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Depistaggio, legale poliziotto: “Bo fedele servitore
(dall’inviata Elvira Terranova) Adnkronos- “Questo non è il più grande depistaggio dello Stato italiano ma il più grande accanimento che lo Stato italiano ha fatto. E’ uno degli enormi errori giudiziari. Siamo davanti a uno Stato italiano che si vuole pulire la coscienza, ci si vuole pulire il coltello sulle spalle dei tre poliziotti. Il grande sconfitto e’ lo Stato italiano”. Parole dure, durissime, quelle dell’avvocato Giuseppe Panepinto, legale del poliziotto Mario Bo, ex vicequestore aggiunto oggi in pensione, uno dei tre poliziotti imputati per concorso in calunnia aggravata nel processo d’appello sul depistaggio sulla strage Borsellino, in corso davanti alla Corte d’Appello di Caltanissetta, presieduta da Giovanbattista Tona. Con Mario Bo sono alla sbarra Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, con l’accusa di avere istruito il falso collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino, a rendere dichiarazioni che sarebbero servite a sviare le indagini sulla strage di via d’Amelio. In primo grado, caduta l’aggravante mafiosa, Bo e Mattei sono stati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. L’aggravante mafiosa resta l’ago della bilancia nel processo di appello, perché se dovesse nuovamente decadere, come già successo in primo grado, le imputazioni andrebbero ancora prescritte. La procura generale di Caltanissetta al termine della requisitoria aveva chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
“Il mio assistito Mario Bo è una persona che non conoscevo prima di affrontare questo processo, ma nel corso di questi anni ho maturato stima e rispetto nei suoi confronti. Ne apprezzo le doti, il senso di abnegazione e quella che ritengo la dote più importante per una persona appartenente allo Stato, cioè il rispetto nelle istituzioni”, ha detto nella sua arringa l’avvocato Giuseppe Panepinto. “Mario Bo ha dedicato la sua vita allo Stato italiano, alla Polizia di Stato, ha partecipato alle più grosse operazioni che hanno portato all’arresto e alla condanna di soggetti malavitosi”, dice ancora. “Il grande valore che ha il dottor Bo non è solo sopportare la gogna mediatica, ma il fatto di dover sopportare il mettere in dubbio il rispetto che questo uomo per una vita ha portato allo Stato e il doversi difendere da questa accusa così infamante di avere tradito lo Stato italiano”, aggiunge il legale di Mario Bo. Mario Bo è presente in aula, con i coimputati Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
Per l’avvocato Panepinto, “questo è un processo che poteva essere evitato già dopo la sentenza del cosiddetto ‘Borsellino bis’. Quando gli avvocati degli imputati capirono e denunciarono nel corso del dibattimento, in quel processo, le anomalie nelle indagini nate dalle dichiarazioni di quelli che venivano considerati collaboratori di giustizia ma che in realtà erano falsi pentiti. Da loro non è nato il depistaggio ma un clamoroso errore giudiziario che vede oggi imputati dei fedeli servitori dello Stato”.
Poi l’avvocato Panepinto torna a parlare dei tre poliziotti, usando una metafora: “Oggi si chiede di pulire il coltello ancora intriso del sangue delle vittime sulla schiena di tre uomini che hanno fedelmente servito lo Stato italiano, servitori estratti quasi a sorte tra la pletora dei soggetti che sono stati coinvolti nella storia di questo processo. E vi chiedono di continuare a infangare il nome, per coloro che hanno ancora la fortuna di essere tra noi o ancora peggio di infangare la memoria di coloro che non sono più tra noi”. “Mario Bo si deve difendere da una accusa così infamante come quella di avere tradito lo Stato”, ha aggiunto Panepinto.
Ma per la Procura generale, i tre poliziotti sono “colpevoli” di avere “tradito lo Stato”. “Un tradimento da parte degli apparati dello Stato che non può essere perdonato – aveva detto nell’aula della corte d’appello nissena il Procuratore generale Fabio D’Anna al termine della requisitoria- Perché questo depistaggio? L’unico interesse che spiega la pervicacia del gruppo investigativo Falcone-Borsellino è che loro sapevano perfettamente che con il loro comportamento stavano allontanando dalla verità delle indagini, vuoi per proteggere apparati dello Stato vuoi per proteggere apparati mafiosi”.
