DOPPIO GIOCO, le talpe dell’antimafia…

 

 

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Questo sensazionale docFilm,  ricostruisce l’ indagine dei R.O.S. che, fra gli altri, portò a processo e alla condanna definitiva Totò Cuffaro, l’ ex presidente della Regione Sicilia.
Oltre a contenere moltissime intercettazioni e filmati originali, mostra come la mafia è in grado di insinuarsi nella società civile.
Nell’indagine,  il Maresciallo della GdF nella DIA di Palermo Giuseppe “Pippo” Ciuro ha un ruolo centrale.
Ciuro, si preoccupava di indagare per poi informare il boss della sanità Michele Ajello, anche dell’ attività dello S.C.O. che, come dice al Maresciallo Giorgio Riolo (l’ altra talpa), “… perchè questi li piazzano senza dire niente a nessuno…” [microspie e telecamere – n.d.r.].
Infine, l’annotazione più importante: quest’ indagine ha permesso di abbattere i costi dell’ assistenza sanitaria in Sicilia “… con un risparmio per le casse regionali di molti, molti milioni di euro…” (Michele Prestipino – Sostituto Procuratore – di Palermo ed ora Procuratore aggiunto della Repubblica di Roma)


GIUSEPPE CIURO l’ex “talpa” della Procura di nuovo nei guai giudiziari

La cronaca torna ad occuparsi di un personaggio chiave nella storia giudiziaria siciliana. Nel blitz dei carabinieri, assieme al sindaco di Giardinello Antonio De Luca, è coinvolto l’ex finanziere Giuseppe Ciuro.
Su richiesta del procuratore aggiunto Sergio Demontis il giudice e le indagini preliminari gli ha imposto il divieto di dimora nella provincia di Palermo. Sono indagati per corruzione.
Ciuro ha scontato in passato una condanna a 4 anni e 8 mesi nell’ambito dell’inchiesta sulle cosiddette “talpe” alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo che vide indagato e poi condannato anche l’ex presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro.
Il militare era imputato di accesso abusivo alla rete informatica della Procura, rivelazione di segreti istruttori e favoreggiamento. Il maresciallo rivelò notizie riservate su indagini in corso al manager della sanità privata Michele Aiello, anche lui processato e condannato per mafia.
Ciuro era una delle pedine della rete di talpe all’interno della Procura di Palermo. Qui ha lavorato per anni come assistente del pubblico ministero Antonio Ingroia. E con Ingroia si era ritrovato al fianco, visto che l’ex procuratore aggiunto lo scelse come collaboratore quando ha lasciato la toga per fare l’avvocato.Secondo la nuova accusa, l’ex finanziere aveva un debito di 200 mila euro con lo Stato per il suo vecchio processo. Con l’aiuto del sindaco De Luca, Ciuro avrebbe fatto carte false per ottenere la cancellazione del debito. Come? Dichiarando falsamente in trasferimento di residenza e la creazione di un nuovo nucleo familiare a reddito zero. Il gip ha disposto il sequestro di 200 mila euro. A tanto ammonterebbe il profitto del reato.  


 

 



TALPE alla DDA

Il processo chiamato “Talpe alla Dda” è un processo che ha coinvolto il politico Salvatore Cuffaro, condannato a 7 anni di reclusione, il prestanome di Bernardo Provenzano e imprenditore Michele Aiello, il maresciallo (Guardia di Finanza) Giuseppe Ciuro e il maresciallo (Carabinieri) Giorgio Riolo, condannato a sette anni e cinque mesi, il politico Antonio Borzacchelli, in attesa del pronunciamento della Cassazione, e Giuseppe Guttadauro, che ha ricevuto uno sconto di 800 giorni di pena per buona condotta.
L’ex maresciallo della Guardia di Finanza Giuseppe Ciuro è stato condannato a quattro anni e 8 mesi per favoreggiamento aggravato e rivelazione di atti d’ufficio, e a risarcire la Guardia di Finanza con 35.000 euro per danno all’immagine. I due marescialli Giuseppe Ciuro e Giorgio Riolo avrebbero passato informazioni sulle indagini in corso a Michele Aiello. L’accusa sosteneva anche che Salvatore Cuffaro avrebbe permesso al boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro di scoprire una microspia nel salotto della propria abitazione[6] e che avrebbe rivelato altre informazioni utili a Michele Aiello.


