VIA D’AMELIO e i Servizi…

13 agosto 1992 Appunto RISERVATO SERVIZIO SEGRETO SISDE


La presenza del SISDE in via D’AMELIO

La presenza del SISDE in via D’Amelio. Torniamo in via D’Amelio, nei minuti immediatamente successivi alla strage. Il primo dettaglio anomalo, come anticipavamo, è l’immediata presenza di uomini del SISDE sul luogo dell’esplosione.

Riferisce alla Commissione Pietro Grasso:

GRASSO. “…le incongruenze determinate dalla presenza accertata in via D’Amelio, nell’immediatezza della strage, di appartenenti a Servizi di sicurezza intenti a cercare la borsa del magistrato attorno all’auto. Sono le testimonianze del sovrintendente Maggi e di un vice sovrintendente, Giuseppe Garofalo, che danno l’idea di questo attivismo di persone tutte vestite allo stesso modo che avevano già visto presso gli uffici di La Barbera, nel corso delle indagini di Capaci e che si aggiravano lì…”. Un contesto peraltro puntualmente ricostruito nella sentenza del Borsellino quater (pag.783 e ss.): “(…) è innegabile che vi sono delle oggettive incongruenze nello sviluppo delle primissime indagini per questi fatti e che rimangano diverse zone d’ombra. (…) Tutt’altro che rassicuranti, ad esempio sono le emergenze istruttorie relative alla presenza, in via D’Amelio, nell’immediatezza della strage, di appartenenti ai servizi di sicurezza, intenti a ricercare la borsa del Magistrato. Infatti, uno dei primissimi poliziotti che arrivava in via D’Amelio, dopo la deflagrazione delle ore 16:58 del 19 luglio 1992, era il Sovrintendente Francesco Paolo Maggi, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo. (…) Il Sovrintendente Maggi, dunque, confidando di poter trovare qualche altra persona ancora in vita, si faceva strada fra i rottami, (…) notava quattro o cinque persone, vestite tutte uguali, in giacca e cravatta, che si aggiravano nello scenario della strage, anche nei pressi della predetta blindata: “uscii da… da ‘sta nebbia che… e subito vedevo che arrivavano tutti ‘sti… tutti chissi giacca e cravatta, tutti cu’ ‘u stesso abito, una cosa meravigliosa”, “proprio senza una goccia di sudore”. Si trattava di “gente di Roma”, appartenente ai Servizi Segreti; infatti, alcuni erano conosciuti di vista (anche se non davano alcuna confidenza) ed, inoltre, venivano notati a Palermo, presso gli uffici del Dirigente della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera, anche in occasione delle indagini sulla strage di Capaci. La circostanza (mai riferita prima dal teste, nonostante le sue diverse audizioni) veniva confermata da un altro appartenente alla Polizia di Stato, vale a dire il Vice Sovrintendente Giuseppe Garofalo in servizio alla Sezione Volanti della Questura di Palermo che arrivava sul posto ad appena cinque minuti dalla deflagrazione. Il poliziotto notava, nei pressi della Croma blindata di Paolo Borsellino, un uomo in borghese, con indosso la giacca (nonostante il torrido clima estivo) e pochi capelli in testa. Alla richiesta di chiarimenti sulla sua presenza lì, l’uomo si qualificava come appartenente ai “Servizi”, mostrando anche un tesserino di riconoscimento. “…non riesco a ricordare se questo soggetto mi chiede della valigia, della borsetta del dottore o se lui era in possesso della valigia. Con questa persona, alla quale io chiedo, evidentemente, il motivo perché si trovava su quel luogo. Questo soggetto mi dice di appartenere ai Servizi”. Ricorda in Commissione, su questo punto, il giornalista Salvo Palazzolo:

PALAZZOLO. “Nel contesto delle stragi ci sono altre presenze. A 50 metri dal cratere di Capaci un agente del Centro Sisde di Palermo perde un bigliettino… Viene ritrovato questo bigliettino che dà atto di un guasto a un telefono, una utenza di un cellulare 337, che è riconducibile al vicecapocentro (del SISDE) Lorenzo Narracci. E fa riferimento a un guasto ‘numero due’ che, nel codice dei telefonini dell’epoca, è riferito a una possibilità che il telefonino sia clonato. Questa è una storia piena di coincidenze. Perché clonato era anche il telefonino di uno degli attentatori della strage. E sicuramente è una coincidenza, una strana coincidenza, che quel bigliettino sia caduto lì e che faccia riferimento a Narracci che poi è personaggio molto vicino a Contrada. Soltanto cinque anni dopo l’agente Festa (che aveva materialmente ricevuto in consegna quel telefonino ndr.) si presenta alla magistratura per dire ‘non sono venuto prima perché avevo timore di polemiche però voglio riferivi che avevo ricevuto questo telefonino da un altro collega che mi aveva detto: tu hai tuo suocero che lavora alla SIP, il telefonino del vicecapocentro del SISDE non funziona, vedi se puoi darlo a tuo suocero per farlo riparare…’. Sembra alquanto inverosimile che un telefonino così delicato del vicecapocentro del SISDE, in caso di guasto, non sia stato affidato a una agenzia specializzata, quindi con procedure specializzate, ma venga affidato al suocero di un collega”. “Un’altra coincidenza molto strana è quella relativa alla presenza, il pomeriggio della strage, su una barca a largo di Mondello, di Bruno Contrada, di un imprenditore del settore degli abiti da sposa e di Narracci. Cosa accade? Un minuto dopo la strage risultano dei contatti telefonici sui telefonini delle persone che stanno in barca. Questo imprenditore sostiene che fu la figlia a dargli la notizia un minuto dopo la strage che c’era stato l’attentato a Borsellino. I magistrati si sono interrogati come avesse fatto questa ragazza un minuto dopo a sapere che l’attentato era ai danni del Borsellino… Questo imprenditore del settore degli abiti da sposa rilevano le indagini, aveva avuto contatti con personaggi legati alla famiglia mafiosa dei Ganci”. È di quei primi concitati momenti la sparizione dell’agenda rossa del giudice Borsellino. Così la ricostruisce il pm Gozzo:

