Da cittadini, dobbiamo fare i complimenti a Gioacchino Natoli, ex componente del pool antimafia di Palermo, oggi pensionato, che però non ha perduto la memoria, né la passione per le tragiche e lontane vicende di Palermo che lo videro in veste sia di protagonista, sia di testimone. Si merita i complimenti dell’Italia migliore per aver diradato – e vedremo come – uno dei polveroni più tossici che nelle ultime settimane stavano ammorbando le ricostruzioni sulla strage di via D’Amelio. E va anche detto subito che la morale della favola che vi stiamo narrando, quella cioè che sta emergendo in questi giorni sulla vicenda mafia-appalti, e della quale si sta occupando la Commissione parlamentare antimafia, è che in Italia è bene conservare i documenti quasi a futura memoria.
Guai a buttar via le carte. E persino quel furbacchione di Andreotti, con un suo archivio proverbiale, sapeva che questo è il Paese dove, dall’oggi all’indomani, può saltar fuori qualcuno con la tesi più bizzarra. E non gli sarà certo chiesto conto della stravaganza di quello che dice, essendo, invece, l’onere della prova a totale carico della persona accusata.
Sono fatti ormai risaputi, almeno per gli addetti ai lavori.
In Commissione parlamentare antimafia, l’avvocato Fabio Trizzino, che difende la famiglia Borsellino, aveva indicato in Gioacchino Natoli quel magistrato che aveva deciso di smagnetizzare le intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria, a suo tempo, a carico della famiglia mafiosa dei Buscemi.
Ne scaturiva un’equazione pesante come il piombo: Natoli avrebbe protetto la famiglia Buscemi, recidendo così, sin dall’inizio, possibili sviluppi di quella pista mafia-appalti che invece, secondo l’avvocato Trizzino, la famiglia Borsellino – fatta eccezione per Salvatore, il fratello di Paolo – e il generale Mario Mori, oltre un nutrito drappello di giornalisti e commentatori, fu l’autentica causale della strage di via D’Amelio. E forse, lasciatecelo dire, con qualche picco enfatico di troppo.
Quale fu la causale dell’uccisione di Paolo Borsellino, e di donne e uomini della sua scorta, un giorno lo sapremo. Forse.
Ma non è di questo che stiamo parlando.
Sin da oggi, però, sappiamo che quelle intercettazioni, che l’avvocato Trizzino indicava come tassativamente distrutte, dunque scomparse, si trovano invece al loro posto, nella Procura di Palermo. Ci stanno le bobine, e ci stanno i brogliacci che ne riassumono il contenuto.
Gioacchino Natoli, dopo essere stato chiamato in causa, non solo le ha cercate, ma le ha trovate. Il tutto anche grazie alla collaborazione del procuratore capo di Palermo, Maurizio de Lucia, al quale si era rivolto per iscritto.
Altra morale della favola.
La Commissione parlamentare antimafia forse dovrebbe darsi questa piccola regola: regolare il volume dei microfoni quando, durante gli interrogatori, a qualcuno dovesse scappare la mano.
La materia di cui trattasi è incandescente di per sé. E gridare “al lupo al lupo” non aiuta.