FIAMMETTA BORSELLINO/ ANTONINO DI MATTEO

 

  • L’ACCUSA DI FIAMMETTA BORSELLINO: “NESSUNA FIDUCIA NEI PM ANTIMAFIA E NEL CSM, HANNO DEPISTATO”
  • EREDI DI MIO PADRE ? ADESSO BASTA
  • FIAMMETTA BORSELLINO ALL’ATTACCO: “DI MATTEO DISTANTISSIMO DA MIO PADRE”. TORNA ALL’ATTACCO DI NINO DI MATTEO, IL PM DEL PROCESSO TRATTATIVA STATO-MAFIA.  
  • FIAMMETTA BORSELLINO: “MIO PADRE LASCIATO SOLO DA VIVO E DA MORTO”
  • FIAMMETTA BORSELLINO A DI MATTEO: «DI MIO PADRE NON AVETE CAPITO NULLA»
  • FIAMMETTA BORSELLINO, LIVORE E ACCANIMENTO CONTRO NINO DI MATTEO 
  • PER QUANTO TEMPO ANCORA? LETTERA DELLA FIGLIA DEL PM PETRALIA IN RISPOSTA ALLE ACCUSE DI FIAMMETTA BORSELLINO 
  • FIAMMETTA BORSELLINO, RAGIONE E SENTIMENTO. 
  • FIGLIA MINORE DI BORSELLINO DICE CHE LA VERITÀ È STATA “ALLONTANATA DA 25 ANNI DI GROSSISSIMI NERI E DI GROSSISSIME LACUNE” 
  • BORSELLINO, LA RABBIA DI FIAMMETTA. “VERITÀ TACIUTA DAI PM”
  • DEPISTAGGI IN VIA D’AMELIO, I BORSELLINO SI SPACCANO SULLE ACCUSE DI FIAMMETTA 
  • PAOLO BORSELLINO: PERCHÉ? DOPO 25 ANNI, LA FIGLIA FIAMMETTA CHIEDE; E NOI PUREIN UN’INTERVISTA LA
  • VIA D’AMELIO, PARLA DI MATTEO. LA FIGLIA DI BORSELLINO: “FUORI LA VERITÀ SULLA STRAGE”
  • LA RABBIA DI FIAMMETTA BORSELLINO: “VERGOGNOSO IL SILENZIO DI DI MATTEO”L’ACCUSA DI FIAMMETTA
  • I DUBBI DI FIAMMETTA SUI PM PALMA E DI MATTEO
  • FIAMMETTA BORSELLINO: “PER NOI RIMANE UNA FERITA APERTA”
  • IL MONDO ALLA ROVESCIA DA MARCO TRAVAGLIO A FIAMMETTA BORSELLINO
  • LA RABBIA DI FIAMMETTA. “VERITÀ TACIUTA DAI PM”
  • DI MATTEO NON CONVINCE FIAMMETTA BORSELLINO SUL DEPISTAGGIO DI VIA D’AMELIO
  • FIAMMETTA BORSELLINO: “DELUSA DALLA DEPOSIZIONE DEL PM DI MATTEO”

 


20.2.2021 L’ACCUSA DI FIAMMETTA BORSELLINO: “NESSUNA FIDUCIA NEI PM ANTIMAFIA E NEL CSM, HANNO DEPISTATO”

 

Pur essendo passati ormai tanti anni, non riesco ancora a farmene una ragione. Non mi capacito del fatto che nessuno abbia mai voluto fare luce fino in fondo sul perché venne archiviato il dossier “mafia-appalti” a cui mio padre teneva moltissimo. E ciò per me è come un tarlo che si insinua nella mente, giorno e notte», dichiara Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, il magistrato ucciso dalla mafia a Palermo il 19 luglio del 1992. Il dossier mafia-appalti venne redatto dai carabinieri del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dell’allora colonnello Mario Mori. Nel dossier erano indicate tutte le principali aziende italiane che trattavano con la mafia. L’indagine era “rivoluzionaria”, affrontando per la prima volta il fenomeno mafioso da una diversa prospettiva. I carabinieri avevano scoperto che Cosa nostra, anziché imporre il pagamento di tangenti estorsive agli imprenditori, così come faceva tradizionalmente, era diventava essa stessa imprenditrice con società commerciali riferibili ad appartenenti all’organizzazione che avevano assunto e realizzato, con modalità mafiose, commesse pubbliche, principalmente nel settore delle costruzioni. Al termine di una attività investigativa durata anni, i carabinieri del Ros depositarono il 20 febbraio 1991 alla Procura di Palermo l’informativa denominata “Angelo Siino + 43”. Il fascicolo, circa 900 pagine, era assegnato a Giuseppe Pignatone, all’epoca pm della Procura del capoluogo siciliano. Di queste quarantaquattro persone, il 10 luglio successivo, su richiesta della Procura di Palermo, ne vennero arrestate sei. Fra loro, Siino, definito il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa nostra ma, più precisamente, dei corleonesi di Totò Riina, poi diventato collaboratore di giustizia, e Giuseppe Li Pera, un geometra, capo area del colosso delle costruzione Rizzani De Eccher. Il fascicolo, a novembre del 1991, venne tolto a Pignatone dal procuratore Pietro Giammanco e assegnato ai pm Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato. I due magistrati, il 13 luglio dell’anno successivo, firmano la richiesta di archiviazione del fascicolo. Il giorno dopo, 14 luglio 1992, si tenne una riunione fra tutti i pm della Procura di Palermo. Giovanni Falcone era stato assassinato da circa due mesi, il 23 maggio, e Borsellino in qualità di neo procuratore aggiunto affrontò il tema del fascicolo mafia-appalti, rimproverando i colleghi di averlo sottovalutato, senza evidentemente sapere che era stata già avanzata la sua richiesta di archiviazione. La mattina del 19 luglio, alle sette del mattino, Borsellino ricevette una telefonata da Giammanco nel corso della quale lo avvisava che sarebbe stato delegato alla conduzione dell’indagine sul fascicolo mafia-appalti, una delega che, senza ragione apparente, fino a quel momento gli era stata negata. La circostanza della telefonata emerse da una testimonianza delle moglie Agnese nel 1995. Alle ore 16.58 successive, una Fiat 126 piena di tritolo fece saltare in aria a via D’Amelio la sua auto di scorta, uccidendolo insieme ai cinque agenti di scorta. Il 22 luglio 1992 la richiesta di archiviazione del fascicolo mafia-appalti venne depositata formalmente. E alla vigilia di Ferragosto arrivò la definitiva l’archiviazione da parte del gip. Fiammetta Borsellino, la sentenza del processo di Caltanissetta ha affermato che l’indagine mafia appalti aveva impresso un’accelerazione alla morte di suo padre. Esatto.  Mentre nel processo Trattativa Stato-mafia di Palermo questo aspetto è stato escluso, negando che suo padre avesse un interesse al dossier mafia appalti. E non è vero. Mio padre era convinto della bontà dell’indagine per il suo respiro nazionale. Mi riferisco, ad esempio, agli interessi di Totò Riina nella Calcestruzzi spa.  Alla Procura di Palermo non erano tutti della stessa opinione di suo padre. C’è la testimonianza del dottor Scarpinato che riferisce del profilo regionale dell’indagine quando era evidente invece che ci fossero interessi particolari anche nella Penisola.  L’incongruenza fra le due sentenze, quella del processo Trattativa Stato-mafia e quella del Borsellino quater pare evidente. Una incongruenza che destabilizza.  Non ha fiducia nei giudici?  Non ho fiducia in coloro che si proclamano magistrati antimafia e hanno condotto procedimenti giudiziari che contrastano in maniera così manifesta. E non ho fiducia in chi dovrebbe fare chiarezza. Anche sul piano morale.  Ad esempio?  In chi non si è accorto degli errori grossolani sul depistaggio della morte di mio padre. E nel Consiglio superiore della magistratura.  Perché non ha fiducia nel Csm?  Il Csm si è dato in questi anni sempre la zappa sui piedi, tutelando interessi di tipo clientelare e di carriera. Fu solerte quando si trattò di mettere sotto processo disciplinare mio padre per aver denunciato pubblicamente lo smantellamento del pool antimafia ed è stato inerte nei confronti di coloro, organi inquirenti e giudicanti, che in qualche modo hanno contribuito, avendo parte attiva o passiva, al più grande depistaggio della storia giudiziaria del Paese.  Gli atti che riguardano suo padre sono stati desecretati dal Csm. Mi pare una operazione di facciata senza alcun senso se poi ci ferma e non si accertano le condotte indegne tenute dai magistrati dopo la morte di mio padre. Non mi importa nulla della desecretazione se non si fanno accertamenti seri.

Prova un po’ di amarezza?  Anche. Soprattutto che debbano prendere la parola su mio padre persone distantissime da lui e che hanno indagato su altre piste
Vuole fare un nome?  Nino Di Matteo.
Perché proprio lui?  A parte la vicenda del processo Trattativa Stato-mafia condotto proprio da Di Matteo, non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone. Mio padre, ad esempio, non avrebbe mai scritto o presentato libri sui suoi processi in corso.
Che tipo era suo padre?  Mio padre era una persona di grande sobrietà, faceva solo il proprio. 

IL RIFORMISTA Paolo Comi –  20 e 24 Febbraio 2021


24.2.2021 Fimmetta Borsellino: Eredi di mio padre? Adesso basta! 

 

Ha ragione la figlia del Giudice Paolo Borsellino nel chiedere conto e ragione del perché venne archiviato il dossier “mafia-appalti”.  E lo fa con uno dei pochi giornali che coraggiosamente pubblica le notizie “scomode” (Il Riformista).

Nel corso dell’intervista rilasciata a Paolo Comi, Fiammetta Borsellino ripercorre la storia dell’inchiesta mafia-appalti, voluta da Giovanni Falcone, e condotta  dal Ros di Mario Mori, che nel febbraio del 1991 portò a un’informativa di circa 900 pagine su società riconducibili a “Cosa nostra”.
Un’inchiesta  “rivoluzionaria”, la definisce Fiammetta Borsellino, nella quale suo padre credeva a tal punto da chiedere – dopo la strage di Capaci – che venisse a lui stesso assegnata, tanto da incontrare segretamente, il 25 giugno 1992, Mori e De Donno, ai quali chiese di organizzare un gruppo speciale di carabinieri per riaprire l’inchiesta sotto la sua direzione.
Il fascicolo – afferma Fiammetta Borsellino – “era assegnato a Giuseppe Pignatone, all’epoca pm della Procura del capoluogo siciliano. Di queste quarantaquattro persone, il 10 luglio successivo, su richiesta della Procura di Palermo, ne vennero arrestate sei. Fra loro, Siino, definito il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa nostra ma, più precisamente, dei corleonesi di Totò Riina, poi diventato collaboratore di giustizia, e Giuseppe Li Pera, un geometra, capo area del colosso delle costruzione Rizzani De Eccher. Il fascicolo, a novembre del 1991, venne tolto a Pignatone dal procuratore Pietro Giammanco e assegnato ai pm Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato”.
Quello che accadde dopo ha dell’inverosimile. Come racconta la figlia del giudice, il 14 luglio 1992 si tenne una riunione fra tutti i pm della Procura di Palermo, e Borsellino, in qualità di neo procuratore aggiunto, affrontò il tema del fascicolo mafia-appalti, rimproverando i colleghi di averlo sottovalutato.
Nessuno informò Borsellino che appena il giorno prima i due magistrati ai quali era stata assegnata l’indagine, avevano firmato la richiesta di archiviazione.
Improvvisamente, la mattina del 19 luglio (lo stesso giorno della strage di Via D’Amelio) alle sette del mattino, Borsellino ricevette una telefonata dall’allora procuratore Giammanco che lo avvisava che sarebbe stato delegato alla conduzione dell’indagine sul fascicolo mafia-appalti, una delega che, senza ragione apparente, fino a quel momento gli era stata negata.

