6 settembre 1994  SCARANTINO, interrogato da Ilda Boccassini, Carmelo Petralia e Anna Maria Palma

dichiara che nella  riunione presso la villa di tale Giuseppe Calascibetta, Riina avrebbe deciso l’omicidio di Borsellino. Sarebbero stati presenti  Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera. Avviene la svolta clamorosa nelle dichiarazioni dello Scarantino, il quale, riempiendo il vuoto lasciato con l’indicazione di alcuni partecipanti alla riunione di cui asseritamente non ricordava il nome, indica con assoluta certezza quali partecipanti a detta riunione i collaboratori di giustizia Di Matteo Mario Santo, Cancemi Salvatore e, anche se in termini non del tutto certi, Gioacchino La Barbera nonché il noto Raffaele Ganci, esponente di spicco della organizzazione mafiosa cosa nostra, ed un fantomatico “zu Di Maggio“, ignoto alle cronache giudiziarie e descritto come una persona anziana e di circa 60 anni, robusto di corporatura, molto stempiato e con i residui capelli brizzolati tendenti al bianco e piuttosto mossi. Con riferimento al Di Matteo Mario Santo conferma di avere in realtà parlato anche ad Andriotta di un tale “Matteo“ o “Di Mattia“, presente anche al caricamento dell’autobomba e precisa che il Di Matteo veniva chiamato con l’appellativo “Santineddu”, che aveva gli occhi chiari e capelli ricci di colore scuro, lo stesso, al termine della famosa riunione, uscendo, lo aveva salutato con una confidenziale pacca sulle spalle e che sempre il Di Matteo era uno specialista in bombe. In ordine al Cancemi lo Scarantino ha precisato di averlo incontrato diverse volte, asserendo che il Cancemi all’epoca della riunione portava dei baffetti. Con riferimento al La Barbera ha precisato di averlo visto più volte alla Guadagna, che lo stesso conosceva l’Aglieri e che veniva chiamato “Gioacchino” sia dall’Aglieri che da Carlo Greco. Lo Scarantino ha giustificato questa sua evidente reticenza asserendo che non aveva fatto il nome dei tre collaboratori di giustizia sopra indicati per paura di non essere creduto dato che gli stessi, evidentemente, pur avendo confessato le loro responsabilità in ordine alla esecuzione della strage di Capaci non avevano parlato dell’esecuzione della strage di via D’Amelio, mentre ha asserito di non avere in precedenza indicato il Ganci per paura delle ritorsioni di quest’ultimo da più parti indicatogli come persona temibile e sanguinaria, precisando di non avere temuto la vendetta di altre persone apparentemente altrettanto temibili come Aglieri, Greco, Graviano e Riina per il fatto di potere contare sulla protezione derivantegli dall’appartenenza al nucleo familiare di un uomo d’onore potente e vicino alle persone sopra indicate come suo cognato Profeta Salvatore. Anche l’esito dei riconoscimenti fotografici proposti allo Scarantino nel contesto del suddetto interrogatorio appare a dir poco inquietante poiché, fra l’altro lo Scarantino indica il La Barbera quando gli viene mostrata la foto di Di Matteo, non riconosce Di Matteo Mario Santo in una ulteriore foto e non riconosce in foto neppure Brusca Giovanni, circostanza questa che alla luce di quanto lo Scarantino dirà nei successivi interrogatori appare estremamente sospetta, mentre riconosce (finalmente, dopo ben tre riconoscimenti negativi) la foto di Raffaele Ganci, asserendo di avere sbagliato i riconoscimenti precedenti di proposito per la paura che provava nei confronti del Ganci, ma non fornendo alcuna spiegazione circa il mancato riconoscimento, nel corso dei precedenti interrogatori, della foto di Ciccio Ganci che a suo dire gli aveva presentato Raffaele Ganci. (Da Sentenza “Borsellino Bis”)