. L’ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone nella sua testimonianza ha spiegato di non aver mai avuto nessuna pressione da Renato Cortese e che il passaporto mostrato da Alma Shalabayeva, moglie del kazako Muktar Ablyazov.
Dopo l’esame della documentazione, ha ricordato Pignatone il 4 aprile scorso nel corso della sua deposizione, ”ci siamo convinti più che mai che il documento era falso, e dopo nove anni mi chiedo ancora come sia possibile affermare il contrario con un passaporto che riporta un nome diverso, e che fosse nostro dovere concedere il nulla osta. A quel punto il pm Eugenio Albamonte ha dettato alla mia segretaria il nulla osta e io l’ho vistato e per noi la storia finisce lì. Resto convinto della falsità del documento e non ho mai capito – ha sottolineato l’ex procuratore capo della capitale – perché quel giorno gli avvocati non abbiano chiesto l’asilo politico”.
Per la procura generale, rappresentata dal procuratore generale Sergio Sottani e dal sostituto procuratore generale Claudio Cicchella, invece, vi erano ”molti elementi che potevano portare a capire che questa donna non era Alma Ayan ma era Alma Shalabayeva. Possibile che funzionari di esperienza, che hanno portato avanti operazioni importanti contro la criminalità, non si siano posti dei dubbi? Perché questi soggetti hanno tenuto questa condotta? – ha sostenuto la procura generale nella requisitoria del 14 aprile – Perché hanno finto di non vedere? Il perché non lo sappiamo ma abbiamo un dato che ci fa pensare. Questi funzionari hanno voluto compiacere quello che veniva chiesto dall’ambasciata kazaka e il ministero dell’Interno ha seguito questa vicenda fino all’espulsione, è sempre stato sul pezzo. Il perché lo abbiano fatto non lo sappiamo”.
Per Cortese, Improta, Stampacchia e Armeni la procura generale ha chiesto, per l’accusa di sequestro di persona, la condanna a quattro anni, per Tramma a due anni e otto mesi mentre ha sollecitato l’assoluzione per Leoni e per Lavore ”perché’ il fatto non costituisce reato”. Per le accuse di falso ha sollecitato, invece, il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Di abusi di potere, palesi inganni, hanno parlato Rosa Conti e Diana Iraci Borgia, le due legali di parte civile di Alma Shalabayeva. ”Come si fa a dire che questa procedura di espulsione era addirittura doverosa? Riteniamo che non ci sia stato nulla di legittimo. Queste generalità false sono state usate dagli imputati per dare una parvenza di legittimità all’espulsione”.
”Non c’è stata alcuna pressione per espellere Alma Shalabayeva” ha ribadito la difesa di Improta con l’avvocato Bruno Andò anche in sede di repliche. ”Una donna che aveva un documento falso, non una povera migrante venuta dall’Africa senza documenti in cerca di asilo: aveva un documento e quel documento era falso. Improta non è stato né il burattinaio della Procura né l’alfiere del dottor Cortese, ma il supervisore di una procedura che non poteva avere esito diverso”, ha detto Andò. “E’ stata Alma Shalabayeva a depistare la polizia giudiziaria, la Squadra Mobile, la Digos, l’ufficio immigrazione – ha sostenuto l’avvocato Stefano Tentori Montalto, difensore di Armeni – è lei l’unica responsabile della propria sciagura e di quella della figlia. Lei ha avuto più occasioni per poter svelare la sua identità e non l’ha fatto”. RAI NEWS
4.10.2022 – Un Uomo Cortese
13.9.2022 – Cortese Presidente Onorario del Parlamento della Legalità. “In questo clima di impegno non accettare è impossibile”
Tra le tante iniziative imminenti il fondatore e presidente ci confida: “Presto sarà inaugurata la “Panchina della pace” dinanzi la sede del Parlamento a Monreale. Abbiamo già parlato con il sindaco, estenderemo l’invito al neo Presidente onorario augurandoci che possa partecipare e vivere con noi questo ulteriore momento culturale”. SICILIAUNONEWS 13.9.2022
9.6.2022 L’ostaggio, il poliziotto Renato Cortese nella trappola del caso Shalabayeva
Anticipiamo qui brani de “L’ostaggio” di Enrico Bellavia (Zolfo editore,), sul caso Alma Shalabayeva. Il processo ha assolto Renato Cortese , condannato in primo grado a 5 anni per sequestro di persona. Il 4 ottobre il superpoliziotto riceverà la cittadinanza onoraria di Palermo.
