MAFIA e COLLETTI BIANCHI

 

 

La mafia e i colletti bianchi sono due sfere che molte volte si intrecciano, creando un quadro complesso e controverso. La mafia, particolarmente associata alla Cosa Nostra in Sicilia, ha una storia che risale almeno al XIX secolo. Questa organizzazione criminale è stata coinvolta in attività illegali come estorsione, traffico di droga, prostituzione e omicidi. Nel corso degli anni, la mafia ha dimostrato una notevole capacità di adattamento, passando da una fase di violenza aperta a una più subdola infiltrazione nell’economia legittima.
Dopo gli attentati del 1992 a Palermo, che hanno ucciso i magistrati Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, le atrocità mafiose sono diminuite grazie a un’azione aggressiva da parte delle forze dell’ordine. Tuttavia, la mafia siciliana e quella calabrese, la ‘ndrangheta, sono diventate più sofisticate.
Oggi, la mafia sta esplorando nuove opportunità nel mondo dei colletti bianchi. Un esempio è il business delle fatture false, che sta crescendo rapidamente.
I colletti bianchi sono soggetti che operano all’interno delle istituzioni e delle imprese legittime, ma commettono reati finanziari o economici. Questi crimini spesso coinvolgono frode, corruzione, riciclaggio di denaro e manipolazione dei mercati finanziari. Mentre la mafia tradizionalmente si è concentrata su attività illegali, i colletti bianchi agiscono all’interno dei confini legali, ma con conseguenze altrettanto dannose. In conclusione, la mafia e i colletti bianchi rappresentano due facce della stessa medaglia: il potere, la corruzione e la criminalità che si annidano nei meandri dell’economia e della società.


I delitti dei colletti bianchi sempre più connessi alle nuove mafie

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. È la celebre frase pronunciata dal chimico, biologo, filosofo del settecento Antoine Laurent Lavoisier. La criminalità organizzata non fa eccezione a questo principio. Questo perché nel corso degli anni le diverse percezioni della criminalità organizzata hanno mutato le proprie forme di manifestazione, gli autori di reati e persino l’oggetto giuridico tutelato. Il metodo mafioso attualmente inquadrato nell’art. 416 bis c.p. si fonda su tre elementi fondamentali: la forza d’intimidazione del vincolo associativo, la condizione di assoggettamento e l’omertà che da esso deriva. Nel secolo scorso, durante gli anni Settanta, è apparsa negli studi e nelle ricerche criminologiche mondiali la nozione di “crimine dei colletti bianchi”.
Questo termine è diventato sinonimo di un crimine commesso da membri privilegiati della comunità sociale. All’interno della moderna criminalità organizzata i “colletti bianchi” sono inclusi tutti in forme di reati economico-finanziari, quali corruzione, evasione fiscale, falso in bilancio, frodi comunitarie, cioè un insieme di reati che possono essere commessi da imprenditori, politici, funzionari pubblici, liberi professionisti, sfruttando la posizione sociale, il loro potere e la capacità d’influenza.
Le nuove forme di manifestazione della “criminalità organizzata” uniscono i delitti tradizionali (es. droga, prostituzione illegale, tratta di esseri umani, estorsioni) a quelli dei colletti bianchi (es. finanziari, tributari, frodi comunitarie, appropriazione indebita, corruzione). La gravità della criminalità dei “colletti bianchi” – cioè di alcuni tipi di reato, come i crimini economico-finanziari, la corruzione, l’evasione fiscale, le frodi – fa sì che il grado di pericolosità di essi sia piuttosto elevato e lesivo soprattutto d’interessi collettivi. La commissione di questi delitti colpisce soprattutto le fasce più deboli di una società. Dall’analisi appena fatta possiamo dedurre che oltre a realizzare profitti finanziari e benefici patrimoniali, lo scopo dei gruppi criminali organizzati è quello di avere una grande influenza su strutture di governo di alto livello creando un sistema di protezione dei loro affari illegali e possibili privilegi da procedimenti penali nei loro confronti.
È necessario pertanto che le istituzioni trovino strategie preventive e repressive in grado di affrontare queste attività illegali da parte d’individui o gruppi organizzati finalizzate non solo a profitti criminali ma volte anche ad influenzare negativamente l’economia legale di uno Stato. Questa seconda fase avviene spesso con l’ausilio di quell’area grigia che noi conosciamo appunto con il nome di colletti bianchi. Questa moderna criminalità organizzata non ha più un ruolo subalterno o secondario nei confronti della politica poiché al momento ha la capacità di incidere anche su alcuni equilibri istituzionali a livello nazionale e transnazionale. Occorrerà quindi adeguarsi alle loro continue metamorfosi modificando l’art. 416 bis.
Andando a colpire, per esempio, proprio l’area grigia che fiancheggia le mafie, con una nuova fattispecie incriminatrice che li comprenda nell’associazione mafiosa vera e propria e non nel concorso esterno. Evitando i conflitti e la disgregazione sociale ed economica. Lottando tutte le attività di riciclaggio sullo sfondo dell’economia e della finanza mondiali. Occupandosi della crescita dei reati ambientali commessi dalla criminalità organizzata (Ecomafie).
Un settore da non sottovalutare affatto è quello dei crimini informatici che continueranno a svilupparsi perché redditizi e a basso rischio criminale. Altri possibili rimedi a questo tipo di nuova criminalità potrebbero essere la tracciabilità dei fondi erogati e la moneta elettronica nelle transazioni con la pubblica amministrazione. Sarebbero un efficace strumento di controllo. Il monitoraggio dell’opera, dall’erogazione dei fondi alla realizzazione sarebbe un altro strumento di controllo che eviterebbe la corruzione e le infiltrazioni mafiose.
Naturalmente andrà sempre privilegiata l’importanza della massima trasparenza nelle decisioni pubbliche poiché, di fatto, consentirebbe ai cittadini di operare una vera funzione di controllo civico. Sarà indispensabile promuovere lo scambio di buone pratiche e creazione condivisa di reti internazionali di lotta al crimine organizzato a livello internazionale. Cominciare ad attuare questi propositi sono certo ispirerebbe fiducia anche nei cittadini più avviliti. Questi ovviamente sono solo alcune proposte che in questo contesto potrebbero frenare l’ascesa aggressiva di queste nuove mafie molto più pericolose di quelle che le hanno precedute. Vincenzo Musacchio

