MAFIA-APPALTI e il geometra LI PERA

 

AUDIO DEPOSIZIONI AI PROCESSI


 

…“Perché Li Pera, quando comincia a parlare a Catania con Felice Lima, la prima cosa che racconta è: «Guardate che noi sapevamo più o meno tutto il contenuto del rapporto Mafia-Appalti», quindi il rapporto fu oggetto di una illecita divulgazione.
Su questo c’è stato un procedimento che poi si è definito con un’archiviazione, però resta la circostanza di fatto che gli indagati del rapporto Mafia-Appalti fossero a conoscenza delle risultanze compendiate nel relativo rapporto. 

Allora, dicono Teresi e Ingroia nei verbali della commissione del 1992: «Dato che noi non avevamo mai avuto prima di un anno fa, noi non sapevamo niente di tutto questo. Niente!»
Borsellino ci dice: «Fatemi una cortesia, per me questa cosa va a Lima, Lima viene ammazzato perché non riesce a garantire attraverso D’Acquisto su Giammanco la copertura su Mafia-Appalti».

Tant’è che il dottor Vittorio Teresi, onestamente, nel dicembre del 1992, nel raccontare questo episodio a Cardella… che poi è finito nel dimenticatoio, forse è sfuggito a me, però anche lì il dottor Teresi non è stato chiaro e preciso come invece nei verbali. Dice: «No, Paolo Borsellino pensava che Lima fosse stato ammazzato perché in realtà non era in grado di garantire l’associazione rispetto allo sviluppo delle indagini su Mafia-Appalti». dall’audizione dell’avvocato Fabio Trizzino in Commissione Parlamentare Antimafia 2.10.2023



Un pentito accusa la Procura di Palermo: «Così favorì la mafia»

 

