ANTONIO DI PIETRO – Audizione Commissione Antimafia- RASSEGNA STAMPA 2023

L’ex pm rivela una sintesi dei colloqui che aveva avuto con i due giudici al ministero della Giustizia

«Il giorno del funerale di Giovanni Falcone ho parlato con Paolo Borsellino in modo drammatico.
Ci siamo detti “dobbiamo fare presto, andare di corsa”.
Ma è stata una sintesi di una serie di colloqui che avevo avuto con Borsellino al ministero della Giustizia ma anche con Falcone».
Lo ha detto l’ex pm Antonio Di Pietro, riferendosi alle indagini sugli appalti e parlando davanti alla Commissione parlamentare antimafia che si sta occupando della strage di via D’Amelio.
«Quando è morto Borsellino non ho avuto più rapporti con Palermo – ha detto ancora Di Pietro, riferendosi alle sue indagini sugli appalti-.
Cercavo di acquisire ogni informazione possibile di ogni impresa nazionale.
Ma dopo l’omicidio di Borsellino non mi aprii più con nessuno perchè capii: «Io non so che sto scoprendo ma quelli su cui sto indagando sanno dove sto arrivando».  23 Novembre 2023 La Sicilia


Di Pietro: ”Mai letto il rapporto mafia e appalti dei Ros”