Perché Giammanco gli comunicò la delega alle indagini, soltanto dopo che per le stesse era stata firmata la richiesta di archiviazione?  Non trascorsero tre giorni dall’uccisione di  Borsellino, che la richiesta di archiviazione del fascicolo mafia-appalti venne depositata formalmente, per essere definitivamente archiviata  dal  gip alla vigilia di Ferragosto.
A nessuno venne il dubbio che tra le concause dell’uccisione di Borsellino potesse esserci proprio l’indagine su mafia-appalti?  Pare proprio di no, visto che le indagini seguirono altre piste, come nel caso delle “rivelazioni” del falso pentito Vincenzo Scarantino, per poi attribuire l’accelerazione dell’uccisione del giudice alla cosiddetta Trattativa Stato-mafia, che vede imputati quei vertici del Ros (Mori e De Donno) che per Giovanni Falcone avevano lavorato al dossier mafia-appalti, e che  per conto di Borsellino sarebbero stati disposti a riprendere quell’indagine.
Non usa mezzi termini Fiammetta Borsellino nell’evidenziare l’incongruenza tra il processo Trattativa Stato-mafia e la sentenza del Borsellino quater, che proprio in mafia-appalti individua il motivo – quantomeno dell’accelerazione – del progetto stragista di “Cosa nostra” che portò all’uccisione del Giudice Borsellino e della sua scorta.
Alla domanda del giornalista se ha fiducia nei giudici, la figlia di Paolo Borsellino risponde che non soltanto non ha fiducia in coloro che si proclamano magistrati antimafia e hanno condotto procedimenti giudiziari che contrastano in maniera così manifesta, ma non ne ha neppure in chi dovrebbe fare chiarezza. Anche sul piano morale.
Sul banco degli imputati delle valutazioni della figlia del giudice, tutti coloro i quali non si sono  accorti degli errori grossolani sul depistaggio della morte del padre, e il Consiglio superiore della magistratura, “inerte nei confronti di coloro, organi inquirenti e giudicanti, che in qualche modo hanno contribuito, avendo parte attiva o passiva, al più grande depistaggio della storia giudiziaria del Paese”.
Tranciante il giudizio su Nino Di Matteo, uno degli autoproclamati eredi di Paolo Borsellino, del quale afferma testualmente:
“A parte la vicenda del processo Trattativa Stato-mafia condotto proprio da Di Matteo, non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone. Mio padre, ad esempio, non avrebbe mai scritto o presentato libri sui suoi processi in corso.
Mio padre era una persona di grande sobrietà, faceva solo il proprio dovere: ricercare la verità senza fare teoremi”.
C’è molta amarezza nelle parole di Fiammetta Borsellino. Un’amarezza ancor più comprensibile e condivisibile nel rileggere le dichiarazioni di Di Matteo,  riportate nella richiesta di archiviazione dell’inchiesta a carico degli ex pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, da parte della Procura di Messina,  dove si legge che il 22 aprile del 2009 Nino Di Matteo manifestò la sua contrarietà a che Gaspare Spatuzza (il collaboratore di giustizia che  smentì clamorosamente Scarantino, dimostrando che era un falso pentito) usufruisse del piano provvisorio di protezione. Sia perché avrebbe attribuito alle sue dichiarazioni un’attendibilità che ancora non avevano, sia perché le sue dichiarazioni, sebbene non ancora completamente riscontrate, avrebbero rimesso in discussione le ricostruzioni e le responsabilità consacrate dalle sentenze ormai divenute irrevocabili.
Ovvero le condanne ingiustamente emesse a seguito delle dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Fu dunque così facile credere a Scarantino, e così difficile accettare l’amara verità che il falso pentito aveva mentito? Di Matteo temeva (e lo si legge in fondo al documento) il discredito delle Istituzioni dello Stato, poiché l’opinione pubblica avrebbe potuto ritenere che la ricostruzione delle responsabilità di quei fatti fosse stata affidata a falsi collaboratori di giustizia.
Oggi, quelle stesse Istituzioni dello Stato, di quali credito godono da parte dell’opinione pubblica che ha appreso, come dato di certezza, quello che Di Matteo temeva potesse ritenere?
Che dire, inoltre, che si fosse posto in secondo piano che degli innocenti potessero marcire in carcere condannati ingiustamente all’ergastolo, e che il depistaggio potesse ancora proseguire?  Stendiamo un velo…
Caltanissetta è come un fiume in piena che ha rotto gli argini. Troppe verità sono emerse. Verità che per alcuni sarebbe stato molto meglio rimanessero sepolte da tonnellate di menzogne orchestrate per decenni da ignoti, o frutto dell’incapacità di tanti altri.  Tutti eredi di Falcone e Borsellino?  Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI 24.2.2021


24.2.2021 L’INTERVISTA AL QUOTIDIANO “IL RIFORMISTA”  FIAMMETTA BORSELLINO ALL’ATTACCO: “DI MATTEO DISTANTISSIMO DA MIO PADRE”. TORNA ALL’ATTACCO DI NINO DI MATTEO, IL PM DEL PROCESSO TRATTATIVA STATO-MAFIA.  

 

La figlia di Paolo Borsellino, qualche giorno fa in un’intervista a Repubblica aveva sottolineato “il contrasto fra le tesi espresse dalla sentenza ‘Trattativa’ e quelle emesse a Caltanissetta per la strage di via d’Amelio – ha commentato Fiammetta Borsellino – La prima individua quale elemento acceleratore la trattativa. La corte del Borsellino quater rileva invece che l’accelerazione sarebbe stata determinata dal dossier mafia e appalti, al quale mio padre era molto interessato. La sentenza ‘Trattativa’ arriva a negare questo interesse. Com’è possibile avere queste due opposte valutazioni?”.
E oggi, dalle colonne del quotidiano “Il Riformista”, la figlia del giudice ucciso il 19 luglio 1992 in via D’Amelio affonda il colpo sul pm simbolo del processo Trattativa: Nino Di Matteo.
“Non ho fiducia in coloro che si proclamano magistrati antimafia e hanno condotto procedimenti giudiziari che contrastano in maniera così manifesta. E non ho fiducia in chi dovrebbe fare chiarezza. Anche sul piano morale. Ad esempio in chi non si è accorto degli errori grossolani sul depistaggio della morte di mio padre. E nel Consiglio superiore della magistratura”, dice Fiammetta.
A proposito della desecretazione degli atti del Csm: “Un’operazione di facciata senza alcun senso se poi ci ferma e non si accertano le condotte indegne tenute dai magistrati dopo la morte di mio padre. Provo anche amarezza, soprattutto che debbano prendere la parola su mio padre persone distantissime da lui e che hanno indagato su altre piste. Un nome? Nino Di Matteo. Non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone. Mio padre, ad esempio, non avrebbe mai scritto o presentato libri sui suoi processi in corso. Mio padre era una persona di grande sobrietà, faceva solo il proprio dovere: ricercare la verità senza fare teoremi”.
Non è la prima volta che la figlia di Paolo Borsellino attacca Di Matteo: nel 2017 intervistata da Fanpage parlò di “Depistaggi avallati dai pm”poi a RaiRadio1 nel 25° anniversario della strage di via D’Amelio; nel 2018 rilancia sulle “le responsabilità di Di Matteo e degli altri pm”; poi lo scontro con lo zio Salvatore Borsellino che ha pubblicamente preso le distanze dalle sue parole; e infine nel 2019 la deposizione a Messina sui pm indagati (e oggi archiviati) in cui attacca Di Matteo, Palma e Petralia che si occuparono del falso pentito Vincenzo Scarantino. di Redazione 24 Febbraio 2021 IL SICILIA


25.2.2021 FIAMMETTA BORSELLINO, LIVORE E ACCANIMENTO CONTRO NINO DI MATTEO 

 

Da qualche anno a questa parte, su queste pagine in decine e decine di editoriali, ci siamo trovati a commentare ed intervenire rispetto ad alcune affermazioni che Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso in via d’Amelio assieme agli agenti della scorta (Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli), ha più volte rilasciato in svariati interventi pubblici o interviste. Più volte abbiamo scritto e riconosciuto che, al netto di una verità solo parziale sui fatti che riguardano l’attentato del 19 luglio 1992, è lecito provare rabbia ed avere sete di giustizia. Ancor di più di fronte ad una strage che legittimamente può essere definita come una strage di Stato e che ha visto lo sviluppo di un depistaggio che si è originato sin dalla sparizione dell’agenda rossa del giudice. Ancora una volta, leggendo le dichiarazioni di Fiammetta Borsellino, dobbiamo constatare la presenza di un vero e proprio accanimento, con livore, nei confronti di un magistrato in particolare: il pm palermitano ed oggi consigliere togato al Csm Nino Di Matteo. Un accanimento ingiustificato ed ingiusto alla luce, come abbiamo più volte ricordato, del ruolo che lo stesso assunse nei processi sulla strage di via d’Amelio. Da sostituto procuratore si occupò solo marginalmente delle indagini poi scaturite nel “Borsellino bis” (dove entrò a dibattimento già avviato, ndr) mentre istruì dal principio le indagini sul “Borsellino ter”, il troncone dedicato all’accertamento delle responsabilità interne ed esterne a Cosa Nostra, che ha portato alla condanna di tutti i capi della Commissione provinciale e regionale e che non è stato investito dal famoso “ciclone Spatuzza”, che mise in discussione la verità raccontata del falso pentito Vincenzo Scarantino riscrivendo un pezzo di storia riguardo l’attentato. In quel processo, infatti, le dichiarazioni del “pupo vestito” neanche furono utilizzate proprio perché vi erano forti limiti rispetto alle sue dichiarazioni. Nell’intervista al Riformista, quotidiano diretto da Pietro Sansonetti, ancora una volta si ripropone la famosa pista del rapporto mafia-appalti come motivo dell’accelerazione che portò poi alla morte, sviando l’attenzione da ogni aspetto che riguardi la trattativa Stato-mafia. E ciò avviene nonostante vi siano sentenze e processi ancora in corso che sono deputati a chiarire questi aspetti. Ed ogni volta che si parla dell’archiviazione di quell’indagine da parte della Procura di Palermo, giusto il 20 luglio 1992, non si ricorda mai che la stessa inchiesta si basava su un’informativa dei carabinieri “incompleta” e privata dei nomi di politici di rilievo che invece comparivano in un’altra informativa depositata in un’altra Procura. Siccome pensiamo che la signora Fiammetta Borsellino è assolutamente cosciente degli argomenti che tratta, ed è intelligente, siamo certi che ha avuto modo di approfondire questi argomenti. Quello che non riusciamo a comprendere sul piano logico, a meno che non si tratti di sentimenti di odio (ci auguriamo non sia così), è proprio la natura di quell’accanimento nei confronti di Nino Di Matteo. Ciò avviene nonostante quest’ultimo non sia stato mai iscritto nel registro degli indagati per il depistaggio sulla strage di via d’Amelio. Un’inchiesta che vedeva indagati i magistrati Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, con l’accusa di calunnia aggravata, che è stata archiviata dal Gip di Messina dopo la richiesta della stessa Procura, in quanto “non si è individuata alcuna condotta posta in essere né dai magistrati indagati, né da altre figure appartenenti alla magistratura che abbiano posto in essere reali e consapevoli condotte volte ad inquinare le dichiarazioni, certamente false, rese da Vincenzo Scarantino”. Nonostante lo stesso Di Matteo abbia spiegato più volte (processo sul depistaggio contro i poliziotti, processo Borsellino quater, Commissione parlamentare antimafia e Csm) in maniera minuziosa su come si sono svolti i fatti in quegli anni ogni volta viene ingiustamente tirato in ballo. A questo punto vorremmo porre alcune domande a Fiammetta Borsellino. Crede che tutte le istituzioni che si sono occupate della strage di via d’Amelio, gli organi inquirenti e giudicanti di tutti i processi, siano da sottoporre sotto provvedimento disciplinare, siano incompetenti o peggio ancora corrotti? Tra esse inserisce anche i componenti del Csm, i magistrati ed i giudici della Procura di Messina, prima ancora il Gip di Catania che archiviò l’inchiesta sui sostituti procuratori di Caltanissetta Palma e Di Matteo in quanto priva di alcun “comportamento omissivo” rispetto alla vicenda del deposito posticipato al processo “Borsellino bis” dei confronti tra Scarantino ed i collaboratori Totò CancemiGioacchino La Barbera e Mario Santo Di Matteo? Ritiene che tutte le sedi Istituzionali che hanno in qualche maniera assolto, archiviato o non indagato il magistrato siano corrotte? La signora Fiammetta Borsellino si assume la responsabilità di mettere in dubbio ed accusare di complicità correntista il Csm, quando lo stesso Di Matteo non appartiene ad alcuna corrente? Sulla vicenda del rapporto mafia-appalti è cosciente dell’intera spinosa vicenda o si ferma solo alla ricostruzione monca che certe parti interessate vogliono far emergere? Fa specie notare che quella pista per la morte di Borsellino, sia la “favorita” della difesa Mori-Subranni-De Donno al processo Stato-mafia. Così come fa specie, in un mondo alla rovescia dove vero e falso si mescolano continuamente, vedere come alcuni familiari vittime di mafia accolgano, totalmente o in parte che sia, suggerimenti e considerazioni da parte di chi certe verità non vuole che siano mostrate. E chi trae giovamento da tutto questo è proprio quel gruppo di uomini-cerniera che hanno obbedito agli ordini di uno Stato-mafia che ha letteralmente armato il braccio di Cosa Nostra per seminare bombe e distruzione nel biennio ’92/’93 e non solo. Ed è un dato di fatto che la verità della trattativa Stato-mafia è scomoda a molti. Fiammetta Borsellino, lo ha ribadito più volte con le sue dichiarazioni, sposa in toto considerazioni come quelle dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, che difende alcuni degli ergastolani ingiustamente condannati in base alle dichiarazioni di Scarantino. Per concludere nell’intervista al Riformista Fiammetta Borsellino afferma, riferendosi chiaramente a Di Matteo, che “non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone“. Chi sarebbero dunque vicini alle idee e all’etica del padre? Quegli avvocati degli stragisti che hanno assassinato Paolo Borsellino? Lo ripetiamo ancora una volta, senza nulla togliere al diritto alla difesa e alla legittimità professionale degli avvocati nell’esercizio della loro professione, resta un fatto noto che l’avvocato Di Gregorio non è solo il difensore di una delle vittime delle bugie del falso pentito Vincenzo Scarantino (Gaetano Muranandr) ma è già stata legale del boss corleonese Bernardo Provenzano ed anche del boss di Santa Maria del Gesù, Pietro Aglieri, entrambi membri della Cupola di Cosa nostra e condannati a vari ergastoli in via definitiva, anche per la strage di via d’Amelio. Di Gregorio che, durante un’udienza del “Borsellino ter”, il collaboratore di giustizia Totò Cancemi affermò essere in qualche maniera vicina agli ambienti dei servizi segreti. Nello specifico disse che mentre si trovava in tribunale a Palermo, l’avvocato Rosalba Di Gregorio gli aveva confidato di aver saputo che c’era un grosso corleonese latitante in contatto con i servizi segreti. Cancemi spiegò che il latitante a cui si faceva riferimento era Bernardo Provenzano. Diamo atto che la stessa Di Gregorio ha sempre smentito l’accaduto ma se si ritiene che Cancemi abbia detto il vero su Scarantino perché dovrebbe aver mentito sul legale?E cosa ne pensa Fiammetta Borsellino dei magistrati di Caltanissetta che hanno indagato sul progetto di attentato nei confronti dello stesso Nino Di Matteo, con una condanna a morte perpetrata dal Capo dei capi Totò Riina e dal superlatitante Matteo Messina Denaro. Un progetto di attentato il cui ordine di colpire Di Matteo, lo scrivono gli stessi magistrati nisseni nel decreto di archiviazione, “resta operativo”? Sono vicini alle idee del padre? Su tutte queste domande sarebbe bello, prima o poi, avere una risposta. Ma abbiamo il timore e l’amarezza che la signora Fiammetta Borsellino abbia dimenticato chi veramente, nell’informazione e nella magistratura, ha dedicato la propria vita, con disinteresse, a cercare la verità sull’assassinio del proprio padre. di Giorgio Bongiovanni ANTIMAFIA DUEMILA 25.2.2021


25.2.2021 FIAMMETTA BORSELLINO, RAGIONE E SENTIMENTO

 

