ALESSANDRA DOLCI: “La Lombardia colonizzata dalle mafie”. Una presenza inquietante nel comasco.

Dolci

 


La dottoressa Alessandra Dolci inizia
la carriera di magistrato a 26 anni, alla Procura della Repubblica di Monza. Ha giurato il 20 Dicembre 2017 come procuratore aggiunto di Milano, ruolo che fino a poco tempo prima ricopriva Ilda Boccassini, con la quale Dolci ha lavorato fianco a fianco per anni.
Su nomina del CSM, Alessandra Dolci è diventata coordinatrice  della Direzione Distrettuale Antimafia, incarico che le ha dato modo di continuare l’attività di contrasto alla criminalità organizzata avviata negli anni precedenti.
Vincitrice del premio  Borsellino nel 2018, ha di fatto contrastato le infiltrazioni della ‘ndrangheta nella società e nell’economia lombarda. Tra le sue indagini si ricorda l’operazione “Crimine infinito”, che portò a circa 200 arresti tra Milano e Reggio Calabria.

SONO UN PM DA STRADA E NON HO,PAURA Intervista-con-Alessandra-Dolci

 

MAFIA e ANTIMAFIA nel comasco

 

 

 


  • «La ’ndrangheta ha il controllo sia fisico che economico del territorio comasco» e lo fa attraverso personaggi che «appartengono alla storia della criminalità organizzata calabrese in Lombardia». Il tutto attraverso un «uso sistematico di violenze e di minacce nei confronti di un numero notevole di imprenditori». Aggressioni, estorsioni e violenze per le quali 11 persone sono finite a processo, davanti al Tribunale di Como, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e di una serie di reati, soprattutto di natura economica, che hanno denotato un tentativo di infiltrazione nel tessuto economico comasco. 


  • ALESSANDRA DOLCI: “FARE IMPRESA CON LE ‘NDRINE NON È MAI UN AFFARE”