GOZZO. “Io sono alla procura di Palermo dal 1992 e quindi molti di questi soggetti li conoscevo. Ad esempio il capitano Arcangioli. Ho visto che ha preso la borsa dalla macchina, o qualcuno gliel’ha consegnata, e lui l’ha portata impettito lontano dalla macchina, praticamente fuori dalla zona transennata… Ha riportato, poi, di nuovo, la borsa nella macchina in fiamme e l’ha rilasciata dentro. Io gliel’ho chiesto: ‘E’ normale, secondo lei, comportarsi in un modo del genere?’. La risposta che mi venne data dal capitano Arcangioli fu che era una cosa che si usava fare in Polizia e tra i Carabinieri, cioè si usava vedere se una cosa fosse utile, prenderla ed eventualmente poi rimetterla nello stesso posto. Io ho detto: ‘Guardi a me non è mai capitato di verificare una cosa di questo genere in tutta la mia carriera professionale…’”. “Il collega Ayala ha reso diverse versioni… non so quanto tutto questo appartenga al modo di essere di Ayala oppure evidentemente a una voglia in qualche modo di depistare le indagini. Saranno i colleghi di Caltanissetta a stabilirlo”. Singolare è anche la gestione dei reperti recuperati nella macchina del giudice Borsellino.  “…gestione assolutamente sui generis. Prima da parte della Squadra mobile e della Questura di Palermo, poi da parte della Procura di Caltanissetta. Perché parlo di Squadra mobile? Perché successivamente al riposizionamento della borsa all’interno dell’autovettura, fu poi un agente della Squadra mobile, tale Maggi, a prenderla e portarla nello studio di La Barbera. Ma La Barbera sostiene di essersi accorto di questo solo a cinque mesi dai fatti. Stiamo parlando da luglio a fine dicembre. Questa borsa sembra che abbia giaciuto là senza nessuna attenzione per tutti questi mesi. Dai colleghi (magistrati) a cui viene infine riportata la borsa viene fatta una repertazione di ciò che c’era all’interno della borsa. Una repertazione che però non comprende l’agenda marrone… Tra l’altro non esiste un verbale di restituzione di tutto questo, c’è semplicemente a margine di un verbale: ‘vengono restituiti alla signora Borsellino alcuni effetti personali appartenuti e ritrovati in via D’Amelio’. Punto”.  Fonte mafie blog autore repubblica 8.11.2020


SULLA STRAGE L’OSCURA PRESENZA DI «UOMINI APPARTENENTI AI SERVIZI»  

Tutt’altro che rassicuranti le emergenze istruttorie relative alla presenza, in via D’Amelio, nell’immediatezza della strage

  • Il ricordo di quell’uomo che cercava la borsa del magistrato  
  • I RICORDI DI GAROFALO
  • UNA STRANA DOMANDA
  • AMBIGUE PRESENZE SUL LUOGO DELLA STRAGE

e ancora:

  • Nel garage dove si prepara l’autobomba, una “presenza anomala e misteriosa”
  • IL FURTO DELL’AUTO  
  • LE DIRETTIVE DI GIUSEPPE GRAVIANO  
  • I PREPARATIVI DELLA STRAGE  
  • I RISCONTRI POSITIVI  
  • Menzogne e falsi pentiti, ecco Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino
  • ANCHE CANDURA AMMETTE DI AVER MENTITO 
  • I SOPRALLUOGHI IN VIA D’AMELIO  
  • Le menzogne di Andriotta per mettere Scarantino “con le spalle al muro”  
  • I NUOVI INTERROGATORI  
  • NEL “BORSELLINO UNO” ANDRIOTTA È RITENUTO CREDIBILE  
  • IL GIUDIZIO DEL “BORSELLINO BIS”  
  • La Corte d’Assise del secondo processo per questi fatti, così si esprimeva, sul punto:
  • La squadra di Arnaldo La Barbera e il falso collaboratore  
  • LA DECISIONE DI “COLLABORARE” CON GLI INQUIRENTI  
  • «SE VOGLIO IO, GLI FACCIO CADERE TUTTO IL PROCESSO» 
  • LE CONCLUSIONI DEI GIUDICI DEL BORSELLINO QUATER  
  • La riunione, l’incontro con Riina e l’auto da rubare, tutte menzogne  
  • L’INCARICO DATO DA SALVATORE PROFETA  
  • QUALCHE INQUIETANTE ELEMENTO DI VERITÀ  
  • La condanna di Gaetano Murana, che non c’entrava nulla con il massacro 
  • LE FALSE DICHIARAZIONI DI PULCI   
  • I servizi segreti e quell’irrituale richiesta del procuratore Tinebra  
  • LE NOTE DEL SISDE  
  • CONTRADA E TINEBRA  
  • Dichiarazioni preparate a tavolino e misteriosi suggeritori  
  • QUEGLI STRANI COLLOQUI INVESTIGATIVI  
  • I PENTITI E LE VERITÀ DA RACCONTARE  
  • I POLIZIOTTI DI LA BARBERA  
  • L’omertà degli uomini delle istituzioni e una verità ancora lontana 
  • ANOMALIE D’INDAGINE  
  • IL DEPISTAGGIO E LA SPARIZIONE DELL’AGENDA ROSSA 

 

 Tutt’altro che rassicuranti le emergenze istruttorie relative alla presenza, in via D’Amelio, nell’immediatezza della strage, di appartenenti ai servizi di sicurezza. Si scoprirà poi che il capo della Squadra Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, collaborava col Sisde sin dal 1986. Infine l’inspiegabile presenza di un individuo estraneo a Cosa Nostra, secondo quanto dichiarato da Gaspare Spatuzza, al momento della consegna della Fiat 126 da caricare con l’esplosivo  Se – da un lato – è assolutamente certo, alla luce degli approdi dei precedenti processi (sul punto, confermati dalle risultanze di questo), che la consumazione della strage del 19 luglio 1992 avveniva utilizzando, come autobomba, proprio la Fiat 126 rubata a Pietrina Valenti, è innegabile che vi sono delle oggettive incongruenze nello sviluppo delle primissime indagini per questi fatti e che rimangano diverse zone d’ombra sulla quali non si addiveniva a risposte soddisfacenti, nemmeno con la poderosa istruttoria espletata nel presente procedimento.

