GASPARE SPATUZZA VERBALE DI INTERROGATORIO 3 luglio 2008

VERBALE

 

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta Direzione Distrettuale Antimafia

VERBALE DI INTERROGATORIO DI IMPUTATO DI REATO CONNESSO

Strage di Capaci

Ricordo che Fifetto Cannella mi chiese, circa un mese-un mese e mezzo prima della strage, di procurargli una macchina voluminosa per recuperare “delle cose”, Ci recammo, pertanto, con l’autovettura di mio fratello a p.zza S. Erasmo ove incontrammo Peppe Barranca e Cosimo Lo Nigro e dove avremmo dovuto incontrare Renzino Tinnirello, il quale però tardò ad arrivare. Ci recammo quindi egualmente a Porticello, ove trovammo un certo Cosimo di circa 30 anni (persona conosciuta da Cosimo Lo Nigro il cui padre aveva un peschereccio ed usava utilizzare dell’esplosivo per al pesca di frodo, esplosivo che gli forniva proprio ial “Cosimo” in questione) ed assieme a lui ci recammo su di un peschereccio attraccato al molo da dove recuperammo dei cilindri delle dimensioni di cm. 50 per 1 mt. legati con delle funi sulle paratie della barca.
Successivamente constatai che al loro interno vi erano delle bombe.

Il Cosimo verosimilmente era all’oscuro delle finalità per cui noi ci stavamo approvvigionando dell’esplosivo in questione, avendo a lui detto che serviva al padre di Cosimo Lo Nigro per la
pesca di frodo.
Il rapporto col Cosimo, per quanto è a mia conoscenza, è durato nel tempo, avendo noi, a partire dalla strage di Capaci in poi, continua necessità di esplosivo per via della campagna stragista che era stata portata avanti da cosa nostra.
Recuperati i fusti li caricammo sulla mia autovettura per dirigerci verso la mia abitazione; durante il tragitto ricordo che ebbi un problema in conseguenza di un posto di blocco dei carabinieri all’altezza dello Sperone.
Una volta arrivato a casa di mia madre, ubicata ni cortile castellaccio, scaricammo i bidoni all’interno di una casa diroccata di mia zia, ubicata a fianco di quella di mia madre e che noi usavamo come magazzino, prendendo accordi con
Fifetto Cannella per vederci l’indomani
In quell’occasione il Cannella mi disse, pure, che dentro i cilindri vi erano delle bombe e che il giorno seguente avremmo dovuto fare un “lavoretto”
Il giorno seguente io e Cosimo Lo Nigro trasportammo i bidoni in un magazzino nella mia disponibilità ni via Brancaccio e che aveva costruito Saneverino Domenico mio cugino, magazzino che ricordo fosse sottoposto a sequestro da parte del Tribunale. Iniziammo quindi a “fare la procedura”, tagliando la lamiera dei cilindri con scalpello e martello ed estraendo il contenuto, ma essendo all’interno di un condominio, compresi che non era un luogo adatto per tale lavoro poiché avremmo fatto troppo rumore.

Ci siamo quindi spostati in un magazzino nella zona industriale di Brancaccio di proprietà della Val. Trans. (Valentino Trasporti), ditta ove ero all’epoca impiegato. A fine giornata abbiamo caricato il materiale che avevamo ricavato (mettendolo nelle fodere di cuscini e poi dentro sacchi della spazzatura) e lo abbiamo portato nella casa diroccata di mia zia. Prendemmo accordi per vederci il giorno seguente, allorquando vennero da mia zia Cosimo Lo Nigro, Fifetto Cannella e Renzino Tinnirello, i quali, vedendo il materiale, conclusero che era poco; avendo necessità di fare in fretta si decise che la procedura sarebbe stata svolta anche da altre persone e, quindi, oltre a me si aggregarono Renzino Tinnirello, Fifetto Cannella, Giorgio Pizzo e Peppe Barranca.
Il Cannella ed il Tinnirello tuttavia lavorarono poco l’esplosivo poiché impegnati in “altre situazioni” e dai discorsi che facevano alla mia presenza capii che stavano seguendo gli spostamenti di qualcuno; rammento in particolare che dicevano che seguivano qualcuno nonostante che il posto fosse movimentato e non si potesse sostare più di tanto senza passare inosservati.
Il Cannella mi disse espressamente che quel giorno avremmo dovuto fare 10 kg. di esplosivo che avrei dovuto consegnare il giorno seguente a Giuseppe Graviano, cosa che effettivamente avvenne. In seguito ho capito acosa fosse servito quell’esplosivo allorquando mi fu dato l’incarico di far saltare un’autocivetta della polizia ed in quella circostanza mi fu detto che 10 kg. erano abbastanza per far saltare una blindata.
Successivamente e sempre nello stesso periodo io, Cosimo Lo Nigro, Barranca, Pizzo, Tinnirello e Cannella ci recammo a prelevare altri due bidoni alla Cala sempre legati ad un peschereccio. Li caricammo sulla moto ape di Lo Nigro occultandoli con una rete di pescatori e li portammo alla casa diroccata di mia zia.