  • “C’è un’economia “fuorilegge”, non criminale, – spiega Alessandra Dolci coordinatrice della Dda di Milano – ma fatta di imprenditori propensi a non rispettare le regole del libero mercato e della correttezza fiscale e ci sono professionisti borderline che aiutano questo modello economico. In questa devianza si inserisce la criminalità mafiosa”
  • Che cosa vuol dire cambiare pelle? «I mafiosi, che in Lombardia per la mia percezione un po’ a spanne significano per l’80-90% ’ndrangheta con cosa nostra e camorra a spartirsi il restante 10-20%, sempre di più si presentano come imprenditori che fanno girare denaro e questo riduce la percezione del disvalore: finché sequestrano persone o trafficano droga tutti li avvertono come criminali, se fanno reati economici ricorrendo alla violenza solo in via residuale, molto meno».
  • Così è più difficile provare l’associazione mafiosa? «Il fenomeno evolve verso una “aterritorialità”: c’è un passaggio dall’occupazione di un territorio all’occupazione di settori economici, questo fatto, unito alla mancanza del requisito della violenza, può complicare la contestazione del reato di associazione mafiosa (articolo 416 bis), ma ci si può orientare per l’associazione a delinquere comune con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa».
  • C’è chi nelle istituzioni vi accusa di vedere mafia dappertutto. «Constatiamo casi in cui parte del denaro ricavato da evasione e reati economici e tributari in genere, va a sostenere il “welfare mafioso” che dà assistenza legale ai detenuti per reati di mafia e mantiene le loro famiglie».
  • Parlava di occupazione di settori economici, quali? «Oltre alla tradizionale edilizia: pulizie, logistica, ristorazione, rifiuti, giochi e scommesse ma soprattutto noi vediamo il proliferare di imprese che cercano in ogni modo di accaparrarsi finanziamenti a fondo perduto o con garanzia pubblica, o imprese – spesso cartiere – che creano fittizi crediti di imposta che poi mettono sul mercato.
    C’è un’economia “fuorilegge”, non criminale, ma fatta di imprenditori propensi a non rispettare le regole del libero mercato e della correttezza fiscale e ci sono professionisti borderline che aiutano questo modello economico.
    In questa devianza si inserisce la criminalità mafiosa che si mette sul mercato offrendo strumenti finanziari/fiscali che diventano denaro contante».
  • L’usura in tempi di crisi è ancora un affare per le mafie? «Sì, perché è il modo più semplice di riciclare i proventi del traffico di droga. Ma gli usurati non denunciano, scopriamo che lo sono dalle intercettazioni ambientali o magari indagando per bancarotta».
  • Ha detto che 8 volte su 10 in Lombardia sono gli imprenditori chiedere ai mafiosi, conferma? «Sì, c’è una domanda di mafia: è percepita come un’agenzia di servizi, che risolve problemi senza l’impiccio delle regole, fa impresa e rende prestazioni a prezzi inferiori a quelli di mercato.
    Il modello imprenditoriale è cambiato rispetto a 20-30 anni fa, molti servizi vengono esternalizzati e lì si inseriscono le infiltrazioni.
    Non a caso vediamo nascere e morire nel giro di 1-2 anni, in modo da sfuggire al controllo fiscale, società cooperative, che evadono del tutto o fanno indebita compensazione di crediti previdenziali con fittizi crediti Iva.
    Il meccanismo funziona così: un’impresa anche medio-grande, il committente, fa un contratto con una “società filtro”, la quale subappalta a queste cooperative, meri contenitori di manodopera a bassissimo costo non qualificata. Di questo sistema si avvantaggiano il mafioso che fa impresa e l’impresa committente».
  • Chi ci rimette? «L’erario (e quindi la cittadinanza, meno introiti meno soldi per i servizi pubblici ndr.), i concorrenti e i lavoratori: sono i nuovi schiavi, vittime di caporalato, presi per fame, pagati miseramente in nero, senza sicurezza».
  • Tante imprese sono state “mangiate” dai mafiosi, chi li chiama non li teme? «Si illude di controllarli, ma non ce la fa. Alla lunga è un pessimo affare».
  • Hanno ascoltato i suoi timori per i cantieri di Milano-Cortina 2026? «Speravo si replicasse il modello Expo: una deroga normativa che aveva assegnato al prefetto di Milano la competenza delle verifiche antimafia per tutte le imprese coinvolte, stavolta non lo si è fatto, forse per la complessità della presenza di più Regioni».
  • Un’impresa che non voglia affidarsi alla cooperativa sbagliata come fa? «Stabilisce nel modello 231 che i costi dei servizi esternalizzati non siano inferiori a una certa soglia, in modo da escludere imprese illegali, così evita anche di giocarsi la reputazione finendo in amministrazione giudiziaria».
  • Le misure di prevenzione servono? «Spesso i prefetti sono il primo argine antimafia. La repressione non basta: mi capita di richiedere custodie cautelari per persone che hanno già scontato condanne per associazione mafiosa a seguito di miei procedimenti di anni prima. Ci ritroviamo».
  • Che cosa la preoccupa oggi? «La possibile saldatura tra le tre organizzazioni attorno alla convergenza di interessi economici».
  • Intervista di Famiglia Cristiana, in occasione del 21 marzo, Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime di mafia Elisa Chiari 31.3.2023


