Depistaggio via d’Amelio, le divisioni dei PM su Scarantino e la lettera di. Boccassini e Saieva a Tinebra

9 dicembre 2019. ROBERTO SAIEVA depone al processo depistaggio. La lettera che scrissi con la Boccassini  in cui si mostravano delle perplessità sulla collaborazione di Vincenzo Scarantino irritò molto Tinebra.

 

  • “Per la dottoressa Boccassini e per me era abbastanza palese l’inattendibilità di Vincenzo Scarantino mentre la posizione di Tinebra, Giordano e Petralia era diversa. Decidemmo quindi con la Boccassini di mettere tutto nero su bianco. La lettera risale al 12 ottobre 1994”..
  • “Scarantino come è noto coinvolge dei soggetti come presenti alla nota riunione in casa Calascibetta, in particolare i collaboratori Cancemi, La Barbera, Di Matteo e Ganci. Ma in sede di ricognizione fotografica, pur avendo affermato di aver già incontrato questi soggetti, non fu in grado di riconoscere né La Barbera né Di Matteo. E aveva anche fornito delle descrizioni sbagliate su Cancemi. E quindi si rassegnò come un dichiarante da valutare con estrema attenzione. Emerse in buona sostanza un giudizio quanto meno parziale di inattendibilità”.
  • “Tutte le dichiarazioni da lui rese furono contestate in modo fermo e deciso da Cancemi, La Barbera e da Di Matteo. Ciò determinò il convincimento che era necessario fare un passo avanti e sottoporre a confronto Scarantino con i tre accusati ma emersero delle incongruenze”.
  • “C’era la paura che a Caltanissetta la lettera firmata da me e dalla Boccassini non venisse protocollata, una paura che nasceva dal contrasto, piuttosto aspro, che era nato con gli altri colleghi. Volevamo che rimanesse traccia sul fatto che avevamo espresso posizioni diverse. Il dottore Tinebra si era irritato perché secondo lui e altri si doveva fare di tutto per salvare la collaborazione di Scarantino superando gli elementi di criticità. Secondo loro c’era nelle dichiarazioni di Scarantino un nucleo centrale sul quale bisognava puntare”.

 



Tutto parte dalla lettera con la quale Boccassini e Saieva il 12 ottobre 1994 esprimevano al procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra le loro  perplessità sull’attendibilità delle prime dichiarazioni di Vincenzo Scarantino
.

 

Sentita dai pm di Messina, Boccassini ha raccontato di aver fatto consegnare la missiva, scritta poco prima di lasciare l’ufficio inquirente di Caltanissetta, a tutti i colleghi, ma nessuno di loro, interrogato successivamente, dice di averla ricevuta. Tutto l’ufficio ne sarebbe venuto a conoscenza anni dopo.
Anche il maresciallo a cui Boccassini dice di aver dato la lettera da recapitare ai colleghi non ricorda di averla materialmente fatta avere ai destinatari.
Nonostante le lacune e le contraddizioni per la Procura di Messina è però ragionevole pensare che Palma e Petralia, e il loro capo di allora, Gianni Tinebra, poi morto, fossero a conoscenza delle forti perplessità manifestate dalla Boccassini e dal collega Saieva sull’attendibilità delle iniziali dichiarazioni di Scarantino.
“Il fatto che Scarantino mentisse in maniera grossolana – ha detto Boccassini alla Procura di Messina – era percepibile il primo o secondo interrogatorio. Tant’è che c’è stata per me l’esigenza, perché avevo capito che c’era un atteggiamento diverso da parte dei colleghi, e feci la prima relazione insieme a Roberto Saieva e fu portata dal mio collaboratore, che stava con me a Milano, nelle stanze di tutti i colleghi. Poi non l’hanno letta questo è un altro paio di maniche”.
Durissimi i giudizi della Boccassini su come veniva gestito Scarantino.
“Interrogare Scarantino senza avvocato chiusi in una stanza. – dice – Tutto così, raffazzonato. Ma non dico neanche per… avevano uno scopo, per sciatteria voglio sperare, anche se io ritengo la sciatteria peggio della… dell’agire con dolo rispetto a certe cose”.
I pm peloritani, Scarantino inattendibile
Anche i magistrati messinesi hanno confermato che “la principale fonte dichiarativa sulla strage di via D’Amelio, Vincenzo Scarantino, ha continuato, nel corso degli anni, a contraddirsi rendendo, di fatto ed in diritto, del tutto inutilizzabili le sue dichiarazioni, le quali, comunque, non hanno mai assunto un accettabile grado di concretezza in ordine a possibili contatti delittuosi tra lo stesso e magistrati della Procura di Caltanissetta”.
“Scarantino ha mantenuto tale atteggiamento ondivago anche nel corso dell’interrogatorio reso innanzi a questo ufficio, arrivando a negare circostanze e fatti che, invece, aveva riferito in precedenti contesti giudiziari”, si legge nel documento.