L’esplosivo che macinavano era solido, di colore tra giallo chiaro e panna e lo macinavano schiacciandolo con un mazzuolo, ol setacciavamo con lo scolapasta sino a portarlo allo stato di sabbia; una volta che era piovuto ho avuto modo di notare che contatto con l’acqua diventava di colore giallo ruggine. L’involucro ove era contenuto non lo buttavamo nella spazzatura ma lo gettavamo in mare.

All’incirca ogni bomba conteneva circa 100 kg. di esplosivo. Nessuno mi ha mai detto esplicitamente a cosa servisse l’esplosivo che ricavavamo; il giorno stesso in cui avvenne la strage di Capaci venne qualcuno, forse Cannella, a chiamarmi per dirmi di far sparire l’esplosivo (si trattava di parecchi kg.) che oi ancora custodivo nella casa diroccata di mia zia.
Non sapendo dove metterlo, decisi di portarlo alla ditta VaL.TRANS; avendo bisogno dell’aiuto di qualcuno che mi facesse da copertura lungo il tragitto, rintracciai Lo Nigro e Barranca. Spostammo quindi l’esplosivo alla ditta Val.trans ove lo occultai in un angolo del piazzale con materiale di rifiuto da cava.
Successivamente – non riesco a ricordare dopo quanto tempo – portai nuovamente quell’esplosivo dalla VAL.TRANS a casa di mia zia, poiché dovevo avere la possibilità di prelevarlo in tempi brevi qualora mi fosse stato richiesto cosa che non avrei potuto fare con tranquillità qualora ol avessi lasciato alla VAL.TRANS.
Questa rimanente parte di esplosivo fu poi da me consegnata a Cannella, cosa che avvenne sicuramente prima della strage di via D’Amelio, poiché rammento che, in quel momento, non avevo già più la disponibilità di esplosivo.

Ricordo anche che consegnai a Cannella, che era in quel momento a bordo di una golf di colore scuro, e Tutino, a bordo della sua macchina, circa 100-150 kg. di esplosivo; il Tutino non vide il trasbordo dell’esplosivo nella macchina di Cannella; nell’occasione io e Tutino avemmo l’incarico di fare da staffetta, io scortai la macchina fino al Pagliarelli ove lasciai i due e non so dove venne portato l’esplosivo. Non riesco a ricordare quando ciò avvenne, ma posso dire che fu sicuramente prima di una perquisizione che fu fatta nella casa diroccata di mia zia. Verosimilmente ciò avvenne prima dela strage di Capaci, posto che al quantità che oi spostai alla VAL.TRANS li giorno della strage di Capaci era sicuramente inferiore a 100-150 kg. e quindi si trattava di un quantitativo diverso. Nel febbraio-marzo 94, all’inizio della nostra latitanza, il Tutino si lamentò con me dicendomi che almeno per via D’Amelio eravamo stati avvertiti di non passare per tale strada, mentre per la strage di capaci eravamo completamente all’oscuro delle modalità esecutive. Sempre su Capaci, ricordo che nel 99, quando ero ristretto a Tolmezzo, parlai con Filippo Graviano delle lamentele che provocava tra gli uomini d’onore il regime del 41 bis e che di quella situazione eravamo ritenuti noi responsabili. Il Graviano replicò che comunque era un male minore rispetto a quello che ci sarebbe toccato in sorte qualora fosse rimasto vivo Falcone.


