OLTRE MESSINA DENARO / DEPISTAGGI & INSABBIAMENTI DI STATO: CHI FARA’ MAI LUCE?

 

 

Il capo dei capi, Matteo Messina Denaro, è morto e sepolto.
Lo Stato ha decapitato e sconfitto la mafia. Un coro assordante. E profondamente fastidioso. Perché falso.
La Mafia è più viva e vegeta che mai.

E ‘morta’ la mafia dei pizzini, della cicoria, dei rifugi improbabili, delle fughe rocambolesche, delle latitanze senza fine, del controllo capillare del territorio.
E’ finita la Mafia oleografica, che ha fatto tanto comodo a tutti per tanti, troppi anni. Coprendo il vero volto della Mafia come si è andato invece delineando negli anni e come oggi è
.

Procediamo per punti, al fine di chiarire meglio il filo del discorso.

LE “SCENEGGIATE” GIUDIZIARIE

Primo. I capi mafia, da Totò Riina in poi, non sono stati catturati dallo Stato, ma si sono fatti catturare. Nella gran parte dei casi se ne stavano tranquilli a casa loro: ed è stata una autentica ‘sceneggiata’, anche rabberciata, quella che ha raccontato le epiche gesta degli eroi antimafia i quali hanno lavorato per mesi e mesi nell’ombra, e alla fine scoperto quello che era sotto la luce del sole, e che solo chi per anni non ha voluto vedere non ha visto prima.

Oggi la Mafia – anzi da anni la Mafia – è entrata a vele spiegate nelle Istituzioni (sic), è dentro i consigli comunali, regionali, nelle Commissioni più disparate, nelle Asl, in tutti gli organismi ‘pubblici’ che gestiscono soldi, affari, appalti, concorsi, posti e chi più ne ha più ne metta.

Solo che s’è mimetizzata meglio. Ha indossato giacca e cravatta, ha il colletto bianco e inamidato (pur se non si usa più), è dentro le banche, i grandi fondi d’investimento, negli hedge fund, s’è da gran tempo internazionalizzata, globalizzata, da moltissimo ha varcato i confini nazionali e ha riciclato palate da miliardi di euro e dollari in tutte le attività economiche e commerciali di mezzo mondo. Ormai quel denaro è difficile da ‘tracciare’ e ‘riconoscere’. Tanti rampolli di ‘uomini di rispetto’ hanno preso lauree all’estero, investito, ‘lavato’ e ripulito enormi risorse, molto spesso nel ‘green’ che è andato tanto di moda: insomma, ha totalmente cambiato pelle e non mangia certo cicoria né agisce via pizzini!

Sono capaci gli inquirenti, i magistrati, di individuare e colpire questi nuovi grandi riciclatori, e soprattutto sono in grado di individuare i soliti referenti, che per anni – e ovviamente anche adesso – restano sempre dietro le quinte, invisibili più che mai e, come si dice in gergo, ‘a volto coperto’?

Ma, ancor di più, esiste una reale volontà politica di puntare a tutto ciò? Ne dubitiamo fortemente.
Eccoci quindi ad un altro punto bollente. Quello dei tanti, troppi buchi neri, dei tanti, troppi ‘Misteri di Stato’. E relativi ‘Depistaggi di Stato’.
Facciamo solo il caso delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, che danno il segno preciso dello sfacelo istituzionale e del tumore che da anni devasta il nostro ‘Stato’, se possiamo ancora chiamarlo così: un tempo si diceva ‘lotta tra Stato e anti-Stato’, ossia la mafia; oggi tutto è cambiato… perché la Mafia e lo Stato, proprio come succede con le peggiori metastasi, si ‘confondono’ e quel cancro s’è allargato ovunque…
E si volterà pagina solo e quando verrà alzato il sipario sui Misteri, I Buchi Neri, le Stragi di Stato!

IL GRANDE DEPISTAGGIO DI STATO…

Quelle stragi, dunque.

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – è qui il punto da cui partire – avevano puntato al bersaglio grosso: stavano cioè ricostruendo, tessera dopo tessera, il mosaico degli interessi mafiosi intrecciati con quelli politici e imprenditoriali. Avevano in mano un poker da novanta: politici, imprenditori, mafia & uomini dei servizi (con il condimento che non poteva certo mancare dei massoni-piduisti) uniti nella lotta, per dar l’assalto alle casse dello Stato, ai soldi pubblici. In quel momento il business su cui puntare tutte le fiche era l’Alta Velocità.
Ecco che, a febbraio ’91, finisce sulla scrivania di Falcone il super dossier Mafia-Appalti, la bellezza di quasi 900 pagine (890 per la precisione) in cui il ROS dei carabinieri effettuava una vera e propria radiografia di tutti i rapporti eccellenti tra le Mafie (dentro quindi anche Camorra e ‘Ndrangheta of course), Politici di riferimento e Imprese di copertura. Esplosivo. Tritolo allo stato puro per un’intera classe dirigente collusa con la mafia. Altro che Tangentopoli!
E quel tritolo viene usato da chi, ovviamente, non vuole che quel coperchio si alzi, anzi intende che quel Vaso di Pandora resti sigillato: e così furono Capaci prima e subito a seguire via D’Amelio.


