Mafia, appalti e l’intreccio per isolare Borsellino: “Un amico mi ha tradito”

 

Federica Olivo 15

“Un amico mi ha tradito”, disse Paolo Borsellino pochi giorni prima di morire a chi gli era più vicino. Una frase forte, subito portata all’attenzione, ma mai approfondita abbastanza. Riemerge, questa come tante altre, nelle ultime battute della requisitoria del pm Stefano Luciani al processo per il depistaggio successivo alla strage di via D’Amelio. Alla sbarra ci sono tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, imputati per calunnia aggravata dal fatto di aver favorito Cosa Nostra. Nel lungo lavoro di ricostruzione, che ha portato il magistrato a chiedere pesanti condanne nei confronti dei tre ex agenti, riemergono con chiarezza alcuni dei fatti che hanno suscitato dubbi già a pochi giorni dalla strage, come la presenza di una persona estranea a Cosa nostra nel garage dove fu portata l’auto che sarebbe stata imbottita di tritolo, la strana sparizione dell’agenda rossa e l’altrettanto strano trattamento della borsa che Paolo Borsellino aveva con sé il 19 luglio 1992, il giorno dell’attentato. In secondo luogo, il pm torna, in più passaggi, su una pista alla quale Borsellino stava lavorando prima di morire: quella degli appalti.
Nel riportare ampi stralci della requisitoria del pm partiamo dalla preparazione dell’attentato, per passare poi alle stranezze durante le indagini. Concluderemo con i riferimenti al dossier mafia-appalti e con il racconto dell’isolamento subito da Borsellino. Un isolamento, racconta un collaboratore di giustizia, organizzato a tavolino. Per preparare terreno fertile per la strage

Come chi ha seguito la vicenda saprà molto bene, a dare il via alle indagini sul depistaggio sarà Gaspare Spatuzza. Dopo il pentimento, avvenuto nel 2008, si autoaccuserà del furto dell’auto che era servita per l’attentato. E racconterà una storia nuova. Nello stralcio che riportiamo, racconta di quando notò, in una fase importante della preparazione dell’attentato, la presenza di un soggetto sicuramente esterno a Cosa nostra. Sembra un dettaglio, ma non lo è, perché dimostra, ad avviso del pm, che nel progetto stragista c’erano altri attori, oltre alla mafia.

Su cosa vogliamo richiamarvi all’attenzione? Su due elementi che, ad avviso del Pubblico ministero, vanno finalmente letti in connessione l’ uno all’ altro.