E a ricostruire con dovizia di particolari le perplessità che avevano convinto, documenti alla mano,  Boccassini (applicata a Caltanissetta sulla strage di Capaci) e altri magistrati dell’inattendibilità di Scarantino, è propria la presidente Bindi, rifacendosi alla deposizione di Sergio Lari, ex capo della procura di Caltanissetta. «Non posso pensare che persone che stimiamo, come lei e il procuratore Boccassini  – dirà Bindi per evitare potenziali tensioni – siano su questo punto l’una contro l’altra (…) Sostanzialmente, la sua lettera (di Boccassini, ndr), il suo documento viene ignorato dal procuratore Tinebra, che noi non possiamo sentire».

LA DEPOSIZIONE DI LARI

Nella deposizione che fa il procuratore Lari, alla domanda «Le viene esibita una nota del 12 ottobre 1994 che lei trasmise con nota del 19 ottobre 1994 al procuratore di Palermo. Si tratta di nota non sottoscritta. Ebbe a depositarla alla procura di Caltanissetta?» lui risponde: «Si tratta di appunti di lavoro, come risulta chiaramente, di cui riconosco la paternità, anche se nella copia esibitami, trasmessa a codesta procura dalla procura di Palermo, mancano le firme di sottoscrizione mia e della collega Saieva. Tale nota fu fatta per iscritto in previsione di una riunione della Dda, in modo che i colleghi di Caltanissetta Tinebra, Di Matteo, Anna Palma e tutti gli altri che si occupavano delle stragi avessero la possibilità di conoscere le nostre perplessità. Tali perplessità erano scaturite dalla lettura dei verbali di Scarantino. Preciso che avevamo consegnato la nota in originale al procuratore Tinebra e ai colleghi sopra menzionati. Ignoro se il dottor Tinebra abbia disposto la conservazione della nota agli atti del protocollo riservato all’ufficio. Prendo atto, a tal proposito, che la Signoria Vostra mi comunica che di tale nota non si è trovata sinora alcuna traccia presso gli archivi della procura di Caltanissetta e non so, a tal proposito, fornire alcuna spiegazione».

Bisogna, però, continuare a raccontare quanto ha detto Di Matteo, perché apre fronti delicatissimi.

In ben due occasioni, infatti, il pm della Dna, dirà che dell’esistenza della lettera ha appreso tra i quattro e i sei anni fa – nel momento in cui, svolgendo delle indagini a Palermo sulla cosiddetta «trattativa Stato- mafia», aveva avviato un collegamento investigativo con Caltanissetta. Di Matteo aveva avuto dunque modo di saperlo dai colleghi e di leggere poi il contenuto di quella lettera, tra il 2011 e il 2012. Nel momento in cui è stata redatta la lettera – ottobre del 1994 – Di Matteo non era ancora entrato a far parte del pool per le stragi. «Sotto giuramento, da testimone, ho detto prima di oggi le cose che ho detto oggi – scandirà Di Matteo che in audizione sedeva alla destra di Rosy Bindi – cioè che quella lettera l’ho conosciuta soltanto negli ultimi anni, ora, a Palermo, dallo scambio di notizie, di informazioni e di atti con i colleghi. Mi dispiace. Forse non c’è nemmeno contraddizione, a meno che la dottoressa Boccassini non dica di averne parlato con me. Con me non ha mai parlato. Io quella lettera, che ora apprendo non essere nemmeno firmata, non l’avevo mai vista. Nessuno me ne ha parlato e questa è la realtà dei fatti». E quando, giustamente, Bindi sottolineerà che qualcuno quella lettera l’avrà pur ricevuta, Di Matteo risponde: «Penso proprio di sì, ma evidentemente…».