“Se per inchiesta mafia e appalti si intende il rapporto del Ros, mi pare che fosse del 1991, io non l’ho mai letto. Punto. Né alcuno me ne ha parlato fino a quando sono stato sentito come teste in sede giudiziaria prima a Caltanissetta e poi a Palermo e all’antimafia dell’ARS della Regione Sicilia”
. Sono state queste le parole dell’ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietrosentito ieri in commissione antimafia. Di Pietro ha ripercorso la sua storia personale che lo portò alle dimissioni, ricordando il dossier contro di lui proprio dopo che aveva toccato il capitolo degli appalti mafiosi, citando via via le indagini aperte a suo carico dall’allora pm di Brescia Fabio Salamone, fratello dell’imprenditore Filippo.
La procura di Milano, nella mia persona, ha indagato in relazione alla questione mafia e appalti (ma non sul dossier mafia – appalti del Ros). Abbiamo fatto interrogatori insieme, io e la Procura di Palermo“, ha detto. L’ex magistrato ha raccontato anche delle sue visite al ministero della Giustizia, quando Giovanni Falcone dirigeva gli Affari penali: “(Falcone ndr) ha seguito direttamente l’inchiesta Mani pulite perché da lui passavano, al ministero, le richieste di rogatoria”. Falcone, ha aggiunto Di Pietro, “mi diceva di seguire il denaro, appalto per appalto, rogatoria per rogatoria: teneva moltissimo all’inchiesta sugli appalti”.Mafiopoli e Tangentopoli – ha spiegato Di Pietro – sono due facce della stessa medaglia”, ma se nel resto d’Italia “il boccino era paritario“, a Palermo “chi non seguiva quell’ordine faceva la fine Di Lima“.
“Hanno sbagliato anche i Ros”
Antonio Di Pietro
durante l’audizione ha descritto come furono evitati i conflitti di competenza con Palermo, quando emergevano gli intrecci tra mafia e appalti. “Per la Procura Di Milano – ha detto – la figura di Caselli dava l’idea di un’aria nuova, dati i rapporti con la Procura Di Torino. Quando Palermo mise il paletto della competenza territoriale, Borrelli mi disse che su Caselli si poteva contare. Io non volevo cedere gli interrogatori di imprenditori che riconducevano al formato” del sistema degli appalti. “Se in altre parti d’Italia – ha continuato – c’era il sistema appalti-politica, il cui mediatore era un faccendiere e un ‘cartello’, a Palermo c’era il tavolino con un signore che, come un giudice di pace, assicurava che la quota del 20% andava alla cassa comune. Su questo stavo indagando: Siino gestiva gli appalti per conto della mafia, ma c’era stato, quando indagavo, un cambio di ruolo e Siino era stato defenestrato da Filippo Salamone. Cannai io ma cannarono pure i Ros: S. non era Siino, ma Salamone”. Di Pietro ha ricostruito un incontro tra i vertici delle due procure: da Palermo – ha detto – giunsero “Caselli, Lo Forte, Ingroia”. Poi vi fu “una cena a casa di Borrelli”e “giungemmo a un compromesso: si concordò che a Palermo venivano trasferite le informazioni acquisite, e io avrei comunque continuato a indagare: quando avessi acquisito informazioni su Palermo, le avrei trasferite ai colleghi siciliani. Devo dire che questo ha funzionato”. L’ex magistrato ha riferito del “dossieraggio” partito nei suoi confronti: “Dal 1993 in poi– ha sottolineato riferendosi al lavoro dei magistrati siciliani – riesco ad arrivare allo stesso punto: è vero o no che una parte del sistema imprenditoriale italiano voleva comprare gli appalti in Sicilia? Sì. È vero che è venuto a patti con la mafia? Sì”. “Io – ha aggiunto – non ho contestato il 416 bis ma ho trovato il coltello“. “Ero arrivato a Gardini – ha proseguito – e ai 93 miliardi allo Ior, mentre cinque miliardi della tangente Enimont erano andati a finire a Lima, referente Di Andreotti. Decine di verbali descrivevano che quando c’era la distribuzione della tangente, una quota andava alla corrente andreottiana. Non ad Andreotti, e dunque non penalmente rilevante, ma chi decideva alla fine? Poi parte a novembre il dossieraggio nei miei confronti, e Fabio Salamone avvia un’indagine su di me, conclusa con il proscioglimento e con l’affermazione che quelle indagini non dovevano essere fatte. Non c’entra niente Fabio Salamone (fratello Di Filippo, ndr) con i rapporti mafia-appalti, anzi ha esercitato l’azione penale sebbene sulla base di segnalazioni anonime“. “Perché – ha concluso Di Pietro, rivolgendosi ai commissari – ogni volta che qualcuno cerca di arrivare alla zona grigia, viene fermato da quintali di tritolo o dalla delegittimazione?“.
L’incontro con Giuseppe De Donno
Verso il mese di ottobre del 1992 viene da me il mio ufficiale dei carabinieri di riferimento, Zuliani, che mi disse che un ufficiale del Ros mi doveva parlare. Oggi so il suo nome, lo ricordo, si tratta di De Donno(Giuseppe, ndr), e voleva parlarmi… Dopo la morte di Borsellino le indagini erano arrivate ai principali gruppi imprenditoriali italiani: a quel punto viene questo ufficiale del Ros e mi dice ‘con riferimento alle indagini che stai facendo su Ferruzzi, de Eccher, Buscemi, c’è un tizio che ti vuole parlare perché, arrestato da un anno, non gli credono’“. “Li Pera – disse De Donno a Di Pietro, secondo il racconto di quest’ultimo in Commissione – si lamenta e vorrebbe parlare con lei, perché lei indaga su fatti che lui conosce e che lo riguardano direttamente, e riguardano la De Eccher, fatti per cui lui sta dentro“. “Qualche giorno dopo – ha proseguito Di Pietro parlando questa volta di se stesso – io e un altro capitano dei carabinieri andammo a Rebibbia e Li Pera mi raccontò ciò che aveva detto a Catania, e cioè che a Palermo non gli davano retta“. Di Pietro ha ricordato il lavoro che veniva fatto a Milano e le indagini di Palermo sottolineando che a un certo punto la procura di Palermo “ha messo il paletto della competenza territoriale”. “Io non volevo cedere ciò che avevo in mano ossia tutta una serie di interrogatori che riconducevano a questo formato: da una parte c’era in Italia un sistema appalti-politica dove l’intermediario poteva essere un imprenditore o un soggetto politico di riferimento, di regola un faccendiere”. Riguardo alle indagini “il compromesso fu che, ovviamente, se ne doveva occupare Palermo per competenza ma non poteva fare a meno di Milano“. Luca Grossi 24


Borsellino, Antonio Di Pietro: “Zona grigia usa tritolo o delegittima”

