Poche pagine con appunti scritti di pugno dal Consigliere istruttore, su di una agenda della Banca sicula di Trapani rinvenute tra le carte del giudice e consegnate dalla famiglia all’allora procuratore della Repubblica di Caltanissetta: questo è il cd. “diario” di Rocco Chinnici.
Vi si possono ritrovare appunti presi in modo disordinato: a volte specificando date e orari altre volte brevi note sporadiche o lunghi “sfoghi” giornalieri, senza mai seguire l’ordine cronologico del calendario.
Il manoscritto (la cui trascrizione è pubblicata nel resoconto stenografico della seduta del 28 settembre 1983 della Commissione parlamentare sul fenomeno della mafia, qui disponibile) appare come il tentativo di lasciare su carta pensieri, appunti, considerazioni in merito alle situazioni che viveva, o alle sensazioni provate rispetto a circostanze vissute in un periodo complicato della vita professionale e per le quali avesse bisogno di fissare, nero su bianco, una propria, diretta, testimonianza.
Le minacce di morte si facevano incalzanti, consigliò anche a Falcone di fare lo stesso…scrisse 32 pagine di suo pugno, fino ad un mese dalla strage.
Dopo la morte di Chinnici, in audizione avanti alla prima commissione del Consiglio il 6 settembre 1983 sul punto Giovanni Falcone commenterà: “Il collega Chinnici prendeva appunti su tutti gli episodi che gli apparivano inconsuenti e questo perché temeva che le persone che potessero volere la sua morte avrebbero potuto annidarsi anche all’interno del palazzo di giustizia. Egli mi sollecitava a fare altrettanto, dicendomi che in caso di una mia morte violenta gli appunti avrebbero potuto costituire una traccia per risalire agli assassini…”
La procura di Caltanissetta trasmetterà il “diario” al Consiglio Superiore (salvo alcune pagine che “tratterrà” sotto il vincolo del segreto istruttorio) vista anche la richiesta formulata da alcuni magistrati palermitani che – in seguito alla fuga di notizie ed alla pubblicazione su alcuni giornali dell’epoca di ampi stralci degli appunti – si erano visti nominativamente indicati dagli organi di stampa con conseguente imbarazzo e preoccupazione nelle Istituzioni e negli uffici giudiziari coinvolti.
Nelle pagine, delle quali si riporta qualche stralcio, può leggersi della situazione degli uffici giudiziari di Palermo delle relazioni tra alti magistrati ed i vertici del sistema politico, della “prudenza” degli stessi magistrati di fronte ad alcune indagini e, sullo sfondo, dell’inquinamento politico mafioso del sistema degli appalti nella Regione.
Gli appunti del 10 dicembre 1981 e 18 maggio 1982, che riportano alcune conversazioni con l’allora Procuratore generale Giovanni Pizzillo, l’ultima delle quali particolarmente accesa, sono emblematici nel testimoniare la situazione della magistratura palermitana in generale e dell’isolamento di Chinnici e dell’ufficio da lui diretto:
“10 dicembre 1981 – ore 12.30
Mi telefona Pizzillo, ha letto della mia relazione su «Mafia oggi» a Monreale organizzata dall’Arci di Monreale di ieri sera. Mi consiglia prudenza essendo io troppo esposto. Aggiunge di aver raccolto voci secondo le quali io mi appresti ad entrare nel PCI per seguire l’esempio di Rizzo. Insiste perché io non intervenga più in convegni, come quello di Messina nel mese di ottobre di quest’anno su «Mafia e potere». Il tono è molto cordiale. Si dimostra alquanto preoccupato per il fatto che io sono «troppo esposto». Qualche giorno fa mi aveva per la terza volta chiesto di sollecitare Barrile ed archiviare gli atti relativi contro i Salvo (e però non ha mai pronunziato il cognome Salvo).”
