In aula l’ex pm Antonio Di Pietro: “Falcone mi disse, controlla gli appalti in Sicilia. Borsellino mi confidò: bisogna fare presto”. Un pezzo della tangente Enimont arrivata in Sicilia, a Salvo Lima

 


La deposizione di Di Pietro

Precisa: “Con i dottori Falcone e Borsellino ho avuto rapporti di lavoro all’epoca in cui ero sostituto procuratore a Milano, non posso dire di essere stato loro amico, ma ci incontravamo”. Antonio Di Pietro, ex pubblico ministero di “Mani Pulite”, rievoca i contatti con Giovanni Falcone all’inizio del 1992: “Dopo l’arresto di Mario Chiesa c’era bisogno di fare alcune rogatorie in Svizzera. Volevamo trovare la provvista per le tangenti. Falcone era direttore degli affari penali del ministro della Giustizia: mi fece da insegnante in una materia di cui sapevo poco, mi mise anche in contatto con la collega svizzera Carla Del Ponte”.

Al processo d’appello per la “Trattativa Stato mafia”, il legale del generale Mario Mori, l’avvocato Basilio Milio, ha convocato l’ex senatore per chiedergli di parlare delle indagini sulle tangenti attorno alle opere pubbliche, di cui anche i carabinieri del Ros si erano occupati in quella stagione. “Falcone mi disse, guarda negli appalti in Sicilia – dice Di Pietro – Il giorno del funerale di Falcone, ne parlai con Borsellino. Che mi sussurrò: ‘Bisogna fare presto’. Era un riferimento a coordinare le indagini sul territorio nazionale”.

Di Pietro parla anche della maxitangente Enimont, 150 miliardi delle vecchie lire: “In parte, quei soldi provenienti dall’imprenditore Raul Gardini, in Cct, arrivarono pure in Sicilia, a Salvo Lima. Sarebbero arrivati attraverso Cirino Pomicino”.

“Dopo la morte di Borsellino rimasi scosso – prosegue l’ex pm – avevo capito la diffusione del sistema, mi chiusi in me e continuai a indagare. Intanto, era arrivata una segnalazione del Ros, per una minaccia di attentato nei miei confronti. E con un ufficiale del Ros, di cui non ricordo il nome, andai a parlare in carcere con l’ex capo area della Rizzani De Eccher in Sicilia, il geometra Giuseppe Li Pera”. Quell’ufficiale era l’allora capitano Giuseppe De Donno, rivela in aula il suo legale, l’avvocato Francesco Romito. Anche De Donno è stato condannato in primo grado nel processo “Stato-mafia”. “Disse che Li Pera poteva parlare di tanti appalti in Sicilia. Aggiunse che a Palermo non volevano sentirlo”.

Il racconto di Antonio Di Pietro si fa appassionato quando rievoca i suoi colleghi uccisi nel 1992: “Falcone mi disse che in Sicilia bisognava fare i conti con un terzo soggetto. Accanto ai politici e agli imprenditori, i mafiosi. Ne parlai con Borsellino, che però non mi disse quello che stava facendo, non mi disse che stava lavorando sul rapporto mafia e appalti, e che stava ascoltando il pentito Mutolo. Mi disse però che dovevamo tornare a incontrarci, era convinto che in Italia ci fosse un sistema di spartizione nazionale attorno agli appalti”.

Il discorso torna sulla maxi tangente Enimont: “L’avvocato di Gardini, all’epoca latitante, mi assicurò che si sarebbe consegnato. Io volevo sapere che fine avessero fatto i soldi della maxi tangente. La notte prima dell’interrogatorio, l’imprenditore tornò nella sua abitazione, che tenevamo sotto controllo. La polizia giudiziaria mi chiese se doveva scattare l’arresto. Dissi di aspettare”. La mattina seguente, Gardini si suicidò. “E’ il dramma che mi porto dentro”, dice Di Pietro. Che poi, però, sbotta: “Questo che c’azzecca con la trattativa?”. Ma dice: “Sono convinto che la morte di Paolo Borsellino sia legata alle indagini sugli appalti che voleva avviare. Io sono stato invece fermato con la delegittimazione, attraverso un’attività di dossieraggio messo in atto da uomini dei servizi segreti. Su questo bisognerebbe indagare per capire perché è finita l’inchiesta Mani Pulite”.   

Tratto da LA REPUBBLICA – Salvo Palazzolo 03 Ottobre 2019

 

 

Il Rapporto “Mafia&Appalti” e l’eliminazione del dottor Paolo Borsellino

 

 

 

 

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