Borsellino quater
Solo successivamente alla collaborazione di Gaspare Spatuzza (avvenuta a fine decorrere dal giugno 2008), le cui dichiarazioni, puntualmente, concordamente e costantemente riscontrate (anche per il tramite di altro collaboratore, Fabio Tranchina), smentivano radicalmente le propalazioni accusatorie di Scarantino, Andriotta e Candura, il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta chiedeva, in data 13 ottobre 2011, alla Corte d’Appello di Catania la revisione delle sentenze di condanna inflitte in esito dei processi cosiddetti Borsellino1 e Borsellino bis.
Il 13 luglio 2017, la Corte d’Assise d’Appello di Catania ha accolto tale richiesta di revisione, scagionando definitivamente tutti coloro che erano stati ingiustamente condannati sulla base delle dichiarazioni dei falsi pentiti.
Sulla base delle dichiarazioni di Spatuzza pertanto, la Procura di Caltanissetta ha svelato il clamoroso depistaggio operato dai collaboratori Scarantino, Candura e Andriotta, i quali, dopo un iniziale tentennamento, hanno confessato di aver 12 Sentenza nr. 01/2002 emessa in data 07-02-2002 dalla Corte di Assise di Appello di Caltanissetta nel processo contro AGATE Mariano + 26. 13 Sentenza nr. 85/2003 emessa in data 17-01-2003 dalla Corte di Cassazione Sez. VI. Nello specifico, lo Spatuzza si è attribuito la responsabilità, unitamente ad altri soggetti inseriti in Cosa nostra (tra i quali persone rimaste fino a quel momento estranee agli accertamenti processuali celebrati) di un importante segmento della fase esecutiva della strage di Via D’Amelio e, a tal proposito, riferiva ai magistrati della Procura nissena: il pieno coinvolgimento della famiglia di Brancaccio nell’esecuzione della strage (e non della Guadagna, così come sostenuto da Scarantino); di aver eseguito il furto della Fiat 126 con Vittorio Tutino su disposizione di Cristofaro Cannella che, a sua
volta, aveva ricevuto l’ordine da parte di Giuseppe Graviano; di aver provveduto alla custodia dell’autovettura e di aver provveduto alla riparazione dei guasti che ne impedivano un corretto funzionamento; di aver reperito il materiale necessario ad innescare l’ordigno e di aver provveduto al reperimento dell’esplosivo; di aver spostato l’autovettura presso il garage di via Villasevaglios, dove questa fu imbottita di tritolo; di aver operato, sempre con il Tutino, il furto delle targhe di altra autovettura presso l’autofficina di Orfino; di aver consegnato la targa a Graviano, il quale gli ordinò
di allontanarsi l’indomani (19 luglio 1992) da Palermo. dichiarato il falso nel corso dei procedimenti denominati Borsellino 1 e Borsellino
bis su pressione di alcuni componenti del gruppo investigativo “Falcone-Borsellino”.
Con sentenza del 20 aprile 201715 la Corte d’Assise di Caltanissetta ha condannato all’ergastolo i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e a 10 anni i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci. Per Scarantino, invece, e stata dichiarata prescrizione del reato in considerazione del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114, comma 3, c.p.p. per essere stato determinato da altri a commettere il reato.
Segnatamente, quanto allo Scarantino, la Corte d’Assise ha riconosciuto la completa falsita di tutte le sue dichiarazioni, emergente con assoluta certezza:
“…non solo dalla dall’esplicita ammissione operata dallo stesso Scarantino, ma anche, e
soprattutto, dalla loro inconciliabilità con le circostanze univocamente accertate nel presente
processo, che hanno condotto alla ricostruzione della fase esecutiva dell’attentato in senso
pienamente coerente con le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza… Da tale ricostruzione emerge in
modo inequivocabile, oltre alla inesistenza della più volte menzionata riunione presso la villa del
Calascibetta, la mancanza di qualsiasi ruolo dello Scarantino nel furto della Fiat 126, la quale, per
giunta, non venne mai custodita nei luoghi da lui indicati, né ricoverata all’interno della
carrozzeria dell’Orofino per essere ivi imbottita di esplosivo”.
La Corte, inoltre, cercando di dare una risposta sulle ragioni del falso pentimento
di Scarantino, e giunta ad affermare che questo sarebbe stato determinato:
“…da altri soggetti, i quali hanno fatto sorgere tale proposito criminoso abusando della propria
posizione di potere e sfruttando il suo correlativo stato di soggezione. Al riguardo, va segnalato un
primo dato di rilevante significato probatorio: come si è anticipato, le dichiarazioni dello
Scarantino, pur essendo sicuramente inattendibili, contengono alcuni elementi di verità … È quindi
del tutto logico ritenere che tali circostanze siano state a lui suggerite da altri soggetti, i quali, a
loro volta, le avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte”.
La citata sentenza non ha individuato gli autori di tali suggerimenti, limitandosi
ad ascriverli, comunque, ad un’area istituzionale; ne tanto meno ha chiarito quali
siano state le ragioni che hanno determinato una simile condotta e le finalita che
attraverso questa si intendevano realmente perseguire. Rimangono ancore
occulte anche le richiamate fonti che avrebbero, per così dire, suggerito ai
suggeritori di Scarantino quelle circostanze dimostratesi veritiere e, quindi,
estranee al patrimonio cognitivo diretto del picciotto della Guadagna.
Sentenza nr. 01/2017 emessa il 20-04-2017 dalla Corte di Assise di Caltanissetta nel processo contro Madonia
Salvatore Mario + 4.
La Procura di Caltanissetta e chiamata oggi a rispondere a questi interrogativi
e con non poche difficolta .
Lo scorso 28 settembre 2018, il Gip di Caltanissetta ha disposto il rinvio a
giudizio di tre dei componenti del gruppo investigativo “Falcone-Borsellino”
guidato, all’epoca delle indagini, dal dottor Arnaldo La Barbera (deceduto nel
2002). Si tratta del dirigente della Polizia di Stato Mario Bo, dell’agente Michele
Ribaudo e dell’ispettore, oggi in pensione, Fabrizio Mattei. Per loro l’accusa e di
calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa Nostra.