20.7.1994 «Ecco come siamo riusciti ad incastrare la Cupola

 

A nostra carta vincente? Aver potuto contare su una squadra che si occupasse esclusivamente delle indagini sulle stragi di Capaci e via D’Amelio. Trentotto uomini.  Nessun Rambo, al contrario tutti “normalissimi” investigatori dotati di molto cervello e pochi muscoli. Gente abituata a stare davanti al computer, a soffrire ma a resistere, a non innervosirsi se il “risultato” tarda ad arrivare. 

Gente motivata, che quando si ò trattato di dare un nome alla squadra non ha avuto dubbi scegliendo: “Gruppo investigativo Falcone-Borsellino”». Arnaldo La Barbera ha la maschera ideale per il protagonista atipico di un serial sulla mafia. Sì, Arnaldo non è esattamente l’archetipo dell’eroe vincente ed estroverso.
Nessuno l’ha mai visto ridere. Parìa poco, qualche volta meno dell’indispensabile. Eppure Arnaldo, da quando è a Palermo, cioè dal 1988, ne ha macinato di strada e di mafiosi. Nessuno ci credeva. Veniva da Venezia e fu accolto da una facile battuta: «L’antimafia in gondoletta». E invece Arnaldo, zitto zitto, qualche fastidio a Kiina & C. l’ha dato.
Ora si schermisce e chiama in causa Ilda Boccassini, Giovanni Tinebra e Paolo Giordano, i giudici che sono stato il suo punto di riferimento. «Abbiamo avuto fortuna.
Specialmente quando siamo riusciti a ricostruire il numero di telaio della “126” usata come bomba da Vincenzo Scarantino e soci». Già, fortuna. E’ modesto il capo della squadra che, per metodo d’investigazione, ricorda quella del FBI che è riuscita a spedire in galera John Gotti, capo della «famiglia» newyorkese.
Un numero, poi una targa, l’accostamento al furto di altre targhe ed altri documenti, la scoperta dei due ladruncoli. Li prendono, non sono mafiosi e si lasciano andare: «Non li abbiamo ammazzati noi».
Ma ammazzati chi? E siamo a via D’Amelio. I ladruncoli tirano in ballo Vincenzo Scarantino: «E’ stato lui a chiederci la “126”».
Il giovanotto, Enzuccio Scarantino, è una «perla» del quartiere della Guadagna. Sposato, tre figli, tutto casa e parrocchia.
Quando lo arrestano si indigna persino il parroco.
Ma Arnaldo non si turba più di tanto. Il detective sa che quel «signor nessuno» in effetti è imparentato con alcuni astri nascenti della nuova mafia di Santa Maria di Gesù, Brancaccio e Guadagna.
Eppoi ci sono le indagini sui telefonini. I poliziotti hanno incamerato nel computer qualcosa come 680000 «contatti» partiti ed arrivati ai cellulari di una «rosa» di nomi tutti collegati con Scarantino.
Il ragazzo, poi, portato a Pianosa e sottoposto al regime di isolamento (il deprecato art. 41 bis) si è confidato con un ergastolano in seguito passato alla dissociazione.
Ne dice di cose, Enzuccio. E Franco, l’ergastolano pentito, li riferisce ad Arnaldo e ai giudici.
A casa di Scarantino si recuperano persino i bigliettini che il detenuto ha fatto «uscire» da Pianosa con l’aiuto della moglie.
Sono eloquenti quei bigliettini. E vengono usati per «convincere» Enzuccio a collaborare.
L’isolamento, l’assenza di notizie «rassicuranti» dall’esterno, la difficoltà di comunicare con la «famiglia», ma soprattuto il timore di morire, fanno il resto. Scarantino sa che prima o poi gli faranno pagare il fatto di aver organizzato un’operazione importante affidandosi a due ladruncoli quasi dilettanti.
A causa di quei due balordi, a causa del successivo incauto atteggiamento dello stesso Enzuccio ora la polizia sapeva troppo su via D’Amelio.
No, non ne avrebbe avuto per molto Scarantino.
Tant’è che chiama Arnaldo e gli fa capire che ha deciso di vuotare il sacco. E Arnaldo passa il messaggio alla Boccassini.
Il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti.
Enzuccio ne ha dette di cose su via d’Amelio.
Arnaldo non sorride neppure adesso. A domanda – come direbbe lui – risponde: «Continuiamo a lavorare.
Proprio oggi il primo pensiero l’abbiamo avuto per i familiari di Scarantino.
Abbiamo finalmente trovato la moglie e l’abbiamo portata via di forza. Non trovavamo i figli.
Li abbiamo scovati in un nascondiglio. Nino, Lucia e Pinuccia: non volevano consegnarli alla polizia