Strage di via D’Amelio.

Una volta che ero in macchina con Cannella questi mi disse che dovevamo rubare una Fiat 126; intendo precisare che gli ordini che dava Cannella dovevano intendersi come dati da Giuseppe Graviano.
Feci presente al Cannella che non ero capace a rubare quel tipo di macchina, ma questi ribadi che si doveva rubare: capii allora, dalla categoricità del Cannella, che doveva servire per un attentato e mi venne espressamente in mente la strage Chinnici.Chiesi allora il permesso di utilizzare, per questa azione, Vittorio Tutino, così come chiesi al Cannella se avessi dovuto rubare o meno la macchina solo nella zona di Brancaccio ed il Cannella. mi disse che ne doveva parlare con Giuseppe Graviano.
Dopo una settimana circa Cannella mi diede il permesso di poter utilizzare il Tutino e mi disse che non avevo limiti territoriali per rubare la machina.
Il furto materialmente avvenne dopo circa un mese dopo rispetto all’incarico che mi diede Cannella, ma non riesco a ricordare quanto tempo prima rispetto alla strage di via D’Amelio.
Dopo il secondo incontro con Cannella io mi attivai per contattare Tutino, cui rappresentai che si doveva rubare una 126 senza aggiungere altro.
Un giorno, dopo cena, io e il Tutino, con al macchina di mio fratello (una Renault 5 targata 690724 come precisa in sede di verbalizzazione riassuntiva, venduta alcuni giorni dopo) uscimmo in perlustrazione per vedere se reperivamo la 126.
In effetti trovammo al macchina parcheggiata ni una traversa sulla destra di via Oreto Nuova; ricordo che in questa via insistevano case di cooperative e case popolari.
A questo punto lo Spatuzza redige uno schizzo relativo ai luoghi ove venne rubata la fiat 126 che precisa essere di colore rosso sangue di bue. Tale schizzo viene sottoscritto dai presenti ed allegato al presente verbale.

Il Tutino rubò materialmente la macchina con l’attrezzatura da scasso (tenaglione) poiché doveva rompere il bloccasterzo che tutte le fiat 126 hanno e con un cacciavite per forzare la serratura (anche se, non avendo notato segni di effrazione in seguito, probabilmente non venne utilizzato), mentre io rimasi in macchina per controllare la situazione.
Vedendo che perdeva tempo, scesi dalla macchina e mi avvicinai per vedere cosa stesse facendo ed il Tutino mi disse che aveva problemi per rompere il bloccasterzo.
Una volta riuscito nell’intento, non riuscimmo però a mettere in moto la vettura e la facemmo, pertanto, uscire dalla stradina a spinta; una volta fuori dalla stradina proseguimmo il tragitto per dirigeresi ni via Fichi d’india spingendo la 126, alla cui guida rimase Tutino, con l’autovettura di mio fratello da me guidata e ci dirigemmo poi verso Brancaccio nel magazzino ubicato nella omonima via che era nella mia disponibilità.

Tutto ciò avvenne sicuramente prima della mezzanotte. Ricordo che la macchina aveva la frizione bruciata sicché pensai che appartenesse ad una donna. La macchina venne da me custodita in tale magazzino e diedi poi notizia a Cannella che la macchina era stata reperita.
Incontrai quindi Giuseppe Graviano a Falsomiele nella casa del cognato di Cesare Lupo, il quale Graviano mi chiese notizie sul furto, nonché se dai documenti della stessa si potesse evincere se appartenesse a qualcuno da noi conosciuto o se qualcuno avesse reclamato la restituzione dell’autovettura.
Rappresentai a Graviano che la macchina aveva problemi di frenatura e di frizione e questi mi disse di ripulirla di ciò che era custodito al suo interno e che avrebbe potuto essere riconosciuto dal proprietario, cosa che feci riponendo gli oggetti all’interno di un sacco. Tali effetti li bruciai successivamente, unitamente ai documenti della vettura ed ad un ombrello che non riesco a rammentare però se fosse custodito o meno all’interno della 126, posto che, in tale magazzino, vi era “il parco macchine” a disposizione della famiglia per commettere reati.

