PAOLO BORSELLINO è un uomo solo, un uomo avversato, un uomo che è costretto a comunicare come un carbonaro

 

 

 

Dall’audizione dell’avvocato FABIO TRIZZINO in Commissione Parlamentare Antimafia 

 

Paolo Borsellino è un uomo solo, un uomo avversato, un uomo che è costretto a comunicare come un carbonaro. E, vi assicuro, questo non faceva parte del suo bagaglio di conoscenze.
Tant’è vero che quando arriva alla procura dice a Ingroia: «Io so che Giammanco mi osteggerà, ma non ho alternative e poi io mi guadagnerò il mio spazio a poco a poco.
Non metterò in atto la strategia di Giovanni Falcone che ha impattato il Giammanco». Anche se Giovanni Falcone lo vedremo analizzando le singole annotazioni del suo diario.
Giovanni Falcone aveva motivi, è stato umiliato grandemente da Giammanco davanti a giovani sostituti pure dell’ordinaria.
Allora qui possiamo utilizzare tutte le sovrastrutture ideologiche di grandi sistemi, ma la sofferenza più grande è arrivata anche lì dentro.
Allora andiamolo a cercare se Giammanco agiva in nome e per conto di qualcuno.
Ma non è più possibile perché Giammanco è morto.
Giammanco ha avuto il commodus discessus sotto ogni profilo.
È stato sentito per la prima volta nel 2017 ma, poverino, non era più in grado perché non stava bene.
Io ho ancora davanti a me la dolorosa immagine del procuratore Tinebra, sentito al «Borsellino quater», che non stava bene, stava malissimo.
Potevamo acquisire le dichiarazioni rese nel corso delle indagini ed evitare quella drammatica istruzione dibattimentale con la presenza di un uomo che tutti ricordavamo nel pieno dell’esercizio delle sue funzioni, su cui poi magari ne parliamo perché il depistaggio nasce anche lì.
Allora di questo dobbiamo parlare anche agli italiani, del nido di vipere.
Io ci tengo particolarmente, perché queste cose non accadano mai più.
Io dico che anche l’istituzione magistratuale deve essere pronta, oltre a tutti gli altri ambiti dello Stato, a guardare dentro di sé e a quello che ha combinato in quel frangente della storia repubblicana.
Tutti dicono che Borsellino, morto Falcone, sarebbe andato a fare il Procuratore nazionale antimafia, ma nessuno sa che il plenumdel CSM, tra il 15 e il 20 giugno del 1992, bloccò qualunque richiesta di riaprire i termini del concorso, disse che Borsellino non aveva titoli e che non avrebbe sopportato l’ingerenza del potere esecutivo rispetto a un concorso che era già sotto delibazione o quasi definito.
Il CSM, quando ci sono di mezzo Falcone e Borsellino, è stato velocissimo, pronto, sempre. Sempre pronto.
Io non ho visto in questi anni la magistratura ragionare su come ha in qualche modo cannibalizzato i suoi figli migliori.
Non ho mai sentito un mea culpa. «Abbiamo sbagliato, cosa abbiamo combinato, non abbiamo capito niente».
Niente di tutto questo.
Quindi Borsellino, dicevo, ha (che ha la competenza solo su ) Trapani e Agrigento, non si lamenta e dice: «Va be’, mi conquisterò i miei spazi».
Succede che muore Lima, come ho detto lui arriva il primo è Lima viene ammazzato il 12.
Allora anche lui viene coinvolto con tutti i procuratori aggiunti in quelle che sono le indagini immediate che conseguono a un omicidio di quel tipo.
Borsellino però fa delle proposte e il paventato clima di ostilità, che lui aveva confidenzialmente detto a Antonio Ingroia, si esprime in un’assoluta non considerazione della sua richiesta di una rogatoria negli Stati Uniti per interrogare don Masino Buscetta, per capire quali erano le evoluzioni legate a questo omicidio.