Il pentito Giuseppe Li Pera racconta perché la procura di Palermo non volle ascoltare la sua versione sull’inchiesta mafia-appalti.
«I magistrati della Procura di Palermo non mi hanno voluto ascoltare sui fatti».
A denunciarlo è Giuseppe Li Pera, allora capo area per la regione Sicilia della società Rizzani de Eccher, anch’essa coinvolta nell’inchiesta mafia- appalti, condotta dai Ros capitanati dal generale Mario Mori e seguita fin dall’inizio dal magistrato Giovanni Falcone, che la coordinò sino al giorno della sua morte.
A distanza di 26 anni, ancora rimane un mistero la ragione per cui Giovanni Falcone fu ucciso. Così come il mistero rimane per le sorti di Paolo Borsellino che, prima di essere dilaniato dal tritolo, attendeva di avere in mano la delega per Palermo: in tale modo avrebbe potuto gestire anche l’inchiesta mafia- appalti e sarebbe potuto arrivare fino in fondo.
Diverse sono le testimonianze che attestano il suo interessamento, a partire da quando, nell’incontro riservato con Mori e De Donno per parlare dell’inchiesta, ribadiva la sua convinzione che ci fosse un legame con la strage di Capaci.
«Nel salutarci – testimoniò Mori – raccomandò la massima riservatezza sull’incontro, in particolare nei confronti dei colleghi della Procura di Palermo».
Ma ritorniamo a mafia- appaltiL’indagine dei Ros era nata sotto la spinta del magistrato Giovanni Falcone, tant’è vero che veniva informato delle indagini ancora prima che fosse redatto il dossier.
Esattamente due furono le informative dei Ros che vennero consegnate a Falcone, ma anche a Lo Forte che era allora Sostituto Procuratore a Palermo: l’una datata 2 luglio 1990 e l’altra 5 agosto del 1990. Informative, soprattutto quella del 2 luglio, nelle quali erano contenuti espliciti riferimenti ad asserite cointeressenze, di natura illecita, di interi gruppi politici oltre che riferimenti a singoli esponenti di rilievo nazionale.
Quindi non solo Falcone, ma anche Borsellino e i successivi altri suoi colleghi che si sarebbero occupati delle sorti dell’inchiesta mafia- appalti, erano a conoscenza del contenuto della prima informativa di carattere generale, che fu depositata proprio dietro volere di Falcone, in attesa di altri approfondimenti soprattutto in merito alla posizione dell’ente regionale Sirap che gestiva i soldi per gli appalti. Fu infatti in un momento successivo che i Ros, solo nell’informativa “Caronte”, approfondirono la posizione della Sirap nell’ambito dei fatti dell’inchiesta. In seguito alla prima informativa, vennero emessi solamente cinque mandati di cattura rispetto ai 44 personaggi coinvolti. Ed è in questo momento che si inserisce il geometra Li Pera, uno dei coinvolti nei fatti dell’indagine, che decise di collaborare con la giustizia.
Ma, a detta sua, non venne ascoltato dai magistrati di Palermo. In effetti, noi de Il Dubbio abbiamo potuto verificare la circostanza nel provvedimento di archiviazione del Gip Gilda Loforti del Tribunale di Caltanissetta, dove viene confermata la denuncia che Li Pera espose al Sostituto Procuratore Felice Lima.
Tra le denunce, anche il fatto che i magistrati di Palermo avrebbero fatto pervenire il rapporto dei carabinieri del Ros su mafia- appalti nelle mani degli avvocati, ancora prima che scattasse il blitz.
Accusa che anche lo stesso carabiniere dei Ros De Donno fece nei confronti dei magistrati.
Scaturirono querele vicendevoli e nell’ordinanza del Gip Loforti, dove entrambe furono riunite e finirono per essere archiviate, si legge: «Non può affatto escludersi, in via d’ipotesi, che nella illecita divulgazione delle notizie e dei documenti riservati oggetto del presente procedimento, possano essere stati coinvolti, o per denaro o in ragione degli asseriti rapporti di amicizia con svariate personalità politiche, i magistrati odierni indagati».
Un’ordinanza che getta ombre, addirittura sull’ipotesi che gli inquirenti possano essere stati coinvolti per denaro o ragioni d’amicizia.
Ora Giuseppe Li Pera vuole rinnovare le sue obiezioni e ha scelto di rispondere alle nostre domande: occorre rammentare a questo proposito che egli già altre volte, davanti agli inquirenti, aveva lamentato che la Procura di Palermo avesse usato con lui una mano più pesante rispetto a quella adottata nei confronti del suo titolare e dei suoi dirigenti, seppur a fronte del fatto che la maggior parte dell’impianto accusatorio fosse composto da intercettazioni telefoniche.
No, ma solo dopo alcuni mesi, quando ebbi la certezza che la Procura non voleva sentirmi.
Dopo il mio arresto avevo studiato le carte in mio possesso ed avevo deciso di mettere alla prova la buona fede dei Pm.
Io partivo dall’assunto che era assurdo che i Pm avessero potuto separare la mia posizione da quello del mio titolare e dei miei dirigenti, e al primo interrogatorio di garanzia avevo predisposto una trappola.
In quell’interrogatorio avevo citato la parola chiave “PASS”, che è il meccanismo della illecita spartizione degli appalti, e dissi a me stesso, se mi chiedono che cosa vuol dire il sistema dei PASS, chi e perché si usa, vuol dire che non hanno capito di cosa parla il Dossier dei Ros e quindi mi sarei messo a disposizione per chiarire tutto, se invece non mi chiedono cosa vuol dire PASS, significa che hanno fatto una scelta politica di proteggere i potenti sia essi imprenditori che politici e far volare solo gli stracci.
Quando poi per due volte si rifiutarono di sentirmi ebbi la certezza che la loro decisione era irrevocabile.

Nel 1992 venne sentito dal Pm Felice Lima di Catania? Perché? Aveva fatto già qualche denuncia in quell’occasione?

