12.7.2016 – Dall’audizione di LUCIA BORSELLINO

AUDIZIONE 

È innegabile che io sia particolarmente emozionata, perché rien- trare nel ricordo di questi eventi, che in realtà per me costituiscono un pensiero ricorrente in ogni istante della mia vita, comporta nel momento in cui mi trovo a parlare della mia storia personale e di ciò che ci è accaduto che l’emozione mi assale e spesso ho preferito, anche per la mia inclinazione caratteriale, non presenziare a eventi pubblici in ricordo della strage di via D’Amelio. Riesco, invece, a sostenere mag- giormente la situazione quando in occa- sione di altri anniversari mi sono trovata a onorare la memoria e il ricordo di molti colleghi che ho visto cadere, in quanto, oltre che colleghi, anche amici di mio padre e della mia famiglia, oltre che collabora- tori, poliziotti e carabinieri che lo hanno assistito fino all’ultimo momento della sua vita terrena. Io ho cercato nell’ambito della mia vita professionale e personale di cu- stodire e onorare questo patrimonio di valori morali del quale mi sono nutrita. Non vi nascondo, tuttavia, che decidere di rimanere a lavorare nella mia regione pur- troppo ha rivelato ciò che temevo, ovvero che il fatto di essere figli di persone che sono state identificate come eroi nazionali loro malgrado, pur essendo persone asso- lutamente normali e svolgendo un lavoro assolutamente normale, per me e per i miei fratelli – parlo naturalmente per ciò che abbiamo vissuto più direttamente – ha costituito una prova, forse la più alta che abbiamo dovuto sostenere. Noi in qualche modo eravamo preparati a ciò che pur- troppo sarebbe accaduto, in quanto soprat-
tutto negli ultimi giorni della vita di mio padre era evidente a tutti – ma evidente- mente cercavamo di rimuoverlo dalla no- stra mente – che mio padre corresse un pericolo assolutamente tangibile e preven- tivabile. Alla luce di ciò che è accaduto dopo è facile pensare che non si sia fatto tutto il possibile, perché questa tragedia si evitasse. Noi lo gridiamo a gran voce da anni, perché sono note a tutti le molte istanze di mio padre che non riteneva che la scorta fosse il metodo più sicuro per poter tutelare la propria incolumità, anche perché si metteva a rischio quella di ra- gazzi che avevano la mia età, perché Ema- nuela Loi aveva la mia età, ma nonostante tutto mio padre invocò l’aiuto dello Stato perché venissero rafforzate le misure di protezione, in particolare per quanto ri- guarda i siti dove più spesso si recava, come quello dell’abitazione della madre. A parte questo episodio che racconto per far com- prendere la nostra consapevolezza non solo di quei giorni, ma di quegli anni, mio padre ebbe la scorta in occasione dell’uccisione del capitano Basile e quindi nei primi anni ’80, per cui tutta la mia infanzia e quella dei miei fratelli è stata vissuta con la co- stante presenza di persone che hanno fatto questo lavoro con onestà, con amore, con dedizione e con trasporto umano assoluta- mente ricambiato, per cui posso dire di aver avuto una famiglia allargata da questo punto di vista. Per quanto avessi profuso impegno nel conseguimento di un titolo di studio a cui aspiravo e nell’aver accettato, in forza di una legge dello Stato, di entrare a far parte di una pubblica amministra- zione, non immaginavo né ero pronta a ciò che dopo sarebbe accaduto, ovvero al fatto che qualunque cosa avessi fatto che fosse dipesa dal mio impegno certamente non sarebbe stata ascritta solo al mio impegno come professionista, ma sarebbe stata pur- troppo spesso oggetto di strumentalizza- zioni per il semplice fatto di essere la figlia di Paolo Borsellino. Questa è stata la sfida più grande con la quale mi sono dovuta misurare. Tutto questo mi ha creato non poche difficoltà anche nella vita personale, ma ho cercato di rispondere a tutte le chiamate di servizio che mi sono arrivate,