Quello che mi permetto di dire, e che mi è parso di notare, è che da quando sono atterrati sul tappeto dell’ autorità giudiziaria questi elementi sono stati letti in maniera tra loro scollegata. A cosa faccio riferimento? Faccio riferimento innanzitutto a una dichiarazione resa dal collaboratore Gaspare Spatuzza. Perché, a mio parere, se si vuole avere una chiave per cercare di comprendere, per quanto è possibile, un po’ le motivazioni che sottostanno a questo depistaggio è utile partire da un’ operazione molto semplice: quella di fare un confronto tra il prima e il dopo: qual è lo scenario complessivo che arriva dalle dichiarazioni di Vincenzo Scarantino equal è lo scenario che arriva dalle dichiarazioni ritenute giudiziariamente vere di Gaspare Spatuzza. Bene, lo vedrete perché poi questo l’ avete già visto ed è un argomento sul quale focalizza l’ attenzione anche la sentenza numero 17 della corte d’ assise di Caltanissetta del Borsellino quater. La versione che rende Vincenzo Scarantino e quella che rende Gaspare Spatuzza sulla fase esecutiva, strettamente intesa, della strage di via D’ Amelio sono pressoché sovrapponibili. Entrambe che cosa descrivono ed entrambe che cosa hanno ad oggetto? Il furto della centoventisei utilizzata per la strage,il successivo ricovero e custodia dell’ auto, nella versione di Spatuzza c’ era anche la riparazione della macchina dai suoi guai meccanici, il successivo trasporto dell’autovettura nel luogo dove viene imbottita, il furto delle targhe con la complicità di con la complicità di Orofino Giuseppe (…). Ciò che non troverete nella versione di Scarantino è ciò di cui parleremo di qui a un attimo: cioè la presenza di un individuo all’ interno del garage di via villa Sevaglios non conosciuto da Gaspare Spatuzza e dallo stesso individuato come possibile soggetto esterno all’ organizzazione mafiosa. Allora qua apro una parentesi: cosa persuade del fatto che questo sia uno dei punti focali della vicenda? È quello che è avvenuto di recente ed è quello sul quale, si è anche paventato un interesse da parte dell’ ufficio a non consentirne la conoscenza processuale in questa sede. Faccio riferimento a quello che è un altro vero e proprio depistaggio, cioè le dichiarazioni rese dal collaboratore Avola Maurizio, che guarda caso intervengono proprio su questa vicenda ancora una volta per ridimensionarla e per ricondurla, non ambienti esterni a Cosa Nostra ma ad ambienti interni a Cosa Nostra e così chiudere ancora una volta la partita la vicenda e dispiace che non sia stato introdotto nell’ ambito di questo processo. Ex collaboratore di giustizia. Ed è una vicenda, mi permetto di dirlo sin d’ ora che stranamente, assomiglia ad un’ altra vicenda nella quale ci siamo imbattuti mentre facevamo le indagini sulla strage di via D’ Amelio riaperte grazie alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza. Quando ad un certo punto compare su quotidiani di rilievo nazionale il fatto che le riprese fatte il giorno della strage avevano consentito di accertare la presenza sul luogo della strage, buttata per terra vicino ad alcuni detriti, dell’ agenda rossa del dottor Paolo Borsellino, altro depistaggio perché si rivelò puoi essere il parasole di un’ autovettura. Quali sono queste dichiarazioni rese da Gaspare Spatuzza? Ve ne diamo conto in estrema sintesi molto velocemente, sono dichiarazioni che ovviamente si inseriscono nel quadro della ricostruzione effettuata da corroborato in merito alle fasi esecutive della strage di via D’ Amelio che sono suscettibili di essere, come dire, sintetizzate schematizzate nelle seguenti fasi: appunto il furto della centoventisei ripristino della sua efficienza all’ interno del magazzino di Roccella Corso dei Mille, il recupero di un’ antennina e di una batteria che chiaramente servirono per l’ approntamento del congegno esplosivo all’ interno dell’autovettura, lo spostamento il sabato diciotto luglio del mille 1992 dell’autovettura dal garage di di Roccella Corso dei Mille dov’ era stata ricoverata per essere ripristinato l’ impianto frenante, per risolvere i problemi di meccanica di carrozzeria (…) e poi il furto compiuto nelle prime ore pomeridiane delle targhe dell’ autovettura all’ interno della carrozzeria di Roma fino poi consegnate dallo stesso Gaspare Spatuzza nelle mani di Giuseppe Graviano, nel maneggio dei fratelli vitale a Palermo nel tardo pomeriggio del 18 luglio 1992. Queste sono le fasi che descrive Spatuzza, che troverete ovviamente analiticamente descritte ricostruite nella sentenza della corte d’ assise uno dei due due mila diciassette il Borsellino quater cui ovviamente rimandiamo in questa sede.

Ma vediamo, nel dettaglio, cosa dice Spatuzza di questo soggetto esterno:

Con la coda, dell’ occhio Spatuzza si avvede della presenza, dietro e Renzino Tinnirello di un’ altra persona che non riesce e non riuscirà mai a descrivere completamente perché si è trattato, come dire, di un avvistamento che dura pochi secondi. Spatuzza dice sempre ‘io della testa ho come un negativo di una foto’. Ma comunque ha modo di vedere e di capire che si tratta di un soggetto che non ha mai visto prima e che non vedrà mai neanche successivamente. (…) Ma che cosa rileva? Rileva il fatto che Spatuzza ammette oggettivamente non soltanto da un punto di vista deduttivo, ma oggettivamente, in collegamento questa persona con ambienti esterni a Cosa Nostra. Per alcuni ordini di ragioni che cerco di esprimervi e di sintetizzare. Il primo: non aveva mai avuto a che fare con questo soggetto,