No. Feci mandare un esposto anonimo. Ricordo che di primo acchito il Pm Lima non era convinto della bontà delle mie affermazioni, cosicché io gli dissi “dottor Lima non si preoccupi, se lei non trova le prove di quanto io dico, ed io le dico quali prove cercare e dove cercarle, amici come prima”. Il dottor. Lima, ovviamente trovò tutte le prove necessarie, non solo, chiese anche l’arresto di 22/ 23 persone tra cui, se la memoria non mi inganna, anche di due Pm di Palermo, solo che l’allora Procuratore Capo di Catania gli levò la delega e lo mandò, da brillante Pm antimafia ad occuparsi di divorzi.

Lei fece una denuncia per corruzione in atti giudiziari nei confronti di quattro magistrati, uno tra i quali fu il Procuratore Giammanco. Ne scaturì un’indagine? È a conoscenza di quanto emerse in seguito?

Certo, io ho sempre sostenuto e ne sono sempre più convinto che i Pm di Palermo decisero a tavolino chi processare e chi salvare.
Per me neanche un chirurgo avrebbe potuto separare la mia posizione da quella del mio titolare e dei miei dirigenti. Ovviamente quando si ufficializzò la mia collaborazione con la Procura di Catania, i Pm di Palermo si scatenarono contro.
Le potrei fare decine di esempi, ma gliene cito uno solo.
I Pm di Palermo avevano chiesto in dodici diversi interrogatori a Leonardo Messina, dell’operazione “LEOPARDO”, se mi conosceva, e lui per ben dodici interrogatori affermò di non avermi mai visto, finchè qualche giorno dopo l’ufficializzazione della mia collaborazione con il dottor Lima, improvvisamente il Messina è folgorato sulla via di Damasco e dice testualmente: “Lo conosco e sono andato con lui a portare una tangente di 100 milioni di lire al capo mafia di Pietraperzia, ( ovviamente morto), per il lotto dell’autostrada per Pietraperzia, vinto dalla Rizzani de Eccher”.
Va innanzitutto detto che non esiste un’autostrada per Pietraperzia, ma uno scorrimento veloce Caltanissetta – Gela ed era previsto uno svincolo per Pietraperzia. Ricordo che all’epoca dei fatti io ero il capocommessa più anziano in Sicilia della Rizzani de Eccher. Bene il signor Messina alla domanda del mio legale, il compianto avvocato Pietro Milio, che gli chiese in che anno avvenne questa dazione di denaro rispose a dicembre 1991. “Ma a dicembre 1991 il geometra Li Pera era già arrestato”, ribatté Milio. Rispose che allora è stato nel 1990.
Ma quella gara non venne esperita che a giugno/ luglio 1991, quindi a che titolo si andava a pagare una tangente per un lavoro non ancora aggiudicato? Ma la cosa più umoristica è che la Rizzani de Eccher a giugno/ luglio si aggiudicò un lotto della Caltanissetta – Gela a 60 Km dallo svicolo di Pietraperzia. Chiaro che il tutto era stato imboccato al Messina con molta superficialità.
Per rispondere, infine, alla sua domanda, sì in effetti ci furono due indagini, la prima fu archiviata e poi fu riaperta a seguito della denuncia dell’allora Capitano De Donno.
La Gip dottoressa Gilda Loforti archiviò l’indagine dopo alcuni anni, ma la frase più gentile che usò nei riguardi dei suoi colleghi di Palermo fu “hanno indagato su se stessi e si sono autoassolti”.

In questi giorni ricorre l’anniversario della strage di Capaci. Una ventina di anni fa lei fu ascoltato dagli inquirenti e in un’occasione manifestò delle perplessità sulla dinamica, relativamente alla preparazione della strage, così come era stata riferita da Giovanni Brusca. A che titolo venne sentito dagli inquirenti? Volevano sapere se durante il periodo della mia detenzione avevo sentito notizie relative all’attentato, la mia risposta fu negativa.