Ricordo come se fosse ieri l’immagine preoccupata di Giovanni Falcone (intervistato non mi ricordo da chi, ma su YouTube si trova) che dice preoccupatissimo: «Da questo momento può succedere di tutto».
Falcone e Borsellino erano talmente in grado di decifrare la realtà, che in quell’intervista Falcone è veramente rabbuiato, sa che sta arrivando lo tsunami.
Si lamenta anche Borsellino della inadeguatezza delle indagini patrimoniali, in particolare sul patrimonio mobiliare di Lima, dicendo che non poteva essere quello il patrimonio in termini di depositi dell’onorevole Lima.
L’intuizione di Paolo Borsellino relativamente all’inadeguatezza delle indagini illo tempore fatte su Lima riecheggerà nella famosa testimonianza di Antonio Di Pietro nel processo Borsellino ter, che poi è stata ribadita anche nel processo Trattativa, in cui dice che lui riuscì a trovare nel novembre 1993, in BOT e CCT, 500 milioni che arrivavano da Cirino Pomicino a Lima.
Vedremo, parlando di Mafia-Appalti, la centralità che aveva Lima nel sistema.
Le cose cambiano per Borsellino con la strage di Capaci, a quel punto quelle competenze cominciano a stargli strette.
Perché è colpito sul piano professionale, è colpito sul piano umano e soprattutto – ecco il punto – egli è convinto che Falcone muore, e ce lo dirà il 25 di giugno a Casa Professa, perché non si voleva che ritornasse a fare il magistrato a fare le indagini che voleva fare.
Vi assicuro che il chiodo fisso di Falcone, e questo risulta, era Mafia-Appalti. E su questa linea di continuità si pone anche Paolo Borsellino.
Tanto ciò è vero che indagando su un fatto di sua competenza, che è l’omicidio del maresciallo Guazzelli (fatto avvenuto ad Agrigento, quindi non c’era il problema di dovere in qualche modo chiedere la titolarità del fascicolo, era lui che aveva quella provincia e quindi poteva indagare), man mano che indaga e man mano che acquisisce alcune informazioni (ve lo spiegherò nel corso di questa relazione) da Catania da una parte, dall’altra certe informazioni che gli vengono rassegnate dai ROS, apprende di una circostanza che rivelerà soltanto ai dottori Scarpinato, Ingroia e Teresi.
Cioè che Siino Angelo e Cascio Rosario si erano recati dal maresciallo Guazzelli per ottenere in qualche modo un trattamento di favore rispetto alle indagini di Mafia-Appalti.
La cosa incredibile è che l’episodio viene collocato ovviamente in un’epoca precedente l’arresto del Siino, che avviene il 9 luglio del 1991.
Il rapporto viene depositato il 20, quindi questo episodio si inserisce tra il 20 febbraio e il 9 luglio del 1991.
E come faceva Siino a conoscere che vi era la necessità che la sua posizione all’interno del rapporto venisse in qualche modo ammorbidita? Il rapporto doveva essere segreto.
È un’annotazione, è una comunicazione notizia di reato.
Perché lui prende l’iniziativa di andare dal maresciallo Guazzelli insieme a un altro soggetto di un certo spessore, come Cascio Rosario, per cercare di corrompere il sottufficiale di polizia giudiziaria?
Ci dice Borsellino, probabilmente appreso dai compagni di caserma del Guazzelli, che la reazione di Guazzelli fu talmente furiosa rispetto a questo tentativo di corruzione che, uscito da quell’incontro, il Siino si sentì male, molto male, gli venne da vomitare eccetera, e che quindi si rivolse all’onorevole Lima per cercare di ottenere lì la protezione che gli era stata negata da Guazzelli.
Ma la cosa assurda è che tutto questo Borsellino lo racconta senza sapere quello che succederà dopo, quando lui è morto.
O forse lo sapeva, suppongo che lo sapesse questo punto.