Si può annientare un uomo tenendolo in vita? È sufficiente rovesciargli addosso un’accusa infamante. Basta contraddire con un tratto di penna un’intera esistenza. Lasciare che lo spettro di una carriera finita, bollata con marchio di ignominia offuschi meriti e successi e agiti giorni e notti. Basta il confino in un limbo indefinito a sprecare le proprie ore. Questa è la storia di un cacciatore diventato preda. Il capro espiatorio di una ir-ragion di Stato. È la storia del miglior poliziotto italiano passato per il calvario di una condanna per sequestro di persona. Reo di un crimine aberrante: «Lesa umanità mediante deportazione». Un’enormità punita con cinque anni di carcere, tanto quanto basta a precludere il ritorno in attività. Ma è soprattutto la storia esemplare di un testacoda politico-giudiziario nel quale la gogna non è il mezzo ma il fine ultimo. La cronaca di un’impostura. La partitura di un teorema basato sul nulla. O quantomeno su nulla che sia stato dimostrato. L’ordito di una trama che restituisce un sacrificio, per giunta inutile. Questa è la storia di Renato Cortese, calabrese, classe 1964, entrato in polizia da funzionario nel 1991 e diventato dirigente generale dopo cinque lustri in prima linea. Capo della Catturandi della gloriosa Squadra mobile di Palermo, anima del gruppo Duomo che ha arrestato il superboss Bernardo Provenzano, alla guida della Mobile di Reggio Calabria e di Roma, al vertice del Servizio centrale operativo, quindi questore a Palermo. E chissà cos’altro gli avrebbe riservato il futuro: forse capo della Dia, la Direzione investigativa antimafia, trampolino di lancio, probabilmente, per l’empireo del Viminale. Curriculum invidiabile e invidiato, titoli in abbondanza per puntare legittimamente ancora in alto. Lungo un percorso, certo, più accidentato della strada. Tra quei corridoi ministeriali dove i sussurri sono più minacciosi delle urla, la moquette più infida dell’asfalto e le ragioni di opportunità più subdole di un agguato. (…) Il 21 ottobre 2020 Renato Cortese lascia Palermo «con il cuore spezzato», come scrive in una lettera aperta alla città che questo calabrese di Santa Severina sente come sua. (…) Poche ore prima, quella che era una carriera lanciata al massimo si è infranta sull’incredibile sentenza del Tribunale di Perugia che ha ritoccato al raddoppio le pur dure richieste, 2 anni e 4 mesi, dell’accusa. E invece sono cinque anni per sequestro di persona, la macchia di una presunta macchinazione risoltasi con una extraordinary rendition. Cinque anni che valgono l’interdizione dai pubblici uffici e lo spettro del carcere. (…) Casal Palocco, Roma, martedì 28 maggio 2013, ore 24. Ventisei agenti, un nucleo congiunto formato da poliziotti della Squadra mobile diretta da Renato Cortese e della Digos, diretta da Lamberto Giannini, futuro capo della polizia, entra nel parco di una villa elegante alla periferia Sud di Roma. Quartiere residenziale per l’alta borghesia, verde, abitazioni più che confortevoli, riparate oltre la cortina di muri e alberi, lascito dell’esercizio di stile della pianificazione razionalista, è oggi la naturale estensione della città che tende verso il mare e si ritrova in pineta. Lì abita Alma Shalabayeva (si pronuncia con l’accento sulla terza a: Shalabàyeva), nata in Kazakistan nel 1966. Nessuno la conosce però con il suo vero nome. Per tutti è Alma Ayan, nata in Centrafrica nello stesso anno. E così si