Cosa non la convinceva nella dinamica della strage di Capaci, al punto da manifestare le sue perplessità pur a fronte alle ricostruzioni di Giovanni Brusca? Premetto che sono un discreto esperto di dinamite, avendo lavorato per tanti anni in Italia ed all’estero in cantieri in cui si utilizzava la dinamite per lo scavo di gallerie, di trincee, per l’apertura di cave etc., per cui posso tecnicamente affermare che quanto dichiarato da Brusca Giovanni, circa la preparazione dell’attentato, a mio modesto avviso, non è convincente.

Alla luce del suo coinvolgimento nella vicenda e sulla base delle sue conoscenze dei fatti e dello sviluppo dell’inchiesta mafia- appalti, conosce un qualche legame tra l’uccisione di Giovanni Falcone e la circostanza che stesse conducendo l’inchiesta e che volesse portarla in fondo? Io sono convinto che l’indagine su mafia- appalti non sia il vero motivo della strage “Falcone”, ci deve essere qualcosa di più grave e di più devastante per la vita della Repubblica Italiana. Le rivelo un particolare che pochi sanno. Il compianto avvocato. Pietro Milio stava scrivendo un libro, che purtroppo fu pubblicato dopo la sua morte con il titolo “Giustizia Assistita”. Bene, io ebbi l’occasione di visionare le prime bozze ed io collaborai anche alla stesura di un capitolo, quello relativo alla strage di Capaci, dove contestai pezzo per pezzo le affermazioni di Giovanni Brusca, grande fu la mia sorpresa nel vedere che nel libro pubblicato questo capitolo era sparito. Come era sparito il capitolo dove Milio si chiedeva cosa era venuta a fare l’Fbi, le sue testuali parole erano “ l’Fbi è venuta a cercare le prove o è venuta a cancellarle?

Che lei sappia, con riguardo alla strage di Capaci, qualche potere, politico o giudiziario, poteva sapere o aver agito in favore della Mafia, anche inconsapevolmente, considerati gli interessi economici e politici in gioco? Io sono sempre stato convinto, e lo era anche il compianto avvocato Pietro Milio, che il ruolo della mafia in questa strage sia stata solo quella di esecutore, ma i mandanti sono altri. Lui parlava spesso di un collegamento tra la strage di Capaci, l’attentato al giudice Palermo, che trent’anni fa costò la vita ad una mamma ed ai suoi due gemellini, ed al fallito attentato dell’Addaura.

DAMIANO ALIPRANDI IL DUBBIO 23 maggio 2018 



MAFIA e APPALTI – Uno scenario allucinante

Dal libro ” Corruzione ad Alta Velocità ” di Ferdinando Imposimato II, G. Pisauro e S. Provvisionato
Dalla pag. 65 << Uno scenario allucinante >>


I fatti cui si riferisce Imposimato attraversano ben otto anni della nostra storia più recente. Tutto ha inizio nel febbraio del 1991 quando il CAPITANO DE DONNO, in servizio al ROS di Palermo, consegna alla magistratura del capoluogo siciliano un dossier intitolato “MAFIA E APPALTI”.