Era inevitabile. Prima o poi sarebbe dovuto accadere. L’evento scatenante che, questa volta, è l’intervista rilasciata da Fiammetta Borsellino a “Il Riformista”.  E così, come mi fu suggerito un po’ di tempo fa da un “amico”, la profezia si è avverata: a Palermo si muore spesso più per fuoco amico che non per fuoco nemico.  Una volta si sarebbe detto “si alzano a destra e a manca voci di dissenso” mentre nella giornata di ieri abbiamo assistito all’esatto contrario, ossia “da destra e da manca” arrivava l’assordante rumore del silenzio. Nessun rilancio, nessuna citazione. Anche i “leoni da tastiera” hanno taciuto pubblicamente sui social, anche se non lo hanno fatto all’interno delle loro segretissime chat su Whatsapp o su equivalenti servizi di messaggistica istantanea. Si è alzato il velo silenzioso dello scandalo per le affermazioni della figlia del giudice Paolo Borsellino contenute nell’intervista rilasciata all’ottimo Paolo Comi che ha fatto il suo mestiere di giornalista, senza commentare e, soprattutto, senza anteporre il proprio pensiero personale alla voce di Fiammetta. Ma ciò non toglie che le sue parole siano state mal sopportate e abbiamo creato malumore e critiche ma non è politicamente corretto attaccarla pubblicamente. Poi, questa mattina, qualche voce si è sentita. Forse la notte ha portato (s)consiglio ed è partita la prima raffica di dissenso, un dissenso calibro 38 Special. Questa volta il fuoco amico nei confronti di Fiammetta Borsellino arriva dalla stampa, quella che da sempre è schierata in prima fila con i diversi movimenti antimafia. Ma cosa è successo? Ragione e sentimento, questo è successo. Fiammetta Borsellino ha commesso il reato di lesa maestà. Si è permessa, ancora una volta, di lanciare il suo monito e di puntare il dito nei confronti della magistratura, delle sue indagini e, in modo particolare, nei confronti del dottor Nino Di Matteo dichiarando: «A parte la vicenda del processo “Trattativa Stato-mafia” condotto proprio da Di Matteo, non può considerarsi erede di mio padre chi non pone in essere i suoi insegnamenti e anche quelli di Giovanni Falcone. Mio padre, ad esempio, non avrebbe mai scritto o presentato libri sui suoi processi in corso».
Di recente, la sentenza del “Borsellino Quater” ha stabilito che ad accelerare l’uccisione di Borsellino furono diversi motivi, come il probabile esito sfavorevole del maxiprocesso e la pericolosità, per Cosa nostra, delle indagini che il magistrato era intenzionato a portare avanti, in particolare in materia di mafia e appalti. «Non mi capacito del fatto che nessuno abbia mai voluto fare luce fino in fondo sul perché venne archiviato il dossier “mafia-appalti” a cui mio padre teneva moltissimo. E ciò̀ per me è come un tarlo che si insinua nella mente, giorno e notte», ha dichiarato Fiammetta Borsellino sulle colonne de “Il Riformista”. Ma se questo è veramente stato il possibile accelerante, come sostiene Fiammetta ma anche la sentenza del “Borsellino Quater”, della strage di via d’Amelio per eliminare il dottor Paolo Borsellino, perché non si è indagato? Semplice, molto semplice. Non si è indagato perché il dossier “mafia-appalti” è stato archiviato.
Ma facciamo ordine.  Parliamo del dossier “mafia-appalti”, quel dossier investigativo realizzato dal Ros e voluto da Giovanni Falcone. Quel dossier investigativo che, nonostante il costante tentativo di sminuirne l’importanza e, addirittura, considerarlo una semplice indagine locale, conteneva un’approfondita analisi delle connessioni tra le famiglie mafiose siciliane, i loro interessi e quelli di grandi aziende coinvolte in appalti locali. Documento esplosivo? Se ripensiamo con lucidità ai contenuti del dossier in oggetto, possiamo pensare che fosse più confermativo che esplosivo. Molte delle grandi aziende citate nel dossier del Ros sono le stesse che comparivano nelle inchieste giornalistiche condotte negli anni ’70 da Mario Francese, quel cronista di razza che il 26 gennaio 1979 pagò con la vita la sua perspicacia e la sua capacità di analisi. Quelle grandi aziende che avevano interessi nella costruzione della diga Garcia, oggetto delle inchieste giornalistiche di Mario Francese.
Rimettiamo in ordine eventi e date.  Il 16 febbraio 1991, i carabinieri del Ros depositarono alla procura di Palermo l’«informativa mafia e appalti» relativa alla prima parte delle indagini. Il dossier passò per le mani prima dell’allora capo della procura di Palermo, Pietro Giammanco, e poi dei sostituti Guido Lo ForteGiuseppe Pignatone e Roberto Scarpinato. Il 9 luglio 1991 la procura chiese cinque provvedimenti di custodia cautelare e, ai legali dei cinque arrestati, fu stranamente consegnata l’intera informativa del Ros, anziché gli stralci relativi alle posizioni dei diretti interessati, con il risultato che tutti i contenuti dell’indagine vennero resi pubblici, vanificando il lavoro degli investigatori. La vicenda provocò una frattura insanabile tra il Ros e la procura di Palermo e diverse polemiche sui giornali, che parlarono addirittura di “insabbiamento” della parte d’indagine che chiamava in causa esponenti politici. Dopo la strage di Capaci il dottor Borsellino, che all’epoca della consegna del rapporto era procuratore capo a Marsala ma che dal marzo 1992 era di nuovo alla procura di Palermo come procuratore aggiunto, decise di riprendere l’inchiesta riguardante il coinvolgimento di Cosa nostra nel settore degli appalti e fornirle un nuovo slancio, considerandola di grande importanza. Ciò è confermato non solo da un incontro che il dottor Borsellino volle tenere il 25 giugno 1992, presso la Caserma dei Carabinieri Carini di Palermo, con Mori e De Donno, ai quali chiese di sviluppare le indagini in materia di mafia e appalti riferendo esclusivamente a lui, ma anche dalle conversazioni avute dallo stesso Borsellino con Antonio Di Pietro, che allora stava conducendo le indagini sugli appalti al centro di “Mani Pulite”.
Elemento cardine è la riunione che il 14 luglio 1992, cinque giorni prima dell’uccisione di Borsellino, il procuratore Giammanco convocò in procura per salutare i colleghi prima delle ferie estive e per trattare “problematiche di interesse generale” attinenti ad alcune indagini: “mafia e appalti, ricerca latitanti e racket delle estorsioni”. Nella riunione, alla quale partecipò anche Borsellino, Lo Forte fu chiamato a relazionare sull’indagine, ma dalle testimonianze dei presenti risulta che la parola “archiviazione” non venne mai pronunciata e da ciò si evince che il dottor Borsellino non fu informato che il giorno prima, il 13 luglio 1992, sei giorni prima della strage di via d’Amelio, fu presentata dai sostituti procuratori della Repubblica Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, con il visto del Procuratore della Repubblica Pietro Giammanco, un’argomentata richiesta di archiviazione, archiviazione che verrà presentata il 22 luglio 1992, due giorni dopo la strage di via d’Amelio, e posta in essere, con la restituzione degli atti, il 14 agosto 1992.  Ragione e sentimento. Omissioni, pezzi mancanti, discordanze. Dossier archiviati, vuoti di memoria ma, soprattutto, vergogna, tanta vergogna.  (Ro.G.). STATIGENERALI 25.2.2021


25.2.2021 PER QUANTO TEMPO ANCORA? LETTERA DELLA FIGLIA DEL PM PETRALIA IN RISPOSTA ALLE ACCUSE DI FIAMMETTA BORSELLINO 

 

Mi domando per quanto tempo ancora, i magistrati che hanno lavorato sulla strage di via D’Amelio, dovranno essere accusati dalla sig.ra Fiammetta Borsellino. Mi domando quali altre prove servano, oltre le approfondite indagini preliminari svolte egregiamente dai pm di Messina che, ricordo, hanno disposto ed espletato anche laboriosi accertamenti tecnici irripetibili. Per quanto ancora gli ex pm Palma e Petralia, nonostante un’ordinanza di archiviazione chiara nel definire che non è stata individuata nessuna condotta “penalmente rilevante da parte dei magistrati” dovranno essere messi sopra la bilancia di un dubbio che verte sempre un po’ di più dalla parte della colpevolezza.
Per quanto tempo ancora dovranno subire insidiose accuse pubbliche? Per quanto ancora Nino Di Matteo, dovrà subire anche lui le pubbliche accuse della sig.ra Fiammetta Borsellino? Per quanto ancora il nostro silenzio verrà usato per offenderci ancora, ancora e ancora una volta?
Non è certo la gogna mediatica che temo, ma le accuse cieche che odorano di pregiudizi, quelle si.
Una strada percorsa sulla suggestione dei pregiudizi non conduce mai alla verità. Nino Di Matteo tirato in causa con la stessa forza con cui, in questi anni, è stato tirato dentro a questo fango mio padre, mi fa pensare che ci sia qualcosa di orchestrato di cui, chi si fa portavoce della malagiustizia, non è al corrente, qualcosa che, lungi dall’avvicinare alla verità, spinge ad allontanarsene. Circoscrivere un dramma nazionale (la stagione delle stragi) a singole e mai dimostrate responsabilità di alcuni magistrati serve, infatti, a negarne la riconducibilità al perverso rapporto intercorso per anni tra lo Stato e un apparato criminale sanguinario ed eversivo come cosa nostra. Oggi penso che dietro le accuse della sig.ra Fiammetta Borsellino ci sia qualcuno che, abilmente, cerca di usare il dolore di una figlia per allontanare, ancor di più, questa verità. Flavia Petralia 25 Febbraio 2021 ANTIMAFIA DUEMILA


3.2.2020 BORSELLINO, LA RABBIA DI FIAMMETTA. “VERITÀ TACIUTA DAI PM”

 

IL SICILIA 

«Delusa e amareggiata perchè vedo che c’è una enorme difficoltà a fare emergere la verità». Lo ha detto Fiammetta Borsellino, parlando con i giornalisti e commentando la deposizione del consigliere del Csm Nino Di Matteo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. A Messina sono indagati Annamaria Palma e Carmelo Petralia che con Di Matteo erano tra i pm di Caltanissetta che si occuparono della strage di via D’Amelio. «Non ho constatato da parte di nessuno – ha proseguito – la volontà di dare un contributo al di là delle proprie discolpe a capire che cosa è successo. Penso che nessuno di questi magistrati abbia capito niente di mio padre».
«Ci si riempie molto la bocca con la parola pool – è lo sfogo di Fiammetta Borsellino – ma io di pool non ne ho visto neanche l’ombra, perchè tutte le volte che a tutti i magistrati si chiede come mai non sapessero dei colloqui investigativi o sulle mancata audizione dell’ex procuratore Giammanco, cadono dalle nuvole». La figlia del giudice, presente per tutta l’udienza, incalza: «Io capisco che si possa arrivare dopo rispetto alle indagini che sono già state fatte ma – ha spiegato – questo non significa non potersi informare su quello che è stato fatto prima o fare integrazioni di indagini. Invece quello che sento dire sempre è di essere arrivati in un momento successivo e sembra che tutto quello che riguarda Scarantino, il depistaggio e le stragi sia avvenuto per virtù dello spirito santo».


16,7.2012 DEPISTAGGI IN VIA D’AMELIO, I BORSELLINO SI SPACCANO SULLE ACCUSE DI FIAMMETTA 

“È essenziale e assolutamente necessario. Ma se sia possibile non lo so, è una domanda troppo difficile perché ho visto cose troppe difficili in questi anni. Lasciamo questa domanda alla coscienza dei tanti che sanno la verità”. Così Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo Borsellino, alla domanda dei giornalisti se sia necessario un ‘pentito di Stato‘ per sapere la verità sulla strage di via D’Amelio, in cui perse la vita suo fratello insieme agli uomini della scorta.

Rita Borsellino era presente nella sede del Centro Studi Paolo Borsellino, per la presentazione del programma di eventi commemorativi per ricordare le vittime della strage nella ricorrenza dell’anniversario, il prossimo 19 luglio. Sul fatto che sua nipote Fiammetta Borsellino (intervistata in esclusiva da ilSicilia.it) sarà audita dalla Commissione regionale antimafia, dice: “Sono molto contenta che Fiammetta abbia preso questa situazione in mano e abbia trovato la forza e il coraggio, che non sono facili. Seguo con grande attenzione quello che mia nipote dice e sono perfettamente d’accordo con lei.

Di tutt’altro avviso invece il fratello, Salvatore Borsellino, che ha pubblicamente preso le distanze dalle parole di Fiammetta che accusò nei giorni scorsi i vari pm che gestirono il falso pentito Scarantino (Anna Maria Palma, Carmelo Petralia, Nino Di Matteo). In particolar modo sulle accuse a Nino Di Matteo, Salvatore Borsellino ha chiesto “scusa per le accuse di un rappresentante della mia famiglia, sul depistaggio di Scarantino. Sono sicuro che per quel depistaggio sono altri i magistrati che debbono essere portati a processo. Quindi ti chiedo scusa per le amarezze che ti hanno portato queste incaute affermazioni che sono state fatte da membri della mia famiglia. So che queste amarezze ti hanno portato a declinare l’invito per presentare un libro scritto da ragazzi del movimento Agende Rosse in via d’Amelio. Spero che tu riesca a superare queste remore. Nino noi abbiamo bisogno di te“. Il video in basso:

 

 

Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia, è stata convocata dalla Commissione speciale dell’Ars, guidata da Claudio Fava, in seguito alla sentenza del processo ‘Borsellino quater‘, nella cui motivazione si legge che le false dichiarazioni sulla strage hanno dato vita a “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”.