ne avrà mai a che fare successivamente un questo soggetto il dato non è un un dato da poco, perché Gaspare Spatuzza – eccezion fatta per la strage di Firenze alla quale io non partecipa direttamente – partecipa a tutte le stragi del 1993, fino ad arrivare a quella fa al fallito attentato a Totuccio Contorno nell’aprile del 1994. Quindi Spatuzza è la presenza costante della stagione stragista di Cosa Nostra: parte da Capaci, arriva fino a Formello eppure di questa persona non ha più un riscontro successivamente, né lo aveva avuto precedentemente. E c’è poi un altro discorso che fa Spatuzza ugualmente di natura o oggettiva che lo porta a concludere il fatto è questo oggetto non fosse riconducibile ambienti a Cosa Nostra ed è il fatto che è il fatto che tutti gli attentati di Cosa Nostra che aveva provato a realizzare attraverso l’ attivazione a distanza della carica esplosiva, erano di dritto o di rovescio, falliti. Eccezione fatta per via D’ Amelio. Era fallito l’ attentato a Maurizio Costanzo, era fallito, e lì ne ha contezza diretta, perché lui è lì presente nel momento in cui si schiaccia il pulsante del far detonare l’ ordigno esplosivo, l’attentato allo stadio Olimpico Roma del gennaio del 1994, fallisce due volte l’ attentato a a Totuccio Contorno a Formello, sempre per questioni legate l’ attivazione della carica.

Questi elementi, insomma, dimostrano secondo il pm l’anomalia della strage. Ma anomalie in questa vicenda ce ne sono tante. Alcune più note, altre meno. Tra quelle più note ricordiamo la sparizione dell’agenda rossa, sulla quale Borsellino annotava appuntamenti e informazioni riservate, e lo strano spostamento della borsa da lavoro. Le riportiamo, perché per quanto conosciute più di altre, in questo contesto assumono ancor più valore.

La borsa di colore scuro di Paolo Borsellino giace per mesi sul divano di Arnaldo La Barbera. Fino alla data del 5 novembre del 1992 non è mai acquisita perché manca un verbale di sequestro”. Una evidenza importante però – continua Luciani – arriva dalla deposizione resa in questo processo, e nel Borsellino Quater, dalla dottoressa Lucia Borsellino. Dice in sintesi che alcuni mesi dopo la strage La Barbera si recò dalla signora Angese Piraino per consegnarle la borsa del marito. Fu Lucia Borsellino ad accorgersi che mancava l’agenda rossa e a chiedere spiegazioni al dottore Arnaldo La Barbera, il quale chiuse il discorso dicendo che non c’era nessuna agenda rossa da restituire. A quel punto infastidita da questo atteggiamento si allontanò dalla stanza sbattendo la porta e La Barbera disse alla signora Piraino che la ragazza aveva bisogno di supporto psicologico perché delirava. Arnaldo La Barbera che era colui che depistò le indagini con dichiarazioni di falsi collaboratori fu anche colui che negò dell’esistenza dell’agenda rossa di cui gli venne chiesto conto nell’immediatezza dei fatti.

Borsellino, prima di morire, si sentiva isolato, come abbiamo accennato prima. Era impensierito e raccontava le sue sensazioni alla moglie. Il pm le sintetizza così:

La signora Agnese ricordò che suo marito le disse testualmente che c’era un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato e che c’era contiguità tra mafia e pezzi dello Stato interessati alla sua eliminazione. Borsellino, sempre secondo quanto ha raccontato la moglie, in quel periodo chiudeva sempre le serrande di casa temendo di essere visto da Castel Utveggio che in quel momento era il simbolo della presenza di apparati deviati dello Stato. E ancora la signora Agnese dichiarò che durante una passeggiata Paolo Borsellino le disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo ma gli stessi colleghi e altri che avrebbero permesso che si potesse addivenire alla sua eliminazione”.

Ma a cosa si riferisce Borsellino quando parla di ‘un colloquio’ tra mafia e Stato? In tanti hanno ricondotto queste parole alla presunta “Trattativa stato-mafia”. Il realtà, molto probabilmente, il riferimento era un altro. E lambiva il dossier mafia appalti, nel quale erano evidenziati i rapporti tra mafia, politica e imprenditoria locale. E nazionale Rapporti che, come vedremo tra poco, andavano a lambire anche il Palazzo di giustizia.

