. “Mi sono macchiato di crimini orrendi e di orrendi omicidi…”, avrebbe dichiarato Scarantino. Nel ricostruire la sua storia, Scarantino liquida l’immagine del piccolo malavitoso di borgata, dedito a furti d’auto ed al piccolo spaccio di droga, ma tuttavia buono d’animo, tanto da indossare il saio di una confraternita religiosa per seguire la statua del santo portato in processione. Alla Boccassini dice di poi di essere stato un “uomo d’onore riservato”, presenti suo cognato Salvatore Profeta, Pietro Aglieri e Carlo Greco. “Al termine della cerimonia – ricorda Scarantino – abbiamo mangiato e poi ci siamo baciati tutti, ed io diventai uomo d’onore riservato per non essere a occhio della polizia e degli altri uomini d’onore, tranne quelli della mia famiglia”. Sollecitato a riferire in ordine alle sue vittime, cita Benedetto Bonanno, 22 anni, ucciso con colpi di pistola il 24 marzo del 1988, del cui cadavere diede poi alle fiamme e poi i fratelli Santo e Luigi Lucera, di 54 e 44 anni: dice di averli sgozzati in una casa di campagna, a Santa Maria di Gesù. Gli inquirenti rilevano che alcune “rivelazioni” di Scarantino sono in rotta di collisione con quelle di altri due “pentiti” Salvatore Cancemi e Gioacchino La Barbera, i quali hanno per altro ammesso le loro responsabilità per la strage di Capaci. Scarantino, ad esempio, sostiene, come testimone oculare, che la strage di via D’ Amelio venne decisa da Totò Riina nel corso di una riunione, tenuta nella villa di Giuseppe Calascibetta, alla quale intervennero anche La Barbera e Cancemi, i quali negano con decisione.