Tutt’altro che rassicuranti, ad esempio (come si vedrà, in maniera più approfondita, nella parte dedicata alla vicenda della scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino), sono le emergenze istruttorie relative alla presenza, in via D’Amelio, nell’immediatezza della strage, di appartenenti ai servizi di sicurezza, intenti a ricercare la borsa del Magistrato.

Infatti, uno dei primissimi poliziotti che arrivava in via D’Amelio, dopo la deflagrazione delle ore 16:58 del 19 luglio 1992, era il Sovrintendente Francesco Paolo Maggi, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo. Il poliziotto arrivava sul posto circa una decina di minuti dopo la deflagrazione, mentre Antonio Vullo, l’unico superstite fra gli appartenenti alla scorta di Paolo Borsellino, in evidente stato di shock emotivo e psicologico, era seduto sul marciapiede, con la testa fra le mani. Il Sovrintendente Maggi, dunque, confidando di poter trovare qualche altra persona ancora in vita, si faceva strada fra i rottami, entrando nella densa colonna di fumo che avvolgeva i relitti. Purtroppo, era subito evidente che non c’era più nulla da fare, né per il Magistrato, né per gli altri colleghi della scorta, poiché i loro corpi erano tutti carbonizzati ed orrendamente mutilati. In questo contesto, mentre le ambulanze prestavano i soccorsi ai feriti ed i Vigili del Fuoco spegnevano i focolai d’incendio, anche sulla Croma blindata del Magistrato, il poliziotto della Squadra Mobile notava quattro o cinque persone, vestite tutte uguali, in giacca e cravatta, che si aggiravano nello scenario della strage, anche nei pressi della predetta blindata: «uscii da… da ‘sta nebbia che… e subito vedevo che arrivavano tutti ‘sti… tutti chissi giacca e cravatta, tutti cu’ ‘u stesso abito, una cosa meravigliosa», «proprio senza una goccia di sudore».

Si trattava di “gente di Roma”, appartenente ai Servizi Segreti; infatti, alcuni erano conosciuti di vista (anche se non davano alcuna confidenza) ed, inoltre, venivano notati a Palermo, presso gli uffici del Dirigente della Squadra Mobile, Arnaldo La Barbera, anche in occasione delle indagini sulla strage di Capaci. La circostanza (mai riferita prima dal teste, nonostante le sue diverse audizioni) veniva confermata da un altro appartenente alla Polizia di Stato, vale a dire il Vice Sovrintendente Giuseppe Garofalo, in servizio alla Sezione Volanti della Questura di Palermo. Anche quest’ultimo, che arrivava sul posto ad appena cinque minuti dalla deflagrazione, dopo aver constatato che non c’era più nulla da fare per il Magistrato ed i colleghi della Polizia di Stato che gli facevano da scorta, aiutava i residenti nello stabile di via D’Amelio, soccorrendo forse anche la madre del Magistrato. Quando riscendeva in strada, il poliziotto notava, nei pressi della Croma blindata di Paolo Borsellino, un uomo in borghese, con indosso la giacca (nonostante il torrido clima estivo) e pochi capelli in testa. Alla richiesta di chiarimenti sulla sua presenza lì, l’uomo si qualificava come appartenente ai “Servizi”, mostrando anche un tesserino di riconoscimento: sebbene il ricordo del teste, sul punto specifico, non sia affatto nitido, vi era persino un veloce scambio di battute fra i due sulla borsa di Paolo Borsellino. Infatti, l’agente dei Servizi Segreti chiedeva se c’era la borsa del Magistrato dentro l’auto blindata, oppure (addirittura) si giustificava per il fatto che aveva detta borsa in mano: «Ho un contatto con una persona, ma questo contatto è immediato, velocissimo, dura pochissimo, perché evidentemente (…) il nostro intento era quello di mantenere le persone al di fuori (…) della zona e quindi non fare avvicinare a nessuno (…). E incontro (…) un soggetto, una persona, al quale… ecco, e questo è il momento, non riesco a ricordare se questo soggetto mi chiede (…) della valigia, della borsetta del dottore o se lui era in possesso della valigia. (…) Con questa persona, al quale io chiedo, evidentemente, il motivo perché si trovava su (…) quel luogo. Questo soggetto mi dice di essere… di appartenere ai Servizi».

[…] Proseguendo nella breve rassegna di alcune delle anomalie e zone d’ombra emerse attraverso le prove raccolte nel presente processo, si deve anche rilevare la singolare cronologia del sopralluogo eseguito dalla Polizia Scientifica di Palermo (“su richiesta della locale Squadra Mobile”), nella carrozzeria di Giuseppe Orofino alle ore 11 del lunedì 20 luglio 1992 […], perché quest’ultimo aveva denunciato, appena un paio d’ore prima, il furto delle targhe (ed altro) da una Fiat 126 di una sua cliente, all’interno della sua autofficina.

NOME IN CODICE “RUTILIUS”  Ebbene, quando la Polizia Scientifica eseguiva detti rilievi nell’officina di via Messina Marine, non erano stati ancora rinvenuti, in via D’Amelio, né la targa oggetto della denuncia di Orofino (la stessa, come detto, veniva ritrovata soltanto il 22 luglio 1992), né il blocco motore della Fiat 126 rubata a Pietrina Valenti (rinvenuto verso le 13.00/13.30 di quel 20 luglio 1992). Inoltre, come già esposto, era soltanto nel successivo pomeriggio del 20 luglio 1992, a seguito del menzionato intervento del tecnico Fiat di Termini Imerese, che detto blocco motore veniva attribuito ad una Fiat 126. Dette circostanze non sono affatto di poco momento, ove si rifletta sulla circostanza che, invece, già nel pomeriggio del 19 luglio 1992, fonti della Polizia di Stato ipotizzavano l’utilizzo, come autobomba, proprio di una Fiat di piccole dimensioni e, in particolare, «una 600, una Panda, una 126».