IL PM TERESI: “FATTI DI 26 ANNI FA SONO LA GENESI STORTURE DI OGGI”

“Ventisei anni fa e anche negli anni seguenti – aggiunge Teresi, pubblico ministero nel processo sulla Trattativa – c’erano le condizioni, c’era la possibilità di andare veramente fino in fondo, ma una parte di alcune delle istituzioni, che hanno tradito, purtroppo per molti anni hanno avuto la meglio. Sono, quindi, prevalsi l’oblio, il depistaggio, il tentativo di mettere tutti a tacere e, soprattutto, di consegnare questi fatti agli storici anziché alle cronache quotidiane. I fatti di 26 anni fa sono la genesi delle storture di oggi”. E a proposito del fatto che Fiammetta, verrà audita dalla Commissione regionale antimafia, dice: Siamo in un gravissimo ritardo.Le istituzioni, la Regione, lo Stato, avrebbero dovuto indagare nel ’93, ’94, ’95 perché era evidente che c’era qualche cosa di poco chiaro nelle motivazioni della strage di via D’Amelio, così come in quella di Capaci. Oggi speriamo di riuscire a colmare questo ritardo”. 

“Dubito fortemente che si possa restare venti, trenta, quarant’anni latitanti senza godere di coperture importanti a livello anche di istituzioni deviate in qualche maniera. Sono certo che di queste coperture Matteo Messina Denaro ne abbia godute e, forse, purtroppo continua ad averle”, ha concluso.

 


18.7.2017 PAOLO BORSELLINO: PERCHÉ? DOPO 25 ANNI, LA FIGLIA FIAMMETTA CHIEDE; E NOI PURE

In un’intervista la figlia minore di Borsellino dice che la verità è stata “allontanata da 25 anni di grossissimi buchi neri e di grossissime lacune”

 

È stato annunciato che, analogamente a quanto disposto per il XXV Anniversario della Strage di Capaci, anche per la stessa ricorrenza di Via D’Amelio, il Consiglio Superiore della Magistratura rimuoverà il segreto dalle audizioni di Paolo Borsellino, o comunque, dagli atti a lui pertinenti. Saperne di più, è sempre bene: sicché, è una buona notizia.

Tuttavia, il CSM non è un istituto archivistico: è l’Organo di autogoverno della magistratura italiana. Oggi, è formalmente accertato che la menzogna è stato il motore dei processi Borsellino I e II. Pertanto, potrebbe volgere la sua azione, giusto per contribuire ad onorare la Memoria con la nota “ricerca della verità”, anche su atti e vicende di pubblico dominio.

Per riassumerle, sarà sufficiente riesaminare alcune dichiarazioni rese da Fiammetta Borsellino, nel corso di un’intervista resa qualche settimana fa al giornalista Sandro Ruotolo,  e svincolarle dal silenzio che pare già averle prese in consegna.

In quella occasione, la figlia minore di Paolo Borsellino, dice:

  1. che la verità è stata “allontanata da 25 anni di grossissimi buchi neri e di grossissime lacune”; e fin qui, sembra facile; ma prosegue;
  2.  “lacune” e “buchi neri”  “sono riscontrabili sia in campo investigativo sia in campo processuale”; “processuale” è di competenza del CSM, tanto più che viene distinto da “investigativo” e , perciò, non si fa coincidere con esso;
  3. quindi, aggiunge che “a mio padre stava a cuore il legame tra la mafia e gli appalti”; “Mafia e Appalti” non è un’endiadi a caso, o il titolo di un convegno; è il nome che i ROS di Palermo attribuirono ad un’indagine (diretta, in campo investigativo, dal Colonnello dei Cc, allora, Mario Mori), compendiata in un rapporto del Febbraio 1991; questa indagine è stata archiviata il giorno dopo la Strage di Via D’Amelio; anche le archiviazioni sono provvedimenti di cui può occuparsi esclusivamente il CSM;
  4. alcuni magistrati non furono mai assunti a sommarie informazioni; uno fu il Procuratore della Repubblica di Palermo al tempo delle stragi, dott. Pietro Giammanco (deceduto): ritenuto ininfluente tanto nelle indagini su Capaci, quanto su Via D’Amelio; l’altro fu Paolo Borsellino, mai convocato su Capaci; anche queste scelte sono materia per il CSM, dato che si tratta di scelte di una Procura della Repubblica (in questo caso, Caltanissetta);
  5. ancora: bisogna accertare quello che è avvenuto “prima, prima, lamorte di mio padre”. E, ora, bisogna fare attenzione: il “prima” è apparentemente fatto coincidere con lo spazio temporale della “trattativa”: la quale, nelle sua varie articolazioni ipotetiche, è comunque compreso in quelli che anche Fiammetta Borsellino chiama “i 52 giorni” fra le due stragi; ma poi precisa, “anche il pregresso”; così, ogni riferibilità della causale, per la strage di Via D’Amelio, alle ipotesi fin qui coltivate, viene categoricamente smentita; “anche il pregresso”, significa anche prima di Capaci: che è, invece, il periodo prima del quale nessuna “trattativa” (Stato-mafia) è stata mai ipotizzata. Altro è, allora, valorizzare “i 52 giorni” fra le due stragi, in relazione anche al “pregresso”: altro è considerarle in sè. Cambia tutto (e qui Ruotolo interviene: smistando questa fondamentale precisazione, interrompendo, e riprendendo il termine “trattativa” nella consueta accezione: senza il “prima”). “Prima” c’è Mafia e Appalti, l’indagine del Generale Mori, la sua archiviazione, e nulla di ciò che ha occupato indagini e processi in questi 25 anni. Un “tutto” e un “niente” di cui ancora potrebbe occuparsi il CSM;
  6. due magistrati, Ilda Boccassini e Roberto Saieva, dopo aver partecipato a due interrogatori del collaboratore di Giustizia Vincenzo Scarantino: uno nel Giugno e un altro nel Settembre 1994, scrissero che costui diceva “cose inverosimili”; e mandarono tutto alla Procura di Palermo; Fiammetta Borsellino, ritiene di distinguere l’operato di questi magistrati da quello di altri: il Procuratore di Caltanissetta del tempo, dott. Giovanni Tinebra (deceduto), i sostituti, del tempo, Carmelo Petralia, Anna Maria Palma, e Nino Di Matteo, che si introduce nel Novembre del 1994”; sempre che lo ritenga necessario, solo il CSM può precisare se, ed in che termini, questa distinzione (“una riflessione a parte va fatta per il dottor Saieva e la dott.ssa Boccassini”), per la ricerca della verità, cui è votata l’annunciata desecretazione di cui sopra, presenti interesse ed abbia un fondamento;
  7. chi gestisce in maniera preponderante” il pentimento di Scarantino “sono la dottoressa Palma e il dottore Petralia”, “come già accennavo, si introduce nel Novembre del 1994 il dottore Di Matteo”; è precisato che vi ebbero parte anche funzionari della Polizia di Stato, ma queste competenze, sfuggono al CSM;
  8. j Scarantino è stato affidato, senza che constasse, sostiene Fiammetta Borsellino, autorizzazioni al riguardo, al “Gruppo Falcone-Borsellino”: cioè all’unità investigativa facente capo al dott. Arnaldo La Barbera (deceduto), anziché al Servizio Centrale di Protezione; tuttavia, è da escludersi che questo significasse ignoranza della singolare circostanza, in capo ai magistrati: perché, ancora si osserva, “furono autorizzati” “colloqui investigativi”: “ben dieci, dopoil pentimento di Scarantino”. L’autorizzazione è di competenza di magistrati e, quindi, ove ritenesse, del CSM; e, viene ancora notato, tali autorizzazioni intervennero “svilendo anche quella che è la ratio dell’istituto…perché il colloquio investigativo viene fatto prima che una persona inizi a collaborare, per convincere questa persona a collaborare”; dopo, “viene sentito con tutte le garanzie previste dalla legge”; prima, pare di capire, l’atmosfera potrebbe essere “diversamente garantita”, diciamo (su questo punto, è comunque consigliabile osservare la mimica dell’intervistata);
  9. non sono mai stai disposti confronti fra Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura (durante le indagini, collaboratori di giustizia); si fa notare, che “dai loro interrogatori si evince un progressivo aggiustamento delle loro dichiarazioni”, “era chiaro che questi pentiti si rincorrevano l’un l’altro perché le loro dichiarazioni dovevano convergere in un’unica direzione”;
  10. il 13 Gennaio 1995, viene invece eseguito dai Pubblici Ministeri un confronto, in sede di indagine (altra, rispetto al processo, Borsellino Uno, che era invece già in corso dall’Ottobre 1994), fra il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi e Vincenzo Scarantino; osserva Fiammetta Borsellino che “Scarantino viene letteralmente umiliato da Cancemi”, quindi ne è scossa plasticamente la credibilità; però “il confronto non viene depositato” (in vista della successiva udienza dibattimentale del Maggio 24 1995, nel ridetto processo Borsellino Uno) “noi ci chiediamo perché questo confronto non viene messo a disposizione delle difese degli imputati e del giudice terzo”; forse anche il CSM potrebbe volerlo sapere; tanto più che, infine si chiosa, “il deposito di questo confronto sarebbe stato fondamentale”; “deposito avvenuto solo nella primavera del 1997, e solo a seguito di una durissima battaglia con le difese degli imputati”.

E varie altre cose dice Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, ucciso il 19 Luglio 1992. E magari non meritano l’attenzione del CSM. Ma il CSM è stato sempre un organo di grande curiosità intellettuale; come dimostrano proprio quelle audizioni di Paolo Borsellino, che saranno desecretate in pompa magna giusto domani, 19 luglio: chiamato a spiegare perché non fosse uno “scippatore” di processi altrui; o come del pari dimostrano quelle di Giovanni Falcone: convocato a dimostrare di non essere un “insabbiatore” di processi propri.

Qui non ci sono denunce; solo domande. E, come si dice, domandare si può; rispondere è cortesia. Anche per il CSM.     

 


4.2.2020 VIA D’AMELIO, PARLA DI MATTEO. LA FIGLIA DI BORSELLINO: “FUORI LA VERITÀ SULLA STRAGE”

TP 24

 A Caltanissetta, al palazzo di giustizia, al processo a carico dei poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, imputati di concorso in calunnia, aggravata dall’avere favorito Cosa Nostra, nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini dopo la strage di via D’Amelio tramite il falso pentito Vincenzo Scarantino, ha deposto come testimone il magistrato Nino Di Matteo, attualmente componente del Csm, il Consiglio superiore della magistratura, e all’epoca parte del pool che indagò sulla strage.

Nino Di Matteo, tra l’altro, ha affermato: “Non credo sia stata solo Cosa Nostra. Non credo che la strage di via D’Amelio sia solo di mafia. Il depistaggio cominciò con la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino. E le indagini sul diario del magistrato partirono già il 20 luglio del 1992, il giorno dopo l’attentato. E’ chiaro che l’agenda rossa di Paolo Borsellino è sparita e non può essere sparita per mano di Graviano. Il mio impegno era finalizzato a capire per mano di chi fosse sparita. Abbiamo fatto il possibile per accertarlo, anche scontrandoci con reticenze bestiali sulla presenza di esponenti delle istituzioni nel luogo dell’attentato. Tutta l’indagine è stata portata avanti con grandissima incisività da parte mia e dei colleghi Carmelo Petralia e Anna Maria Palma. Io mi ero studiato le carte. Indagai a fondo sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio dopo la strage. Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Francesco Elmo che ci aveva detto di avere visto Contrada allontanarsi dal teatro dell’attentato con dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende. Vedendo quegli atti mi accorsi che c’era stato un ufficiale del Ros, Umberto Sinico, che era andato in Procura a Palermo e aveva riferito ad alcuni magistrati di aver saputo che la prima volante della Polizia, accorsa dopo l’esplosione in via D’Amelio, aveva constatato la presenza di Contrada. I poliziotti avevano fatto una relazione che poi era stata strappata in Questura. I colleghi avevano preso a verbale Sinico e mandato tutto a Caltanissetta, dove Sinico si era rifiutato di rivelare la sua fonte. Si avviò una indagine molto spinta sui Servizi Segreti. Io stavo per chiedere il rinvio a giudizio del carabiniere Sinico, che poi si decise a fare il nome della sua fonte, Roberto Di Legami, funzionario di Polizia. Di Legami negò tutto. Rinviato a giudizio fu poi assolto”.
E poi, ancora, in riferimento ai suoi rapporti con Scarantino, Nino Di Matteo ha risposto: “Ci tengo a dire che sono stato il primo a dire che Vincenzo Scarantino aveva il mio numero di telefono cellulare e mi chiamava. Mi telefonava perché qualcuno gli aveva dato il mio telefono. Ricordo un episodio particolare, quando mi mandò una sequenza di messaggi telefonici in cui sosteneva che il dottor Arnaldo La Barbera e Gabrielli lo avevano tradito nelle aspettative. E che voleva tornare in carcere, disse ‘nell’inferno di Pianosa’. Ricordo di avere detto ‘ma chi glielo ha dato il mio numero?’ E seppi che glielo aveva dato il procuratore Giovanni Tenebra. Io non do spiegazioni ma mi preme dire una cosa: in quel momento, siamo nel ’93-’94, era un momento nel quale i collaboratori di giustizia scontavano dei problemi e vedevano nell’ufficio del Procuratore la speranza di una soluzione di quei problemi. E poi, ancora, in riferimento alle polemiche insorte sulla “preparazione” del pentito Scarantino alla sua deposizione, Nino Di Matteo ha spiegato: “Ma che cosa significa preparare, dire al collaboratore ‘lei giorno tot comparirà davanti alla Corte d’Assise. Oppure ‘gli argomenti saranno questi’ e ancora ‘dica la verità’, né una cosa in più né una cosa in meno. Oppure ‘esponga in chiarezza, non entri in polemica’. Questo vuol dire preparare un collaboratore”.
“Penso ci sia una enorme difficoltà a fare emergere la verità. Non ho constatato da parte di nessuno la volontà di dare un contributo, al di là la delle proprie discolpe, a capire cosa è successo”.
Questo è ciò che afferma Fiammetta Borsellino. la figlia del celebre magistrato ucciso durante la strage di Via D’Amelio insieme alle sue guardie del corpo il 19 luglio 1992, commentando le parole dell’ex pm Nino Di Matteo.