Figura centrale è quella dell’ex dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, deceduto ventidue anni fa, a capo del pool investigativo sulle stragi di Palermo del 1992. Era proprio La Barbera il capo dei tre imputati e insieme, secondo l’accusa, avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino, piccolo delinquente della borgata Guadagna, a dare una ricostruzione dei preparativi della strage totalmente falsa accusando mafiosi che però con l’autobomba di via d’Amelio non c’entravano nulla.
Sempre oggi il legale di Bo ha parlato anche della “anomala collaborazione”, come l’hanno chiamata i pm, con i magistrati da parte del Sisde sulle indagini di via D’Amelio. “Si è detto che è contro legge che il Sisde faccia azioni di polizia giudiziaria. Ma in questo processo non c’è un solo atto giudiziario fatto dal Sisde, o dai Servizi di sicurezza. Ha fatto solo quei tre appunti e basta. Non è stato svolto alcun tipo di attività da parte del Sisde, anche la sentenza di primo grado lo dice”, spiega Giuseppe Panepinto. “Tutti i magistrati che abbiamo sentito, Ilda Boccassini, Annamaria Palma, e tutti gli altri, hanno escluso che qualunque delega di indagine svolta da loro, nessuna delega di indagine fu data al Sisde – dice ancora l’avvocato Panepinto – Loro non hanno avuto nessun tipo di rapporto con il Sisde. Anche la sentenza dice che non è possibile dimostrare il contrario. Cosa ha fatto? Si è limitato, come è naturale che fosse, a raccogliere per trasmettere al Nucleo centrale di Roma informazioni sullo stato delle indagini, su un fatto così grave, peraltro”. Era stato lo stesso ex dirigente dei servizi segreti, Bruno Contrada, a raccontare anche in aula, al processo, e alla Commissione regionale antimafia, che era stato contattato dalla Procura di Caltanissetta, subito dopo la stra Borsellino, per chiedere un aiuto sulle indagini.
“La mattina del 20 luglio ricevo una telefonata del dottor Sergio Costa, genero del capo della Polizia di allora, il Prefetto Vincenzo Parisi, ed era anche lui un commissario di pubblica sicurezza, aggregato al Sisde. Costa mi dice: ‘Don Vincenzo desidera che lei prenda contatti con il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dottor Giovanni Tinebra, per la strage che è accaduta, per la strage Borsellino, e io in quel momento seppi che il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta si chiamava Giovanni Tinebra, non lo sapevo…”. Anche la Procura generale, nel corso della requisitoria, aveva parlato del Sisde: “Il primo episodio abbastanza singolare ma anche inquietante riguarda la collaborazione tra la procura di Caltanissetta e il Sisde, nella persona in particolare di Bruno Contrada”. ”C’è un incontro che avviene il 20 luglio all’indomani della strage, in cui c’erano Contrada, Lorenzo Narracci e il procuratore Giovanni Tinebra. Abbiamo una conferma di questa collaborazione negli appunti sull’agenda sequestrata a Bruno Contrada. La collaborazione tra Contrada e Narracci nasce su iniziativa del procuratore Tinebra. Siccome questo rapporto era illecito Contrada chiedeva coperture istituzionali”. Ma oggi il legale di Mario Bo ribadisce che il Sisde non “fece alcun tipo di indagine su via D’Amelio”.
Il processo è stato rinviato al 14 maggio, quando concluderà anche l’avvocato Giuseppe Seminara, legale di Ribaudo e Mattei. Nell’udienza successiva, probabilmente il 4 giugno, dovrebbe essere emessa la sentenza d’appello.