Detta ipotesi investigativa, rivelatasi fondata e coerente con i successivi rinvenimenti sullo scenario della strage, dei reperti dell’autobomba, non è spiegabile soltanto con l’efficienza e la solerzia profusa dagli inquirenti nel cercare di far immediatamente luce, con il massimo sforzo investigativo praticabile, su di un fatto gravissimo, che cagionava anche la scomparsa prematura dei cinque appartenenti alla Polizia di Stato, bensì necessariamente ipotizzando un apporto di tipo confidenziale da parte di taluno che (evidentemente) era ben informato sulle concrete modalità esecutive dell’attentato.

Diversamente, non si spiegherebbe, sul piano logico, il motivo per cui la Squadra Mobile di Palermo, diretta da Arnaldo La Barbera (già collaboratore del Sisde, con il nome in codice “Rutilius”, sin dal 1986), sollecitasse un intervento della Polizia Scientifica, per un immediato sopralluogo nell’officina di un carrozziere qualunque di Palermo, che aveva soltanto denunciato (appena un paio d’ore prima) il furto di alcune targhe da un’automobile di un sua cliente (targhe che, come detto, verranno rinvenute soltanto alcuni giorni dopo, in via D’Amelio), in un momento in cui nemmeno era rinvenuto il blocco motore (poi associato ad una Fiat 126).

L’aspetto appena menzionato si colora di tinte decisamente fosche, alla luce di quanto riferito da Gaspare Spatuzza (in maniera assolutamente attendibile, come si vedrà -diffusamente- nella parte della motivazione a ciò dedicata), sulla presenza di un terzo estraneo a Cosa nostra al momento della consegna della Fiat 126, alla vigilia della strage, nel garage di via Villasevaglios, prima del suo caricamento con l’esplosivo. Su detta persona, non conosciuta e mai più rivista, che non aveva proferito alcuna parola, durante la breve permanenza del collaboratore nel suddetto garage, sabato 18 luglio 1992, Gaspare Spatuzza si spingeva a qualche considerazione relativa all’estraneità al sodalizio mafioso di Cosa nostra e, persino, sull’eventuale appartenenza alle istituzioni: «Se fosse stata una persona che io conoscevo (…), sicuramente sarebbe rimasta qualche cosa (…) più incisiva; ma siccome c’è un’immagine così sfocata (…). Mi dispiace tantissimo e aggiungo di più, che fin quando non si sarà chiarito questo mistero, che per me è fondamentale, è un problema serio per tutto quello che riguarda la mia sicurezza (…). Io sono convinto che non sia una persona riconducibile a Cosa nostra perché (…) c’è questa anomalia di cui per me è inspiegabile”. “C’è un flash di una sembianza umana. (…) c’è questa immagina sfocata che io purtroppo… (…) c’è questo punto, questo mistero da chiarire”; “ho più ragione io a vedere questo soggetto in carcere, se appartiene alle istituzioni, che vedendolo domani fuori». Peraltro, quest’ultimo spunto del collaboratore di giustizia, sull’eventuale appartenenza alle istituzioni del terzo estraneo, presente alla consegna della Fiat 126, nel pomeriggio di sabato 18 luglio 1992, prima del caricamento dell’esplosivo, veniva approfondito dalla Procura, nella fase delle indagini preliminari di questo procedimento, sondando ulteriormente Gaspare Spatuzza, e anche sottoponendogli diversi album fotografici, con immagini di vari appartenenti al Sisde, senza approdare a risultati tangibili.

IL COINVOLGIMENTO DEL SISDE  […] Infine, si deve almeno accennare (prima di passare a trattare più diffusamente della scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino), ad alcune emergenze che dimostrano il coinvolgimento diretto del Sisde, al di fuori di qualsivoglia logica e regola processuale, nelle prime indagini sulla strage di via D’Amelio, orientate verso la falsa pista di Vincenzo Scarantino. Quest’ultima circostanza, neppure ricordata dal neo-Procuratore Capo di Caltanissetta (dell’epoca), Giovanni Tinebra, veniva invece confermata persino dal dirigente del Sisde, Bruno Contrada, il quale spiegava come detta richiesta della Procura nissena, veniva appunto assecondata, per l’insistenza del Capo Centro di Palermo, Andrea Ruggeri. Peraltro, già nell’ambito del precedente processo c.d. Borsellino bis, veniva accertato che il 10 ottobre 1992, veniva trasmessa alla Squadra Mobile di Caltanissetta, una nota (sul contenuto della quale riferiva il Dirigente della predetta Squadra Mobile, all’epoca delle stragi, dott. Mario Finocchiaro), elaborata proprio dal centro Sisde di Palermo, su specifica richiesta del Procuratore Giovanni Tinebra (sulla cui deposizione, innanzi a questa Corte, non vale più la pena d’indugiare). Quest’ultimo, dopo aver constatato che le forze di polizia nissene non avevano alcuna specifica conoscenza delle dinamiche interne alle famiglie mafiose palermitane, con un’iniziativa affatto singolare, sollecitava una più stretta collaborazione del Sisde nell’espletamento delle indagini per la strage di Via D’Amelio. I frutti avvelenati di detta improvvida iniziativa non tardavano a maturare, posto che nella predetta nota del 10 ottobre 1992, confezionata dal Sisde proprio nel periodo in cui era in atto il tentativo di far ‘collaborare’ Vincenzo Scarantino, utilizzando Vincenzo Pipino (costretto ad andare in cella con lui, dal dottor Arnaldo La Barbera), vi era una dettagliata radiografia con tutto ciò che, al tempo, risultava alle forze dell’ordine su Vincenzo Scarantino ed i suoi familiari, con i precedenti penali e giudiziari a carico degli stessi, nonché i rapporti di parentela ed affinità con esponenti delle famiglie mafiose palermitane. La tematica della genesi e della gestione della ‘collaborazione’ di Vincenzo Scarantino verrà ampiamente ripresa e trattata nella parte della motivazione dedicata alla sua posizione.  A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA12 luglio 2021 – Borsellino Quater