19.122018 LA RABBIA DI FIAMMETTA BORSELLINO: “VERGOGNOSO IL SILENZIO DI DI MATTEO”L’ACCUSA DI FIAMMETTA

PALERMO TODAY

Il duro attacco della figlia del giudice ucciso nel 1992: “Magistrati hanno sbagliato a Caltanissetta con comportamenti contro la legge che ad oggi non sono mai stati perseguiti”. La replica: “A vergognarsi devono essere altri, non io…

Da una parte Fiammetta Borsellino. Dall’altra il pm Nino Di Matteo. Sullo sfondo la relazione della Commissione regionale antimafia dell’Ars in merito al depistaggio relativo alle indagini sulla strage di via D’Amelio. “”Mio padre è stato lasciato solo, sia 

da vivo che da morto. C’è stata una responsabilità collettiva da parte di magistrati che nei primi anni dopo la strage – ha detto Fiammetta Borsellino – hanno sbagliato a Caltanissetta con comportamenti contra legem e che ad oggi non sono mai stati perseguiti né da un punto di vista giudiziario né disciplinare”. 

E’ durissimo l’attacco di Fiammetta Borsellino ai magistrati che indagarono per primi sulla strage di via D’Amelio. “Chi ha lavorato nel periodo del depistaggio non ha capito nulla di mio padre. Non è accettabile che magistrati come Ilda Boccassini, Nino Di Matteo e la signora Palma, si siano sottratti alle audizioni della Commissione regionale antimafia. E’ una vergogna”.

Un attacco che ha scatenato la forte reazione del pm della Direzione nazionale antimafia Antonino Di Matteo: “A vergognarsi devono essere altri, non io… Io non ho ritenuto di accettare l’invito per l’audizione innanzi a una Commissione regionale antimafia che non ha i poteri e le  competenze per potersi occupare di un argomento così delicato e complesso – spiega il pm Di Matteo all’Adnkronos -. Sulle inchieste per le stragi del ’92, sulle quali la Commissione regionale antimafia  all’Ars mi voleva sentire, ero già stato audito, su mia richiesta, per due lunghe sedute, dalla Commissione nazionale antimafia, della quale, a quel tempo, faceva parte anche l’onorevole Fava”.

E Di Matteo poi aggiunge: “Ero stato sentito, in altre occasioni, dalle Corte  d’assise di Caltanissetta e dal Consiglio superiore della magistratura. In tutte quelle sedi – dice il magistrato – ho sempre  fornito ogni contributo di conoscenza e di esperienza”. Poi, il pm Di Matteo, che rappresentava l’accusa nel processo sulla trattativa  Stato-mafia a Palermo, sottolinea: “Gran parte della mia vita è stata, ed è, dedicata alla ricerca della verità sulle stragi. A vergognarsi  devono essere altri…”.

Oggi Fiammetta Borsellino aveva anche parlato del diniego di potere incontrare boss mafiosi in carcere, come i Graviano: “Mi viene negato anche il percorso che ho fatto con i detenuti e questo lo vivo come una lesione di un mio  diritto, al di là di tutte le giustificazioni che mi vengono date e  che non mi convincono. Di questi argomenti non si parla il 19 luglio  alla figlia di un giudice ucciso dalla mafia solo perché si è in  passerella a Palermo in occasione delle commemorazioni. Se ne parla in altre sedi. Invece, il 19 luglio mi è stato detto dal ministro della  Giustizia che dovevo stare calma e di pensare alla mia sicurezza. E  quel giorno mi è stato anche detto che sarebbero stati aperti gli  archivi del Sisde. Il ministro mi aveva assicurato che si potesse fare luce –  ha aggiunto – mi aveva detto che si sarebbe impegnato ma ad oggi non ho alcuna risposta in nessun senso, ma siamo abituati”.      

“Cosa provo oggi? Quello che può provare una figlia che ha perso il  padre in questo modo. Si cerca di dare un senso che va al di là delle  risposte giudiziarie”, dice Fiammetta.  “Le mie domande sulla strage di via  D’Amelio sono ancora tutte senza risposte. E le risposte non cadono dal cielo. Si danno nelle sedi  opportune, nelle aule giudiziarie. Ci sono state e ci sono oggi le occasioni per farlo. Si fa un appello corale rispetto al fatto che  ciascuno senta il bisogno di dare un contributo”. “Per avere la verità non ho bisogno di un Graviano o di un magistrato, ne abbiamo la piena  consapevolezza – dice – se qualcuno sa parli per liberarsi la coscienza”.


11.2.2020 – I DUBBI DI FIAMMETTA SUI PM PALMA E DI MATTEO

Dalle carte della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Messina, nell’ambito del depistaggio sulle indagini della strage di via D’Amelio (per cui erano indagati i pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia), dalla pagina 47 emerge anche una deposizione inedita di Fiammetta Borsellino, sentita il 25 marzo 2019.

Sono passaggi delicati, in cui la figlia del magistrato ucciso in quel tragico 19 luglio 1992 passa in rassegna i suoi ricordi e avanza qualche dubbio sui pm che si occuparono delle indagini.

Già nell’incipit della deposizione si capisce il forte dolore di Fiammettaper una verità negata ormai da quasi 28 anni: Io ho deciso di uscire allo scoperto… mio padre mi ha insegnato che lo si fa quando si hanno delle cose certe da dire, sennò si diventa urlatori e basta”. E la procura di Messina elogia infatti la “compostezza e determinazione con le quali i familiari del Dottor Borsellino hanno contribuito, e tutt’ora contribuiscono al ricordo di un Uomo la cui figura è di esempio per tutta la magistratura e per la nazione, per impegno e rettitudine”.

L’approccio di Fiammetta alla ricerca della verità è passato attraverso anni di lettura approfondita delle carte processuali, soprattutto grazie al cognato, Fabio Trizzino il marito di Lucia… abbiamo fatto questo lavoro di conoscenza, di apprendere quante più cose possibili… lui mi ha aiutato molto in questo lavoro di sintesi insomma”. Trizzino è il loro difensore di parte civile.

Oltre ai passaggi già noti sui colloqui in carcere coi fratelli Graviano, Fiammetta parla anche dei pm Palma e Di Matteo.

I RICORDI SU ANNA MARIA PALMA

Fiammetta racconta che «la Palma nasce come amica di famiglia, ma poi perché mio padre, mischina, l’aiutò a fare un po’ di carriera (…) quando fu messa a Caltanissetta, a me sembrava una persona competente avendola vista a casa; poi leggo le deposizioni e lei stessa dichiara che non si era mai occupata di mafia. (…) Lei era una di quelle che frequentava casa nostra». 

Fiammetta rivela che un giorno la Palma «fece un po’ incavolare» suo padre, perché «dopo che è morto Falcone addirittura la Palma ad un certo punto lo invitò per San Pietro e Paolo a casa di Giammanco. Tant’è che mio padre gli disse: “Ma scusa non non lo sai che a questo fra poco lo arrestiamo?” …Poi la Palma è stata anche una grande frequentatrice di salotti palermitani cosa che insomma mio padre non ha mai fatto. Quindi, comunque, nella vicinanza c’era anche una enorme distanza».

Poi si sofferma sulla mancata verbalizzazione del sopralluogo effettuato da Scarantino con la polizia dove sarebbe stata rubata la Fiat 126: «Non esiste un verbale – lamenta Fiammetta – ho letto le deposizioni della signora Palma al processo “Borsellino quater” quando gli viene chiesto» il motivo della mancanza del verbale «e lei risponde “Mh mh”, “non lo so”, “forse non mi ricordo”… cioè addirittura a volte si autoaccusa di non essere lei abbastanza preparata, non sapendo proprio cosa dire (…) il suo mutismo, il non sapere dare una risposta, diciamo, fa acquisire come dato di fatto che probabilmente le cose sono avvenute, insomma, non so».

In effetti, dagli atti del processo “quater”, la Palma dichiarava: «Non mi sono posta assolutamente il problema, devo dire forse sarò stata ignorante». 

I DUBBI SU NINO DI MATTEO

Fiammetta riferisce poi che il pm Di Matteo aveva un rapporto confidenziale con sua sorella Lucia Borsellino.

Di Matteo «in una fase più finale entra in questo rapporto di enorme confidenza con Lucia tanto che io spesso ho chiesto a Lucia “Ma com’è che…” perché poi questa vicinanza, alla luce tutto quello che è successo ti fa anche pensare un po’ male, no? Nel senso, diciamo, sei vicino e ci metti in guardia o sei vicino perché questo è, ad un certo punto funzionale, a questo percorso che stai intraprendendo?… cioè sto pensando ad alta voce mi vengono tanti dubbi».

La grande confidenza con Di Matteo «poi si è interrotta improvvisamente perché fino a quando la famiglia è educata accondiscendente e va tutto bene, quando invece poi è successo un episodio, che pare sia l’inizio della frizione, anche io ho cercato diciamo facendo un lavoro quasi da psicologa di capire anche con Lucia e Fabio cosa fosse successo con Nino Di Matteo tanto da provocare una rottura e loro mi raccontano che tutto inizia, è una frizione, una incomprensione profonda che inizia quando Lucia decide di fare l’assessore di mettere a disposizione le sue competenze tecniche diciamo per questa missione. Allora a quanto pare Nino ha da ridire su questa cosa, non capendo quasi da alto valore morale con cui Lucia, che non è un politico si accingeva, a fare questo opera lì c’è l’inizio di una rottura». Il riferimento è agli anni in cui Lucia Borsellino accetta di fare l’assessore alla Sanità nella Giunta regionale di Rosario Crocetta.


11.12.2020 FIAMMETTA BORSELLINO: “PER NOI RIMANE UNA FERITA APERTA

Paolo Borsellino non era soltanto il magistrato. Non era soltanto l’uomo che con coraggio affrontò fino all’estremo sacrificio il suo cammino. A raccontare l’uomo – descritto nel libro del giornalista Salvo Palazzolo – è la figlia Fiammetta.

Sono trascorsi quasi trent’anni dalla strage di Via D’Amelio. Un tempo lunghissimo che spesso riteniamo sia sufficiente a lenire il dolore di qualunque ferita. A dirci che non è così, sono lo sguardo e le parole di Fiammetta Borsellino, che seppur nascoste dietro il suo sorriso, lasciano trasparire un dolore sordo che nulla potrà mai sopire.

L’amore di una figlia verso il padre, a tal punto da pensare – a soli cinque anni, uscendo da casa e temendo una scarica di proiettili – di potersi mettere dinanzi al suo papà e fargli da scudo con il suo corpicino.

Il ricordo di mille attimi. Il ricordo di una famiglia unita e dei mille aneddoti di quella vita terminata troppo presto e in maniera tanto brutale. Al ricordo e al dolore si aggiunge la delusione e la rabbia per “un’attività orientata non alla verità ma all’allontanamento dalla verità”: Il depistaggio!

È Fiammetta Borsellino che parla del problema che esiste nel momento in cui si celebra un processo, e uomini delle istituzioni chiamati a deporre fanno scena muta o dicono di non ricordare il loro operato relativo a quello che definisce uno dei processi più importanti della storia giudiziaria di questo Paese. Scene alle quali ha personalmente assistito, con magistrati e poliziotti che chiamati a testimoniare dicevano ripetutamente di non ricordare.

La figlia di Paolo Borsellino ricorda l’interessamento del padre al dossier mafia-appalti, che portò alla strage nella quale perirono il giudice e gli uomini della sua scorta. Ricorda come proprio suo padre chiedesse a gran voce l’assegnazione di quelle indagini, tanto da convocare, poco prima che morisse, una riunione in Procura di cui ci sono pure le disposizioni, chiedendo conto e ragioni in merito alla conduzione di quelle indagini. Eppure, per tanti anni, il dossier mafia-appalti è rimasto l’argomento da non toccare.

Si chiede dunque perché ci sono magistrati che continuano a negare l’interessamento del Giudice Borsellino al dossier-mafia appalti, quando era risaputo il suo interesse a quell’inchiesta.

Il riferimento è al rapporto del Ros, stilato il 16 febbraio 1991 – inviato a Giovanni Falcone e ai Sostituti Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone  – relativo alle indagini che vedevano “Cosa Nostra” fare il salto di qualità, passando da organizzazione parassita che viveva del “pizzo” pagato dalle ditte, all’acquisizione delle stesse o al loro controllo. Quell’indagine voluta da Giovanni Falcone, e alla sua morte da Paolo Borsellino, che individuava proprio nell’inchiesta condotta da Mori e De Donno la causa della strage di Capaci. Una pista investigativa – quella degli appalti – che aveva già suscitato l’interesse anche di altri magistrati dei quali scriveremo successivamente.

Eppure, “continuano ad esserci magistrati tipo Scarpinato, il quale dice che mio padre non era interessato a un dossier che probabilmente è stato la causa pure della sua morte” – afferma Fiammetta Borsellino.

Non usa mezze parole nel ricordare come suo padre dicesse sempre che “politica, istituzioni e mafia, sono poteri che agiscono sul controllo dello stesso territorio, per cui o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. Quando si mettono d’accordo la lotta nei confronti della mafia è debole. La lotta nei confronti della mafia è debole nel momento in cui c’è un procuratore Giammanco, che era il procuratore all’epoca che arrivano le informative dei Ros sull’arrivo del tritolo a Palermo e non informa mio padre. Allora lì si muore! Si muore perché si è completamente soli!”

 Alternando il ricordo di Paolo Borsellino uomo, padre e magistrato, offre a chi la ascolta un insegnamento che è l’eredità morale lasciatale dal padre:

“Questo non vuol dire che non bisogna avere fiducia nelle istituzioni. Questo è il più grande errore che si possa compiere. Mio padre era un uomo delle istituzioni. Ha creduto nelle istituzioni fino alla fine. Ha creduto fino alla fine nell’idea di una magistratura sana e onesta, fino all’estremo sacrificio della propria vita, e oggi non avere fiducia nelle istituzioni, sarebbe come disattendere la principale eredità morale che ci ha lasciato”.

Non trascura però l’aspetto che ha riguardato i tanti anni di processi che non hanno portato alla verità sulle stragi, che l’hanno allontanata grazie ai depistaggi, chiedendosi come ci possano essere magistrati, oggi assolti dalle procure, che hanno ritenuto di omettere di chiamare testi prima che morissero o gli venisse l’Alzheimer. “Bisognava chiedere i testimoni al tempo giusto. Bisognava acquisirli ai processi – continua Fiammetta Borsellino – Mentre tutto questo non è stato fatto. Oggi i magistrati che non l’hanno fatto sono i magistrati più scortati. Sono i magistrati che presentano libri nei teatri, sui processi che fanno, ancora non finiti. Cosa che mio padre non avrebbe mai fatto”.