La Procura di Milano “ha indagato eccome su mafia e appalti” (ma non sul dossier mafia-appalti del Ros), e la “zona grigia” emersa da quell’intreccio potrebbe aver fermato Paolo Borsellino con il tritolo cosi’ come ha “delegittimato” Antonio Di Pietro con un’attivita’ di dossieraggio.
E’ il racconto che lo stesso ex magistrato di Mani Pulite ha fatto nel corso dell’audizione in Commissione parlamentare d’inchiesta sulle mafie, chiamata fin dal suo insediamento ad approfondire, in particolare, se all’origine della strage di via D’Amelio vi siano gli intrecci tra mafia e appalti poi condensato nel rapporto del Ros.
L’ex magistrato ha raccontato delle sue visite al ministero della Giustizia, quando Giovanni Falcone dirigeva gli Affari penali. Il magistrato poi ucciso a Capaci “ha seguito direttamente l’inchiesta Mani pulite perche’ da lui passavano, al ministero, le richieste di rogatoria”.
Falcone, ha aggiunto Di Pietro, “mi diceva di seguire il denaro, appalto per appalto, rogatoria per rogatoria: teneva moltissimo all’inchiesta sugli appalti”. Di Pietro, pero’, ha precisato di non aver saputo nulla del rapporto del Ros su mafia e appalti del 1991 “ne’ alcuno me ne ha parlato fino a quando non sono stato sentito in sede giudiziaria a Caltanissetta nel 1990, a Palermo nel 2019 e poi nella commissione Antimafia dell’Ars nel 2021”.
“Mafiopoli e Tangentopoli – ha spiegato Di Pietro – sono due facce della stessa medaglia”, ma se nel resto d’Italia “il boccino era paritario”, a Palermo “chi non seguiva quell’ordine faceva la fine di Lima”.
Antonio Di Pietro ha descritto come furono evitati i conflitti di competenza con Palermo, quando emergevano gli intrecci tra mafia e appalti. “Per la Procura di Milano – ha detto – la figura di Caselli dava l’idea di un’aria nuova, dati i rapporti con la procura di Torino. Quando Palermo mise il paletto della competenza territoriale, Borrelli mi disse che su Caselli si poteva contare. Io non volevo cedere gli interrogatori di imprenditori che riconducevano al formato” del sistema degli appalti. “Se in altre parti di Italia – ha continuato – c’era il sistema appalti-politica, il cui mediatore era un faccendiere e un ‘cartello’, a Palermo c’era il tavolino con un signore che, come un giudice di pace, assicurava che la quota del 20% andava alla cassa comune.
Su questo stavo indagando: Siino gestiva gli appalti per conto della mafia, ma c’era stato, quando indagavo, un cambio di ruolo e Siino era stato defenastrato da Filippo Salamone.
Cannai io ma cannarono pure i Ros: S. non era Siino, ma Salamone”.
Di Pietro ha riscostruito un incontro tra i vertici delle due procure: da palermo – ha detto – giunsero “Caselli, Lo Forte, Ingroia”. Poi vi fu “una cena a casa di Borrelli” e “giungemmo a un compromesso: si concordo’ che a Palermo venvano trasferite le informazioni acquisite, e io avrei comunque continuato a indagare: quando avessi acquisito informazioni su Palermo, le avrei trasferite ai colleghi siciliani. Devo dire che questo ha funzionato”. L’ex magistrato ha riferito del “dossieraggio” partito nei suoi confronti: “Dal 1993 in poi – ha sottolineato riferendosi al lavoro dei magistrati siciliani – riesco ad arrivare allo stesso punto: e’ vero o no che una parte del sistema imprenditoriale italiano voleva comprare gli appalti in Sicilia? Si’. E’ vero che e’ venuto a patti con la mafia? Si’”. “Io – ha aggiunto – non ho contestato il 416 bis ma ho trovato il coltello”. “Ero arrivato a Gardini – ha proseguito – e ai 93 miliardi allo Ior, mentre cinque miliardi della tangente Enimont erano andati a finire a Lima, referente di Andreotti. Decine di verbali descrivevano che quando c’era la distribuzione della tangente, una quota andava alla corrente andreottiana. Non ad Andreotti, e dunque non penalmente rilevante, ma chi decideva alla fine? Poi parte a novembre il dossieraggio nei miei confronti, e Fabio Salamone avvia un’indagine su di me, conclusa con il proscioglimento e con l’affermazione che quelle indagini non dovevano essere fatte. Non c’entra niente Fabio Salamone (fratello di Filippo, ndr) con i rapporti mafia-appalti, anzi ha esercitato l’azione penale sebbene sulla base di segnalazioni anonime”. “Perche’ – ha concluso Di Pietro, rivolgendosi ai commissari – ogni volta che qualcuno cerca di arrivare alla zona grigia, viene fermato da quintali di tritolo o dalla delegittimazione?”. IL FATTO NISSENO 23.11.2023

 