E il 18 maggio 1982:
“Vado da Pizzillo per chiedere di applicare un pretore in sostituzione a La Commare dal momento che il Consiglio Superiore della magistratura ha deciso che la competenza è del presidente della Corte. Mi investe in malo modo dicendomi che all’ufficio istruzione stiamo rovinando l’economia palermitana disponendo indagini ed accertamenti a mezzo della Guardia di finanza. Mi dice chiaramente che devo caricare di processi semplici Falcone in maniera che «cerchi di scoprire nulla perché i giudici istruttori non hanno mai scoperto nulla». Osservo che ciò non è esatto in quanto sono stati proprio i giudici istruttori di Palermo che hanno – inconfutabilmente- scoperto i canali della droga tra Palermo e gli USA e tanti altri fatti di notevole gravità. Cerca di dominare la sua ira ma non ci riesce. Mi dice che verrà ad ispezionare l’ufficio (ed io lo invito a farlo); è indignato perché ancora Barrile non ha archiviato la sporca faccenda dei contributi (miliardi per la elettrificazione delle loro aziende agricole); l’uomo che a Palermo non ha mai fatto nulla per colpire la mafia che anzi con i suoi rapporti con i grossi mafiosi l’ha incrementata, Pizzillo con il complice Scozzari ha « insabbiato » tutti i processi nei quali è implicata la mafia, non sa più nascondere le sue reazioni e il suo vero volto. Mi dice che la dobbiamo finire, che non dobbiamo più disporre accertamenti nelle banche.”
Altro personaggio ripetutamente citato negli appunti è Francesco Scozzari, Sostituto procuratore della Procura della Repubblica di Palermo. Chinnici, nell’audizione del 25 febbraio 1982, ne aveva sottolineato alcune criticità, soprattutto in relazione al processo per la strage di viale Lazio nonchè le “voci” che circolavano sul conto del sotituto procuratore negli uffici giudiziari palermitani:
“15 dicembre 1981.
Ciccio Scozzari è l’essere più immondo che esista, vigliacco,servo dei mafiosi (il suo comportamento al processo di viale Lazio ne è la riprova). Per invidia o per imposizione della mafia mi ha combattuto da quando sono a Palermo….”
Giovanni Falcone nell’audizione del 6 settembre 1983, sul punto commenterà: “Sul dott. Scozzari il collega Chinnici esprimeva giudizi molto pesanti, non adoperando però parole oltraggiose, perchè questo non era nel suo stile. Non mi ha mai racccontato fatti specifici, tranne che il padre del dott. Scozzari, che faceva l’avvocato a Misilmeri, paese dove lui stesso era nato, era in odore di mafia […] Su Scozzari posso dire che la fama di essere legato ad ambienti poco chiari è diffusa a Palermo e risale al processo di Viale Lazio, quando ebbe a chiedere l’insufficienza di prove per gli imputati in qualità di P.M; personalmente non ho elementi per dare un giudizio su di lui, perchè non è mai stato pubblico ministero in processi da me curati, nè mi ha mai raccomandato qualche causa. […] Tuttavia alcuni elementi sul collega Scozzari risultano da un processo che recentemente mi è stato affidato in istruttoria formale. I colleghi della Procura che avevano istruito il processo in sommaria […] mi hanno informato che vi erano delle intercettazioni telefoniche che riguardavano anche il collega Scozzari; hanno aggiunto che poichè erano ininfluenti ai fini del processo in corso, si erano limitati ad avvertire il procuratore Generale.”
Ed ancora:
“30 settembre 1979.
[…]Circola insistente la voce che i mandati di cattura nel processo di Falcone li ho fatti emettere io. L’avvocato Campo mi dice testualmente: «Come, dopo che a seguito del processo dei 114 c’era stato promesso che non si sarebbero fatti più processi per associazione a delinquere, si ritorna di nuovo alle associazioni » ? Se mi succederà qualche cosa di grave i responsabili sono due: 1) il grande vigliacco Ciccio Scozzari; 2) l’avvocato Paolo Seminara.”
Insieme a Scozzari e Pizzillo si fanno poi anche i nomi di Ugo Viola e Vincenzo Pajno
“15 maggio 1982. – Ore 11,30.
Viene a trovarmi Giovanni Falcone. Mi riferisce di essere stato convocato da Viola, il quale mi richiede spiegazioni del perché alle notizie di stampa circa le telefonate intercorse tra familiari e parenti di Salvo (Nino) e « Roberto » (Buscetta ?) Falcone risponde che le telefonate sono state riportate nella sua sentenza. L’episodio è indicativo del rapporto di amicizia di Nino Salvo oltre che con Pizzillo, anche con Viola e Pajno. Quest’ultimo infatti l’altro ieri sempre nella forma gesuitica che gli è congeniale mi ha telefonato per dirmi che era andato a trovarlo Nino Salvo indignato per il fatto delle notizie riportate dalla stampa sulle telefonate di cui Viola parlò con Pizzillo. Ma perché Nino Salvo non viene all’ufficio istruzione ? Mi chiama Viola, mi chiede reiterando la richiesta del giorno prima la richiesta di prosciogliere l’ingegnere Tedesco imputato di gravi reati nel processo contro Maligno + 13 (scandalo del Belice). Faccio presente che l’ingegnere Tedesco è tra i più gravemente responsabili; ciò malgrado Viola insiste. Contrariamente al suo stile la richiesta è quasi perentoria. È ovvio che l’ingegnere Tedesco sarà rinviato a giudizio. Faccio una riflessione: Pizzillo è quello che è, stupido, prepotente, bifronte, notoriamente invadente; non c’è giudice civile o penale, non solo di Palermo presso il quale egli non sia intervenuto per raccomandare gente che gli sta a cuore. Certo, Viola non è Pizzillo ma… si avvicina pur se in maniera, quasi sempre elegante.”