Anni di indagini e processi  fatti male, fino ad arrivare al Borsellino Qater che ha sancito il depistaggio dal quale si doveva ripartire per arrivare finalmente alla verità. Quel depistaggio che vede a Caltanissetta inquisiti i poliziotti che gestirono il falso pentito Vincenzo Scarantino, mentre per i magistrati titolari di quelle indagini, indagati dalla Procura di Messina, è stata disposta l’archiviazione.

La figlia di Paolo Borsellino non entra nel merito del processo per rispetto delle istituzioni. Quel rispetto che costituisce la vera eredità morale che il Giudice ha lasciato ai suoi figli. Ma, com’è giusto che sia, puntualizza che la famiglia Borsellino ha fatto ricorso contro quell’archiviazione nei confronti dei magistrati titolari di quello che definisce uno dei più colossali errori giudiziari della storia di questo Paese.

La voce di Fiammetta è limpida, sul suo volto un sorriso con il quale cerca di celare quel turbinio di emozioni che deve sconvolgerla dentro mentre alterna il ricordo del padre, dell’uomo, del magistrato.

“Io sono qui per rivolgermi principalmente ai giovani, perché è l’unica cosa che mi spinge a fare questi interventi dove metto in moto tanta emotività… nonostante ci sia stato qualcuno che dopo 30 anni ci considera dei cretini a piangere i nostri familiari”. Parla delle affermazioni dell’ex magistrato Silvana Saguto, della quale fa il nome, ricordando che quella loro è una ferita ancora aperta.

“Mio padre ha portato con sé tutta la sua famiglia non ci siamo mai tirati indietro Per noi è stata l’unica strada possibile. Abbiamo pagato il prezzo di questo e stiamo continuando a pagarlo, soprattutto mia sorella Lucia in termini di salute”.

Una ferita profonda e quanto mai attuale. Non aggiunge null’altro. Il dolore non ha bisogno spiegazioni e quello della Dottoressa Fiammetta è un dispiacere al quale mi associo augurando alla sorella la più pronta guarigione.

Di recente, un falso pentito noto alle cronache di questo giornale – del quale non val la pena neppure di citare il nome per non sporcare le emozioni – non ha esitato ad accanirsi contro l’Avvocato Fabio Trizzino, difensore dei Borsellino e marito di Lucia Borsellino, sol perché, avendo tentato di condizionare il processo che ha visto condannato a Caltanissetta Matteo Messina Denaro  per le stragi del ’92, gli è stato impedito, evitando l’ennesimo tentativo di depistaggio.

Ascolto ancora le parole, la voce di Fiammetta Borsellino, quell’urlo sommesso di chi cerca soltanto la verità. Quella voce che ti entra dentro come una lama. Guardo quel sorriso che è un urlo di dolore che ti prende, ti avvolge. Quel dolore che non ha fine. Soltanto la verità potrebbe contribuire a lenirlo un po’. Ma tutti vogliono la verità? Gian J. Morici

 


23.6.2020 IL MONDO ALLA ROVESCIA DA MARCO TRAVAGLIO A FIAMMETTA BORSELLINO

Ventiquattro ore (o per essere più precisi 23 ore, 56 minuti e 4 secondi) è il tempo che la Terra impiega per girare sul proprio asse.
Da qualche tempo, però, il mondo sembra andare davvero al contrario e invece di muoversi in senso antiorario, da ovest verso est, per 365 giorni all’anno, è come se girassi all’inverso con capovolgimenti e giravolte da parte di chi meno ti aspetti.
Cosa c’entrano Marco Travaglio e Fiammetta Borsellino in questo ragionamento?
C’entrano, c’entrano e lo spieghiamo immediatamente.
Partiamo dalla figlia del giudice Paolo, barbaramente ucciso assieme agli agenti della scorta il 19 luglio 1992.
Le scorse settimane è emerso che la Procura di Messina, diretta da Maurizio De Lucia, ha chiesto l’archiviazione nei confronti dei magistrati, Annamaria Palma e Carmelo Petralia, oggi rispettivamente avvocato generale dello Stato a Palermo e procuratore aggiunto a Catania, in merito al depistaggio dell’indagine sulla strage di via D’Amelio che aveva al centro la gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Abbiamo letto il documento redatto dai pm messinesi e tra gli atti dell’indagine vi è anche un verbale, datato 25 marzo 2019, in cui ad essere sentita è proprio Fiammetta Borsellino. In alcuni passaggi di questo verbale vi sono alcuni riferimenti già noti, sui colloqui in carcere coi fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, ma anche alcune valutazioni su due magistrati: Anna Maria Palma e Nino Di Matteo.
La prima, indagata per cui è stata chiesta l’archiviazione. Il secondo neanche indagato. Già questo elemento basterebbe a squalificare la signora Fiammetta Borsellino e certe considerazioni che vengono continuamente ripetute.
Lo abbiamo scritto ormai più e più volte.
Senza nulla togliere alla legittima pretesa di verità dei familiari delle vittime di mafia, non si deve commettere l’errore di mescolare carte, fatti ed episodi avvenuti, senza adoperare i dovuti ed opportuni distinguo. E in questo mondo rovesciato Fiammetta Borsellino questo errore lo ha ripetuto in diverse occasioni, da ultimo anche di fronte ai magistrati nel momento in cui si cerca di inserire, più o meno, il magistrato Nino Di Matteo all’interno del depistaggio attraverso considerazioni ed episodi personali (l’interruzione del rapporto con Lucia Borsellino dopo che quest’ultima decise di diventare assessore regionale alla Sanità per il governo Crocetta).
L’effetto è che così si isola la figura del magistrato palermitano, oggetto di una condanna a morte espressa direttamente dal Capo dei capi Totò Riinae dal super latitante Matteo Messina Denaro. Un pubblico ministero, oggi consigliere togato al Csm, che ha impegnato la propria vita proprio nella ricerca della verità sulle stragi ed in particolare sui mandanti esterni che si celano dietro ad esse. Inchieste pesantissime, condotte assieme al collega Luca Tescaroli, che si sono sviluppate negli anni successivi, come quelle su “Alfa e Beta” (ovvero Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri) oppure sulla presenza in via d’Amelio di Bruno Contrada, che fu anche accusato di concorso in strage (e poi archiviato). E a Palermo ha condotto, ottenendo pesantissime condanne in primo grado contro boss, ufficiali dell’arma e ex senatori, nel processo sulla trattativa Stato-Mafia.
Si dimentica troppo spesso che, rispetto alle indagini del Borsellino bis (uno dei due processi oggetto di “revisione”), Di Matteo si occupò di esse solo marginalmente. Diversamente istruì in toto le indagini sul “Borsellino ter” che portarono alla condanna di tutti i capi della Commissione provinciale e regionale, tracciando il percorso delle indagini sui cosiddetti mandanti esterni.
E invece ogni scusa diventa buona, pur arrampicandosi sugli specchi, per colpire il magistrato, così delegittimandolo. Una “campagna” iniziata ormai da qualche anno e che sta spingendo la signora Fiammetta Borsellino in un tunnel profondo fatto nella migliore delle ipotesi di gravissimi errori di valutazione proprio su un magistrato che non è nemmeno stato indagato. E leggendo la richiesta di archiviazione dei pm messinesi si scopre come gli stessi hanno messo nero su bianco che non è stato possibile “individuare alcuna condotta posta in essere né dai magistrati indagati, né da altre figure appartenenti alla magistratura che abbiano posto in essere reali e consapevoli condotte volte ad inquinare le dichiarazioni, certamente false, rese da Vincenzo Scarantino“.
Certo, bisognerà attendere quel che deciderà il Gip così come l’esito del processo attualmente in corso a Caltanissetta contro i poliziotti. Quel che è certo, però, è che la vicenda Scarantino non è altro che “un segmento” del grande scenario investigativo nella ricerca della verità sulla strage.
Uno scenario investigativo che Di Matteo, assieme a pochi altri magistrati, ha cercato in questi anni di riportare alla luce. Anziché ammettere l’errore e ringraziare per quella ricerca della verità costante, però, si preferisce proseguire con gli attacchi, strumentalizzando con arroganza anche fatti totalmente personali.
In questo mondo che gira alla rovescia il vero ed il falso vengono mescolati continuamente.
E si resta sgomenti ed attoniti nel vedere familiari vittime di mafia conversare e dialogare con quegli avvocati che difendono gli assassini del proprio padre. Non è un mistero che la figlia di Borsellino ha più volte dato credito a certi legali che si sono ritrovati a difendere contemporaneamente i mafiosi stragisti e altri soggetti “ingiustamente” accusati e condannati.
Tra questi vi è Rosalba Di Gregorio che non è solo il difensore di una delle vittime delle bugie del falso pentito Vincenzo Scarantino (Gaetano MuranaGiuseppe La Mattina e Cosimo Vernengo ndr) ma è già stata legale del boss corleonese Bernardo Provenzano ed anche del boss di Santa Maria del Gesù, Pietro Aglieri, entrambi membri della Cupola di Cosa nostra e condannati a vari ergastoli in via definitiva, anche per la strage di via d’Amelio.
Ognuno esercita la propria professione come meglio crede ed anche difendere i boss mafiosi è assolutamente legittimo, oltre che un diritto. E’ altrettanto chiaro che nella difesa dei propri assistiti vengono messi in campo tutti i mezzi a propria disposizione.
Basti pensare a ogni volta che si fa riferimento al tardivo deposito dei verbali dei confronti tra il “pupo” vestito, Vincenzo Scarantino, ed i collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera, che smentivano lo stesso picciotto della Guadagna. Si fa finta di non conoscere che su quell’operato vi è stata una sentenza del Gip di Catania che archiviò l’inchiesta aperta nei confronti dei sostituti procuratori di Caltanissetta, Annamaria Palma, Carmelo Petraliae Nino Di Matteo, denunciati dagli avvocati Di Gregorio, Marasà e Scozzola per “comportamento omissivo”. I giudici scrissero che quella condotta dei pm, che depositarono i verbali comunque entro la fine del processo “Borsellino bis”, era priva di alcun “comportamento omissivo”.
Ed è proprio così che va in scena la mistificazione dei fatti fino a generare un meccanismo perverso capace di offuscare le valutazioni di chi, con rabbia, cerca di ottenere giustizia per la morte del proprio padre.
Un condizionamento a cui, a quanto pare, Fiammetta Borsellino non si è sottratta. Perché altrimenti non si spiegherebbe tanta acredine nei confronti di un magistrato come Nino Di Matteo che proprio per la ricerca della verità sulle stragi ha sacrificato la propria vita.
E per comprendere ulteriormente la gravità di quel che sta accadendo bisogna ricordare un altro fatto riguardante l’avvocato Di Gregorio, ovvero quel che disse durante un’udienza del “Borsellino ter” l’ex boss di Porta Nuova e collaboratore di giustizia, Totò Cancemi.
Raccontò che un giorno, mentre si trovava in tribunale a Palermo, l’avvocato Di Gregorio gli aveva confidato di aver saputo che c’era un grosso corleonese latitante in contatto con i servizi segreti. Cancemi spiegò che il latitante a cui si faceva riferimento era Bernardo Provenzano(di cui l’avvocatessa fu difensore). La stessa Di Gregorio ha sempre smentito l’accaduto, ne diamo atto, ma a questo punto ci domandiamo: se si ritiene che Cancemi abbia detto il vero su Scarantino perché dovrebbe aver mentito sul legale?