Processo Talpe alla DDA   Il processo denominato “Talpe alla Dda” è un processo tenutosi a Palermo tra il 1 febbraio 2005 e il 18 gennaio 2008 (sentenza di primo grado) che ha coinvolto il presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro (Udc), poi costretto a dimettersi una settimana dopo la sentenza, e il magnate della sanità privata siciliana, per anni il più grosso contribuente dell’Isola, Michele AielloIl processo nasce attorno alla figura di Michele Aiello di Bagheria, prima imprenditore edile, poi con le sue aziende sanitarie (Villa Santa Teresa, ATM Alte Tecnologie Medicali e Centro di medicina nucleare San Gaetano) divenuto leader nel settore della sanità privata, soprattutto nel campo della diagnostica per immagini.
La figura di Aiello risulta vicina a personaggi di spicco della mafia di Bagheria, come Nicolò Eucaliptus e Pietro Lo Iacono, fedelissimi di Bernardo Provenzano. Bagheria, secondo il pentito Antonino Giuffrè, è stata per tutti gli anni ’90 “la roccaforte di Bernardo Provenzano”, sede di anni e anni di latitanza del padrino corleonese.
Michele Aiello è stato il regista di una vasta rete di “talpe” ” – i cui principali esponenti erano i due marescialli Giorgio Riolo e Giuseppe Ciuro – che ha prodotto numerose “fughe di notizie” direttamente dagli uffici della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. La latitanza di Provenzano, oltre che il potere dei mafiosi di Bagheria, è stata garantita anche da queste fonti “bene informate”. Inoltre, la clinica Villa Santa Teresa di Aiello, divenuta in poco tempo centro d’eccellenza europeo, godeva anche di generosissime convenzioni da parte della Regione, che arrivava a pagare le prestazioni anche dieci volte più del dovuto. Una delle accuse più pesanti – e sulle quali i giornali hanno calcato la mano – è stata quella che Aiello sarebbe stato “il prestanome di Bernardo Provenzano”, ovvero che i capitali di Villa Santa Teresa e delle altre aziende di Aiello derivino direttamente dell’associazione mafiosa. Nelle motivazioni della sentenza, su questo punto, i giudici ammettono che “non ci sono le prove”. Ciò nonostante, numerose intercettazioni svelano l’interessamento di esponenti di spicco dell’associazione mafiosa sugli affari di Michele Aiello, soprattutto sull’acquisto della struttura dell’ex hotel “Zabara”, poi divenuta sede della clinica Villa Santa Teresa.  Salvatore Cuffaro ha favorito Michele Aiello nei rimborsi-record a Villa Santa Teresa e, inoltre, tramite le sue fonti bene informate, ha rivelato segreti d’indagine all’imprenditore bagherese nel retrobottega del negozio “Bertini”, a Bagheria, poco prima del suo arresto.  L’imprenditore Michele Aiello. Cuffaro inoltre ha rivelato segreti d’indagine a Mimmo Miceli, ex assessore comunale di Palermo alla sanità, anche lui Udc, condannato nel dicembre 2006 a otto anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Miceli ha poi passato le informazioni al boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, informandolo che stavano indagandolo su di lui. Il 15 giugno 2001, Guttadauro trova la microspia piazzata nel salotto e dice una frase in siciliano che è stata interpretata dai pm come “Ragioni avìa Totò Cuffaro” (“Aveva ragione Totò Cuffaro“), anche se sull’esatto significato e contenuto della frase non c’è certezza giudiziaria. La fonte di Cuffaro sarebbe un’altra “talpa”: Antonio Borzacchelli, prima maresciallo dei carabinieri e poi dal 2001 deputato regionale, eletto con 4.892 preferenze nella lista Biancofore, promossa dallo stesso Cuffaro. Il reato di rivelazione di segreti d’indagine, per Borzacchelli, è stato prescritto, mentre – il 3 luglio 2013 – Borzacchelli è stato assolto dal processo per concussione nei confronti di Michele Aiello, che – secondo l’accusa – era stato ricattato e costretto a cedere al maresciallo. Il processo tornava in secondo grado dopo l’annullamento della condanna a otto anni deciso dalla Cassazione. In primo grado il tribunale gliene aveva inflitto dieci.