 


La criminalità dei colletti bianchi

 

Il fenomeno corruttivo ha uno scenario di riferimento molto ampio e ciò è dovuto non solo al fatto che si possono dare numerosi significati a questo termine, ma anche perché si presenta in molteplici forme. Per quanto riguarda il significato che esso può assumere, si rileva che accanto alla questione relativa all’individuazione dei comportamenti corruttivi penalmente rilevanti dei colletti bianchi [1] ed alla necessità di stabilire una sorta di “minimo garantito” di criminalizzazione in materia, si pone anche l’esigenza di circoscrivere l’ambito di astratto interesse, legato a tematiche che guardano al fenomeno nella sua valenza economica, politica e sociale. Se sul fronte della rilevanza penale si assiste ad una progressiva affermazione di alcuni elementi qualificanti la “corruzione” come crimine, molto più ampio è il terreno dei temi che ruotano intorno alla corruzione intesa come fenomeno culturale e sociale.

Dopo una lunga incubazione dell’analisi sul capitalismo criminale, si giunge alla svolta analitica di Edwin Sutherland. Sutherland definisce crimine dei colletti bianchi quello «commesso da una persona rispettabile e di alto stato sociale, nel corso della propria occupazione[2]». Tra i crimini più importanti, egli enumera: il falso in bilancio, la manipolazione del mercato azionario, la corruzione di pubblici ufficiali (diretta o indiretta), le false comunicazioni sociali, l’appropriazione indebita di fondi, la distrazione di fondi in amministrazione controllata e fallimentare. Ebbene, a questo punto occorre evidenziare che questi delitti sono difficili da scoprire, per la non presenza di vittime; in caso di corruzione, poi, entrambe le parti possono considerarsi dalla parte del guadagno derivato dall’accordo, entrambe cioè sono passibili di condanna e, perciò, è probabile che nessuno sporga denuncia. Sul punto, il criminologo statunitense sottolinea come molti crimini di questo tipo «anche se scoperti, non vengono trasmessi in tribunale, e sfuggono perciò all’opinione pubblica».

