I misteri di via D’Amelio, Fiammetta: “Il garage di via Villasevaglios e quel pupo vestito da mafioso”

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La figlia di Borsellino protagonista di una lunga intervista a Che Tempo che fa nel salotto di Fabio Fazio. Dopo essere stata accolta con una standing ovation ha parlato del “più grande depistaggio della storia” e dell’incontro in carcere i fratelli Graviano: “E’ stato un viaggio nell’inferno”

“Un tema che stava molto a cuore a mio padre era il rapporto tra la mafia e gli appalti. Infatti mi chiedo come mai il suo dossier fu archiviato il giorno dopo l’uccisione”. A parlare è Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato Paolo Borsellino ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio nel 1992, ospite ieri sera a Che Tempo che Fa. Una lunga intervista. La Rai, prima di farla entrare, ha mostrato le immagini di quel tragico 19 luglio 1992. E il pubblico ha accolto la figlia del magistrato con una standing ovation.

Fabio Fazio ha poi chiesto alla Borsellino perché avesse deciso di parlare proprio ora. La donna ha riposto partendo da quanto avvenuto un paio di anni fa, ovvero la fine di un processo che non era riuscito ancora a fare piena luce su quanto avvenuto. Delle indagini e dei processi che sono stati di fatto “falsati”. E lei, Fiammetta Borsellino, non si è risparmiata. Ha fatto nomi e cognomi delle persone che sono state in maniera acclarata coinvolte in queste operazioni di depistaggio. “Il più grande della storia italiano, un depistaggio grossolano”, dice lei. “La Procura di Caltanissetta – ha detto – non ascoltò mai un testimone fondamentale dopo la morte di mio padre che era il procuratore Giammanco, colui il quale conservava nel cassetto le informative dei Ros che annunciavano l’arrivo del tritolo. Fino a quando Giammanco poco tempo fa è morto”.

“C’è stata una grande mole di anomalie e omissioni che hanno caratterizzato indagini e processi – ha aggiunto Fiammetta Borsellino -. Le indagini furono affidate a Tinebra, appartenente alla massoneria. C’erano magistrati alle prime armi che dichiararono di non avere competenze in tema di criminalità organizzata palermitana. Fu un depistaggio grossolano. Le indagini furono totalmente delegate ad Arnaldo La Barbera, una persona che era un poliziotto da un lato e dall’altro riceveva buste paga dal Sisdi per condurre una vita dissoluta in giro per l’Italia. Venne presa una persona, il cosiddetto pupo, ovvero Scarantino che fu vestito da mafioso. Non furono fatti sopralluoghi come quello nel garage Orofino, dove fu detto che era nascosto il tritolo. Scarantino non aveva neanche parentele mafiose, al massimo vendeva sigarette di contrabbando alla Guadagna. Venne determinato alla calunnia da coloro che lo gestivano, in primis poliziotti e più in alto i magistrati. Non sono stati fatti confronti importantissimi tra Scarantino e altri falsi pentiti come Candura e Androtta, persone che si rincorrevano nelle loro dichiarazioni. I mafiosi veri non riconoscevano Scarantino e questi confronti però non sono stati depositati”.

Processi su processi – dal Borsellino primo al quater – con ritrattazioni a valanga. Fino ad arrivare a Spatuzza, uomo della cosca di Brancaccio che sovrintende a tutte le organizzazioni della macchina nel garage di via Villasevaglios, ovvero le operazioni di caricamento dell’esplosivo sulla 126. E’ il 2008, l’anno della svolta. Il racconto di Spatuzza è dettagliato: dopo gli opportuni riscontri, i magistrati hanno avuto chiari i retroscena della strage Borsellino, organizzata dal clan mafioso di Brancaccio, diretto dai fratelli Graviano. 

Fiammetta Borsellino parla proprio dell’incontro con i fratelli Graviano, condannati per l’omicidio Borsellino, avvenuto recentemente in carcere. “Questa esigenza è venuta fuori da un percorso privato – ha detto Fiammetta Borsellino -. Avevo la necessità di dare vce a un dolore profondo che era stato inflitto non solo alla mia famiglia ma alla società intera. Lo chiamo il mio viaggio nell’inferno dei silenzi, dei cancelli. E’ stato però un viaggio di speranza. Io dico sempre alla mie figlie che non bisogna mai smettere di sognare. Forse quando intrapresi quel viaggio ero io stessa quella bambina che spera nel cambiamento, nel cambiamento delle coscienze. Il sentimento prevalente non è stata la rabbia o il rancore ma tanta tristezza e dolore per chi non fa quel passo in più che dà dignità a una persona. Mio padre è morto con dignità. Ma credo che possa vivere e morire con dignità chi dopo aver fatto del male riconosce i suoi sbagli e ripara il danno che ha arrecato, invece di stare muto in galera. Quello è un fallimento”.