Perché Li Pera, quando comincia a parlare a Catania con Felice Lima, la prima cosa che racconta è: «Guardate che noi sapevamo più o meno tutto il contenuto del rapporto Mafia-Appalti», quindi il rapporto fu oggetto di una illecita divulgazione.
Su questo c’è stato un procedimento che poi si è definito con un’archiviazione, però resta la circostanza di fatto che gli indagati del rapporto Mafia-Appalti fossero a conoscenza delle risultanze compendiate nel relativo rapporto.
Allora, dicono Teresi e Ingroia nei verbali della commissione del 1992: «Dato che noi non avevamo mai avuto prima di un anno fa, noi non sapevamo niente di tutto questo. Niente!»
Borsellino ci dice: «Fatemi una cortesia, per me questa cosa va a Lima, Lima viene ammazzato perché non riesce a garantire attraverso D’Acquisto su Giammanco la copertura su Mafia-Appalti».
Tant’è che il dottor Vittorio Teresi, onestamente, nel dicembre del 1992, nel raccontare questo episodio a Cardella… che poi è finito nel dimenticatoio, forse è sfuggito a me, però anche lì il dottor Teresi non è stato chiaro e preciso come invece nei verbali.
Dice: «No, Paolo Borsellino pensava che Lima fosse stato ammazzato perché in realtà non era in grado di garantire l’associazione rispetto allo sviluppo delle indagini su Mafia-Appalti».
Quindi accanto al mancato aggiustamento del processo, accanto al mancato aggiustamento dell’inchiesta Mafia-Appalti,vi era un motivo più che evidente agli occhi dell’organizzazione per far fuori un amico che non era più in grado di svolgere il proprio ruolo. Ma queste sono intuizioni del dottor Borsellino, io non voglio dire che è questa la verità.
Io voglio dire che Paolo Borsellino aveva delle ipotesi.
Queste ipotesi poi effettivamente rimandano sempre là, sempre a questo benedetto rapporto del ROS. Incompleto, imperfetto, quello che volete, ma Paolo Borsellino è convinto che lì vi sia una delle chiavi, se non la chiave, di spiegazione della strategia criminale in corso. Questo va detto.
Non si può dire, come ho letto in una sentenza, che è logico ritenere che Paolo Borsellino non conoscesse il rapporto Mafia-Appalti. È un falso storico. È un falso.
Lo trovate in tutti i verbali della commissione del CSM come atti più recenti, ma lo trovate anche nelle sentenze che vi ho citato, lo trovate in «Mandanti Occulti bis», la richiesta di archiviazione del 2003.
Nel frattempo succede che nel ’97-98 si pentono Angelo Siino e Giovanni Brusca, nel 1996 si pente Brusca ma comincia a essere creduto dal 1998 in poi.
Quello che descrivono Siino e Brusca è: «Noi temevamo che Borsellino si ponesse sullo stesso livello di Falcone e potesse in qualche modo scoprire il nostro disegno egemonico, che era quello di arrivare al potere sedendoci a tavolino e soprattutto contando finalmente qualcosa in seno ai gruppi politici imprenditoriali di rilevanza nazionale e ai grandi politici. Vogliamo arrivare a Roma».
Se ci pensate questo è molto in linea con la descrizione del contesto che io vi ho fatto.
Perché nel momento in cui il sistema partitocratico crolla avviene qualcosa che si può chiamare la delocalizzazione, cioè il controllo del territorio diventa sì importante, ma visto che la società civile continua ad avanzare nel progresso culturale di contrasto, io so che a livello locale controllerò sempre meno società civile e quindi quello che conta è entrare nel sistema della combine dei grandi affaristi e da lì muovere le vere leve del potere, che sono quelle finanziarie che poi raggiungono anche quello politico. In nuce, tutto questo è perfettamente delineato nel rapporto del ROS del 1991.

 

 

 

Strage di Via D’Amelio – In COMMISSIONE ANTIMAFIA le audizioni dei famigliari di Paolo Borsellino e testimoni