Quella dei colletti bianchi, pertanto, è una categoria criminale sottostimata anche in sede giudiziaria e questo per quattro fondamentali cause:

  1. I magistrati sono portati a considerare questo tipo di criminalità scarsamente verosimile;
  2. La criminalità dei colletti bianchi non è ritenuta pericolosa pubblicamente;
  3. Le vittime degli atti criminali in ambienti altolocati non sono considerate seriamente danneggiate come le vittime di delitti di altro tipo;
  4. I mezzi di informazione tendono a presentare i delitti provenienti dai ceti ricchi con argomenti giustificativi.

Sutherland, quindi, getta le basi per uno studio che non verrà mai più abbandonato, anzi le ricerche degli anni a venire perfezioneranno il modello dei colletti bianchi, adeguandolo a prassi specifiche e ai mutamenti economici, sociali e tecnologici.  Da qui in poi l’indagine criminologica non sarà più diretta ai singoli soggetti o, che dir si voglia, ai singoli colletti bianchi, bensì ad una condotta criminale complessa e strutturata, incardinata all’organizzazione economica dell’impresa.

Volendo, pertanto, analizzare il progredire dell’analisi criminologica dei colletti bianchi, si riporta che il primo a porre tale questione è il criminologo Paul Tappan, che identifica nel concetto di colletti bianchi un particolare limite analitico, l’onnicomprensività, in quanto va a riunire in sé un insieme troppo vasto di condotte criminali, accomunate solo dall’appartenenza del soggetto agente a classi superiori[3].  Nel 1975, Hermann Mannheimpropone di assegnare una configurazione autonoma ai delitti compiuti da membri delle classi medio – basse, nell’esercizio di funzioni pubbliche, libere professioni e attività economiche. Si arriva, così, alla separazione analitica tra occupational crime[4]di cui parlava Mannheime corporate crime, il quale definisce un modello criminale particolare, che trae le condizioni della propria esistenza proprio dalla complessità dell’impresa economica e dalla propensione diffusa al conseguimento di guadagni illeciti, dei più alti livelli dirigenziali. Oltre a questa, si ritiene, però, opportuno tracciare un’ulteriore distinzione tra corporate crime, tipico delle imprese, economic crime, il reato economico, e lo state – corporate crime, il reato che deriva dall’interazione tra istituzioni governative e grandi imprese economiche.

Quanto appena descritto rende evidente come l’oggetto di studio, quindi, non riguardi più la criminalità nell’impresa, bensì la criminalità dell’impresa, su cui tra l’altro lo stesso Sutherland aveva ampiamente lavorato, arrivando alla definizione dei più significativi reati specifici.

Tornando all’indagine, l’analisi della criminalità economica si è  a questo punto aperta ad ulteriori concettualizzazioni, soprattutto con l’avvento della globalizzazione, fermo restando che la teoria di Sutherland continua ad essere l’elemento fondante del dibattito sulla criminalità economica. Oggi, in particolare,  la domanda di diversi criminologi è se si possa tracciare una distinzione netta tracrimine dei colletti bianchi e crimine organizzato.

Di crimine organizzato si era già sentito parlare. Già nel 1937, invero, Sutherland annotava che «[il] furto professionale è criminalità organizzata. […] è organizzata nel senso che in esso si possono trovare unità, anche se informale, e reciprocità.» Nel 1949,  è lo stesso criminologo che definisce la criminalità dei colletti bianchi come una forma di crimine organizzato. Dopo la morte dello studioso, c’è stato un breve periodo di stasi, fino agli anni Settanta, quando la ricerca dei nessi tra le due criminalità torna ad essere oggetto di studio e quando, sicuramente, gli sfondi politici ed economici su cui queste analisi si sviluppano rivestono probabilmente una loro importanza.

Tale ricerca ha dato vita a diverse definizioni. Secondo alcuni, tra il crimine dei colletti bianchi e il crimine organizzato esiste una relazione ben definita, in grado di ridisegnare il concetto di crimine organizzato come “reato che è organizzato” piuttosto che come “crimine di stampo mafioso”. Secondo altri, invece, il carattere che più definisce il crimine dei colletti bianchi è proprio l’esistenza di nessi organizzatavi tra i soggetti che compiono il reato. É solo nel 1982 che J. S. Albanese riesce a spiegare le analogie tra i corporate crimes e gli organized crimes e, più precisamente, tra la Lockheed Cpt. e i mood della Cosa Nostra italoamericana. Ciò che emerge, in particolare, è che entrambe le realtà costituiscono delle organizzazioni che necessitano della corruzione per auto-conservarsi: nel primo caso, per vincere la concorrenza, mentre nel secondo caso per proteggere i propri affari. Esse, in sintesi, non sono altro che forme distinte di criminalità di organizzazione.

