13 giugno 1992  Ore 17 Cossiga

 


Agnese Borsellino
non ricorda bene cosa accadde quel pomeriggio di sabato e quando, anni dopo durante il processo Borsellino Ter, le viene chiesto di commentare l’appunto con il nome di Cossiga, ritrovato sull’agenda grigia, si limita a formulare un´ipotesi: “Quel giorno mio marito si doveva incontrare con il presidente della Repubblica Cossiga. Forse era incerto, non sapeva se si sarebbe incontrato o meno, allora l´ha messo tra parentesi.” 
Francesco Cossiga invece quell´incontro se lo ricorda bene. Lui, che da sole tre settimane aveva smesso i panni di capo dello stato, quel pomeriggio é a Palermo per visitare, in forma strettamente privata, la tomba di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, nel cimitero di Sant´Orsola. Cossiga, accompagnato dal prefetto Mario Jovine, depone prima un mazzo di fiori sulla tomba dei due magistrati, quindi su quella dell´agente Vito Schifani. Qui si inginocchia a pregare accanto alla vedova del poliziotto ucciso, Rosaria Costa, che ad un certo punto gli dice: “Presidente preghi forte, voglio sentir cosa dice…” poi, insieme, ad alta voce, recitano il De Profundis, un Pater ed un´Ave Maria.
Cossiga si reca poi in visita a casa dei parenti di Falcone, dove lo attendono anche quelli di Francesca Morvillo. Prima di lasciare Palermo, per rientrare a Roma, l´ex presidente della Repubblica si trattiene per trenta minuti a Villa Paino, che e´ la sede della prefettura, ma anche la residenza del governo a Palermo.
Li´alle 17, incontra Borsellino. I due si stringono la mano, si accomodano su un divanetto, scambiano alcune considerazioni sull´attacco stragista che ha colpito il paese. E soprattutto, sull´antimafia dopo Falcone.
“Glielo dissi chiaro e tondo – ricostruisce oggi Cossiga – e´ inutile che si agiti: lei é il successore e l´erede di Falcone. Lei e nessun altro.” Borsellino, tornando a casa, segna l´appuntamento sull´agenda.

Fonte 19luglio1992.com

 


13 GIUGNO 1992 – PAOLO BORSELLINO INCONTRA A PALERMO L‟EX-PRESIDENTE FRANCESCO COSSIGA

che lo invita a candidarsi alla guida della Superprocura. “Glielo dissi chiaro e tondo – ricostruisce oggi Cossiga – è inutile che si agiti: lei è il successore e l’erede di Falcone. Lei e nessun altro”.
Ci sapeva fare con i mafiosi pentiti Paolo Borsellino, così come Giovanni Falcone è tanti colleghi col vero senso della giustizia. Alcuni sostengono che una delle cause del delitto sia stata proprio l’essere vicino a scoprire i mandanti e gli esecutori della strage di Capaci.
Voleva continuare a difendere Giovanni Falcone come aveva fatto quando l’amico era vivo.
In ogni caso, Paolo Borsellino aveva certamente il senso di andare incontro alla sua morte. Avrebbe potuto cambiare strada, ne avrebbe avuto motivo più che in passato. Rimase per fedeltà a un’amicizia.
Il 23 giugno del 1992, a Palermo, nella monumentale basilica di san Domenico, Borsellino tenne uno splendido discorso in memoria dell’amico Falcone, le sue parole, rievocate oggi, hanno ancora un timbro umano inconfondibile. Parlando di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ci parlava di se stesso: Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto d’amore verso la sua città, verso la terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore la patria cui apparteniamo –
Da l’agenda rossa di Paolo Borsellino.  


58 giorni. Cossiga va da Borsellino: “Sei tu l’erede di Falcone”

13 giugno 1992. Cossiga incontra Borsellino. L’ex presidente della Repubblica giunge a Palermo per rendere omaggio alle vittime della strage di Capaci. Accompagnato dal prefetto Mario Jovine, Cossiga mostra il suo cordoglio ai parenti delle vittime e prega, inginocchiato, assieme alla moglie di Vito Schifani, Rosaria. «Presidente, preghi forte: voglio sentire cosa dice». È Rosaria a chiederlo a Cossiga, e insieme recitano il De Profundis, un Pater e un’Ave.

Nel pomeriggio incontra Paolo Borsellino. Sarà lo stesso Cossiga a ricordarlo: «Glielo dissi chiaro e tondo, è inutile che si agiti: lei è il successore e l’erede di Falcone Lei e nessun altro». Sul Corriere della Sera, il ministro Martelli polemizza con i magistrati, che definisce “professionisti dell’Associazionismo”. Mentre il Psi critica la linea politica di Bettino Craxi, iniziando a voltargli le spalle, i giornali riportano la celebrazione che il Wall Street Journal fanno di Antonio Di Pietro.

Il Sole 24 Ore, invece, nell’articolo dal titolo “Affari di droga tra mafia e Pcus. Falcone indagava con i russi”, riporta le parole di Teldman Gdlian, ex giudice della Procura generale dell’Urss, che sostiene che il Cremlino ricavava miliardi di lire vendendo in Italia la droga delle repubbliche asiatiche dell’Urss in accordo con la mafia siciliana. Insomma, il viaggio di Falcone a Mosca, dice, non stava bene né alla mafia italiana né a quella russa.

14 giugno 1992. Il governo fatica a vedere la luce, ma i mercati iniziano a “innervosirsi”. Il Giornale: ”Traballa anche la lira”. Scrive l’editorialista Giancarlo Mazzuca: «Un superministro per l’economia? Ciampi al governo? Non c’è più tempo, ormai, per i soliti dibattiti: bisogna agire. A cominciare dalle privatizzazioni appena decollate che, anche dal punto di vista psicologico, possono rappresentare il sospirato segnale di svolta». Tutti i quotidiani riportano i risultati di un’indagine sulla criminalità: metà degli italiani vuole la pena di morte contro i boss mafiosi, e nove cittadini su dieci pensano che la mafia sia la più grave delle minacce per il paese.

Il clima è questo. E la politica è debolissima, spaventata dalle inchieste milanesi, in continua lite con la magistratura e senza leadership nei partiti.