Michele Aiello è tornato in carcere nell’aprile 2013, nonostante la sua malattia (favismo). Il carcere milanese di Opera ha garantito una dieta speciale per le sue condizioni di salute.
Salvatore Cuffaro si dimette il 26 gennaio 2008, una settimana dopo la sentenza di primo grado. All’inizio era deciso a non dimettersi, poiché la condanna di favoreggiamento non riconosceva l’aggravante di favoreggiamento a Cosa Nostra. Ma le dimissioni sono arrivate comunque, anche dopo il polverone mediatico sollevato dalla famosa foto con i “cannoli” eseguita dal fotografo Michele Naccari“Ho visto diffondersi in questi giorni una crescente ostilità verso la mia persona – dichiara Cuffaro – E siccome il popolo, più che i salotti o le manovre di palazzo, è sempre stato l´elemento centrale della mia esperienza politica, anche in questa circostanza così delicata non voglio sottrarmi ad un confronto leale con esso”

Dopo le dimissioni da presidente della Regione, viene eletto senatore della Repubblica il 13 aprile 2008. Il 22 gennaio, confermata la pena in Cassazione, Cuffaro si costituisce, e viene trasmesso nel carcere romano di Rebibbia. Nelle motivazioni della sentenza i Giudici della Cassazione dichiarano provato “l’accordo politico-mafioso tra il capo mandamento Giuseppe Guttadauro e l’uomo politico Salvatore Cuffaro, e la consapevolezza di quest’ultimo di agevolare l’associazione mafiosa, inserendo nella lista elettorale per le elezioni siciliane del 2001 persone gradite ai boss e rivelando, in più occasioni, a personaggi mafiosi l’esistenza di indagini in corso nei loro confronti”.
Il processo.  Gli arresti e le condanne Il blitz “Talpe alla Dda” viene effettuato all’alba del 5 novembre 2003. Vengono arrestati Michele Aiello e due marescialli, uno della Guardia di Finanza, Giuseppe Ciuro, in servizio al centro Dia di Palermo, e uno dei carabinieri, Giorgio Riolo, in servizio alla sezione anticrimine del Ros. Indagati inoltre altri membri delle forze dell’ordine che avrebbero passato informazioni segrete ad Aiello. Si tratta di Giacomo Venezia, funzionario di polizia in servizio alla divisione anticrimine; di Carmelo Marranca, ispettore dello Sco, il Servizio Centrale operativo, e di Antonella Buttitta, agente della polizia municipale distaccata nell’ufficio di un Pm della Direzione Distrettuale Antimafia. Il presidente della Regione Salvatore Cuffaro viene coinvolto nell’inchiesta nel febbraio 2004.

I provvedimenti cautelari sono stati firmati dal gip Giacomo Montalbano“Le indagini – si legge in una nota della procura – che i carabinieri del nucleo operativo, con il coordinamento e la direzione della Dda, hanno condotto con eccezionale professionalità, hanno consentito di accertare l’esistenza di un ampio contesto associativo, nel quale Aiello è pienamente inserito, che rappresenta uno ‘spaccato’ della persistente e incisiva capacità di Cosa nostra, e in particolare dei suoi esponenti di vertice, di infiltrarsi, ai più alti livelli, nel mondo imprenditoriale e in quello istituzionale”. L’indagine parte dopo le dichiarazioni rese dal boss Antonino Giuffrè, da tempo collaboratore di giustizia, che ha indicato Michele Aiello come un imprenditore che “ha intrattenuto rapporti diretti e privilegiati con esponenti di assoluto rilievo di Cosa nostra, tra i quali Bernardo Provenzano”, il boss latitante da decenni.

  • La sentenza di primo grado – emessa alle 17,44 del 18 gennaio 2008 III sezione del tribunale di Palermo, presieduta da Vittorio Alcamo – conferma l’impianto accusatorio dei pubblici ministeri Nino Di MatteoMichele PrestipinoGiuseppe Pignatone e Maurizio De Lucia.
  • La sentenza di Appello, emessa il 23 gennaio 2010, indurisce le pene, riconoscendo – per esempio – l’aggravante di aver favorito la mafia per Salvatore Cuffaro.
  • La sentenza della Corte di Cassazione, emessa il 22 gennaio 2011, conferma la sentenza di appello.