Dunque, posto quanto detto sopra, con le dovute precauzioni e cautele, si può affermare che i primi a parlare di colletti bianchi, pur senza coniare ancora questa definizione, furono David Morier Evans ed Edwin Hill, molto prima di Sutherland. Nell’opera “Facts, failures and fauds: Revelations, Financial, Mercantile, Criminal”, pubblicata a Londra nel 1858, Murier conduce una prima analisi delle frodi e delle speculazioni finanziarie che, in quegli anni, stavano mettendo a dura prova l’Inghilterra. Hill invece, si porta un po’ più avanti con il suo breve testo “Criminal capitalists”, presentato in una conferenza a Cincinnati nel 1870, indagando, in chiave criminologica, sull’importanza crescente che il delitto nel mondo degli affari andava assumendo.  Se, fino ad allora, le classi «pericolose» erano da individuarsi soprattutto negli strati sociali più bassi della società, con Hills si ha uno stravolgimento di questa visione. Egli, infatti, non solo si domandava, “chi sono questi capitalisti criminali, quali sono i mezzi che usano e come viene impiegato il loro capitale?”, ma cercava anche di dare una risposta alla stessa, spiegando i modi in cui i disonesti di alto rango ordivano i loro affari al riparo dalla legge, godendo contemporaneamente di protezioni significative. Da lì a poco, in effetti, saranno numerosi gli scandali finanziari che colpiranno gli Stati: tra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, in Francia scoppierà lo scandalo della Compagnie universelle du canal interocéanique de Panama; in Italia ci sarà quello della Banca Romana. È chiaro, quindi, che il modello delle «classi criminali» inizia a cedere dall’interno e, proprio in Italia, Cesare Lombroso, che per primo aveva sostenuto la tesi delle classi proletarie come la maggior fonte di criminalità, fa un passo indietro, definendo una tipologia di reato riconducibile alla «classe del denaro».

Alla luce di quanto sopra esposto, si può concludere, dunque, che la distanza tra le due sfere, che per prima era stata riconosciuta da Sutherland, tende a ridursi sempre più, anche per effetto delle scoperte giudiziarie e mediatiche nel mondo economico-criminale. Particolare attenzione meritano gli studi del criminologo Jean-Francoise Gayraud e dello storico Jacques de Saint Victor. Secondo loro, il mondo criminale organizzato, dai colletti bianchi alle mafie, relazionandosi attraverso network tende a prepararsi con l’adozione di strategie e modelli di capitalizzazione complessi e fortemente integrati. Si tratta di una linea analitica che tende a provare un nuovo percorso, che viene sintetizzato nell’espressione «crimine organizzato in colletto bianco»[5].

Fonte dell’immagine: www.pixabay.com

[1] Si fa riferimento, soprattutto, agli articoli del codice penale dal 318 al 322-bis c.p.. Per un maggior approfondimento, si veda qui: https://www.iusinitinere.it/disciplina-penale-materia-corruzione-5501.

[2] J.F. Gayraud, C. Ruta, Colletti criminali: l’intreccio perverso tra mafie e finanze, Castelvecchi, 2014, p. XV.

[3] Ivi, p. XII.

[4] Gary S. Green nel 1990 fa una distinzione che riguarda i reati occupazionali distinguendo quattro tipologie: reato occupazionale organizzativo, reato occupazionale delle autorità di Stato, il reato occupazionale professionale e il reato occupazionale individuale.

[5] J.F. Gayraud, C. Ruta, cit, p. XXIV.

 


Whistleblowing tra mafia e criminalità dei colletti bianchi

Il metodo mafioso include in sé i delitti tradizionali (droga, estorsioni, usura) e quelli dei colletti bianchi (finanziari, frodi comunitarie, corruzione). Occorrono, pertanto, strategie preventive e repressive in grado di affrontare soprattutto queste ultime attività illegali da parte d’individui o gruppi organizzati finalizzate non solo a profitti criminali ma volte anche a influenzare negativamente l’economia legale di uno Stato. L’ausilio di quell’area grigia, che noi conosciamo appunto con il nome di colletti bianchi, è determinante nel rendere le nuove mafie più forti e più pericolose rispetto al passato. Occorrerà quindi adeguarsi alle loro continue metamorfosi. Combattere questo tipo di delitti richiede un approccio diverso.