Nel luglio del ’91 i primi arresti: finiscono in manette un imprenditore del quale in quel momento si sottovaluta lo spessore.
E’ Angelo Siino 47 anni, ex corridore automobilistico, detto “Bronson” per una certa somiglianza con l’attore americano. Siino è ” il ministro dei lavori pubblici” della mafia dei,  corleonesi, una specie di gran sacerdote degli appalti di Cosa nostra.
Con lui finiscono sotto inchiesta altri personaggi noti nel mondo degli appalti siciliani, tra cui Giuseppe Li Pera, un geometra invischiato negli affari di Cosa nostra senza però essere mafioso, rappresentatnte in Sicilia di una ditta friulana, la Rizzani De Eccher, oltre ad altri imprenditori laziali e veneti.
Dovrebbe essere questo l’avvio della tangentopoli siciliana.
Nell’ottobre dell’anno successivo, proprio mentre i carabinieri del ROS consegnano alla magistratura un nuovo rapporto che amplia il precedente e mentre il processo Mafia-appalti è in pieno svolgimento, ecco il colpo di scena:
la Procura di Catania invia a quella di Palermo un fascicolo di indagini preliminari, scaturite dalle confessioni di un imputato del processo in corso a Palermo.
Si tratta di Giuseppe Li Pera da cinque mesi sta parlando con lo stesso ufficiale dei carabinieri autore del rapporto “Mafia e appalti“, il Capitano De Donno dei Roscon un sostituto procuratore di Catania, Felice Lima.
Oltre a svelare il meccanismo degli appalti truccati, che coinvolgono politici e mafiosi vicini ai corleonesi dell’allora latitante Totò Riina (sarà arrestato il 15 gennaio 1993, proprio lo stesso giorno in cui Caselli assumerà la guida della Procura di Palermo), Li Pera ha fatto anche il nome di cinque magistrati del capoluogo siciliano, che avrebbero avuto riunioni con gli avvocati difensori di suoi coimputati, prima ancora degli arresti, ai quali sarebbe stato consegnato da uno di loro una copia del rapporto dei ROS, per concordare una linea processuale.
Lima invierà la parte delle dichiarazioni di Li Pera contenente le accuse ai magistrati di Palermo, alla Procura di Caltanissetta, competente ad occuparsi dei reati commessi dai magistrati in servizio nel capoluogo.
#magistraticollusiconcriminali1991
Le confessioni di Li Pera sono esplosive, anche se tutte da verificare: il geometra ricostruisce il funzionamento del sistema degli appalti in Sicilia, e rivolge accuse ai magistrati, chiamati in causa con nomi e cognomi.
Essi sono: il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco, oltre a quattro suoi sostituti: Guido Lo Forte, considerato vicinissimo al procuratore; Roberto Scarpinato, ritenuto un magistrato al di sopra di ogni sospetto e molto amico di Giovanni Falcone; Giuseppe Pignatone e Ignazio De Francisci, entrambi da anni alla Procura di Palermo.

Le confessioni di Li Pera sono del maggio del ’92, ma vengono rese note nell’ottobre.
Il 23 dicembre il sostituto procuratore di Catania Felice Lima viene trasferito, su sua richiesta, al tribunale civile della stessa città.
il 22 aprile 1993 la Procura di Caltanissetta chiede al gip di archiviare l’inchiesta a carico dei cinque magistrati palermitani per manifesta infondatezza dell’accusa. Ma il clima ormai è avvelenato dentro e fuori il palazzo di giustizia di Palermo.
Il 2 marzo 1994 il processo Mafia-appalti che ha visto alla sbarra soltanto cinque imputati si conclude con una serie di condanne: Siino viene condannato a otto anni di carcere per associazione mafiosa, un anno e sei mesi per Giuseppe Li Pera divenuto collaboratore di giustizia, gli imprenditori condannati ROSARIO CASCIO, ALFREDO FALLETTA E VITO BUSCEMI.
Il dato singolare è che nel 1995 cioè a distanza di tre anni da questi avvenimenti, Imposimato, occupandosi di ben altre vicende, torni ad inciampare in alcune di quelle stesse società oggetto delle attenzioni – secondo il geometra Li Pera – della magistratura di Palermo. Ed è anche singolare che sulla sua scrivania finisca un rapporto – quello dello SCO che, trattando dell’oggi, riguardi ancora fatti di ieri.
In sostanza si afferma che nell’ Alta velocità ci sono anche società, come la Calcestruzzi, accusate di essere controllate da Cosa nostra.
Come se dopo indagini, rapporti, inchieste e processi nulla fosse cambiato. E il sistema degli appalti si fosse bellamente solo spostato dalla Sicilia verso nord, in Campania e in altre regioni. Siino inizialmente viene arrestato per l’illecita manipolazione di taluni pubblici appalti svoltisi in Sicilia, ed in particolare per quello inerente la costruzione degli uffici della nuova Pretura di Palermo.  
Un’altra cosa curiosa è che quell’inchiesta contro i magistrati di Palermo, già archiviata da Caltanissetta, riemerga nel 1997. E questa volta ad opera di quello stesso capitano DE DONNO , autore del primo rapporto su Mafia e appalti.
Il caso De Donno-Lo Forte è concluso.
Nell’estate del 1998, la Procura di Caltanissetta aveva chiesto l’archiviazione sia dell’inchiesta sulla talpa in procura, sia di quella per calunnia contro De Donno.
Il 20 gennaio 1999 il GIP del tribunale chiede un approfondimento delle indagini su entrambi i tronconi dell’inchiesta, ha indicato ai pubblici ministeri ben 55 temi di indagine. Ma nella primavera del 1999 la Procura chiede archiviazione al GIP che viene accolta.  
Questa la cronologia dei fatti: il 13 ottobre 1997, dopo aver ascoltato Angelo Siino, divenuto nel frattempo “collaboratore di giustizia”, il procuratore capo di Palermo interroga a Torino il comandante del Ros Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno.
Per la Procura di Palermo ci sono alcuni punti da chiarire, anche perché Siino ha parlato di rapporti incofessabili con mafiosi tenuti all’interno dell’arma dei carabinieri. Il dito viene puntato contro il maresciallo G. Guazzelli, ucciso dalla mafia e sepolto con funerali si Stato, il maresciallo del Ros A. Lombardo, morto suicida nel marzo del 1995, il tenente C. Canale, braccio destro di Paolo Borsellino , cognato di Lombardo. 

