11.6.2020 FIAMMETTA BORSELLINO SENTITA SUI COLLOQUI CON I FRATELLI GRAVIANO IN INCHIESTA IN CORSO A MESSINA SU DEPISTAGGIO INDAGINI STRAGE VIA D’AMELIO

 

(ANSA) –  11.6.2020 Tra i testi sentiti dai pm di Messina nell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio c’è stata anche Fiammetta Borsellino, figlia del giudice assassinato il 19 luglio del 1992 insieme agli agenti della scorta. Fiammetta Borsellino, che da anni combatte una battaglia per arrivare alla verità sulla morte del padre, ha raccontato ai magistrati del suo incontro in carcere con i boss Giuseppe e Filippo Graviano, capimafia di Brancaccio condannati per l’attentato. La figlia del magistrato, che due anni fa ebbe il permesso di andare a colloquio coi due padrini stragisti, definisce l’incontro “un percorso personale”, ma non nasconde di aver sperato che da quel colloquio arrivasse un contributo alla verità pur nella consapevolezza che sarebbe stato molto difficile vista la caratura criminale dei due boss.
Fiammetta Borsellino racconta dei tentativi di Graviano di discolparsi, tentativi “grotteschi”, dice ai pm. E riferisce di aver replicato al boss Giuseppe, che l’aveva accolta in vestaglia: “ah, vedi che c’è, sono fortunata, oggi sono davanti a un Santo che è qui a scontare una pena non si sa perché…”. Graviano avrebbe tentato di addossare la colpa del depistaggio delle indagini ai magistrati. “L’unica cosa che mi sono limitata a dire è che spostare la responsabilità su altri non serviva ad eludere le sue di responsabilità, soltanto questo”, ha raccontato ai pm. Diverso sarebbe stato invece il tono del colloquio con Filippo Graviano che si sarebbe presentato “in uno stato di dolore e prostrazione visibile”. “Una persona – ha detto Fiammetta Borsellino – che non aveva imparato la lezioncina a memoria, cioè, lì c’è stato spazio per parlare di dolore, di insicurezze, del fatto che lui, appunto, non rinnegava quello che aveva fatto”.

Agli assassini di mio padre ho detto: raccontate la verità, solo così sarete uomini liberi – La lettera della figlia di Paolo Borsellino dopo la visita in carcere ai fratelli Graviano, accusati della strage. “Può vivere e morire con dignità anche chi è capace di riconoscere il male che ha inflitto”  di FIAMMETTA BORSELLINO

L’incontro in carcere con Giuseppe e Filippo Graviano è stato guidato unicamente da un lungo, complesso percorso personale e dettato da una forte e urgente esigenza emotiva. Ho sentito la necessità, in quanto figlia di un uomo che ha sacrificato la propria vita per i valori in cui ha creduto e per amore della sua terra, di dovere attraversare questo ulteriore passaggio importante per il mio percorso umano e per l’elaborazione di un faticoso lutto. Un incontro che ha assunto come unico motore la necessità di esprimere un dolore profondo inflitto non solo alla mia famiglia, ma alla società intera. La richiesta di incontro con Giuseppe e Filippo Graviano nasce dunque come fatto strettamente personale. E chiedo che tale debba rimanere.   Sono andata da Giuseppe e Filippo Graviano con l’idea che può vivere e morire con dignità non soltanto il magistrato che sacrifica la propria vita, ma anche chi pur avendo fatto del male è capace di riconoscere il grave male che ha inflitto alle famiglie e alla società, è capace di chiedere perdono e di riparare il danno. Riparare il danno per me vuol dire non passare il resto della propria vita all’interno di un carcere, ma dare un contributo concreto per la ricerca della verità. Si tratta di un contributo di onestà che gli uomini della criminalità organizzata devono dare principalmente a loro stessi, perché chi uccide, uccide la parte migliore di sé. E poi soltanto contribuendo alla ricerca della verità, i figli potranno essere orgogliosi dei padri.  Ora è importante che io possa continuare quel dialogo che è stato interrotto, con enorme dispiacere registro la mancanza di una risposta ufficiale da parte delle istituzioni preposte a fronte di una mia richiesta reiterata alcuni mesi fa.  E voglio fare un’altra considerazione. Pur nell’ambito del profondo rispetto che nutro per le istituzioni, e pur cosciente della complessità del percorso che deve portare i giudici della corte d’assise di Caltanissetta alla stesura delle motivazioni della sentenza del Borsellino Quater, da figlia ritengo che il passaggio di più di oltre un anno per il deposito del provvedimento sia un tempo troppo lungo. Anche dal deposito di quelle motivazioni dipende un ulteriore prosieguo dell’attività giudiziaria, della procura di Caltanissetta e del silente Consiglio superiore della magistratura, per far luce su ruoli e responsabilità di coloro che hanno determinato il falso pentito Scarantino alla calunnia. A causa di questo depistaggio, sono passati infruttuosamente 25 anni.