presenta ai poliziotti, esibendo un passaporto dell’ex colonia francese, teatro delle crudeltà dell’autoproclamatosi imperatore Bokassa diventata un’incerta Repubblica, esposta ai venti cangianti delle pulsioni popolari e militari e al centro di un intenso traffico di documenti falsi. (…) La notte dell’irruzione a Casal Palocco i poliziotti però non sono interessati ad Alma Ayan e alle sue bugie. Cercano un latitante. Risponde al nome di Mukhtar Ablyazov, classe 1963. È un oligarca kazako, banchiere e sedicente oppositore del regime filorusso di Nursultan Nazarbaev, passato tempo dopo, nel 2019, nelle mani del delfino, il presidente Qasym-Jomart Tokayev, che dopo un po’ ha rotto con il suo padrino, estromettendolo nel 2022 da presidente del Consiglio di sicurezza. (…) Alma, dunque, non ha alcun titolo valido per rimanere in Italia. E poiché i kazaki dicono che è una loro cittadina, è lì che deve tornare. (…) Quando il carrello dell’aereo si stacca da terra, Renato Cortese non può sapere ancora che un pezzo della sua vita se ne va via verso un Paese del quale sapeva molto poco. Da quel momento sarà lui l’ostaggio. Incatenato a una storia surreale. Da poliziotto impavido diventerà un codardo che non ha esitato a sbarazzarsi di una povera donna e della figlia per compiacenza verso i kazaki. (…) Perugia, 9 giugno 2022, 20.17. «Assolti perché il fatto non sussiste». Il silenzio è rotto da un brusio che si fa ovazione, dall’abbraccio e dal pianto che è gioia. Scaccia dieci ore di tensione, due anni di purgatorio e nove di scartoffie e amarezze. Dissolve le ombre e libera da un peso. Il fatto non sussiste. Non c’è nulla, non c’è mai stato. E neppure questo processo d’Appello avrebbe dovuto esistere. Se non ci fosse stato quell’altro, il primo grado, nato da un’inchiesta che ha puntato sui poliziotti, sperando di dimostrare che avessero obbedito a ordini infami, rendendosi complici di un crimine odioso. E invece? Funzionari e agenti hanno agito secondo la legge, nessuna violazione, nessuna compiacenza, nessuna sudditanza a despoti stranieri. Alma Shalabayeva ha mentito sulla sua identità e esibito un passaporto falso, poi ha amministrato con sapienza e astuzia il ritorno di immagine che ne è derivato. Con un giorno al Cie è riuscita nell’intento di smacchiare la biografia ufficiale del marito. L’immagine di dissidente di Mukhtar Ablyazov è una sagoma che è servita a distrarre dalle vere ragioni che l’avevano indotto a fuggire dal Kazakistan: il tesoro portato via da un Paese, il suo, ricco di materie prime da cui discendono fortune in mano a pochi. Un malloppo ora ben al sicuro nei paradisi fiscali. Chi è stato tenuto in ostaggio in questa storia sono solo gli imputati, spinti giù nel girone dell’assurdo, lungo la rupe su cui rotolano le macerie del nostro sistema giudiziario, della politica e di certa informazione. La giustizia, in questo caso, con la lentezza che le è propria, ha riparato all’errore, il che non cancella il danno prodotto. Anzi, lo fa risaltare. Difficilmente, politica e informazione faranno altrettanto. Confideranno sulla memoria labile di un Paese che metabolizza tutto in fretta. Invece bisogna dire e ripetere che tutto questo è accaduto davvero. E non si può dimenticare. Non si deve.
5.10.2021 Mafia: arrestò Provenzano, in teatro la storia di Renato Cortese
La storia di un investigatore di razza della Polizia di Stato diventa una piece teatrale. Un Cortese silenzio.