Mi sono scervellato sul  significato che è possibile o verosimile attribuire a quell’avverbio «evidentemente…» con tanto di puntini di sospensione che non sono una mia licenza ma sono stati trascritti nel verbale dell’audizione e francamente non riseco a trovare altra spiegazione che questa: è ovvio che quella lettera è stata inviata ma io, Di Matteo, non l’ho mai vista e ne ho avuto piena coscienza e conoscenza al massimo sei anni fa. Resta però da sottolineare che Lari ha deposto che la nota in originale, nella quale erano state evidenziate le perplessità dell’ufficio su Scarantino, erano state consegnate anche a Di Matteo e Palma. Un bel rebus, non c’è che dire anche perché entrambi hanno deposto sotto giuramento.

Non solo. Di Matteo ha affermato in Commissione antimafia di non aver mai parlato di indagini sulle stragi o di altro tipo con Boccassini. «Lei era forse, da un certo punto di vista, il più autorevole esponente del pool per le stragi –  continuerà a dire Di Matteo –. Non ho mai parlato di indagini con la Boccassini né la Boccassini ha mai parlato di Scarantino con me o avrebbe avuto modo e, soprattutto, il dovere di farlo. Io non ho mai partecipato a nessuna riunione della direzione distrettuale antimafia cui partecipasse la dottoressa Boccassini. All’epoca ero un giovane magistrato che, con un certo – penso sia comprensibile – timore reverenziale, salutava i colleghi più anziani. La Boccassini era molto gentile e mi salutava. Li vedevo in compagnia degli ufficiali di polizia giudiziaria più importanti e più autorevoli di allora. Mi capitava spesso di trattenermi fino a tarda sera in ufficio, soprattutto quando ero di turno sugli affari ordinari, e vedevo spessissimo la dottoressa Boccassini con il dottor La Barbera. Posso dirvi che, mentre la dottoressa Boccassini rispondeva al mio saluto, il dottor La Barbera neanche mi salutava, per cui non ho mai parlato con il dottor La Barbera di vicende relative a indagini». SOLE 24 ORE  13.10.2017


 

 SOLE 24 ORE  13.10.2017

21 gennaio 2014   ILDA BOCCASSINI depone al Borsellino Quater”  “Scarantino – ha raccontato la Boccassini che tra il ’92 e il 94 fu applicata alla Procura di Caltanissetta per indagare sugli eccidi di Capaci e via D’Amelio – dal carcere faceva arrivare messaggi tramite la polizia penitenziaria. Accennava alla possibilità di parlare, poi si tirava indietro. Oscillava. Fino a giugno quando ci fu la ciliegina finale, decise di collaborare e andammo a Pianosa a sentirlo”.
“La prova regina del fatto che Vincenzo Scarantino era un mentitore era già nel suo pentimento, nel suo background criminale. Diceva cose assurde, raccontava ‘fregnacce’, chiamava in causa collaboratori di giustizia di caratura ben più elevata che non era in grado neanche di riconoscere in foto (Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera che tra l’altro hanno più volte sbugiardato il falso pentito della Guadagna ndr). Con il collega Roberto Sajeva mettemmo nero su bianco le nostre perplessità, scrivemmo che si stava imboccando una pista pericolosa, lo dicemmo al procuratore Tinebra, ai colleghi della Procura, lo segnalammo in una nota inviata anche alla Procura di Palermo. Se ne doveva anche discutere ad una riunione che è stata celebrata poi nel giorno della mia partenza. Cosa sia successo poi non posso saperlo”. “Dissi che andava sospeso tutto
. Dovevamo verificare, avvisare i colleghi di Palermo, fare i confronti e ricominciare con saggezza umiltà ed equilibrio, doti che dovrebbero avere i magistrati. Il mio dovere era mettere per iscritto che si stavano imbarcando in una strada pericolosa“.
Nella missiva a Tinebra venivano indicati diversi punti lacunosi in particolare in merito alle dichiarazioni che Scarantino aveva rilasciato in merito alla riunione preparatoria dell’attentato. “Al termine della riunione – disse Scarantino – Aglieri, Profeta e Calascibetta mi diedero il duplice incarico di reperire un’autovettura di piccole dimensioni da usare quale autobomba e una bombola contenente una sostanza chimica, la cui denominazione Aglieri aveva annotato su un foglietto, idonea a potenziare gli effetti deflagranti dell’esplosivo”.
Dichiarazioni false, scoperte negli anni soltanto dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza.
Su Spatuzza la Boccassini rivela : “Io mi occupai soprattutto delle indagini su Capaci, ma ricordo anche alcuni aspetti riguardo a via d’Amelio. Tramite l’analisi dei cellulari già nel giugno del 1994 uscì fuori l’utenza di Gaspare Spatuzza. Nello specifico scoprimmo che il 19 luglio del ’92, ma anche il 17, c’erano telefonate tra Gian Battista Ferrante e Fifetto Cannella e da lì si risaliva a Spatuzza. Fino ad allora insomma c’erano collegamenti che potevano portare allo spunto investigativo che ora si persegue”.
Su Arnaldo La Barbera, coordinatore del gruppo della polizia che indagava sulle stragi, “Sicuramente di lui c’era stima e fiducia in Procura ma  – così come ha ribadito più volte durante il dibattimento – è il pubblico ministero il dominus delle indagini. E se poi si è andati avanti per quella strada gli altri colleghi avranno ritenuto di farlo. Evidentemente erano convinti che le instabilità di Scarantino fossero dovute a momenti di debolezza. Resta che anche dopo le cose che avevamo scritto sono i pm a decidere di andare avanti”.