Per rilevare queste collusioni sono decisive le segnalazioni da parte d’individui o informatori all’interno della pubblica amministrazione o delle aziende private, dove i colletti bianchi operano a vari livelli. Gli informatori (whistleblower) sono coloro che segnalano le predette attività illegali. Denunciare queste ultime dall’interno spesso non è una decisione facile per un soggetto perché non di rado deve affrontare pesanti conseguenze, come essere ostracizzato, licenziato, minacciato e così via. Più complicato ancora è quando si devono segnalare collusioni tra mafie e colletti bianchi. In questo secondo caso, il sistema di segnalazione deve essere sicuro ma soprattutto protetto.
L’Unione Europea – sulla falsa riga della normativa statunitense – ha introdotto un’apposita direttiva in materia di whistleblowing che persegue l’obiettivo di introdurre uno standard minimo di tutela per i whistleblower nelle aziende e negli enti che hanno più di cinquanta dipendenti. La direttiva prevede che la tutela del segnalante non riguardi solo i dipendenti ma anche clienti, fornitori e stagisti. Ciò rappresenta un elemento di differenza con quanto prevedeva la legge italiana in materia che, secondo l’opinione prevalente, si sarebbe dovuta applicare solo ai dipendenti. A differenza di quanto avviene nella legislazione americana, dove in determinati casi, il whistleblower può ricevere dei cospicui premi in denaro da parte dello Stato, con la direttiva europea si tutela il whistleblower solo sul fronte lavoristico, proteggendo il segnalante da tutte quelle ritorsioni dirette o indirette che potrebbe subire a causa della segnalazione. Oltre al licenziamento, infatti, il whistleblower è tutelato da eventuali demansionamenti o altre forme di discriminazioni o modifiche peggiorative delle condizioni di lavoro che siano adottate dal datore di lavoro come ritorsione.
Le segnalazioni whistleblowing devono essere documentate (foto, documenti o video) e circostanziate. Nell’ambito del recepimento della direttiva europea da parte dell’Italia, tuttavia, è lecito attendersi un’estensione delle materie su cui può essere fatta una segnalazione che riguarderà, molto probabilmente, i delitti di mafia, di corruzione e quelli societari. Sull’esperienza degli Stati Uniti saranno indispensabili software whistleblowing semplici da usare, accessibili da qualunque dispositivo e che dovranno garantire riservatezza e anonimato (evitando installazioni su server aziendali).
Per i delitti di mafia, la comunicazione tra segnalante e organismo di vigilanza dovrà poter garantire anche la segnalazione anonima. In Italia sarà fondamentale la formazione. Spiegare bene quali sono gli ambiti di applicazione del whistleblowing, sarà importante per la corretta applicazione della nuova direttiva recepita dal nostro Paese. Nella lotta alla criminalità organizzata di matrice economico-finanziaria il whistleblower potrà essere decisivo poiché renderà visibile dall’interno ciò che è invisibile all’esterno. In questo quadro avere un sistema che garantisce l’anonimato, favorirà proprio chi agisce senza secondi fini naturalmente se dall’altra parte c’è chi sia in grado di valutare la segnalazione e soprattutto la sua veridicità. La valutazione da parte dell’organismo di vigilanza non può prescindere da un esame accurato sull’attendibilità e sulla credibilità del singolo segnalante. L’importanza di una chiara disciplina sul punto discende, dunque, dalla primaria esigenza di individuare una serie di criteri valutativi che siano tali da consentire il conferimento di valore probatorio alle predette segnalazioni, le quali, solo laddove siano sottoposte ad adeguato vaglio da parte del giudicante, potranno contribuire alla formazione del suo libero convincimento nell’eventuale processo. Per quanto riguarda le nuove mafie, la recente normativa, se varata e applicata cum grano salis, potrà essere decisiva nel colpirle mortalmente poiché il “nemico” si sconfigge più facilmente dall’interno favorendo proprio le segnalazioni dei consociati. Vincenzo Musacchio


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