Feci poi rimettere a posto i freni della 126, dando incarico a Costa Maurizio (il quale insieme a Trombetta Agostino, oggi collaboratore, aveva un’ autofficina) di rimetterla a posto, specificando, però che il lavoro doveva essere fatto nel luogo ove era ricoverata la macchina. Comprammo l’occorrente con i miei soldi e la macchina fu riparata dal Costa in un magazzino in Corso dé Mille (quasi alla fine, nella zona di Roccella) che io avevo in affitto (tramite Diego Alaimo) ed il cui proprietario era mio cugino Gioacchino Alfano, almeno credo così si chiami di cognome, coniugato con Taormina Rosetta (cugina di mia moglie), magazzino dove, nel frattempo, avevo spostato la macchina essendo riuscito a metterla in moto collegando i fili dell’accensione.
Il bloccasterzo lo rimisi a posto io stesso, rendendo pienamente efficiente la macchina.
Una volta rimesso in funzione il bloccasterzo la macchina si rimetteva perfettamente in moto con la chiave.
Giuseppe Graviano, nell’incontro di cui ho detto, mi chiese anche se avevamo un punto d’appoggio nella zona “Fiera”. Gli risposi che in quel periodo mio cugino Sanseverino Domenico, aveva da poco finito di realizzare dei box ni via Juvara, ove potevamo quindi avere, ove servisse, la disponibilità di una cantina o di un box. Il Graviano mi disse che mi avrebbe fatto sapere.
Sabato 18 luglio 1992 avvengono, almeno credo, i seguenti episodi: vengo contattato da Vittorio Tutino che mi doveva consegnare delle batterie; prima di tale fatto ebbi un colloquio con Giuseppe Graviano il quale mi incaricò di rubare delle targhe proprio il sabato 18 alla chiusura degli esercizi commerciali affinché la relativa denuncia fosse sporta il più tardi possibile; col Graviano concordammo che il sabato mi avrebbe aspettato al maneggio dei Vitale ove gli avrei dovuto consegnare le targhe.
Insieme al Tutino andai in un elettrauto che ricordo chiamarsi Settimo, prima delle ore 13, in Corso dé Mille ove ritirammo due batterie accertandoci che fossero efficienti; il Tutino mi consegnò anche un antenna e portai il tutto nel magazzino ove era la 126 collocandoli al suo interno (ove già vi era l’occorrente per montare le targhe che io in precedenza avevo acquistato); vengo poi contattato da Cannella Cristoforo per spostare la macchina dal magazzino (cosa che avviene in un arco temporale compreso tra le ore 13 alle ore 15); io mi misi alla guida della 126 seguendo il Cannella che era a bordo della sua autovettura e non sapendo dove ci dovevamo recare; uscendo dal magazzino notai che vi era anche Nino Mangano con la sua autovettura, il quale si uni a noi facendo da battistrada e precedendo Cannella; arrivammo a via Messina Marine e all’altezza dell’Ucciardone incontrammo un posto di blocco della Finanza di cui venni avvertito da Mangano, il quale aveva invertito la direzione di marcia venendomi incontro e facendomi segno che c’era il posto di blocco. A quel punto cambiai strada invertendo la marcia e mi fermai all’altezza di un chiosco al Borgo Vecchio ove attesi gli altri. Una volta ricompattati ci rimettemmo in moto sino a giungere il luogo in cui doveva essere lasciata l’autovettura.