Occorre anche darvi conto di elementi che a parere del Pubblico ministero vi dimostrano convergenze che certamente vi sono state nella ideazione della strage di via D’ Amelio tra i vertici gli ambienti riferibili all’ organizzazione mafiosa e ambienti esterni ad essa. Anche qua attingendo a piene mani dalla sentenza del Borsellino quater e coordinando quegli elementi con ciò che è emerso nel corso di questo processo non si può che partire da un dato che viene, e direi giustamente valorizzato, nella sentenza del Borsellino quater e cioè le dichiarazioni che rende in quella sede il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè. (…) Cosa dice in sintesi Giuffrè in quella sede, ma in verità in ogni sede in cui è stato escusso in relazione alle stragi del 1992? Dice essenzialmente due cose: che, prima di dar corso alla strategia stragista, Cosa Nostra aveva effettuato, testualmente, dei sondaggi con, sempre testualmente, persone importanti appartenenti al mondo economico e politico. La dichiarazione sul punto è eloquente. (…) Giuffrè, su domanda che riguardava se gli risultava che Cosa nostra prima di deliberare le stragi di Capaci e via D’ Amelio avesse assunto contatti e preso contatti con soggetti esterni a Cosa Nostra, risponde positivamente. E dice: “Prima di intraprendere, si sentivano gli umori di quelle persone importanti e quando io parlo di persone importanti”… Attenzione, vi pregherei di prestare un minimo di attenzione agli ambienti di riferimento di cui parla Giuffrè. “Le persone importanti, parlo di imprenditori, una parte cioè gli uomini politici che potevano essere di aiuto. Si è parlato di come Borsellino e Falcone (nella loro attività di contrasto alle mafie, ndr) hanno inciso profondamente in discorsi economici e in modo particolare anche il discorso degli appalti pubblici lavori pubblici. Discorso a livello massonici. Non era una novità che sto scoprendo io oggi che Salvatore Riina e Provenzano erano in contatto con persone importanti”. Dunque il dato è, Giuffrè dice che è a conoscenza del fatto che Cosa Nostra, prima di deliberare gli attentati ha sondato i contatti, di cui disponeva negli ambienti imprenditoriali politici e massonici, per verificare convergenza di interessi in merito alla realizzazione di questi attentati.
In sede di controesame (…) Giuffrè integra e specifica questa dichiarazione con due concetti del pari estremamente importanti ai fini di questo processo perché dice Giuffrè che si era trattato di sondaggi che avevano avuto come fondamento come loro giustificazione la pericolosità di alcuni soggetti, nella fattispecie del dottor Falcone e del dottor Borsellino, sia per l’ organizzazione mafiosa sia per gli ambienti esterni che con l’ organizzazione mafiosa erano in rapporti, da cui traevano il più il loro tornaconto. Rapporti che entrambe le parti erano interessati a mantenere ben saldi. Due, che attraverso questo tipo di cointeressenze tra i diversi ambienti, cioè quelli interessati all’ eliminazione dei magistrati – quello mafioso e quello contiguo colluso all’ organizzazione mafiosa ed esterno adesso – si era venuto a creare un isolamento dei due magistrati che aveva costituito il terreno fertile, l’ humus, sulla base della quale Cosa Nostra aveva trovato la possibilità di condurre proficuamente e portare a termine i due attentati.

A questo punto il pm entra nel dettaglio. E fa riferimento ad alcuni personaggi non ufficialmente di Cosa Nostra, ma molto legati a quest’ultima. Si tratta, anche se in estrema sintesi, del sistema di gestione degli appalti su cui Borsellino avrebbe voluto fare degli approfondimenti.

