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20 febbraio 2020 La testimonianza di Ilda Boccassini al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio
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“Tutti potevano capire che diceva sciocchezze“
Vincenzo Scarantino? “Non era credibile“; “i dubbi c’erano fin dall’inizio“; “era un mentitore“, “si doveva capire subito che era inattendibile“, “era un poveraccio“.
“la prova regina della non credibilità di Vincenzo Scarantino proviene dalla sua collaborazione” perché “man mano che si andava avanti negli interrogatori si vedeva che stava dicendo delle sciocchezze“.
pur confermando le critiche nei confronti dei colleghi come Annamaria Palma e Carmelo Petralia, entrambi indagati per calunnia aggravata dalla Procura di Messina, che “davano credito al collaboratore“, ha aggiunto di non aver mai pensato “a un depistaggio“.
“Quando Scarantino arrivava in procura a Caltanissetta, si chiudeva in una stanza da solo con il Procuratore Tinebra. Non so il tempo preciso ma per un bel po’. Poi Tinebra apriva le porte e si entrava a fare l’interrogatorio. Alla luce di questo, di tutti i miei tentativi di cambiare metodi e atteggiamenti, dei colleghi che non vedevano l’ora che me ne andassi, scrissi una seconda relazione. Tutti sapevano, tutti conoscevano questa relazione, dove mettevo per iscritto che secondo me si dovevano rispettare i codici“.
“Mi sono occupata in maniera quasi esclusiva della strage di Capaci, quando sono arrivata a Caltanissetta erano già applicati altri colleghi. Il primo periodo, parliamo del dicembre 92, fu per me soltanto quello di esaminare una massa informe di carte senza nessun ordine e collocazione. Ricordo con affetto, quando arrivai alla Procura di Caltanissetta, una frase dell’allora Procuratore capo Giovanni Tinebra, che io non conoscevo, e mi disse: ‘Cocca mia, qua ci sono le carte. Arrangiati, vedi cosa devi fare’. Questo fu il primo impatto. Con il collega Fausto Cardella anche lui applicato, che si occupava con altri colleghi della strage di via d’Amelio ci fu un confronto, anche perché nacque quasi subito un rapporto di amicizia. Gli altri colleghi che si occupavano delle stragi che erano volontari, si occuparono in quel momento della indagine ‘Leopardo’ a seguito delle dichiarazioni di Leonardo Messina. Non conoscevo Tinebra e mi stupii molto quando mi arrivò la richiesta per essere applicata a Caltanissetta”.
“Quando io sono arrivata alla Procura di Caltanissetta, anche parlando con i colleghi che già c’erano e con il capo dell’ufficio e lo stesso dottor Arnaldo La Barbera, i dubbi su Scarantino già c’erano – I dubbi su una persona che non era di spessore, anzi che non era per niente di spessore. Il suo quid, se così possiamo chiamarlo, era una parentela importante in Cosa nostra, però sin dall’inizio, io avevo delle perplessità. Forse all’inizio avevo meno perplessità perché non ero ancora entrata nelle carte, nella mentalità. Io ero lì in attesa, ma anche degli altri nessuno gridava ‘ma che bella questa cosa’. Tutti erano con i piedi di piombo su questa cosa. Era l’inizio ancora e bisognava andare avanti per vedere se l’indagine portava a qualcosa di più sostanzioso“.
“La dottoressa Palma e il dottor Petralia erano più propensi a credergli, o meglio, meno propensi a una critica, Giordano invece faceva l’aggiunto e quindi sapeva e non sapeva. La sorpresa, per me e Saieva, furono gli interrogatori in nostra assenza. Anche per i sopralluoghi e il riconoscimento da parte di Scarantino dell’autocarrozzeria Orofino, io ho saputo queste cose dai giornali, che poi bisogna vedere anche se è vero“.