Quegli uomini dei servizi segreti

 

Un altro contributo alla ricostruzione della vicenda in esame, difficilmente compatibile con tutti quelli sopra analizzati, veniva fornito con la deposizione (in parte già anticipata) di Francesco Paolo Maggi, Sovrintendente della Polizia di Stato, in servizio alla Squadra Mobile di Palermo.
Il poliziotto era uno dei primissimi rappresentanti delle forze dell’ordine ad intervenire in via D’Amelio ed arrivava sul posto, con il funzionario di turno (dottor Fassari della Sezione Omicidi), con l’automobile di servizio (fondendone il motore), appena una decina di minuti dopo la deflagrazione.
Al momento del suo arrivo, il poliziotto notava l’Agente Antonio Vullo, unico superstite fra gli appartenenti alla scorta del dottor Paolo Borsellino, in evidente stato di shock, seduto sul marciapiede, con il capo fra le mani. Il poliziotto, dunque, confidando di poter trovare qualcun altro ancora in vita, si faceva strada fra i rottami, entrando nella densa colonna di fumo che avvolgeva i relitti, mettendo un panno bagnato sul naso. Purtroppo, era subito evidente che non c’era più nulla da fare, né per il Magistrato, né per gli altri colleghi della scorta: i corpi, infatti, erano tutti carbonizzati ed orrendamente mutilati. I resti del dottor Paolo Borsellino erano riconoscibili solo dai tratti somatici del viso e dai baffi. I resti di Claudio Traina erano finiti addirittura sull’albero rampicante che si trovava all’ingresso dello stabile di via D’Amelio, mentre Eddie Walter Cosina era carbonizzato dentro l’automobile. I resti di Emanuela Loi erano riconoscibili unicamente per un seno rimasto intatto, mentre i resti delle altre due vittime della Polizia di Stato, vale a dire Agostino Catalano e Vincenzo Li Muli erano irriconoscibili.
Il Sovrintendente Maggi si metteva alla ricerca di eventuali tracce o reperti, anche scavalcando un muretto di recinzione posto alla fine (del lato chiuso) della via D’Amelio. Nel frattempo, le ambulanze prestavano i soccorsi ai feriti ed i Vigili del Fuoco spegnevano i focolai d’incendio. Uno di questi interessava proprio la Croma blindata del Magistrato.
Mentre si diradava il fumo, si potevano notare quattro o cinque persone, vestite tutte uguali, in giacca e cravatta, che si aggiravano nello scenario della strage, anche nei pressi della predetta blindata: si trattava, a dire del teste (come già anticipato nel precedente paragrafo), di appartenenti ai Servizi Segreti, alcuni dei quali conosciuti di vista da Maggi e già notati a Palermo, presso gli uffici del Dirigente della Squadra Mobile, anche in occasione delle indagini sulla strage di Capaci (come detto, la circostanza, prima della deposizione dibattimentale era assolutamente inedita, nonostante le diverse audizioni precedenti del teste, in fase d’indagine preliminare).
Un vigile del fuoco, non meglio identificato (dell’età di circa quarant’anni), seguendo le disposizioni di Maggi, spegneva il focolaio d’incendio che interessava la Fiat Croma blindata, che aveva già lo sportello posteriore sinistro aperto. Il fuoco cominciava ad attingere anche la borsa che era all’interno dell’abitacolo, in posizione inclinata, fra il sedile anteriore del passeggero e quello posteriore. La borsa, bruciacchiata ma integra, veniva prelevata (quasi sicuramente) dal predetto vigile del fuoco, che la passava a Maggi. Nei pressi non vi era il dottor Giuseppe Ayala (pure notato e riconosciuto dal teste, prima di allontanarsi dalla via D’Amelio). Il poliziotto poteva constatare che la borsa era piena, anche se non ne controllava il contenuto all’interno. Maggi consegnava la borsa al proprio superiore gerarchico, rimasto all’inizio della Via D’Amelio (lato via Dell’Autonomia Siciliana) a comunicare, via radio, con gli altri funzionari. Quest’ultimo funzionario (trattasi del menzionato dottor Fassari della Sezione Omicidi) teneva la borsa del Magistrato fino a quando, ad un certo punto, rivedendo il sottoposto, gli ordinava di portarla subito negli uffici della Squadra Mobile (“Ancora qua sei? -dice- Piglia ‘sta borsa e portala alla Mobile”). Così faceva il Maggi, che la portava dentro l’ufficio del dottor Arnaldo La Barbera (dove entrava con l’aiuto dell’autista del dirigente), lasciandola sul divano dell’ufficio.
Si riporta, qui di seguito, uno stralcio della relativa deposizione, dalla quale risulta anche che la relazione di servizio sulla propria attività di polizia giudiziaria (come appena visto, tutt’altro che secondaria), veniva redatta soltanto 5 mesi più tardi, su esplicita richiesta del dottor Arnaldo La Barbera ed unicamente in vista dell’audizione (pochi giorni dopo) del teste davanti al Pubblico Ministero di Caltanissetta, dottor Fausto Cardella:

P.M. Dott. GOZZO – Sovrintendente, perfetto. Le volevo chiedere se lei ebbe modo, il 19 luglio del 1992, di intervenire presso via D’Amelio.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, le spiego: io quel giorno non dovevo lavorare, mi hanno chiesto un turno di servizio perché periodo di ferie e quindi ho acconsentito a questa cosa. Mi trovavo negli uffici dove noi espletavamo servizio normalmente, a disposizione del funzionario di turno, di…
P.M. Dott. GOZZO – Quindi stiamo parlando, mi scusi, degli uffici della Squadra Mobile di Palermo?
TESTE MAGGI F.P. – Della Squadra Mobile di Palermo. Ora non ricordo bene l’orario, all’incirca è quello che sappiamo tutti, la… quando sono successi i fatti. Ho sentito un po’ di trambusto e quindi… la cosa era abbastanza grave, perché c’erano colleghi abbastanza concitati, chi
correva a destra. Io, così, istintivamente presi le chiavi e mi recai subito a prendere il funzionario di turno; quel giorno era il dottor Fassari della Sezione Omicidi, e subito mi recai sul posto, presi contatto con la Sala Operativa, gli dissi che avevo il funzionario a bordo e quindi mi portavo in via… in via D’Amelio. Avrò messo pochissimo, Signor Presidente, ora non riesco a quantificare, fatto sia che il Ministero addirittura mi voleva addebitare l’auto, in quanto ho bruciato il motore e quindi… saranno passati minuti, non… Arrivato, giunto sul posto, notai subito che c’erano i Vigili del Fuoco che già stavano operando, una coltre di fumo e ancora vetri che… che saltavano in aria, macchine andate a fuoco. Mi addentrai per vedere, cioè, se c’era qualcosa da fare; subito mi sono reso conto che per i colleghi purtroppo non c’era niente da fare e mi misi alla ricerca subito di prove, di qualche indizio che poteva servire. Non potendo fare altro, feci quello; solo che lo feci in più riprese, perché il fumo era così denso che non mi permetteva di permanere molto tempo sul posto e quindi trovai uno straccio, lo bagnai e mi feci spazio. Arrivato a un certo punto, notai… presumo che era l’auto del magistrato, una Croma azzurra. I miei ricordi sono sfuocati, la mia relazione di servizio al tempo è abbastanza dettagliata.
P.M. Dott. GOZZO – Eh, ma siccome non si può acquisire, io, Presidente, chiederei, visto che è una nota a firma proprio del… del 21 dicembre ’92, di mostrarla al teste.
(…)
P.M. Dott. GOZZO – Perfetto. E allora, la prima domanda che le vorrei fare, perché adesso vorrei che… lei già ha dato, diciamo così, una prima descrizione dei fatti come li ricorda. Io le volevo chiedere, ma è un dato, diciamo, che salta agli occhi: questa nota ha una data, che è quella del 22 dicembre del 1992, stiamo parlando del 21 dicembre 1992, stiamo parlando, quindi, di -mi scusi- cinque mesi dopo i fatti. Può specificare alla Corte per quale motivo venne fatta questa relazione (….) tutto questo tempo dopo?
TESTE MAGGI F.P. – …al momento poi io subentrai a far parte del gruppo di lavoro Falcone – Borsellino, che è stato instaurato. ‘Sta relazione non so perché non… non la feci al momento, l’ho fatta successivamente e la consegnai al dottor La Barbera personalmente, il capo della…
P.M. Dott. GOZZO – Ecco, infatti, questa è un’altra cosa che le volevo chiedere: la relazione è diretta al signor dirigente della Squadra Mobile sede. Ebbe una richiesta in questo senso da parte del dottore La Barbera?
TESTE MAGGI F.P. – Una richiesta in che senso? Mi scusi.
P.M. Dott. GOZZO – Una richiesta di redigere dopo tutti questi mesi, insomma…
TESTE MAGGI F.P. – Sì, magari lui si… si incavolò su questa cosa, dice: “Come mai ancora non l’hai fatta la relazione?” “Dottore, fra una cosa e un’altra mi… non l’ho fatta”, mi… mi giustificai così.
P.M. Dott. GOZZO – E si ricorda, appunto, quali erano i motivi per cui le venne chiesta la relazione? Si ricorda se in quei giorni…?
TESTE MAGGI F.P. – E perché dovevo essere sentito a… al tempo mi sentì il dottor Garofalo, mi pare, se non…
P.M. Dott. GOZZO – Il dottore Cardella.
TESTE MAGGI F.P. – Cardella, mi scusi, Cardella.
P.M. Dott. GOZZO – Quindi doveva essere sentito il 29 dicembre dal dottore Cardella. (…) Quindi fu questo il motivo.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, sì.
P.M. Dott. GOZZO – E il dottore La Barbera lo sapeva, evidentemente, e quindi…
TESTE MAGGI F.P. – Sì, esatto.
P.M. Dott. GOZZO – …le chiese di fare questa relazione.
TESTE MAGGI F.P. – Sì.
P.M. Dott. GOZZO – Senta, lei ricorda… ecco, lei già ha riferito su quello che ricordava oggi, diciamo, relativamente a quello che le venne detto quando avvenne lo scoppio. Lei ricorda, in particolare, se venne detto dove vi era stato questo scoppio? Subito, diciamo così.
TESTE MAGGI F.P. – No, subito no, lo appresi tramite… tramite radio, dando la mia sigla radio, ho chiesto più… più informazioni alla Sala Operativa e… mi specificò che c’era stata una deflagrazione, si presume che fosse la scorta del dottore Borsellino.
P.M. Dott. GOZZO – Ma visto che lei si è recato a prendere il dottore Fassari, doveva avere un’idea su dove recarsi. (…) Dico, è sicuro? E’ sicuro, e per questo. (…) a suo ricordo, la invito a leggere la sua relazione, che inizialmente non venisse riportata, anche se genericamente, la zona in cui era avvenuta l’esplosione?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, qua io lo menziono che lo apprendevo dalla Sala Operativa che…
(…) Via Autonomia Siciliana.