Storia di un Uomo delle Istituzioni” è il titolo dello spettacolo del regista e attore Vincenzo Pirrotta che andrà in scena stasera, Domenica 5 dicembre, alle ore 21, presso la sala Onu del Teatro Massimo di Palermo. Il testo di Pirrotta, caratterizzato dai ritmi legati alla tradizione del “Cunto”, traccia la vita professionale di Renato Cortese, ex Questore di Palermo, dipanandosi dai successi investigativi relativi alla cattura di pericolosi latitanti mafiosi come il capo di Cosa nostra Bernardo Provenzano, fino alle indagini su un noto latitante kazako. Quest’ultima vicenda, terminata con l’espulsione della moglie e della figlia del ricercato, è sfociata nell’apertura di un procedimento penale attualmente pendente presso la Corte di Appello di Perugia. Il testo di Vincenzo Pirrotta delinea il percorso delle vicende professionali di Renato Cortese con uno stile asciutto, lasciando allo spettatore, la possibilità di maturare un giudizio autonomo, anche sulle attuali vicende processuali, senza influenzarlo nè con lo stile narrativo nè con tesi preconcette. L’iniziativa, promossa da Libera e sostenuta da numerose associazioni, testimonia l’affetto e la stima nei confronti di un rappresentante delle Istituzioni da parte di tanti esponenti del mondo della cultura, dello spettacolo e della società civile che hanno voluto stringersi attorno all’Uomo e al Poliziotto. (ANSA) –
La lettera di saluto a Palermo del dottor Cortese
21.10.2020 – Palermo, il questore Renato Cortese lascia la città dopo la condanna: «Ho il cuore spezzato»
L’alto funzionario, che arrestò Bernardo Provenzano, paga la sentenza per la vicenda dell’espatrio di Alma Shalabayeva. La lettera alla città
Le proteste dei funzionari La condanna in primo grado, emessa dai giudici di Perugia che hanno pure disposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con l’accusa di sequestro di persona, ha costretto il capo della polizia Franco Gabrielli ad adottare una misura di opportunità. Accolta da un coro di contenute proteste a Palermo dove oggi va via questo storico ex capo della «catturandi» e arriva un nuovo questore, Leopoldo Laricchia, spostato da Brescia, livornese di nascita, già impegnato da questore di Imperia e Lecce sul fronte dell’immigrazione.
«È il momento di andare» «Ciao Palermo», scrive Cortese nel suo messaggio alla città. «È arrivato il momento di andare, di partire, di lasciarti… con il cuore spezzato vado via da una città che mi ha accolto con affetto (…) che con me ha sofferto e gioito…». C’è una grande amarezza in chi ripensa a lutti, stragi, dolore alternati ai successi ottenuti sul fronte investigativo. Da «sbirro» capace di mettere le mani su boss come Giovanni ed Enzo Brusca, Leoluca Bagarella, fino all’arresto di Provenzano nelle campagne vicino a Corleone. Ecco alcuni titoli che lo davano candidato a una grande carriera. A cominciare dalla direzione nazionale della Dia dove, invece, al generale Giuseppe Governale è appena subentrato un alto funzionario come Maurizio Vallone. Per la stessa vicenda, travolto dalla sentenza e anch’egli rimosso il capo della polizia ferroviaria Maurizio Improta.
28.5.2012 – Il neo questore di Palermo Cortese: “Che emozione. Un desiderio? Catturare Messina Denaro”
“Vi trasmetto la mia gioia nel tornare a Palermo. Per chi è cresciuto in questi uffici, in queste strade, dopo l’esperienza professionale degli anni delle stragi, è un’emozione difficile da tradurre a parole. Considero Palermo casa mia e sono felice di potere, con la struttura di professionisti straordinari che ho intorno, di contribuire ad aumentare la percezione della sicurezza ai cittadini”. Lo ha detto il nuovo questore di Palermo, Renato Cortese, incontrando la stampa nel giorno del suo insediamento.