Si dà atto che viene mostrata allo Spatuzza una cartina topografica raffigurante i luoghi di cui lo stesso fa menzione. Lo Spatuzza indica il percorso fatto ed il luogo ove giunsero che provvede ad indicare con una X. Lo Spatuzza poi indica con due X il luogo ove insiste un bar ove si recò dopo aver lasciato la macchina per vedere cosa dovessero fare.
Li incontrò Cannella il quale gli disse di spostare la macchina all’interno di una strada che lo Spatuzza indica sulla cartina e che corrisponde a via villa Seglavies ove venne ricoverata l’autovettura (tale luogo viene indicato sulla cartina coin una freccia).
In tale luogo notai la presenza di due persone: il primo aveva intorno ai 50 anni ed era soggetto da me non conosciuto, il secondo era Renzino Tinnirello il quale mi diede indicazioni circa il magazzino ove doveva essere parcheggiata la vettura; il Tinnirello si avvicinò poi a me e gli p mostrai tutto ciò che vi era all’interno della 126 e di cui ho detto prima (batteria ed occorrente per sostituire le targhe).

Ricordo che dissi al Tinnirello che si doveva pulire lo sterzo e le altre parti all’interno della vettura che avevo toccato, ed egli si prese tale incarico. Mentre stavo uscendo dalla stradina incontrai Ciccio Tagliavia che stava entrando lungo lo scivolo: in quel momento era latitante sicché lo ignorai.

lo e il Cannella ci siamo poi diretti verso casa con l’auto di quest’ultimo.
Non sono in grado di riconoscere l’uomo di 50 anni da me visto nel garage non avendo prestato al medesimo particolare attenzione.
Quello stesso pomeriggio andai con Vittorio Tutino, utilizzando la Renault Clio di questi, a rubare le targhe, per il quale avevo ricevuto la possibilità, anche in tal caso, di operare in qualsiasi zona di Palermo.
Ci mettemmo in moto intorno alle 15.00 ed i nostri giri durarono fino alle 18.00 circa.
Dopo due tentativi andati a vuoto, in via Messina Marine, all’altezza del Buccheri La Ferla lato mare, notammo dei capannoni in fondo ad una traversa posta sulla sinistra per chi procede verso Messina.
Giunti in fondo a tale stradina ci determinammo a scavalcare un portone che aveva una fessura tra la sommità del cancello ed il tetto che ci consentiva di accedere agevolmente all’interno, ove notammo, proprio di fronte, una fiat 126 di colore bianco e di modello più antico rispetto a quella di colore rosso sangue di bue che avevamo già rubato.

Non ricordo come era fatto all’interno il capannone. Svitammo le targhe e ce ne andammo. Successivamente commentammo col Tutino l’errore che avevamo fatto nel non pulire le impronte che sicuramente avevamo lasciato.
Ricordo che la macchina era aperta, era verniciata di fresco ma non era “definita” (anche se non riesco a ricordare cosa mancasse di preciso affinché potesse essere consegnata), ma non riesco a rammentare se prendemmo o meno i documenti della vettura anche se posso escluderlo poiché il nostro obiettivo erano le targhe e non i documenti.

Le targhe vennero poi da me consegnate a Giuseppe Graviano al maneggio dei fratelli Vitale. In quella occasione mi raccomandò che il giorno seguente dovevo stare lontano da Palermo. In effetti mi recai a Campofelice di Roccella in una casa a mare che avevo presso in affitto.

Il Lunedì mi venne fissato un appuntamento, credo dal cognato di Cesare Lupo, tale Fabio, con Giuseppe Graviano all’interno di un immobile nei pressi di via Lincoln di proprietà di Peppe Farana.

Il Graviano, in tale occasione, si mostrò soddisfatto per il buon esito dell’attentato e perché avevamo dimostrato di poter colpire dove e quando volevamo. Mi invitò poi a mettere da parte i malumori nel gruppo poiché “c’erano altre cose da portare avanti”.
Lo Spatuzza mostra poi sulla cartina prima indicata il luogo in cui aveva la disponibilita del magazzino costruito dal cugino Sanseverino di cui ha prima riferito, Tale luogo viene contrassegnato con “XXX”   Si dà atto che la cartina in questione viene siglata dal difensore, dallo Spatuzza, nonché dai procedenti e viene allegata al verbale per costituirne parte integrante. Si dà atto che alle ore 18.50, terminata al verbalizzazione in forma riassuntiva e dopo la stampa il verbale viene sottoscritto dai presenti.