Depistaggio Borsellino, legale di Mario Bo: “Il mio assistito ha dedicato la sua vita allo Stato. Un grande errore giudiziario”
“Il mio assistito Mario Bo è una persona che non conoscevo prima di affrontare questo processo, ma nel corso di questi anni ho maturato stima e rispetto nei suoi confronti. Ne apprezzo le doti, il senso di abnegazione e quella che ritengo la dote più importante per una persona appartenente allo Stato, cioè il rispetto nelle istituzioni”. E’ cominciata così l’arringa dell’avvocato Giuseppe Panepinto, difensore di Mario Bo, funzionario di polizia imputato nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio che si celebra a Caltanissetta dinanzi alla Corte d’Appello presieduta da Giovambattista Tona.
“Mario Bo – ha continuato l’avvocato Panepinto – ha dedicato la sua vita allo Stato italiano, alla Polizia di Stato, ha partecipato alle più grosse operazioni che hanno portato all’arresto e alla condanna di soggetti malavitosi. Il grande valore che ha il dottore Bo non è solo sopportare la gogna mediatica, ma il fatto di dover sopportare il mettere in dubbio il rispetto che questo uomo per una vita ha portato allo Stato e il doversi difendere da questa accusa così infamante di avere tradito lo Stato italiano”.
Mario Bo oggi è presente in aula. Insieme a lui sono imputati i poliziotti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudi. Sono accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia per aver costretto, secondo la procura, il pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage di via D’Amelio. La procura di Caltanissetta ha chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
“Questo non è il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana, ma il più grande accanimento della storia giudiziaria” aggiunge l’avvocato Giuseppe Panepinto, nel corso della sua arringa nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio.
“Ci troviamo in presenza di uno dei tanti errori giudiziari che affastellano la storia. Oggi vi chiedono di fare un altro errore giudiziario, vi chiedono di condannare delle persone che sono sostanzialmente innocenti. Non ci troviamo in presenza dello Stato italiano che sta processando una parte dello Stato italiano, ma di uno Stato che si vuole pulire la coscienza sulla base di ciò che è accaduto 30 anni fa”.
Oggi – ha concluso il penalista – si chiede di pulire il coltello ancora sporco di sangue su tre poliziotti. E vi chiedono dunque di infangare la memoria di coloro che non sono più tra noi: poliziotti, funzionari, magistrati. Certamente il grande sconfitto di questo processo è lo Stato italiano”.
Redazione IL SICILIA 7 maggio 2024
Caltanissetta, depistaggio Borsellino. Legale ex poliziotto: “Stato vuole lavarsi la coscienza”
Arringa dell’avvocato Giuseppe Panepinto, difensore del poliziotto Mario Bo, stamane davanti alla Corte d’appello di Caltanissetta nel processo d’appello sul depistaggio delle indagini sulla strage Borsellino. E’ imputato, insieme ad altri due ex colleghi della Squadra mobile di Palermo, di calunnia aggravata dall’aver agevolato cosa nostra.
“Un uomo – ha detto il legale – che non conoscevo prima di iniziare questa vicenda processuale. Nel corso di questi anni ho avuto modo di apprezzare e conoscere. Un uomo che ha rispetto dello Stato e per il lavoro che ha svolto. Spiace che in questo processo venga messo in dubbio il rispetto e l’abnegazione di un uomo che si deve difendere dall’accusa infamante di aver tradito lo Stato italiano. Prima di portare gli uomini dello Stato a processo bisogna avere dei loro confronti elementi certi e fondati”, ha detto il legale durante il suo intervento. La procura generale ha chiesto per Mario Bo una condanna a 11 anni e 10 mesi di reclusione. Per gli altri due imputati, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo la procura ha chiesto 9 anni e 6 mesi di reclusione. In primo grado Bo e Mattei sono stati raggiunti da prescrizione, mentre Ribaudo e’ stato assolto.