ILDA BOCCASSINI DEPONE AL “PROCESSO DEPISTAGGIO” 20 FEBBRAIO 2021

La lettera con Saieva
Quindi è tornata a parlare di quel documento firmato con Saieva: “Su Vincenzo Scarantino vi erano visioni completamente diverse – spiega il magistrato – Gli altri colleghi erano propensi a dire da subito ‘bene, Scarantino sta collaborando’. Ma per me c’erano delle perplessità. Molte perplessità. Tant’è che volevo persino annullare le mie ferie per partecipare agli interrogatori. Ma la risposta di Tinebra fu: ‘ti sei sacrificata tanto, ora te ne vai in ferie’, e così tornai a settembre. Ma il patatrac per me e Roberto Sajeva fu quello che leggemmo al nostro ritorno. Essere tenuta fuori dai giochi era la prassi. Vuoi per leggerezza, vuoi per sciatteria, non ero più la protagonista come lo ero stata nei mesi precedenti nella dinamica investigativa delle due stragi“.
Quindi ha denunciato: “La relazione che io e il collega Roberto Saieva facemmo sulla non credibilità di Vincenzo Scarantino era sparita da Caltanissetta ma io ne avevo diverse copie. Fino alla fine dissi ai colleghi che bisognava cambiare metodo, che Scarantino andava preso con le molle. Vedendo che c’era questa voglia che io andassi via da Caltanissetta scrissi la seconda relazione. Soltanto con il pentimento di Spatuzza nel 2008, ricevetti una telefonata dall’allora procuratore della Repubblica di Caltanissetta che mi chiese se era vero che io avevo scritto delle relazioni con Roberto Saieva. Erano sparite. Io e Saieva, dopo averne parlato con Giancarlo Caselli, mandammo le relazioni direttamente a Palermo”. “Sono qui per la quarta volta – ha affermato con forza durante il controesame – a ripetere sempre le stesse cose sentendomi quasi in colpa per aver scritto quelle relazioni che avrebbero potuto dare una scossa diversa a quei processi“.
Durante il controesame su questi argomenti la Bocassini più volte ha detto di “non comprendere il senso di certe domande volte soltanto a farmi cadere in contraddizione“. Il presidente del Collegio l’ha invitata “a rispondere alle domande senza aggiungere commenti” e ribadendo che “l’ammissibilità delle domande, lo sono fino a quando non si dichiara diversamente“.
Non credo che tutti i colleghi rimasti abbiano preso a cuore l’andazzo un po’ leggero di Tinebra – ha proseguito-. C’era un clima troppo accondiscendente nei riguardi di Scarantino, per questo la famosa lettera la mandammo anche a Palermo, se nel 2008 non arrivava Spatuzza forse delle due relazioni ne restava solo un mio ricordo. Quello che è successo dal ’94 in poi l’ho leggiucchiato dai giornali, ero impegnata a Milano in ben altre vicende“.
Quindi, nonostante i richiami, non ha voluto far mancare un momento di stucchevole ironia:
Se non avessi fatto le relazioni in cui manifestavo le mie perplessità sulla genuinità del pentimento di Scarantino e non ne avessi per altro conservato copia, oggi mi avrebbero addossato tutte le responsabilità e le colpe, chissà… magari per me avrebbero riaperto Pianosa, anche se io preferisco l’Asinara. Menomale che ne avevo una copia“.