Il senso della Commissione antimafia per Travaglio
Ma nella giornata di oggi abbiamo provato un senso di sgomento (anche se forse non ne siamo stati sorpresi) nel leggere l’editoriale su Il Fatto Quotidiano, di Marco Travaglio. Un collega stimatissimo con cui abbiamo condiviso anche tante battaglie in questi anni. Negli ultimi mesi ci stiamo rendendo conto che per quanto riguarda la vicenda Bonafede, le scelte del governo sulla lotta alla mafia, la mancata nomina di Nino Di Matteo, la questione scarcerazioni e Dap, ed il lavoro che sta conducendo la Commissione parlamentare antimafia del Presidente Nicola Morra, la vediamo in maniera profondamente diversa.
Pur riconoscendo che l’attuale governo ha fatto qualche buona legge e riforma (voto di scambio, spazzacorrotti, blocca-prescrizione) noi non ci accontentiamo dei provvedimenti recenti per cui i detenuti usciti dal carcere grazie al Covid-19 sono tornati in galera 50 su 223. E neanche ci sembra irrilevante la famosa circolare del 21 marzo del Dap, dal momento in cui è stata evidenziata da autorevoli magistrati come un “atto di impulso” anche laddove non si fa riferimento ad un ordine di scarcerazione. Non possiamo credere che Travaglio non ravvisi l’anomalia di un atto firmato il sabato da una funzionaria qualsiasi, anziché da un diretto responsabile, né l’anomalia di quella frase con cui si invita a comunicare “con solerzia alla Autorità giudiziaria, per le eventuali determinazioni di competenza”, il nominativo di quei detenuti che hanno più di 70 anni e sono affetti da determinate patologie.
Siamo d’accordo con Travaglio quando afferma che la mancata nomina di Di Matteo al Dap è una scelta “sbagliata del ministro Bonafede”, ma non condividiamo il resto dell’analisi dal momento in cui si sostiene che la Commissione parlamentare antimafia non avrebbe dovuto occuparsi di certi fatti. Proprio perché compito della Commissione, anche dove non ci sono responsabilità penali (di cui si occupano i Tribunali), è anche quello di fare delle ricerche sulle eventuali responsabilità politiche.
E quel che è avvenuto tra il 2018 e gli ultimi mesi, anche se può non esservi una relazione diretta, lascia trasparire proprio questa eventualità.
Inoltre, la Commissione parlamentare è sicuramente una sede migliore rispetto a quella televisiva, per approfondire certe tematiche tanto complesse quanto delicate.
Grazie al lavoro del Presidente Morra si è fatta luce su alcuni punti che erano rimasti oscuri in maniera inquietante, specie su quella mancata nomina di Di Matteo al Dap.
Checché se ne dica Di Matteo non ha mai accusato Bonafede in maniera diretta di essere stato “indotto” dalla mafia per quel voltafaccia sulla nomina del Dap.
Tuttavia è chiaro che dal momento che Bonafede era al corrente, come da lui stesso ammesso, di quelle relazioni del Gom sulle proteste dei mafiosi che non volevano Di Matteo a capo del Dap, l’unica risposta possibile, se davvero si voleva essere forti contro i desiderata dei boss, era nominarlo proprio in quel ruolo. Tutto il resto sono chiacchiere. Gli Affari penali, il Dag da riformare e quant’altro.
Perché quella clamorosa marcia indietro nel giro di 24 ore, anche se in buonafede o legittima, è stata di fatto un favore a quella mafia che aveva espresso il suo mancato gradimento.
In Commissione antimafia Di Matteo è tornato sul punto escludendo di essere a conoscenza di pressioni dirette dei mafiosi (“Se avessi avuto notizie di reato avrei avuto la sede per riferirle, ossia le procure della Repubblica, se avessi avuto elementi per ritenere che il ministro aveva cambiato idea perché indotto dai mafiosi lo avrei detto”) ma è stato ancora più specifico su quanto apprese direttamente per bocca del ministro della Giustizia su quel “niet” ricevuto (“Bonafede insistette più volte, e al momento di congedarci mi disse ‘ci sto rimanendo male, la prego di rifletterci, per quest’altro incarico non ci sono dinieghi o mancati gradimenti che tengano’”).
Dunque è chiaro che quel “diniego” proviene da personaggi potenti, in seno alle istituzioni.
Adesso è il Guardasigilli che dovrà dare i suoi chiarimenti e dovrà farlo senza poter mentire o trincerandosi dietro alla semplice scelta personale. Perché anche in quel caso, in virtù del fallimento della gestione Basentini, dimessosi dal Dap così come il funzionario che ha disposto la circolare del 21 marzo, Giulio Romano, è evidente che le scelte del ministro siano state totalmente fallaci. Eppure lui è ancora al comando del dicastero di via Arenula.
Per situazioni anche meno rilevanti Travaglio avrebbe crocefisso, giustamente, i “nemici della cavalleria” (da Berlusconi a Salvini, passando per Renzi, Meloni e affini), proprio in virtù di quello spirito del giornalismo: quella funzione di “cane da guardia” delle istituzioni e della politica, cavillando e criticando su ogni argomento proprio per rendere migliore ed efficace il buon governo.
Un “concetto etico” di cui parlava Pippo Fava e che abbiamo visto applicare ai Montanelli ai Biagi. A lungo anche dallo stesso Travaglio che, dobbiamo dare atto, non ha mai guardato in faccia a nessuno (fino a qualche mese fa) quando c’erano da raccontare i fatti. Oggi abbiamo l’impressione che qualcosa sia cambiato. O non è così?

P.S. E’ notizia dell’ultimo minuto che il Premier Giuseppe Conte, intervenuto in videocollegamento alla festa del fattoquotidiano.it, rispondendo ad una domanda di Peter Gomez sulla vicenda delle scarcerazioni durante il lockwdown, ha affermato di essere “sicuro e certo dell’operato di Bonafede”, il ministro della Giustizia, anche perché “nessun atto del Governo ha portato alla scarcerazioni dei boss” in maniera diretta, visto che “tutto è passato attraverso passaggi ordinari, ed è stato affidato al vaglio finale dei magistrati”. Queste parole sono l’ennesimo segnale del fallimento di questo governo sul fronte della lotta alla mafia laddove il Presidente del Consiglio si ritrova attorniato da soggetti quantomeno incompetenti se non, nella peggiore delle ipotesi, che vogliono convivere con la mafia.
Finché i nostri governanti non si renderanno conto che il problema numero uno in Italia, pari o superiore al Covid-19, è rappresentato dalla mafia, da Cosa nostra, dalla ‘Ndrangheta dai Sistemi criminali e dalla corruzione, il vero cambiamento del Paese sarà solo una speranza vana.


2.2.2020 LA RABBIA DI FIAMMETTA. “VERITÀ TACIUTA DAI PM”

Giornale di Sicilia

«Delusa e amareggiata perchè vedo che c’è una enorme difficoltà a fare emergere la verità». Lo ha detto Fiammetta Borsellino, parlando con i giornalisti e commentando la deposizione del consigliere del Csm Nino Di Matteo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio. A Messina sono indagati Annamaria Palma e Carmelo Petralia che con Di Matteo erano tra i pm di Caltanissetta che si occuparono della strage di via D’Amelio. «Non ho constatato da parte di nessuno – ha proseguito – la volontà di dare un contributo al di là delle proprie discolpe a capire che cosa è successo. Penso che nessuno di questi magistrati abbia capito niente di mio padre».

«Ci si riempie molto la bocca con la parola pool – è lo sfogo di Fiammetta Borsellino – ma io di pool non ne ho visto neanche l’ombra, perchè tutte le volte che a tutti i magistrati si chiede come mai non sapessero dei colloqui investigativi o sulle mancata audizione dell’ex procuratore Giammanco, cadono dalle nuvole». La figlia del giudice, presente per tutta l’udienza, incalza: «Io capisco che si possa arrivare dopo rispetto alle indagini che sono già state fatte ma – ha spiegato – questo non significa non potersi informare su quello che è stato fatto prima o fare integrazioni di indagini. Invece quello che sento dire sempre è di essere arrivati in un momento successivo e sembra che tutto quello che riguarda Scarantino, il depistaggio e le stragi sia avvenuto per virtù dello spirito santo».

 


6.2.2020 DI MATTEO NON CONVINCE FIAMMETTA BORSELLINO SUL DEPISTAGGIO DI VIA D’AMELIO

Durante la sua deposizione al processo in corso a Caltanissetta il magistrato non ha fornito elementi per capire cosa accadde con il pentito Scarantino. La figlia del magistrato ucciso da Cosa nostra: “Sono delusa e amareggiata”

Roma. Un depistaggio a insaputa di tutti. Sembra essere questo il quadro (paradossale) offerto dall’ex pm Nino Di Matteo, attuale membro del Consiglio superiore della magistratura, nella deposizione di lunedì al processo sul depistaggio della strage di Via D’Amelio, in corso al tribunale di Caltanissetta. Il processo vede imputati di calunnia aggravata tre poliziotti che parteciparono all’inchiesta, Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo, ex componenti del gruppo “Falcone e Borsellino” della squadra mobile di Palermo. Sono accusati di aver depistato le indagini imbeccando diversi falsi pentiti, tra cui Vincenzo Scarantino, le cui ricostruzioni portarono alla condanna all’ergastolo di otto innocenti, scagionati dopo molti anni. A Messina è invece in corso il processo nei confronti di due magistrati che nel 1992 prestavano servizio a Caltanissetta e si occuparono delle indagini sulla strage in cui morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, raccogliendo le finte rivelazioni di Scarantino. Si tratta di Carmelo Petralia e Annamaria Palma, accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.

Di Matteo non è indagato, ma fece parte anch’egli del pool che si occupò delle indagini basandosi sulle ricostruzioni del falso pentito. Nella sua deposizione al processo in corso a Caltanissetta, il magistrato ha dichiarato di non essersi mai occupato del primo processo sulla strage di Via D’Amelio, di essersi occupato solo del dibattimento del secondo processo e di aver seguito integralmente soltanto l’iter del Borsellino-ter. Di Matteo ha anche detto di “non aver mai avuto l’occasione di parlare” con Ilda Boccassini, che fece inizialmente parte del pool, prima di lasciare Caltanissetta quattro mesi dopo l’inizio della collaborazione di Scarantino, e ha aggiunto di essere venuto a conoscenza “solo nel 2008” delle lettere in cui Boccassini esprimeva forti dubbi sull’attendibilità del falso pentito e in cui affermava che quest’ultimo stesse raccontando solo “fregnacce pericolose”.

Di Matteo, anzi, ha addirittura dichiarato di aver ritenuto Scarantino “poco attendibile”. Ma all’epoca il pm si mostrò così convinto della credibilità delle rivelazioni di Scarantino da sostenere che la successiva ritrattazione del falso pentito fosse la conferma della sua attendibilità: “La ritrattazione dello Scarantino ha finito per avvalorare ancor di più le sue precedenti dichiarazioni. L’avvicinamento dei collaboratori per costringerli a fare marcia indietro è diventata una costante nella strategia di Cosa nostra”, disse Di Matteo in una requisitoria. Sulle telefonate avute da Scarantino con i pm Palma e Petralia prima delle deposizioni del pentito, Di Matteo ha affermato che anche lui era solito preparare i collaboratori di giustizia e che “all’epoca era una prassi seguita da tutti”. Di Matteo si è anche detto “certo” che “né io né altri miei colleghi parlammo con Scarantino nelle pause degli interrogatori di fatti relativi alle indagini”.

Insomma, il contributo fornito da Di Matteo alla ricostruzione delle circostanze che portarono al “più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana” è stato piuttosto modesto, tanto che Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso da Cosa nostra, si è detta “delusa e amareggiata” dalla sua deposizione: “Sembra che quello che riguarda Scarantino e il depistaggio delle indagini sia avvenuto per virtù dello spirito santo”, ha dichiarato. “Ho ascoltato molto attentamente la deposizione del consigliere Di Matteo e rimango sempre stupita da questa difesa, oltre che personale, a oltranza dei magistrati e poliziotti che si sono occupati dell’indagine sulla strage. Sembrano tutti passati lì per caso. Ci si riempie la bocca con la parola pool ma io di pool non ne ho visto nemmeno l’ombra. Tutte le volte in cui si chiede come mai non sapessero nulla dei colloqui investigativi cadono tutti dalle nuvole”. “Non ho notato alcuna volontà, al di là del tentativo di discolparsi, di dare un contributo per capire cosa è accaduto. E questo mi fa molto male”, ha concluso la figlia di Borsellino.


3.2.2020 PROCESSO DEPISTAGGIO, L’ACCUSA DI FIAMMETTA BORSELLINO: “DELUSA DALLA DEPOSIZIONE DEL PM DI MATTEO

“Penso ci sia una enorme difficoltà a fare emergere la verità – è il nuovo atto d’accusa di Fiammetta Borsellino, al termine dell’udienza del processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio – Non ho constatato da parte di nessuno la volontà di dare un contributo, al di là la delle proprie discolpe, a capire cosa è successo”. Oggi, a Caltanissetta, ha deposto come testimone l’ex pm Nino Di Matteo, oggi consigliere del Csm. “Sembra che quello che riguarda Scarantino e il depistaggio delle indagini sia avvenuto per virtù dello spirito santo – dice la figlia del magistrato assassinato nel 1992 al termine dell’udienza – Si tende a stigmatizzare la vicenda Scarantino come un piccolo segmento di una questione più grande. Io non penso che quello di Scarantino sia un segmento così piccolo”. E ancora: “Ci si riempie la bocca con la parola pool ma io di pool non ne ho visto nemmeno l’ombra – aggiunto Fiammetta Borsellino – perché quando ai magistrati si chiede come mai non sapessero dei colloqui investigativi, della mancata audizione di Giammanco, cadono dalle nuvole”.

Un riferimento anche alla deposizione di Di Matteo: “Ho ascoltato molto attentamente le cose che ha detto e rimango sempre stupita da questa difesa oltre che personale a oltranza di questi magistrati e poliziotti che si sono occupati dell’indagine sulla strage. Ma sembrano tutti passati lì per caso”.

La deposizione di Di Matteo

“C’erano dubbi molto seri sulla credibilità di Vincenzo Scarantino”. A dirlo è il consigliere del Csm Nino Di Matteo deponendo al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che vede alla sbarra tre poliziotti, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. I dubbi su Scarantino, secondo Di Matteo, che fece parte del pool sulle stragi, “non era tanto riferito ai primi verbali” resi, ma “sulla concretezza su quanto dichiarato” in riferimento a collaboratori come Mario Santo Di Matteo e Salvatore Cancemi.

“Io non ho mi partecipato a una riunione, a un incontro tra colleghi in cui si facesse riferimento sulle indagini, di cui sapevo solo dalle cronache dei giornali, fino al novembre 1994. Siamo a due anni e sei mesi dalla strage di via D’Amelio, quello che io considero l’inizio di un possibile depistaggio con il furto dell’agenda rossa”, ha detto Di Matteo. “Due anni e 4 mesi dopo l’arresto di Scarantino che come sapete è venuto dopo altre indagini, mi è stato detto di occuparmi anche delle stragi. In particolare di quella di via d’Amelio”.

“Nel mio ricordo ad occuparsi delle indagini e della gestione di Vincenzo Scarantino – ha aggiunto – c’era sicuramente Mario Bo e due ispettori, molto bravi, Ricerca e Maniscalchi. Ribaudo e Mattei, nel mio ricordo avevano un ruolo marginale”.

Di Matteo ricorda di avere indagato “fondo sulla presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio dopo la strage”. Dice: “Fui io a riaprire le indagini su di lui sulla base delle dichiarazioni del pentito Elmo che ci aveva detto di averlo visto allontanarsi dal teatro dell’attentato con dei documenti in mano. A quel punto lessi tutto il vecchio fascicolo, acquisii le sue agende”.

Contrada era il numero tre del Sisde, il servizio segreto civile. A dicembre, venne arrestato dai pm di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. “Vedendo quei vecchi atti – dice Di Matteo – mi accorsi che c’era stato un ufficiale del Ros, Sinico, che era andato in procura a Palermo e aveva riferito ad alcuni magistrati di aver saputo che la prima volante accorsa dopo l’esplosione aveva constatato la presenza di Contrada – ha aggiunto – I poliziotti aveva fatto una relazione che poi era stata strappata in questura. I colleghi avevano preso a verbale Sinico e mandato tutto a Caltanissetta, dove Sinico si era rifiutato di rivelare la sua fonte”.

“Si avviò una indagine molto spinta sui servizi segreti. – ha spiegato – Io stavo per chiedere il rinvio a giudizio del carabiniere che, poi, si decise a fare il nome della sua fonte che indicò in Roberto Di Legami, funzionario di polizia. Di Legami negò tutto. Rinviato a giudizio fu poi assolto”.