𝗜𝗹 𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗻𝗼 𝗱𝗶 𝗔𝗻𝘁𝗼𝗻𝗶𝗼 𝗗𝗶 𝗣𝗶𝗲𝘁𝗿𝗼 𝗮 𝗥𝗼𝗺𝗮: 𝗮𝘂𝗱𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗶𝗻 𝗮𝗻𝘁𝗶𝗺𝗮𝗳𝗶𝗮 𝘀𝘂𝗹 𝗰𝗮𝘀𝗼 𝗕𝗼𝗿𝘀𝗲𝗹𝗹𝗶𝗻𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗽𝗮𝗿𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗱𝗶 𝗥𝗮𝘂𝗹 𝗚𝗮𝗿𝗱𝗶𝗻𝗶

 
𝐿’𝑒𝑥 𝑝𝑚 𝑑𝑖 𝑀𝑎𝑛𝑖 𝑝𝑢𝑙𝑖𝑡𝑒 ℎ𝑎 𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑎𝑠𝑐𝑜𝑙𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑠𝑢𝑙 𝑑𝑜𝑠𝑠𝑖𝑒𝑟 𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑖𝑔𝑢𝑎𝑟𝑑𝑎 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑝𝑝𝑎𝑙𝑡𝑖 𝑑𝑒𝑙 𝑅𝑜𝑠 𝑒 𝑠𝑖 𝑖𝑛𝑡𝑟𝑒𝑐𝑐𝑖𝑎 𝑐𝑜𝑛 𝑔𝑙𝑖 𝑎𝑓𝑓𝑎𝑟𝑖 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑎𝑛𝑎𝑔𝑒𝑟 𝑚𝑜𝑟𝑡𝑜 𝑠𝑢𝑖𝑐𝑖𝑑𝑎 𝑑𝑢𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑙’𝑖𝑛𝑐ℎ𝑖𝑒𝑠𝑡𝑎 𝑚𝑖𝑙𝑎𝑛𝑒𝑠𝑒
Amarcord romano per Antonio Di Pietro. L’ex pm di Mani pulite ed ex leader dell’Italia dei valori oggi fa la sua rentrée non solo nella Capitale, dove manca da molto tempo, ma anche a palazzo San Macuto, sede della commissione parlamentare Antimafia che ha riaperto, tra le polemiche, il dossier sulla strage Borsellino.
Agli atti ci sono le audizioni di Lucia, la figlia di Paolo massacrato in via D’Amelio con tutta la sua scorta, e dell’avvocato suo e di tutta la famiglia Fabio Trizzino, nonché anche suo consorte.
Di mezzo il dossier sugli appalti del Ros, allora diretto dal generale Mario Mori e materialmente seguito dal capitano Giuseppe De Donno.
Secondo la ricostruzione di Trizzino proprio quel dossier, che Giovanni Falcone conosceva bene, avrebbe avuto un ruolo determinante nella strage.
L’avvocato ha citato una frase di Borsellino: “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno i miei colleghi ed altri”.
Sia Borsellino che Falcone, nella ricostruzione di Trizzino, si riferivano all’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco che avrebbe ostacolato le indagini sul rapporto del Ros.
In quelle audizioni dell’inizio di ottobre si parla anche di Raul Gardini che si uccide il 23 luglio del 1992 in piena Mani pulite. E si riaprono gli interrogativi sui rapporti della società Calcestruzzi con la mafia.
Un pezzo di storia che Di Pietro ha vissuto in primissima persona, quando proprio il capitolo dei suicidi eccellenti comincia a scatenare le polemiche sui “metodi” dell’inchiesta milanese sulle tangenti.
Non è stata la presidente della commissione Antimafia, la meloniana Chiara Colosimo, a convocare Di Pietro, né i gruppi a richiedere la sua presenza. Ma è stato proprio l’ex pm lui a proporre di essere ascoltato.
Anche se proprio oggi la presenza della premier Giorgia Meloni al Senato prevista per le 15 potrebbe ridurre i tempi dell’audizione che parte alle 13 e 30.
Di certo proprio Di Pietro, qualora voglia farlo dopo ormai trent’anni, potrebbe fornire un contributo importante su quel terribile momento della storia italiana in cui l’inchiesta sulle tangenti di Milano s’intreccia con le stragi di mafia.
Liana Milella su Repubblica del 23/11/2023

Strage via D’Amelio, Di Pietro all’Antimafia: «Dopo Falcone, dissi a Borsellino che dovevamo fare presto»