Le condanne  Rivelazione di segreti d’indagine. L’ex maresciallo dei Carabinieri e deputato UDC Antonio Borzacchelli Bagheria. L’11 marzo 2003, un inferocito Salvatore Eucaliptus – figlio di Nicola, già condannato per mafia – trova una microspia nella propria Opel Corsa e la distrugge. Per gli investigatori è impossibile che si sia trattato di un caso Intanto, proprio in quei mesi, alcune telecamere nascoste filmano lo stesso Salvatore Eucaliptus ed il padre Nicola che si recano a Villa Santa Teresa, la clinica extra-lusso di Michele Aiello. Uno, due, tre volte. Le intercettazioni rivelano che gli Eucaliptus sanno perfettamente che Aiello è tenuto sotto controllo. Sanno pure che tutti quelli vicini all’“ingegnere” possono incappare in una “cimice” ad ogni passo.  Qualcosa non quadra alla Procura antimafia. Non appena le loro microspie e le loro telecamere si avvicinano a Bagheria vengono neutralizzate. Sembra che i membri della famiglia mafiosa bagherese siano a conoscenza di segreti tutti interni alla Procura. Alla fine degli anni ’90 tra gli investigatori della Dda di Palermo comincia a serpeggiare il terribile sospetto. Quello delle “talpe”. L’indagine della Procura Antimafia nei confronti di Aiello comincia nel dicembre 2002. L’indagato non deve sapere di essere indagato, come al solito. Ma questa volta è diverso. Ad appena qualche settimana dal suo inizio, l’imprenditore bagherese viene a sapere di essere nel mirino degli investigatori antimafia. Già nel gennaio 2003, Aiello può incaricare i suoi “collaboratori” Ciuro e Riolo, di dare inizio alla loro “indagine sull’indagine”. I due intrattengono rapporti di “collaborazione” con Aiello fin dal 1998. Gli riferivano molti particolari delle loro indagini in corso, e Aiello era sempre molto interessato. “Ciuro e Riolo – scrivono i pm in una memoria dell’accusa – coinvolgevano Aiello come se fosse uno della Dia o dei Ros”. In cambio, Aiello faceva ai due molti “regali”: denaro, rolex, gioielli, automobili.
Ciuro e Riolo, nei mesi successivi all’avvio dell’indagine, terranno Aiello al corrente degli sviluppi investigativi e degli umori interni alla Procura; e cercheranno anche di mettere i bastoni tra le ruote ai pm.
Chi sono i due “collaboratori” di Aiello? Giorgio Rioloesperto di tecnologie di ultimissima generazione, che nei Ros si occupava di microspie, telecamere e intercettazioni. Giuseppe Ciuro, nientemeno che il braccio destro del procuratore Antonio Ingroiagià balzato agli onori della cronaca per le indagini sul patrimonio di Silvio Berlusconi e sul senatore di Forza Italia Marcello Dell’UtriNel 2001 Ciuro era stato sottoposto perfino alla scorta dei Carabinieri, per avere ricevuto minacce nell’ambito dell’indagine Dell’Utri. Ciuro, da agente della Dia, scrive inoltre un rapporto su Berlusconi e Dell’Utri che sarà inserito nel libro “L’odore dei soldi” di Elio Veltri e Marco Travaglio (2001).
Michele Aiello viene informato dell’avvio dell’indagine da una terza “talpa”: Antonio Borzacchelli, ex maresciallo dei carabinieri, eletto deputato regionale nel 2001 nelle file dell’Udc. Per evitare di essere intercettati, Ciuro, Riolo ed Aiello escogitano uno stratagemma. Si tratta di una speciale “rete riservata” di telefoni cellulari (e schede SIM) per neutralizzare le intercettazioni nei loro confronti. Sono cellulari, acquistati sotto altri nomi, che costituiscono una sorta di “circuito chiuso”. Ogni cellulare di questi, infatti, non dovrà chiamare altre utenze, né fisse né mobili, ma potrà contattare soltanto gli altri cellulare della “rete riservata”. Queste utenze saranno usate, oltre da Aiello, Ciuro e Riolo, soltanto dai più stretti collaboratori del manager: il dottore Aldo Carcione, il ragioniere D’Amico, il geometra Rotondo e la sua segretaria personale, Paola Mesi. Usando questo sistema, in teoria, è impossibile essere intercettati. Ma gli investigatori riescono lo stesso ad ascoltare le loro conversazioni. Tutta colpa di un’imprudenza della moglie di Ciuro, che alle 11.00 del 30 agosto 2003 chiama il marito con il telefono “riservato”:

  • CIURO: ma da dove stai chiamando?… 
  • MOGLIE DI CIURO : ah dal cellulare quello…
  • CIURO: da quale ?… NO DA QUELLO FRANCAAA!! (grida… ndr)
  • MOGLIE DI CIURO: ma scusamii… e che ne so non l´avevo capito…
  • CIURO: E PORCA MISERIA eh!…(continua a gridare e attacca il telefono…ndr)

Grazie a questo colpo di fortuna, dalla Procura potranno ascoltare le conversazioni effettuate dalla “rete riservata” da Aiello, Ciuro e Riolo fino al loro arresto, il 5 novembre 2003.
La confessione di Riolo. Giorgio Riolo, in sede di interrogatorio, ammette gran parte dei fatti contestati.  Ecco la sua confessione:  «Le mie resistenze nel confessare tutto non dipendono dal tentativo di nascondere le mie responsabilità ma solamente dalla vergogna che provo per il mio inqualificabile comportamento. Mi sento una persona inqualificabile, che si è lasciata attrarre da un mondo fatto di giochi di potere, denaro e malaffare che non mi appartiene. Ho stupidamente creduto di poter fare il mio lavoro di sempre e contemporaneamente di poter usare le mie conoscenze per millantare ed ottenere favori da personaggi bene in vista». I riscontri dei carabinieri parlano di grosse somme di denaro che l’imprenditore corrispondeva a Riolo di tanto in tanto. Poi una villa a Piana degli Albanesi praticamente regalata al maresciallo. E ancora un’automobile. «Un giorno rimasi a piedi con la mia macchina, una Brava – ha raccontato Riolo – chiesi ad Aiello se i suoi meccanici potevano farmi la cortesia di darci una controllata. Lui mi disse: “Non ti preoccupare, anche se adesso non hai i soldi”. E mi mandò alla concessionaria». Il maresciallo lì scelse una Chrysler, prezzo 25 milioni di lire. Montò sull’autovettura e partì. Al titolare della concessionaria disse che per i soldi sarebbe venuto Michele Aiello.
Michele Aiello è stato per anni il primo contribuente della Sicilia. Al suo arresto, gli vennero sequestrati beni per 250 milioni di euro: : la clinica Villa Santa Teresa, otto imprese edili, sei legate al settore della sanità, due stabilimenti industriali, 147 conti bancari, le quote della squadra di calcio di Bagheria, un impianto di calcestruzzi, quattro edifici utilizzati come uffici dirigenziali, 14 appartamenti a Bagheria, 3 ville al mare, 22 magazzini, 22 appezzamenti di terreno edificabili, 28 autovetture, 21 veicoli industriali e una barca. Il 14 agosto 2010 i carabinieri del comando provinciale gli notificano un provvedimento di confisca dei beni del valore di 800 milioni di euro. Il provvedimento riguarda il polo oncologico di eccellenza “Villa Santa Teresa”, a Bagheria (Pa); otto imprese edili: la Costruzioni srl, la Edilcontrol srl, la Ati (Alte tecnologie ingegneristiche) group srl, la Selda srl, l´Emar srl, la Edil costruzioni srl, la Tuttedil srl e la Edil maf snc di Aiello Francesca & C. Confiscate inoltre sei imprese del settore sanitario – la Radiosystems protection srl; la Villa Santa Teresa – diagnostica per immagini e radioterapia srl; l´Italsystems srl; il Centro di medicina nucleare S. Gaetano srl; l´Atm (Alte tecnologie medicali) srl e Villa Santa Teresa group spa; la società che gestisce la squadra di calcio di Bagheria (Pa); la “Servizi & Sistemi srl”, operante nel settore informatico; due stabilimenti industriali di circa 6.000 metri quadrati; un impianto di calcestruzzi; quattro edifici adibiti a uffici; 14 appartamenti a Bagheria e tre ville ad Aspra, Santa Flavia e Ficarazzi.  WIKIMAFIA


 

 

Cosi il boss scopri’ la “cimice”, “Talpe”, chiesti 8 anni per Cuffaro.