“Questo non e’ il piu’ grande depistaggio dello Stato italiano – ha detto l’avvocato Panepinto – ma il piu’ grande accanimento che lo Stato italiano ha fatto. E’ uno degli enormi errori giudiziari. Siamo davanti a uno Stato italiano che si vuole pulire la coscienza, ci si vuole pulire il coltello sulle spalle dei tre poliziotti. Il grande sconfitto e’ lo Stato italiano”. IL FATTO NISSENO
Depistaggio Borsellino, il legale del poliziotto: “Bo è stato un fedele servitore dello Stato, c’è stato un errore giudiziario”
«Questo non è il più grande depistaggio dello Stato italiano ma il più grande accanimento che lo Stato italiano ha fatto. E’ uno degli enormi errori giudiziari. Siamo davanti a uno Stato italiano che si vuole pulire la coscienza, ci si vuole pulire il coltello sulle spalle dei tre poliziotti. Il grande sconfitto e’ lo Stato italiano». Parole dure, durissime, quelle dell’avvocato Giuseppe Panepinto, legale del poliziotto Mario Bo, ex vicequestore aggiunto oggi in pensione, uno dei tre poliziotti imputati per concorso in calunnia aggravata nel processo d’appello sul depistaggio sulla strage Borsellino, in corso davanti alla Corte d’Appello di Caltanissetta, presieduta da Giovanbattista Tona. Con Mario Bo sono alla sbarra Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, con l’accusa di avere istruito il falso collaboratore di giustizia, Vincenzo Scarantino, a rendere dichiarazioni che sarebbero servite a sviare le indagini sulla strage di via d’Amelio. In primo grado, caduta l’aggravante mafiosa, Bo e Mattei sono stati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto «perché il fatto non costituisce reato».
L’aggravante mafiosa resta l’ago della bilancia nel processo di appello, perché se dovesse nuovamente decadere, come già successo in primo grado, le imputazioni andrebbero ancora prescritte. La procura generale di Caltanissetta al termine della requisitoria aveva chiesto la condanna a 11 anni e 10 mesi per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. «Il mio assistito Mario Bo è una persona che non conoscevo prima di affrontare questo processo, ma nel corso di questi anni ho maturato stima e rispetto nei suoi confronti. Ne apprezzo le doti, il senso di abnegazione e quella che ritengo la dote più importante per una persona appartenente allo Stato, cioè il rispetto nelle istituzioni», ha detto nella sua arringa l’avvocato Giuseppe Panepinto.
«Mario Bo ha dedicato la sua vita allo Stato italiano, alla Polizia di Stato, ha partecipato alle più grosse operazioni che hanno portato all’arresto e alla condanna di soggetti malavitosi», dice ancora. «Il grande valore che ha il dottor Bo non è solo sopportare la gogna mediatica, ma il fatto di dover sopportare il mettere in dubbio il rispetto che questo uomo per una vita ha portato allo Stato e il doversi difendere da questa accusa così infamante di avere tradito lo Stato italiano», aggiunge il legale di Mario Bo. Mario Bo è presente in aula, con i coimputati Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Per l’avvocato Panepinto, «questo è un processo che poteva essere evitato già dopo la sentenza del cosiddetto ‘Borsellino bis’. Quando gli avvocati degli imputati capirono e denunciarono nel corso del dibattimento, in quel processo, le anomalie nelle indagini nate dalle dichiarazioni di quelli che venivano considerati collaboratori di giustizia ma che in realtà erano falsi pentiti. Da loro non è nato il depistaggio ma un clamoroso errore giudiziario che vede oggi imputati dei fedeli servitori dello Stato».
Poi l’avvocato Panepinto torna a parlare dei tre poliziotti, usando una metafora: «Oggi si chiede di pulire il coltello ancora intriso del sangue delle vittime sulla schiena di tre uomini che hanno fedelmente servito lo Stato italiano, servitori estratti quasi a sorte tra la pletora dei soggetti che sono stati coinvolti nella storia di questo processo. E vi chiedono di continuare a infangare il nome, per coloro che hanno ancora la fortuna di essere tra noi o ancora peggio di infangare la memoria di coloro che non sono più tra noi». «Mario Bo si deve difendere da una accusa così infamante come quella di avere tradito lo Stato», ha aggiunto Panepinto. Ma per la Procura generale, i tre poliziotti sono «colpevoli» di avere «tradito lo Stato».