P.M. Dott. GOZZO – Via Autonomia Siciliana, perfetto. Poi, successivamente, in macchina apprendeste di via D’Amelio.
TESTE MAGGI F.P. – E’ chiaro, sì.
P.M. Dott. GOZZO – Avete appreso proprio che si trattava di via D’Amelio.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, sì.
P.M. Dott. GOZZO – Senta, e quand’è che ha avuto la consapevolezza che si trattava, ecco, di una blindata, che si trattava di un magistrato, che si trattava del dottore Borsellino e degli uomini della scorta del dottore Borsellino?
TESTE MAGGI F.P. – Subito, subito, nell’immediatezza, quando sono arrivato.
P.M. Dott. GOZZO – Cioè che cosa attirò la sua attenzione?
TESTE MAGGI F.P. – Io quando… quando arrivai sul posto, ho visto davanti all’ingresso del… dell’edificio dei corpi smembrati; tutti i corpi presentavano mutilazioni sia degli arti superiori che degli arti inferiori, a terra c’erano solo tronchi. Riconobbi subito il dottor Borsellino, perché i dati somatici del viso erano rimasti intatti, anche se il corpo era carbonizzato lo riconoscevo, l’ho riconosciuto dai baffetti, e quindi senza ombra di dubbio ho riconosciuto il dottor Borsellino. I colleghi un po’ meno, erano più dilaniati.
P.M. Dott. GOZZO – Sì. Lei poco fa ha detto, appunto, che la prima cosa che ha fatto non appena è arrivato, prima di tutto ha visto i Vigili del Fuoco che già spegnevano…
TESTE MAGGI F.P. – Prima… prima mi accertavo che… di quello che era successo, se c’era ancora qualche… qualcuno che bisognava aiuto, che… subito dopo mi sono reso conto che per i colleghi non c’era… e per il dottore non c’era più niente da fare.
P.M. Dott. GOZZO – Ma erano già presenti i Vigili del Fuoco?
TESTE MAGGI F.P. – Mi pare… erano presenti, un’autopompa già era presente quando sono arrivato.
P.M. Dott. GOZZO – Quindi quando lei è arrivato, anche per collocare temporalmente, diciamo, il suo arrivo, erano arrivati già i Vigili del Fuoco.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, un’autopompa me la ricordo benissimo.
P.M. Dott. GOZZO – Perfetto. Ricorda se c’erano delle Volanti presenti, oltre a voi?
TESTE MAGGI F.P. – Questo non lo so, non glielo so dire, dottore, perché io, come ripeto, mi sono proiettato immediatamente sul posto dove è successo l’attentato e quindi davanti a me… cioè cercavo solo tracce e non… Subito dopo che…
P.M. Dott. GOZZO – Perfetto. E allora, andiamo su queste cose, anche per cercare di quantificare il periodo di tempo che lei ha speso, diciamo, prima di arrivare sulla macchina del Procuratore Aggiunto Borsellino. Nella fattispecie le volevo chiedere: quindi, lei ha detto che la prima cosa che ha fatto è verificare se c’erano, appunto (…) le condizioni dei colleghi. Anche perché
c’era un collega vivo lì presente, lei lo ricorda?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, era… era all’ingresso del… di via D’Amelio, con le mani giunte sul capo, seduto sul marciapiede, sconvolto, non… Non mi sono preoccupato di fargli domande, perché ho capito lo stato in cui versava e quindi (…) non c’ho fatto caso. Cioè ho riconosciuto il collega Vullo, però ho tirato avanti e…
P.M. Dott. GOZZO – E quindi ha fatto questa prima verifica sui corpi. Li ha rinvenuti tutti? Cioè…
TESTE MAGGI F.P. – Mancava solo Traina, perché era rimasto attaccato, quel che restava del collega, in un albero; forse era un rampicante che adornava l’ingresso dell’edificio, era…
P.M. Dott. GOZZO – Quindi, diciamo, non vorrei sembrare macabro, ma è sempre per calcolare il tempo necessario. (…) Lei è riuscito a trovare sei corpi.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, gli altri… Cosina era dentro l’auto, carbonizzato, mi ricordo. Poi c’era Manuela Loi che a terra era proprio… l’ho riconosciuta che era rimasto un seno intatto e ho capito che si trattava della ragazza. Gli altri, Catalano e gli altri, non… non riuscivo a distinguerli; ho riconosciuto il dottore Borsellino, come gli ho detto, che il viso proprio era… era solo carbonizzato, però si vedeva che era il dottore Borsellino, dai dati somatici, ecco.
P.M. Dott. GOZZO – Senta, per riuscire a comprendere: in tutto questo lei seguiva il dottore Fassari oppure era per i fatti suoi?
TESTE MAGGI F.P. – No, il dottor Fassari l’ho perso di vista, perché il dottor Fassari aveva acciacchi. Io mi… mi sono dato molto da fare, non… non so che fine ha fatto il dottor Fassari. (…) Ah, faccio una premessa: subito dopo il mio istinto mi ha portato… via D’Amelio è una strada chiusa, confina con un giardino. Qualcosa mi faceva dire che se… qualcuno che aveva progettato tutto questo fosse ancora là e quindi, così, magari inconsciamente, magari subito dopo mi sono reso conto di quello che stavo facendo. Mi sono addentrato pure dentro il giardino, a rischio e pericolo mio; poi sono ritornato sui miei passi, sono ritornato ancora sul posto dell’accaduto, dell’attentato.
P.M. Dott. GOZZO – E ha visto qualcosa di interessante all’interno del giardino?
TESTE MAGGI F.P. – Non ho visto niente, anche perché la vegetazione era fitta, c’erano spine, non mi permetteva più di andare avanti.
P.M. Dott. GOZZO – Mi scusi se a questo punto intervengo su questo punto, ma il cancello era aperto? Quindi lei è riuscito ad entrare.
TESTE MAGGI F.P. – Non lo so, perché io ho scavalcato una recinzione, mi sono strappato il pantalone. (…) non sono entrato da un ingresso.