Sorge spontaneo l’interrogativo alto come un grattacielo. Perché quell’esplosiva inchiesta avviata da Falcone e proseguita da Borsellino è stata archiviata in un baleno, neanche il tempo di piangere per il sacrificio dei due magistrati-eroi?

La cosa è tanto più grave perché proprio quel dossier Mafia-Appalti e i successivi approfondimenti delle due toghe sono il movente vero delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, come hanno più volte denunciato – vere voci nel deserto – i familiari di Paolo Borsellino.

Quante volte sono risuonate le parole della figlia Fiammetta Borsellino, che ha a più riprese attaccato, con grande coraggio civile, toghe ‘intoccabili’, come quel Nino Di Matteo che  per anni ha ‘indagato’ sulla strage di via D’Amelio?
Un giallo che la ‘Voce’ ha ricostruito in tante inchieste, beccandosi anche una citazione civile da parte del primo pm che ha avuto tra le sue mani il fascicolo processuale, ossia Anna Maria Palma, coadiuvata da Carmelo Petralia (ai quali poi si è aggiunto, appunto, Di Matteo). Colpevole, la Voce, di aver semplicemente messo le tessere del mosaico una dopo l’altra. E di aver dettagliato, in tempi non sospetti, quello che solo dopo anni è stato definito in una sentenza del tribunale di Caltanissetta come “il più grande depistaggio della nostra storia giudiziaria”.

Ma ormai la verità giudiziaria è praticamente impossibile da raggiungere, come con amarezza commenta il legale della famiglia Borsellino, il coraggioso Fabio Trizzino, che in diverse arringhe ha usato parole di fuoco a proposito del ‘Depistaggio’.

Ma il raggiungimento della verità storica, aggiunge Trizzino, può essere portato a termine: e ciò vale soprattutto per onorare e tramandare la MEMORIA storica di chi ha sacrificato la vita per servire lo Stato, e non l’anti-Stato come si diceva una volta appunto. Domani, mercoledì 27 settembre, Fabio Trizzino e Lucia Borsellino saranno in audizione a Palazzo San Macuto, sede della Commissione parlamentare antimafia.
Nella fresca puntata di ‘Stasera Italia’ del 25 settembre, ha parlato Piero Sansonetti, attuale direttore de ‘l’Unità’ e prima alla guida de ‘il Riformista’. Uno dei pochi, una rara mosca bianca, Sansonetti, nel puntare i riflettori sulla pista ‘Mafia & Appalti’ come unico, reale motivo delle stragi di Capaci e via D’Amelio: altro che Trattativa Stato-Mafia, come del resto è stato accertato anche sotto il profilo giudiziario. Ma Sansonetti è scivolato su una buccia di banana: quando ha sostenuto che il dossier Mafia-Appalti (e quindi l’inchiesta di Falcone e Borsellino) è stata affossata dai giudici perché “tra i nomi degli imprenditori non c’era quello di Silvio Berlusconi”.
Potrà anche essere vero, anzi lo sarà di certo.
Ma il motivo è proprio l’opposto: quella pista, quell’inchiesta venne affossata perché conteneva i nomi del gotha dell’imprenditoria nostrana, e i nomi dei pezzi da novanta della politica fine anni 80-inizio 90. Oltre, ovviamente, a quelli dei big di Cosa Nostra e certo non solo (anche camorristi e ‘ndranghetisti di peso).
E a questo punto non ci resta che chiudere il cerchio con un altro nome e un’altra storia, collegata a filo doppio.