Negli appunti si rinvengono anche riferimenti a Giovanni Falcone. Quest’ultimo come evidenziato, avrà poi modo di spiegare al CSM (audizione del 6 settembre 1983) quale fosse il rapporto di profonda amicizia rispetto e comprensione esistente tra lui ed il dott. Chinnici e quale fosse il clima, le difficoltà e le inquietudini in cui, soprattutto negli ultimi tempi era costretto a vivere e lavorare il Consigliere Istruttore.
“ 7 dicembre 1982
Ieri, domenica, verso le ore 20 è venuto a casa mia l’ingegnere Eduardo Romano. Sono a letto perché influenzato. Chiede di parlare con me, entra nella mia stanza terrorizzato. Davanti l’ingresso di casa mia si era incontrato con Nino Madonia, da me rinviato a giudizio in stato di arresto per le bombe di Capodanno. Mi riferisce che il Madonia dopo avergli insistentemente richiesto chi andava a cercare nello stabile (alla domanda l’ingegnere rispose che andava da un suo zio signor Romano) ad analoga domanda rispose che andava a trovare il suo amico che aveva l’abitazione nella scala B. L’ingegnere Romano ebbe la sensazione che non è niente vero perciò telefonò al maresciallo Trapassi, al dottor D’Antone. In serata, il Madonia non viene trovato. Oggi a casa nel primo pomeriggio mi portano un espresso. È diretto: giudice istruttore capo Rocco Chinnici, tribunale di Palermo, figura impostato e recapitato lo stesso giorno, il 6 dicembre 1982. La lettera è del seguente tenore «Non si muove foglia che Giovanni Falcone non voglia»; il no di non voglia è sottolineato due volte. È minaccia? Mi si vuol mettere contro anche Giovanni Falcone?”
Anche quella lettera sarà rinvenuta tra i suoi appunti. Il messaggio sembra precorrere la strategia utilizzata anni dopo dal cosiddetto “Corvo” di Palermo.
Il 22 giugno 1983 l’ultimo appunto:
“Giovanni Falcone è preoccupatissimo, alle ore 13 viene da me, mi dice che domani in elicottero andrà a Caltanissetta per incontrarsi con il sostituto Favi di Siracusa. Un detenuto ha fatto sapere a Favi che si prepara un attentato contro Falcone, ad organizzarlo sarebbero gli industriali e le cosche catanesi. Il cavaliere del lavoro Rendo, secondo il detenuto, viene informato dall’alto commissario De Francesco di tutta l’attività di Falcone. Incredibile. Forse Falcone negherà di avermi fatto simili confidenze. Ma me le ha fatte !”
L’attentato, come noto, un mese dopo avrà un altro destinatario.
In seguito alla divulgazione di parte degli appunti ad opera di alcuni organi di stampa, e della richiesta di accertamenti sollecitati dai magistrati maggiormente coinvolti dagli appunti (Ugo Viola, Vincenzo Pajno, Francesco Scozzari), il Consiglio Superiore della Magistratura venne convocato in seduta plenaria, alla presenza del Ministro della Giustizia Mino Martinazzoli, l’8 settembre 1983.
Nella seduta, in seguito alla lettura degli appunti, venne illustrata l’attenta e approfondita attività istruttoria svolta dalla prima Commissione nelle sedute di fine agosto ed inizio settembre, passando poi all’analisi ed al commento del contenuto del cd. “diario” del dott. Chinnici.
Il plenum decise di aprire una pratica di trasferimento d’ufficio ex art. 2 della legge sulle guarentigie della magistratura nei confronti del dott. Francesco Scozzari, ritenendo che gli appunti non contenessero elementi utili per provvedimenti di competenza del Consiglio nei confronti di altri magistrati.
Il dott. Francesco Scozzari presenterà poco dopo le proprie dimissioni dall’ordine giudiziario. Il Consiglio Superiore delibererà l’accettazione delle stesse il 23 dicembre 1983.