“Io ero disponibile persino a un trasferimento d’ufficio da Milano alla Procura di Caltanissetta, ero disposta a restare anche per la tutela delle indagini. Ma l’allora Procuratore Tinebra disse ‘assolutamente no’, cioè non mi volevano. Ero servita solo a far fare carriera a tutti, a quel punto dovevo andare via. Ma io sono stata così imbecille da chiedere il trasferimento d’ufficio per continuare le stragi, ero disponibile a fare questo ulteriore sacrificio“.
“Se avessero seguito le mie indicazioni, sia i pm che gli avvocati avrebbero avuto il tempo, la professionalità per capire che Scarantino non era credibile“)
“Io, purtroppo, non ho svolto un ruolo, nelle indagini sulla strage di via D’Amelio“.
Esattamente l’opposto di quanto sostenuto nelle scorse udienze dal pm Carmelo Petralia. Quest’ultimo aveva affermato che il ruolo della Boccassini era stato “preminente nelle indagini su via d’Amelio” e con “un ruolo attivo sia per gli aspetti di valorizzazione degli elementi gravemente indiziari su Scarantino che per la genesi della sua collaborazione“
Nella conferenza stampa del 19 luglio 1994, tenuta assieme a Giovanni Tinebra sugli sviluppi delle indagini sulla strage di via d’Amelio, proprio la Boccassini affermava: “I collaboratori di giustizia sono una realtà essenziale per il paese. Lo ha dimostrato ancora una volta l’indagine sulla morte di Paolo Borsellino. Ma è arrivata, lo ripeto, questo concetto va ripetuto fino alla noia, perché vi erano già delle indagini che hanno consentito di valutare appieno quello che Scarantino Vincenzo ci diceva“.
Durante l’esame la Boccassini ha spiegato che “con i colleghi già a luglio c’erano state discussioni precise, c’erano due parti contrapposte: una di queste riteneva di andarci coi piedi di piombo perché lui appariva debole e poco credibile, anche se a luglio gli abbiamo dato comunque una possibilità considerando che magari avesse paura, che avesse il pensiero alla famiglia a Palermo, cose normali di cui si tiene conto coi collaboratori“.
“Non ho mai sollecitato colloqui investigativi con Vincenzo Scarantino per sondare il terreno. Alcuni colloqui investigativi sono sorti su sollecitazione dello stesso Scarantino in altri casi è possibile, ma non lo ricordo con precisione, che in alcune occasioni sia avvenuto su impulso della stessa Procura, oppure della Polizia di Stato, di fare dei tentativi nei confronti di Scarantino. Ma, ripeto, non sono stata io a sollecitare i colloqui con Scarantino perché non mi occupavo di lui con attività esclusiva“.
Eppure agli atti vi è traccia che tra il 4 ed il 13 luglio, in cui venivano effettuati i colloqui, spesso nei giorni antecedenti le verbalizzazioni con i magistrati. Verbalizzazioni che in quattro occasioni si sono tenute con la partecipazione della stessa dottoressa Boccassini di cui una, il 15 luglio, alla sola presenza della stessa e di Arnaldo La Barbera
E sempre agli atti vi sono i colloqui investigativi post collaborazione con la giustizia si erano verificati anche con il falso pentito Francesco Andriotta. Ma la Borsellino afferma: “Lo apprendo dai giornali;ho scoperto che ce ne sono anche alcuni a mia firma. Di questi colloqui investigativi non mi ricordavo, vuol dire che quindi non davo troppa importanza a questa vicenda. Scarantino comincia questa collaborazione a giugno ’94, erano gli ultimi miei mesi di permanenza, avevo ancora molto lavoro da fare, quando Tinebra mi chiamò per dirmi che lui voleva collaborare io gli dissi di non contare su di me perché stavo per andare via e dissi di affidarsi agli altri colleghi che sarebbero rimasti a Caltanissetta“.
“Tinebra voleva che fossi presente. Io, siccome sono un soldato, sono partita. Ci fu un viaggio in notturna in elicottero, penso che ci fosse anche Petralia con me“.