… E IL GRANDE INSABBIAMENTO GIUDIZIARIO

Abbiamo appena scritto che il ponderoso dossier confezionato dal ROS e usato come base per l’inchiesta bomba di Falcone e Borsellino era incentrato sui maxi appalti.
E ovviamente su uno in particolare, quello per i lavori dell’Alta Velocità, ossia il TAV (Treno Alta Velocità), di cui la Voce ha scritto più e più volte. E il direttore della Voce, Andrea Cinquegrani, ha preso parte, nel 1992, ad un acceso dibattito al ‘Costanzo show’: una puntata, infatti, venne dedicata proprio al TAV. Sul palco, per rispondere alle domande, l’allora vertice per le nostre Ferrovie per occuparsi di Alta velocità, Giuseppe  Sciarrone, poi passato, anni dopo, alla guida del progetto concorrente ‘Italo’. In quell’occasione Sciarrone non fu in grado di rispondere alle domande poste da Cinquegrani, su fatti e circostanze molto precise: “mi riservo di approfondire la questione”, commentò.Perché la bomba era di dimensioni spaventose. E doveva essere assolutamente disinnescata. E quale poteva mai essere l’artificiere più in gamba, più esperto, più navigato? Ma il Grande Moralizzatore, il Padre di tutte le Inchieste, il Super Pm senza macchia e senza paura che faceva parlare tutta l’Italia di allora: Antonio Di Pietro, naturalmente. Che, in quell’occasione, si trasformò, come un gran mago, nel grande depistatore, o meglio nel Grande Insabbiatore.
Ecco i fatti, narrati per filo e per segno in un libro che tutti gli italiani dovrebbero leggere, ‘Corruzione ad Alta Velocità’ firmato nel 1999 (quindi quasi un quarto di secolo fa) dal grande magistrato (lui sì) Ferdinando Imposimato, e da un grande giornalista d’inchiesta, Sandro Provvisionato (fondatore del mitico sito ‘Misteri d’Italia’): ed entrambi grandi amici della Voce con la quale hanno collaborato per decenni (Imposimato) e per molti anni (Provvisionato).
La maxi inchiesta TAV sboccia in due procure, quella milanese dove opera il mitico Pool, e quella capitolina, allora etichettata come ‘il Porto delle nebbie’. In particolare, la procura romana si occupava del versante politico-amministrativo (perché a Roma hanno sede i ministeri e pulsa il cuore della burocrazia) mentre quella meneghina del versante imprenditoriale.
E a Milano l’imputato eccellente era uno, Francesco Pacini Battaglia, definito dallo stesso don Tonino come “l’Uomo a un passo da Dio”. E proprio in forza di quella carta vincente, il pm Di Pietro riuscì nella ‘magia’ di avocare a sé la maxi-inchiesta, ottenendo quindi il controllo di tutto il super fascicolo TAV.
Ti aspetti, a questo punto, il solito grintoso Di Pietro che usando il pugno di ferro, minacciando la gattabuia ai suoi inquisiti, riesce ad ottenere da quella ‘fonte miracolosa’, ossia Pacini Battaglia – che conosce tutti i grandi misteri finanziari di casa nostra, a cominciare dalla madre di tutte le tangenti,ENIMONT – una verbalizzazione alla grande, in grado di ricostruire tutte le tessere, anche stavolta, del puzzle. E invece niente. Zero assoluto.
Come mai, in quell’occasione, l’arcigno Di Pietro si mostrò un vero agnellino e usò il guanto di velluto? L’asso nella manica fu l’avvocato ‘scelto’ dall’Uomo a un passo da Dio: invece di un principe del foro milanese, un vero ‘paglietta’, un avvocato del tutto sconosciuto appena arrivato dall’Irpinia, tale Giuseppe Lucibello. Che nel suo pedigree, però, poteva contare su una carta da novanta: era un ottimo amico proprio di Di Pietro.
Facile facile, quindi, l’interrogatorio per il super imputato: che non raccontò nulla di rilevante ma non passò neanche un’ora in gattabuia. Incredibile ma vero.
Una delle non poche ‘anomalie’ nel percorso giudiziario made in Di Pietro: che dovè risponderne davanti ai magistrati di Brescia. La sentenza fu lapidaria: nessuna conseguenza penale, nessuna condanna, ma una pesantissima censura sotto il profilo morale, professionale, deontologico. Quei cadeau così generosamente elargiti dagli imputati del Super Pm filarono via lisci come l’olio…
Resta, agli archivi storici, la frase pronunciata da Pacini Battaglia al telefono ed intercettata: “Mi hanno sbancato”…
Ciliegina sulla torta. Di Pietro ‘gestì’ anche un altro big dell’economia e della finanza, Raul Gardini. Il quale quella tragica mattina del 23 luglio 1993 sarebbe dovuto andare in Procura, a Milano, per la verbalizzazione clou.
Ma non ci arrivò mai. Perché si tolse la vita con una revolverata alla tempia.Un altro mistero mai chiarito. Un altro buco che più nero non si può…

 

LA VOCE DELLE VOCI 26 Settembre 2023 di: Andrea Cinquegrani

 

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