P.M. Dott. GOZZO – Glielo chiedo perché nelle fotografie il cancello appare aperto, quindi volevo capire se lei aveva (…) Se lei mi dice che ha scavalcato (…) evidentemente non era aperto. Ricorda
anche se c’era un muro oltre al cancello? Forse è passato dal muro.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, mi pare che c’è un muro di contenimento.
P.M. Dott. GOZZO – Quindi forse sarà passato da là.
TESTE MAGGI F.P. – Non sono sicuro, ma mi pare… mi sembra di sì.
P.M. Dott. GOZZO – Senta, quindi, per riuscire a comprendere, lei arriva quando ci sono già i Vigili del Fuoco, quindi siamo…
TESTE MAGGI F.P. – Sì, sì.
P.M. Dott. GOZZO – Questo lo data, da quello che sono le sue conoscenze (…) una decina di minuti dopo il fatto. (…) Già stavano spegnendo, quindi forse qualcosa di più.
TESTE MAGGI F.P. – Stavano spegnendo le auto.
P.M. Dott. GOZZO – E poi ha visto tutte queste persone, quindi aggiungo un’altra… Quindi possiamo dire che a questo punto siamo a circa venti minuti dal fatto e lei comincia a verificare che cosa c’è…
TESTE MAGGI F.P. – Qualche minuto prima, un quarto d’ora. Eh, ma ero
molto concitato io, non (…) tutto quello che… che mi si mostrava agli occhi era una cosa proprio…
P.M. Dott. GOZZO – Sconvolgente.
TESTE MAGGI F.P. – Sì. (…) Ma io in quel momento cercavo un qualcosa di utile, perché non c’era più niente da fare là, e l’unica cosa era la ricerca di prove, di indizi, di qualcosa, va’.
(…)
P.M. Dott. GOZZO – Senta, e quindi dopo avere cercato, diciamo così, i colleghi e il magistrato che erano state vittime di questo fatto, lei che cosa ha fatto?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, ho visto il… il vigile del fuoco che stava spegnendo l’auto, l’auto azzurra, presumo che era quella del magistrato.
P.M. Dott. GOZZO – Si ricorda dov’erano le fiamme? Cosa stava spegnendo?
TESTE MAGGI F.P. – Già era quasi spenta l’auto, perché già l’aveva domato.
P.M. Dott. GOZZO – Ricorda se la macchina era aperta o era chiusa?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, la portiera era aperta.
P.M. Dott. GOZZO – Quale era aperta?
TESTE MAGGI F.P. – Sennò non potevo vedere la borsa.
P.M. Dott. GOZZO – Quale portiera era aperta?
TESTE MAGGI F.P. – Lato sinistro, lato di… del guidatore, posteriore… no, sinistro, sì.
P.M. Dott. GOZZO – Quindi non quello del guidatore, l’altro sarebbe quello di sinistra.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, quello… quella dietro, la portiera dietro. (…) E scorsi la borsa. Gli dissi ai Vigili del Fuoco di indirizzare… siccome era fumante, quella borsa mi sembrò l’unica cosa che potevo recuperare.
P.M. Dott. GOZZO – Dov’era posizionata la borsa esattamente? Se lo ricorda.
TESTE MAGGI F.P. – La borsa non era posizionata come di solito uno entra in auto e poggia la borsa e la fa poggiare nello schienale; la borsa era riversa di mezzo lato tra il sedile anteriore e posteriore, come se fosse caduta la borsa, inclinata.
(…)
P.M. Dott. GOZZO – (…) Senta, quindi poi, effettivamente,il vigile del fuoco bagnò la…?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, sì, seguì le mie indicazioni.
P.M. Dott. GOZZO – Lei ricorda se la borsa era vuota, piena? Come le sembrava?
TESTE MAGGI F.P. – La borsa, sì, già mi è stata fatta più volte quella (…) La borsa era piena, sicuramente, e abbastanza pesante, perché questo me lo ricordo, va’, non è che… è normale che me lo ricordo. La borsa, sì, conteneva materiale all’interno.
P.M. Dott. GOZZO – Conteneva materiale all’interno. Lei ha avuto modo di aprirla?
TESTE MAGGI F.P. – No, non… non mi è passato, dottore, perché a me mi interessava nell’immediatezza, cioè, recuperare la borsa e quindi avvertire
il funzionario che… del rinvenimento della borsa, e poi prodigarmi assieme agli altri a prestare sempre là assistenza a chi… C’erano persone che sgombravano, bambini, mi trovai con un neonato in mano, gente che urlava, si può immaginare le scene. (…) Una bambina di… di un paio di mesi, io l’avevo in braccio, l’ho portata all’ambulanza.
P.M. Dott. GOZZO – Questo prima o dopo la borsa? Se lo ricorda.
TESTE MAGGI F.P. – Dopo la borsa.
P.M. Dott. GOZZO – Dopo. E’ sicuro di questo?
TESTE MAGGI F.P. – Sì, perché poi fui avvicinato dal funzionario, dice: “Ancora qua sei? – dice – Piglia ‘sta borsa e portala alla Mobile”.
P.M. Dott. GOZZO – Quindi lei aveva avuto modo di interloquire sul fatto della borsa con il funzionario?
TESTE MAGGI F.P. – Sì.
(…)
P.M. Dott. GOZZO – E che cosa vi siete detti, diciamo, relativamente alla borsa?
TESTE MAGGI F.P. – Niente, e… di portare la borsa alla Mobile e consegnarla al… all’ufficio del dottore La Barbera.
P.M. Dott. GOZZO – Fu una disposizione del funzionario di non aprire la borsa e di portarla immediatamente in…?
TESTE MAGGI F.P. – No, non ci furono disposizioni in tal senso, ma a me non mi… non mi passava proprio per la testa di aprirla, non…
P.M. Dott. GOZZO – Sì. Senta, e una volta che lei poi si è… Quindi, se ho capito bene, mi corregga se sbaglio, la successione degli eventi, voi arrivate quando ci sono già i Vigili del Fuoco in operazione; lei prima vede i corpi, poi vede la borsa.
TESTE MAGGI F.P. – Sì.
(…)
P.M. Dott. GOZZO – Poi la bambina e poi Fassari le dice: “Ma ancora qua sei? Vai”.
TESTE MAGGI F.P. – Sì, sì.
P.M. Dott. GOZZO – A questo punto lei va via, quindi, diciamo, siamo all’incirca mezz’ora – tre quarti d’ora dopo l’evento, diciamo.

(pagg 908-939) LA REPUBBLICA