Forse, in generale, il fatto di fare colloqui investigativi coi collaboratori era una prassi, tanto che poi è subentrata una normativa per sopperire agli errori fatti dai colleghi. Se quei colloqui servivano per addestrare il collaboratore, i colleghi andrebbero cacciati da ogni funzione pubblica, sul punto si poteva capire che Scarantino era inattendibile, è ridicolo“.
La lettera con Saieva
“Su Vincenzo Scarantino vi erano visioni completamente diverse. Gli altri colleghi erano propensi a dire da subito ‘bene, Scarantino sta collaborando’. Ma per me c’erano delle perplessità. Molte perplessità. Tant’è che volevo persino annullare le mie ferie per partecipare agli interrogatori. Ma la risposta di Tinebra fu: ‘ti sei sacrificata tanto, ora te ne vai in ferie’, e così tornai a settembre. Ma il patatrac per me e Roberto Sajeva fu quello che leggemmo al nostro ritorno. Essere tenuta fuori dai giochi era la prassi. Vuoi per leggerezza, vuoi per sciatteria, non ero più la protagonista come lo ero stata nei mesi precedenti nella dinamica investigativa delle due stragi“.
“La relazione che io e il collega Roberto Saieva facemmo sulla non credibilità di Vincenzo Scarantino era sparita da Caltanissetta ma io ne avevo diverse copie. Fino alla fine dissi ai colleghi che bisognava cambiare metodo, che Scarantino andava preso con le molle. Vedendo che c’era questa voglia che io andassi via da Caltanissetta scrissi la seconda relazione. Soltanto con il pentimento di Spatuzza nel 2008, ricevetti una telefonata dall’allora procuratore della Repubblica di Caltanissetta che mi chiese se era vero che io avevo scritto delle relazioni con Roberto Saieva. Erano sparite. Io e Saieva, dopo averne parlato con Giancarlo Caselli, mandammo le relazioni direttamente a Palermo”. “Sono qui per la quarta volta – ha affermato con forza durante il controesame – a ripetere sempre le stesse cose sentendomi quasi in colpa per aver scritto quelle relazioni che avrebbero potuto dare una scossa diversa a quei processi“.
“Non credo che tutti i colleghi rimasti abbiano preso a cuore l’andazzo un po’ leggero di Tinebra – ha proseguito-. C’era un clima troppo accondiscendente nei riguardi di Scarantino, per questo la famosa lettera la mandammo anche a Palermo, se nel 2008 non arrivava Spatuzza forse delle due relazioni ne restava solo un mio ricordo. Quello che è successo dal ’94 in poi l’ho leggiucchiato dai giornali, ero impegnata a Milano in ben altre vicende“.
“Se non avessi fatto le relazioni in cui manifestavo le mie perplessità sulla genuinità del pentimento di Scarantino e non ne avessi per altro conservato copia, oggi mi avrebbero addossato tutte le responsabilità e le colpe, chissà… magari per me avrebbero riaperto Pianosa, anche se io preferisco l’Asinara. Menomale che ne avevo una copia“.
Boccassini e Genchi
“una persona pericolosa per le istituzioni, aveva conservato un archivio con i tabulati che aveva raccolto. E poi vedeva complotti e depistaggi ovunque“. – chiese persino di indagare anche su Giovanni Falcone, dopo la strage di Capaci, chiese di esaminare persino le sue carte di credito. Non mi piacque e lo dissi a Tinebra, gli spiegai: ‘Le analisi dei tabulati le può fare chiunque’. Ne parlai anche a La Barbera – ha aggiunto – che era d’accordo sul fatto che non si poteva pendere dalle labbra di uno come Genchi. Il suo apporto alle indagini fu nullo. Era un tecnico, non un investigatore, quindi non poteva apportare nulla a un’indagine così seria. Insomma, non mi piaceva il suo modo di lavorare, così fu allontanato. Tinebra non voleva perdere la mia capacità lavorativa, quindi da quel momento Genchi non si è più occupato di stragi“.
“Una delle prime ipotesi di lavoro era che il telecomando fosse stato azionato da castello Utveggio dove si diceva ci fosse una postazione Sisde. Su questi punti le indagini erano partite quasi subito“.