«Un tradimento da parte degli apparati dello Stato che non può essere perdonato – aveva detto nell’aula della corte d’appello nissena il Procuratore generale Fabio D’Anna al termine della requisitoria- Perché questo depistaggio? L’unico interesse che spiega la pervicacia del gruppo investigativo Falcone-Borsellino è che loro sapevano perfettamente che con il loro comportamento stavano allontanando dalla verità delle indagini, vuoi per proteggere apparati dello Stato vuoi per proteggere apparati mafiosi». Figura centrale è quella dell’ex dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, deceduto ventidue anni fa, a capo del pool investigativo sulle stragi di Palermo del 1992. Era proprio La Barbera il capo dei tre imputati e insieme, secondo l’accusa, avrebbero indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino, piccolo delinquente della borgata Guadagna, a dare una ricostruzione dei preparativi della strage totalmente falsa accusando mafiosi che però con l’autobomba di via d’Amelio non c’entravano nulla.
Sempre oggi il legale di Bo ha parlato anche della «anomala collaborazione», come l’hanno chiamata i pm, con i magistrati da parte del Sisde sulle indagini di via D’Amelio. «Si è detto che è contro legge che il Sisde faccia azioni di polizia giudiziaria. Ma in questo processo non c’è un solo atto giudiziario fatto dal Sisde, o dai Servizi di sicurezza. Ha fatto solo quei tre appunti e basta. Non è stato svolto alcun tipo di attività da parte del Sisde, anche la sentenza di primo grado lo dice», spiega Giuseppe Panepinto. «Tutti i magistrati che abbiamo sentito, Ilda Boccassini, Annamaria Palma, e tutti gli altri, hanno escluso che qualunque delega di indagine svolta da loro, nessuna delega di indagine fu data al Sisde – dice ancora l’avvocato Panepinto – Loro non hanno avuto nessun tipo di rapporto con il Sisde. Anche la sentenza dice che non è possibile dimostrare il contrario. Cosa ha fatto? Si è limitato, come è naturale che fosse, a raccogliere per trasmettere al Nucleo centrale di Roma informazioni sullo stato delle indagini, su un fatto così grave, peraltro».
Era stato lo stesso ex dirigente dei servizi segreti, Bruno Contrada, a raccontare anche in aula, al processo, e alla Commissione regionale antimafia, che era stato contattato dalla Procura di Caltanissetta, subito dopo la stra Borsellino, per chiedere un aiuto sulle indagini. «La mattina del 20 luglio ricevo una telefonata del dottor Sergio Costa, genero del capo della Polizia di allora, il Prefetto Vincenzo Parisi, ed era anche lui un commissario di pubblica sicurezza, aggregato al Sisde. Costa mi dice: Don Vincenzo desidera che lei prenda contatti con il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dottor Giovanni Tinebra, per la strage che è accaduta, per la strage Borsellino, e io in quel momento seppi che il Procuratore della Repubblica di Caltanissetta si chiamava Giovanni Tinebra, non lo sapevo».
Anche la Procura generale, nel corso della requisitoria, aveva parlato del Sisde: «Il primo episodio abbastanza singolare ma anche inquietante riguarda la collaborazione tra la procura di Caltanissetta e il Sisde, nella persona in particolare di Bruno Contrada». ‘«C’è un incontro che avviene il 20 luglio all’indomani della strage, in cui c’erano Contrada, Lorenzo Narracci e il procuratore Giovanni Tinebra. Abbiamo una conferma di questa collaborazione negli appunti sull’agenda sequestrata a Bruno Contrada. La collaborazione tra Contrada e Narracci nasce su iniziativa del procuratore Tinebra. Siccome questo rapporto era illecito Contrada chiedeva coperture istituzionali». Ma oggi il legale di Mario Bo ribadisce che il Sisde non «fece alcun tipo di indagine su via D’Amelio». Il processo è stato rinviato al 14 maggio, quando concluderà anche l’avvocato Giuseppe Seminara, legale di Ribaudo e Mattei. Nell’udienza successiva, probabilmente il 4 giugno, dovrebbe essere emessa la sentenza d’appello. LA STAMPA 7.5.2024
VIA D’AMELIO – DEPISTAGGIO DELLE INDAGINI – processo d’appello in corso