Cortese, che arrestò Bernardo Provenzano nel 2006, ha preso il posto di Guido Longo, diventato prefetto di Vibo Valentia. “Il mio primo pensiero quando mi hanno detto che sarei venuto qua è stato di grande emozione. Non sono favorevole ai ritorni, ma – ha aggiunto Cortese – Palermo ha un ruolo particolare nel mio percorsoprofessionale e ha sfide quotidiane. Da giovane funzionario uno ha dei sogni, tornare da questore a Palermo mi ha riempito di grande orgoglio e non finirò mai di ringraziare il capo della Polizia per l’opportunità che mi ha dato”.
Cortese l’11 aprile 2006, da capo della Squadra Catturandi, arrestò il superboss corleonese Bernardo Provenzano. E’ stato anche capo del Servizio centrale operativo della polizia.
“Il nostro desiderio è quello di porre fine alla latitanza diMessina Denaro, è un obiettivo importante. Chi sta lavorando per questo obiettivo non perde un giorno senza dedicarvi attenzione. La cattura non è di per sé la fine di un’organizzazione, perché bisogna assicurarli tutti alla giustizia, specie quelli storici come lui, ma – ha aggiunto Cortese – dovremo andare al di là del latitante e capire le dinamiche mafiose oggi. Cosa nostra non è quella di una volta, quando voleva attaccare il cuore dello Stato. Non manifesta più un carattere eversivo, ma ci sono dei segnali da parte di Cosa nostra: la mafia è una organizzazione particolare. Vi sono personaggi importanti che sono stati scarcerati, dinamiche e fenomeni che rappresentano nel loro insieme segnali che stiamo studiando complessivamente. Senza trascurare il mondo carcerario considerando che i capi storici sono tuttora detenuti”, ha aggiunto.
A chi gli chiedeva se ci fosse un rischio di riorganizzazione della mafia Cortese ha risposto così: “Cosa nostra è un’organizzazione particolare che vive di messaggi e dinamiche particolari. Vanno prese in considerazione alcune cose importanti che stiamo monitorando come alcuni personaggi di un certo calibro che sono stati scarcerati, ma al momento non abbiamo rischi concreti.Possono esserci messaggi trasversali come un’auto bruciata, ma – ha aggiunto – ci sono fenomeni che, nell’insieme, formano un’analisi di un certo livello che va fatta”.
“Considero Palermo casa mia. Oggi – ha poi detto il neo questore – Palermo è cambiata rispetto agli anni in cui l’ho lasciata. L’attenzione è sempre alta, la mafia è un obiettivo importante ma non è l’unico della Polizia di stato. C’è l’ordine pubblico, l’immigrazione, il terrorismo, la sicurezza urbana. Se prendiamo il superlatitante il cittadino sarà sicuramente contento, ma vuole anche pulizia, polizia presente e attiva sul territorio, nelle strade”. Poi rivolge un accorato appello ai cittadini: “Devono sentirsi consapevoli che per noi il cittadino è importante ed è al centro dei nostri obiettivi. Chiediamo al cittadino di essere protagonista, che collabora, non solo con le denunce ma partecipe alla sicurezza che è un bene comune di tutti noi”.
“Palermo può sembrare fuori dal circuito del terrorismo, ma teniamo presente che la Sicilia e Palermo sono approdo di migliaia di migranti che non per forza sono legati al terrorismo. Ma è un fenomeno che monitoriamo”.
“Colpiscono positivamente i toni pacati e ricchi di emozione, ma determinati, del nuovo Questore di Palermo, Renato Cortese, nel presentarsi stamani agli organi di stampa”. Così a commentare la nomina a caldo è Filippo Virzì, portavoce dell’Ugl Sicilia, che aggiunge: “L’elevato profilo di Cortese, l’ottima conoscenza del territorio palermitano, e l’alta professionalità dallo stesso acquisita sul campo, costituiscono per noi tutti una garanzia e per i cittadini in particolare, che lui stesso ha più volte citato nel corso del suo intervento alla base del suo futuro operato, che ha anticipato, si baserà sulla sicurezza integrata, quindi su un rapporto sinergico fra le forze dell’ordine e il cittadino, in una città che come Palermo, ha tanto bisogno di sicurezza e stabilità”.