Per fornire una fonte imparziale ecco ciò che riferisce l’Ansa il 19 novembre 1997 : << Guazzelli per denaro sarebbe stato tiepido con il costruttore FILIPPO, SALAMONE avrebbe tentato di vendere a Siino il rapporto su Mafia e appalti, Canale sempre per denaro, avrebbe soffiato alla mafia trapanese, rivelando in particolare elemnti utili per tendere un’imboscata a Marsala al ca. De Donno e ad altri carabinieri.  
Ma Siino aggiunge anche che De Donno aveva esercitato pressioni su di lui e i suoi familiari per RIBADIRE le accuse rivolte cinque anni prima da Li Pera a Lo Forte.
Alcuni giorni dopo aver reso l’interrogatorio a  Caselli De Donno si reca alla Procura di Caltanissetta dove mette a verbale informazioni che sostiene di aver ricevuto da Siino, non ancora pentito ma solo confidente , notizia secondo le quali Lo Forte avrebbe fatto filtrare atti del processo alla Mafia degli appalti.
Un possibile scenario che vedrebbe in primo piano proprio il mai del tutto sconfitto sistema degli appalti e spartizioni politiche nazionale.
<< Avevo ormai chiaro non solo il meccanismo che permetteva alla Camorra e più in generale alla criminalità organizzata di entrare nel sistema degli appalti. Grazie allo SCO avevo raccolto una formidabile documentazione, utile alla stesura della relazione finale sulla TAV.
Ma notavo che i tempi di lavoro in Commissione antimafia stavano allungandosi a dismisura. La verità è che fin dal settembre 1995 l’inchiesta è morta ancora prima di concludersi.
Stessa sorte di quella palermitana Mafia e appalti del 1991. La ragnatela di interessi poco puliti che si sta lentamente tessendo sotto gli occhi di tutti a questo punto è lampante.
Ci sono altre società scelte dal general contractor IRIche sembrano invischiate in affari con la . Camorra.
Tra queste le Condotte, secondo i magistrati della Procura di Napoli Mancuso e Di Pietro (Lucio) sono ampiamente infiltrate dalla criminalità organizzata. It titolari delle tre società (Diana, Sud Edil, Edil Moter) sono imparentati tra di loro e risultano collegati con i gruppi criminali più potenti e pericolosi dell’agro aversano , a loro volta collegati con la mafia siciliana.

 


“Mafia e appalti”, confiscati beni milioni di euro al geometra Li Pera

 

 

Il Rapporto “Mafia&Appalti” e l’eliminazione del dottor Paolo Borsellino