Di Matteo parla anche delle indagini del pool di Caltanissetta: “Seppi delle note della Boccassini e delle sue osservazioni critiche sulla gestione del pentito Scarantino solo tra il 2008 e il 2010 – ha aggiunto l’ex pm di Palermo -. Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un un magistrato da stimare moltissimo, ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar”.

“All’epoca delle indagini sulle stragi i collaboratori di giustizia vedevano nell’ufficio del pubblico ministero il luogo a cui rivolgersi per risolvere problemi spesso logistici. In quel periodo mi è capitato che mi chiamassero Mutolo e Cancemi ma nessuno si è mai sognato di dirmi cose inerenti alle dichiarazioni. L’attività di preparazione dei collaboratori di giustizia significava solo dare indicazioni ad esempio sul contegno da tenere in aula, sull’evitare polemiche coi legali, questo era preparare ed era una prassi seguita da tutti”.


3.2.2020 FIAMMETTA BORSELLINO A DI MATTEO: «DI MIO PADRE NON AVETE CAPITO NULLA»

SECOLO D’ITALIA

Fiammetta Borsellino e Nino Di Matteo. La memoria e il teorema. Che tuttavia non coincidono. Piuttosto divergono. L’ex pm, oggi al Csm, ripete i suoi convincimenti a verbale a Caltanissetta. Depone al processo sui depistaggi per la strage di via D’Amelio, l’attentato a Paolo Borsellino. Ma la figlia del magistrato assassinato dalla Mafia non ci sta. E non tace. Anzi, lo dice chiaro e tondo: «Mi sento delusa, amareggiata e arrabbiata». La tesi di Di Matteo è nota: 1) l’attentato non fu solo Mafia; 2) i depistaggi ci sono stati; 3) Scarantino non era del tutto credibile; 4) la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino; 5) il possibile ruolo dei Servizi o di parte di essi. Tutto già noto e ribadito adesso in udienza. Ma, appunto, la figlia del giudice ammazzato non mostra alcuna soddisfazione.

L’accusa di Fiammetta Borsellino

“Mi veniva quasi di mettermi in gabbia in quell’aula di giustizia – dice fuori dall’aula- mi sento ingabbiata. Penso che c’è un’enorme difficoltà a fare emergere la verità. Non ho constatato da parte di nessuno una volontà di dare un contributo al di là delle proprie discolpe personali per capire quello che è successo e questo mi fa molto male. Io penso che di mio padre non abbia capito niente nessuno di questi magistrati“. In effetti quella dell’ex pm è stata la riproposizione di un teorema. Che da anni ha l’onore delle prime pagine. E che però non ha ancora portato alla verità.

Di Matteo: più filoni di indagine

“Noi avevano chiara una cosa: rispetto ai programmi originari di Cosa nostra di uccidere Paolo Borsellino era intervenuto un fatto improvviso di accelerazione delle stragi mafiose” ha detto Di Matteo. Che faceva parte del pool che indagava a Caltanissetta sulla strage di Via D’Amelio. “C’era una fretta di uccidere Borsellino. Parallelamente si attivarono una serie di investigazioni che riguardavano alcune anomalie o alcune acquisizioni relative alla strage di Capaci o di presenze di soggetti diversi da coloro che erano stati individuati all’interno di Cosa nostra”. “Sulle causali ci furono più filoni – dice ancora il consigliere del Csm – uno dei quali si cominciò a concretizzare nell’ultimo periodo che ero a Caltanissetta”. Cita anche il processo trattativa Stato-mafia, “un altro filone era quello del rapporto mafia-appalti, però noi avevamo chiara una cosa, cioè che rispetto ai programmi originari della mafia era intervenuto un fatto improvviso di accelerazione delle stragi”.

«Scarantino, affidabilità limitata»

“Noi, alla fine, su Vincenzo Scarantino abbiamo dato un giudizio di attendibilità assai ma assai limitata, perché nel processo ter non lo abbiamo neppure inserito nella lista dei testimoni, nemmeno lo abbiamo voluto inserire nella lista dei testimoni. E nei confronti di chi era accusato esclusivamente da Scarantino abbiamo chiesto l”assoluzione di tre dei revisionati. Questo non viene detto da nessuno”.

“Ipotesi di coinvolgimento dei Servizi” nell’assassinio di Borsellino

“All’epoca l’ipotesi investigativa era che ci fosse un coinvolgimento dei Servizi di sicurezza nelle stragi. Ma noi non ci siamo fatti aiutare dai Servizi, noi abbiamo indagato sui Servizi o almeno su parte di questi. E alcuni soggetti li abbiamo anche mandati a processo”. Di Matteo, rispondendo alle domande dell’avvocato di parte civile, Rosalba Di Gregorio, ha ribadito di avere indagato “sui servizi, o su parte di essi” ma di non avere collaborato con essi nelle indagini. Gli imputati per calunnia aggravata sono i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex componenti del gruppo ‘Falcone-Borsellino’ della Squadra mobile di Palermo che si occupò di gestire proprio Vincenzo Scarantino.

La replica della figlia di Borsellino

“Sembra che tutto quello che riguarda la vicenda di Scarantino e del depistaggio sia avvenuto per le virtù dello spirito santo – dice – Sembra che la vicenda Scarantino si solo un segmento molto piccolo di una indagine, anzi ha dato una incidenza molto importante. Ci si riempie la Bocca del lavoro in Pool, ma tutte le volte in cui si chiede come mai non sapessero nulla dei colloqui investigativo cadono tutti dalle nuvole”. “Tutti dicono che sono venuti in un momento successivo – conclude – ma ciò non vuol dire non venire a sapere ciò che accadeva prima”.


18,7.2017 FIGLIA MINORE DI BORSELLINO DICE CHE LA VERITÀ È STATA “ALLONTANATA DA 25 ANNI DI GROSSISSIMI NERI E DI GROSSISSIME LACUNE” 

In un’intervista la figlia minore di Borsellino dice che la verità è stata “allontanata da 25 anni di grossissimi buchi neri e di grossissime lacune”

 

E’ stato annunciato che, analogamente a quanto disposto per il XXV Anniversario della Strage di Capaci, anche per la stessa ricorrenza di Via D’Amelio, il Consiglio Superiore della Magistratura rimuoverà il segreto dalle audizioni di Paolo Borsellino, o comunque, dagli atti a lui pertinenti. Saperne di più, è sempre bene: sicché, è una buona notizia.

Tuttavia, il CSM non è un istituto archivistico: è l’Organo di autogoverno della magistratura italiana. Oggi, è formalmente accertato che la menzogna è stato il motore dei processi Borsellino I e II. Pertanto, potrebbe volgere la sua azione, giusto per contribuire ad onorare la Memoria con la nota “ricerca della verità”, anche su atti e vicende di pubblico dominio.

Per riassumerle, sarà sufficiente riesaminare alcune dichiarazioni rese da Fiammetta Borsellino, nel corso di un’intervista resa qualche settimana fa al giornalista Sandro Ruotolo,  e svincolarle dal silenzio che pare già averle prese in consegna.

In quella occasione, la figlia minore di Paolo Borsellino, dice:

  1. che la verità è stata “allontanata da 25 anni di grossissimi buchi neri e di grossissime lacune”; e fin qui, sembra facile; ma prosegue;
  2.  “lacune” e “buchi neri”  “sono riscontrabili sia in campo investigativo sia in campo processuale”; “processuale” è di competenza del CSM, tanto più che viene distinto da “investigativo” e , perciò, non si fa coincidere con esso;
  3. quindi, aggiunge che “a mio padre stava a cuore il legame tra la mafia e gli appalti”; “Mafia e Appalti” non è un’endiadi a caso, o il titolo di un convegno; è il nome che i ROS di Palermo attribuirono ad un’indagine (diretta, in campo investigativo, dal Colonnello dei Cc, allora, Mario Mori), compendiata in un rapporto del Febbraio 1991; questa indagine è stata archiviata il giorno dopo la Strage di Via D’Amelio; anche le archiviazioni sono provvedimenti di cui può occuparsi esclusivamente il CSM;
  4. alcuni magistrati non furono mai assunti a sommarie informazioni; uno fu il Procuratore della Repubblica di Palermo al tempo delle stragi, dott. Pietro Giammanco (deceduto): ritenuto ininfluente tanto nelle indagini su Capaci, quanto su Via D’Amelio; l’altro fu Paolo Borsellino, mai convocato su Capaci; anche queste scelte sono materia per il CSM, dato che si tratta di scelte di una Procura della Repubblica (in questo caso, Caltanissetta);
  5. ancora: bisogna accertare quello che è avvenuto “prima, prima, lamorte di mio padre”. E, ora, bisogna fare attenzione: il “prima” è apparentemente fatto coincidere con lo spazio temporale della “trattativa”: la quale, nelle sua varie articolazioni ipotetiche, è comunque compreso in quelli che anche Fiammetta Borsellino chiama “i 52 giorni” fra le due stragi; ma poi precisa, “anche il pregresso”; così, ogni riferibilità della causale, per la strage di Via D’Amelio, alle ipotesi fin qui coltivate, viene categoricamente smentita; “anche il pregresso”, significa anche prima di Capaci: che è, invece, il periodo prima del quale nessuna “trattativa” (Stato-mafia) è stata mai ipotizzata. Altro è, allora, valorizzare “i 52 giorni” fra le due stragi, in relazione anche al “pregresso”: altro è considerarle in sè. Cambia tutto (e qui Ruotolo interviene: smistando questa fondamentale precisazione, interrompendo, e riprendendo il termine “trattativa” nella consueta accezione: senza il “prima”). “Prima” c’è Mafia e Appalti, l’indagine del Generale Mori, la sua archiviazione, e nulla di ciò che ha occupato indagini e processi in questi 25 anni. Un “tutto” e un “niente” di cui ancora potrebbe occuparsi il CSM;
  6. due magistrati, Ilda Boccassini e Roberto Saieva, dopo aver partecipato a due interrogatori del collaboratore di Giustizia Vincenzo Scarantino: uno nel Giugno e un altro nel Settembre 1994, scrissero che costui diceva “cose inverosimili”; e mandarono tutto alla Procura di Palermo; Fiammetta Borsellino, ritiene di distinguere l’operato di questi magistrati da quello di altri: il Procuratore di Caltanissetta del tempo, dott. Giovanni Tinebra (deceduto), i sostituti, del tempo, Carmelo Petralia, Anna Maria Palma, e Nino Di Matteo, che si introduce nel Novembre del 1994”; sempre che lo ritenga necessario, solo il CSM può precisare se, ed in che termini, questa distinzione (“una riflessione a parte va fatta per il dottor Saieva e la dott.ssa Boccassini”), per la ricerca della verità, cui è votata l’annunciata desecretazione di cui sopra, presenti interesse ed abbia un fondamento;
  7. chi gestisce in maniera preponderante” il pentimento di Scarantino “sono la dottoressa Palma e il dottore Petralia”, “come già accennavo, si introduce nel Novembre del 1994 il dottore Di Matteo”; è precisato che vi ebbero parte anche funzionari della Polizia di Stato, ma queste competenze, sfuggono al CSM;
  8. j Scarantino è stato affidato, senza che constasse, sostiene Fiammetta Borsellino, autorizzazioni al riguardo, al “Gruppo Falcone-Borsellino”: cioè all’unità investigativa facente capo al dott. Arnaldo La Barbera (deceduto), anziché al Servizio Centrale di Protezione; tuttavia, è da escludersi che questo significasse ignoranza della singolare circostanza, in capo ai magistrati: perché, ancora si osserva, “furono autorizzati” “colloqui investigativi”: “ben dieci, dopoil pentimento di Scarantino”. L’autorizzazione è di competenza di magistrati e, quindi, ove ritenesse, del CSM; e, viene ancora notato, tali autorizzazioni intervennero “svilendo anche quella che è la ratio dell’istituto…perché il colloquio investigativo viene fatto prima che una persona inizi a collaborare, per convincere questa persona a collaborare”; dopo, “viene sentito con tutte le garanzie previste dalla legge”; prima, pare di capire, l’atmosfera potrebbe essere “diversamente garantita”, diciamo (su questo punto, è comunque consigliabile osservare la mimica dell’intervistata);
  9. non sono mai stai disposti confronti fra Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura (durante le indagini, collaboratori di giustizia); si fa notare, che “dai loro interrogatori si evince un progressivo aggiustamento delle loro dichiarazioni”, “era chiaro che questi pentiti si rincorrevano l’un l’altro perché le loro dichiarazioni dovevano convergere in un’unica direzione”;
  10. il 13 Gennaio 1995, viene invece eseguito dai Pubblici Ministeri un confronto, in sede di indagine (altra, rispetto al processo, Borsellino Uno, che era invece già in corso dall’Ottobre 1994), fra il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi e Vincenzo Scarantino; osserva Fiammetta Borsellino che “Scarantino viene letteralmente umiliato da Cancemi”, quindi ne è scossa plasticamente la credibilità; però “il confronto non viene depositato” (in vista della successiva udienza dibattimentale del Maggio 24 1995, nel ridetto processo Borsellino Uno) “noi ci chiediamo perché questo confronto non viene messo a disposizione delle difese degli imputati e del giudice terzo”; forse anche il CSM potrebbe volerlo sapere; tanto più che, infine si chiosa, “il deposito di questo confronto sarebbe stato fondamentale”; “deposito avvenuto solo nella primavera del 1997, e solo a seguito di una durissima battaglia con le difese degli imputati”.

E varie altre cose dice Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, ucciso il 19 Luglio 1992. E magari non meritano l’attenzione del CSM. Ma il CSM è stato sempre un organo di grande curiosità intellettuale; come dimostrano proprio quelle audizioni di Paolo Borsellino, che saranno desecretate in pompa magna giusto domani, 19 luglio: chiamato a spiegare perché non fosse uno “scippatore” di processi altrui; o come del pari dimostrano quelle di Giovanni Falcone: convocato a dimostrare di non essere un “insabbiatore” di processi propri.

Qui non ci sono denunce; solo domande. E, come si dice, domandare si può; rispondere è cortesia. Anche per il CSM.