IL RICORDO DI FALCONE E BORSELLINO
In aula magna è proiettata la fotografia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sorridenti durante un evento pubblico. Scattata a marzo del 1992 da Tony Gentile, quella foto divenne celebre solo nel luglio di quell’anno in seguito all’assassinio di Borsellino, il 19 luglio, ammazzato dalla mafia quaranta giorni dopo l’amico e collega Borsellino, lui ucciso il 23 maggio. «Questa è una settimana particolare per noi magistrati, ma credo che debba esserlo per tutti i cittadini italiani».
La voce del magistrato Dolci si spezza. «Scusate, ma io mi emoziono sempre (viene applaudita, ndr), perché rifletto sul fatto che rispetto a Falcone, a Borsellino io ritengo di aver fatto poco o nulla.
Loro vengono ricordati come degli eroi, ma dobbiamo fare una riflessione e distinguere tra la commemorazione e il fare memoria. Commemorare significa semplicemente ricordare che quel giorno c’è stata la strage di Capaci, che il 19 di luglio c’è stata la strage di via D’Amelio.
Sono morti perché hanno combattuto la mafia. Lo ricordiamo quel giorno, poi li scordiamo per il resto dell’anno. Questo non ha significato. Io partecipo sempre, tutti gli anni, alla commemorazione delle due stragi e spesso mi sono chiesta il senso.
Perché se commemorare significa andare ad ascoltare qualcuno che ci parla di loro, della lotta alla mafia, bene: mi ha fatto piacere ascoltare il magistrato, il sindaco, l’ufficiale dei carabinieri, ma non mi è rimasto niente.
Cosa diversa, invece, è il fare memoria. Fare memoria significa conoscere, capire i valori per cui loro hanno sacrificato la propria vita, significa condividere quei valori, significa tramandare quei valori.
C’è un bel libro che ha pubblicato Nando dalla Chiesa. Si chiama ‘Ostinati e contrari’. Così ha definito Falcone e Borsellino, perché quando loro facevano le indagini di mafia, non è che tutta la magistratura, tutta la parte politica, tutte le forze di polizia fossero dalla loro parte.
Quando loro sono morti, erano isolati, innanzitutto da una parte della magistratura che li ha combattuti, li ha criticati. Io ne sono pienamente a conoscenza, perché ero già magistrato all’epoca. Io ricordo che quando c’era stato l’attentato dell’Addaura, il fallito attentato a Falcone che aveva preso una villetta in affitto al mare. Nella villa ospitava Carla Del Ponte, procuratore federale della Svizzera.
«Fu trovato un borsone pieno di esplosivo.
Ricordo alcuni commenti: ‘L’attentato se l’è fatto lui, perché è un magistrato ambizioso, vuole strumentalizzare la lotta alla mafia per ambire a chissà quali incarichi’.
Parliamo di Paolo Borsellino: ha avuto un procedimento disciplinare da parte del Csm, perché ha pubblicamente difeso il suo amico Giovanni Falcone. Chi si occupava di delicatissime indagini sulla mafia era guardato male, ‘magistrati ambiziosi’. Il risultato è stato che, per esempio, quando si è trattato di designare il successore di Antonio Caponnetto, che era il responsabile dell’ufficio istruzione dove lavoravano Falcone e Borsellino, è stato designato un collega molto anziano, che ha smantellato il pool antimafia.
Questo ci deve far riflettere. La parte politica: secondo voi i politici dell’epoca erano tutti concordi nell’obiettivo di combattere la mafia? Certo che no».
Fa una «digressione», Dolci. «Virginio Rognoni è stato ministro della Giustizia, quando è stata approvata la legge Rognoni-La Torre: 1982 una legge importantissima, che ha introdotto il reato di associazione di stampo mafioso e ha introdotto misure di contrasto patrimoniale alla mafia. Bene, Pio La Torre, promotore, di questo disegno di legge, fu ucciso da Cosa nostra nel 1982. Il disegno di legge giaceva in Parlamento da circa due anni. Nessun politico considerava questo importantissimo disegno di legge, poi approvato in 10 giorni dopo l’omicidio di Dalla Chiesa. Rognoni, ricordando quei tempi, ha spiegato così qual era l’approccio della politica rispetto al problema mafia: «Eh sa, c’erano quelli che la partita contro la mafia volevano vincerla ed erano pochissimi; c’erano quelli che volevano giocarla, ma sostanzialmente pareggiarla, ma ce n’erano molti che la partita contro la mafia non la volevano proprio giocare».
Falcone e Borsellino «hanno fatto indagini che sono pietre miliari della lotta alla mafia in quel clima. Sappiamo quello che è successo e quindi sono diventati degli eroi, ma non dobbiamo mai dimenticare che avevano moltissimi nemici in vita, nemici che poi ne sono diventati cantori. Quante sono ancora le vicende irrisolte nel nostro Paese.
Pensate solo alla strage di via D’Amelio: ancora non sappiamo perché a 57 giorni dall’eccidio di Capaci, è stato ucciso anche Paolo Borsellino, però pensate all’esempio di Paolo Borsellino: era stato ucciso il suo collega ed amico. In quei 57 giorni ha fatto tutto il possibile, sentendo moltissimi collaboratori di giustizia, perché voleva conoscere, sapere chi c’era dietro la strage di Capaci. Era stato avvisato che era arrivato esplosivo anche per lui. Voi che cosa avreste fatto al suo posto? Se vi dicessero: ‘E’ pronto l’esplosivo, il prossimo sei tu’.
Tratto da fmorandi@laprovinciacr.it. 20 MAGGIO 2024
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