28.5.2012 – Renato Cortese, l’uomo che catturò Provenzano, questore di Palermo
Dal primo marzo cambio di questore a Palermo. Al posto di Guido Longo, promosso prefetto (andrà a Vibo Valentia), nel capoluogo siciliano arriverà Renato Cortese, 52 anni. Un nome da anni legato a doppio filo con la Sicilia: c’era lui a capo della sezione catturandi l’11 aprile 2006, quando fu catturato il superboss Bernando Provenzano. La nomina di Cortese arriva dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’interno Marco Minniti. Una laurea in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma e una carriera in Polizia, dove è entrato nel 1991, sempre in prima linea: prima di dirigere la squadra mobile di Reggio Calabria, Cortese e’ passato per il Servizio centrale operativo e ha guidato la sezione catturandi della Mobile di Palermo. In Sicilia, coi suoi uomini, ha scovato ricercati del calibro di Gaspare Spatuzza, Enzo e Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Benedetto Spera e Salvatore Grigoli. Ma la preda più ambita resta senza dubbio il padrino di cosa nostra Bernardo Provenzano, catturato a Corleone l’11 aprile 2006, dopo 43 anni di latitanza e dopo 42 giorni e notti d’appostamenti e otto anni di indagini massacranti. Nel 2012 è diventato capo della mobile di Roma, poi è stato messo a capo del Servizio Centrale della polizia. GIORNALE DI SICILIA
28.5.2012 – Cambio alla Mobile: lascia Rizzi e arriva Cortese, il cattura latitanti
Nominato il nuovo capo della squadra Mobile: Renato Cortese prende il posto di Vittorio Rizzi che, dopo cinque anni, lascia
Renato Cortese approda nella capitale con un curriculum di tutto rispetto: è considerato l’esperto nella cattura dei latitanti e suo fu l’arresto di Bernardo Provenzano, allora fu il primo a entrare nel casolare di ‘Montagna dei cavalli’ nei pressi di Corleone, dove si trovava Bernardo Povenzano, latitante da 46 anni.
Oltre alla cattura del secolo che gli è valsa, insieme ad altri successi, una promozione a primo dirigente, Cortese ha scovato latitanti di primissimo piano.
A Reggio Calabria arriva il 15 giugno del 2007, due mesi prima della strage di Duisburg, in cui vengono uccise sei persone. Due anni di indagini e la mobile calabrese mette a segno un importantissimo risultato: l’arresto di Giovanni Strangio, considerato l’ideatore e uno degli autori della strage in Germania. Durissimo colpo alla ‘ndrangheta, che mette un punto alla sanguinosa faida di San Luca. Ma questi sono solo due degli innumerevoli successi che Cortese ha alle spalle. Il 6 febbraio scorso ha lasciato la guida della Squadra Mobile nella citta’ dello Stretto per un nuovo incarico allo Servizio Centrale Operativo della polizia. A Roma Cortese ritrova il procuratore Giuseppe Pignatone, con cui ha gia’ lavorato a Palermo e a Reggio. Una coppia vincente, a giudicare dai risultati, nella lotta contro la criminalita’.
“Dopo quattro anni di lavoro quotidiano in comune, posso dire che è stato per me un onore poter incontrare un uomo come Vittorio Rizzi, capo della Mobile romana. Una persona integerrima e trasparente ma, soprattutto, un investigatore straordinario”. Lo afferma il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. “Il suo impegno per migliorare i livelli di sicurezza a Roma – aggiunge – è stato costante, giornaliero, profondo e non poteva non conseguire quei successi che sono solo il frutto di questo lavoro duro. Il mio non è un ringraziamento di routine ma l’attestazione di una stima che Rizzi si è conquistato sul campo. A lui, quindi, va il mio grazie sentito e il grazie, soprattutto, della città. Rivolgo anche i miei auguri di buon lavoro a Renato Cortese, nuovo dirigente della Mobile, insieme al quale sono certo che proseguirà il lavoro comune quotidiano” ROMA TODAY