Chi è Pino Lipari? La figura di Pino Lipari vi emerge innanzitutto dalla sentenza 29/97 cui facciamo rinvio e alla quale accenneremo di qui a poco, ma vi emerge dalle dichiarazioni che rende in questo processo Giovanni Brusca, così come anche poi delle dichiarazioni di Giuffrè. Ma che cosa vi dice Brusca in merito a Pino Lipari? L’ udienza del 6 febbraio 2019. Stiamo parlando delle convergenze tra Cosa Nostra e ambienti esterni a Cosa Nostra quindi dobbiamo capire chi è questo Pino liberi il riferimento a questi ambienti esterni. Cosa vi dice Brusca? Brusca vi parla dell’ impresa Reale, ve lo accenno adesso e ve lo dirò di qui a poco, e parla della figura di Pino Lipari proprio in riferimento a questa impresa Reale. L’ impresa Reale era un’ iniziativa economica che era sponsorizzata direttamente da Salvatore Riina. In questo contesto, dice Brusca, l’ impresa Reale è un’ impresa fallita. A un certo punto questa impresa riemerge sponsorizzata Salvatore Riina, messa in giro nei grandi appalti. Doveva essere lo strumento per creare il nuovo canale politico istituzionale. Quindi attraverso l’impresa Reale, che Salvatore Riina sponsorizzava come fosse sua, che non era sua, ma (sperava?, ndr) di poterla inserire in qualsiasi lavoro, in qualsiasi territorio affinché potesse assumere quel potere politico per poi trattare con nuovi soggetti politici. Cioè l’ impresa Reali è, attenzione, nel 1991 è uno degli strumenti che venne individuato da Cosa Nostra quale possibile cerniera tra il mondo mafioso quello politico di rilievo nazionale e imprenditoria di rilievo nazionale. E chi c’ è dietro l’ impresa Reale come referenti per Cosa Nostra al fine di trovare questo tipo di aggancio di cointeressenze per quanto riguarda Cosa Nostra ? “Siccome fu oggetto di una mini commissione – dice Brusca – sul piano di Cosa Nostra io, Pino Lipari, e Antonino Buscemi Antonino Buscemi doveva curare il rapporto con le figure del gruppo Ferruzzi ma era l’ ingegner Bini quello che rappresentava questa nuova cordata politica imprenditoriale.

Nel corso della requisitoria si fa spesso riferimento a Giammanco, che era il procuratore capo di Borsellino a Palermo. I dissidi tra i due furono molti, e ben motivati. Giammanco si era rifiutato, tra le altre cose, di dare la delega a Borsellino sui fatti di mafia a Palermo. In questo stralcio emerge una sua parentela con uno dei membri di questo ‘sistema’.

Dunque, è chiaro, Pino Lipari un uomo di Cosa Nostra e vedremo anche poi il rapporto che aveva con Riina e Provenzano che è la cerniera tra Cosa Nostra e gli ambienti politico economico di rilievo nazionali questa cosa comincia dice Brusca nell’ ottantanove la portiamo con Pino Lipari fino al mille novecentonovantuno novantadue cioè stiamo nel pieno della stagione stragista, siamo nel pieno di quel contesto temporale in relazione al quale Giuffrè parla dei sondaggi che arrivano al mondo politico imprenditoriale comunque ad ambienti esterni a Cosa Nostra che portano all’ isolamento in questo caso creato dal dottor Giammanco che in collegamento con questi ambienti. In sede di controesame gli viene bene chiesto chi erano i consiglieri di Bernardo Provenzano, lui parla di Vito CIancimino di poi gli viene chiesto può riferire se riconosce l’ identità di altri consiglieri dice Giuffrè: “Ma abbiano altri consiglieri, non solo nel campo politico ma anche imprenditoriale, mi ricordo di un altro personaggio che era Pino Lipari, Pino Lipari non era uomo d’ onore ma era più che un uomo d’ onore perché non è detto che per essere personaggio importante all’ interno di Cosa Nostra doveva essere dovevi essere per forza punciuto ci sono dei personaggi che non sono piunciuti ma hanno un’importanza molto ma molto rilevante. E Pino LIpari era uno di questi? Che mi risulta non mi è stato presentato come uomo d’ onore, lo conoscevo perfettamente come imprenditore e come colui che spartiva, che si occupava per conto del Provenzano della spartizione dei lavori e diciamo che l’ aggiudicazione della fornitura anche materiale ospedaliero. Oltre a lui? Portaluri possiamo ricordare Subbancheria, e Giammanco l’ ingegnere Giammanco (…) l’ ingegnere Giammanco è il nipote di cui sopra.