  • Mafia, Alessandra Dolci: «Imprese colluse perchè convinte di risparmiare»
  • Da sinistra Francesco Condoluci, il giudice Alessandra Dolci e il consigliere regionale della Lombardia Angelo Orsenigo
  • Così come cambia la mafia, devono cambiare anche le leggi che la combattono. Più rapidamente di quanto abbiano fatto in passato. E sopratutto, non bisogna abbassare la guardia, anche se oggi «le cosche non sparano più ma si presentano in giacca e cravatta».
    In sintesi è quanto è emerso nel dibattito tenutosi oggi alla biblioteca “Paolo Borsellino” di Como promosso dal Progetto San Francesco e dal Comune nell’ambito delle “settimane della legalità” con gli istituti scolastici.
    A moderare c’era il nostro caporedattore Francesco Condoluci, responsabile di Economy magazine, presente al dibattito anche come autore – assieme al generale Angiolo Pellegrini – del libro “Noi, gli uomini di Falcone”. Alla mattinata con gli studenti delle scuole di Como hanno partecipato Alessanda Dolci,magistrato e coordinatrice della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano e Angelo Orsenigo componente della commissione antimafia della Regione Lombardia.
  • Quello strano paese che è l’Italia
  • «L’italia è un Paese strano – ha detto la Dolci commentando in apertura il trentennale della strage di Capaci del 23 maggio scorso- un paese nel quale l’opinione pubblica e lo stesso legislatore prendono atto dei problemi solo dopo che sono successi fatti eclatanti. Dopo l’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa sono state approvate molte leggi di urgenza, come la Rognoni-La Torre sull’associazione a delinquere di stampo mafioso e la confisca dei patrimoni mafiosi, il carcere duro, l‘ergastolo ostativo.
    Oggi a distanza di molti anni dall’epoca delle stragi e con le mafie che sono cambiate, vanno in giro in abito blu e sparano solo quando è necessario, alcuni di questi strumenti vengono messi in discussione. Ecco perché io dico che dopo la grande ondata di sdegno civile seguita alle stragi del 1992 è tutto quello che c’è stato, oggi quella tensione morale sembra essere venuta meno».
    Il capo del pool antimafia di Milano, nel suo intervento, ha ripercorso anche le strutture e le logiche che stanno dietro alla criminalità organizzata, raccontando agli studenti la connivenza tra mafie e imprese in Lombardia. «Molti pensano che la ‘ndrangheta sia un’agenzia di servizi a cui rivolgersi per risolvere un problema o per poter lavorare in un territorio – ha detto- ma il mafioso presenta sempre il conto, anche agli imprenditori che danno lavoro alle imprese mafiose perché risparmiano. Ora la mafia ha molti più strumenti disposizione, ricorre alla violenza solo se necessario. E il Paese sembra girarsi dall’altra parte». La coscienza civica negli anni è cresciuta ma non a sufficienza, insomma.
    Orsenigo: «Diffondere la consapevolezza sulla mafia tra i giovani»
    Lo ha confermato l’intervento di Angelo Orsenigo componente commissione antimafia Regione Lombardia. «Sono fermamente convinto che la nostra missione più importante – ha detto il consigliere Pd – il lascito di Falcone e Borsellino a trent’anni da Capaci e via D’Amelio, sia di diffondere tra le nuove generazioni la consapevolezza di cosa sia la mafia oggi. Con i giovani dobbiamo insistere sulla metamorfosi del crimine organizzato che ha accantonato le azioni militari eclatanti per infiltrare l’economia, la politica, la pubblica amministrazione, il ciclo dei rifiuti, gli appalti e gli innumerevoli altri aspetti della quotidianità. Bisogna dare alle ragazze e ai ragazzi gli strumenti per poter riconoscere i “sintomi” mafiosi che ormai sono sempre più evidenti anche sul territorio lombardo. Conoscere, riconoscere e denunciare: ecco l’impegno che dobbiamo chiedere a noi stessi e ai nostri concittadini. A questo si affianca poi il ruolo dello Stato che deve continuare a impegnare “tutte le forze migliori delle istituzioni”, come diceva Falcone, senza pretendere “l’eroismo da inermi cittadini” fornendo loro gli strumenti sicuri per denunciare senza correre rischi” dichiara il consigliere regionale del Partito Democratico, Angelo Orsenigo».
    «Nelle indagini che porto avanti ormai da vent’anni – ha continuato il giudice Dolci, che anni ha ha istruito la maxi operazione “Crimine Infinito” sgominando “i locali” di Ndrangheta ramificati in Lombardia – è emersa una costante: il mafioso si comporta come tale perché il potere e la paura che promana, la sua “cattiva fama”, gli garantiscono un vantaggio rispetto alle comunità in cui agiscono e che vogliono soggiogare. Ma l’appartenenza a un’organizzazione criminale implica il rispetto di regole rigide che alla fine si ritorcono sempre contro il mafioso stesso.
    Quello che mi addolora – sono state ancora le parole del magistrato – è scoprire spesso, nel corso delle indagini, la presenza di rappresentanti delle istituzioni “infedeli” che si mettono al servizio della mafia.
    Queste persone contravvengono al giuramento prestato da servitori dello Stato e meritano il massimo della pena. Troppo spesso lo Stato italiano dà l’idea di uno “Stato molle” che trova più conveniente scendere a patti con i mafiosi piuttosto che combatterli» ha concluso Dolci. ECONOMY MAGAZINE 26.5.2022
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  • 25.10.2021 – ALESSANDRA DOLCI A CANTÚ A “NOI SIAMO LORO”
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  • 31.1.2020 – La mafia a Mariano. Alessandra Dolci racconta le indagini
  • Sala civica gremita per guardare in faccia la ‘ndrangheta.
  • La mafia a Mariano. Il sostituto procuratore Alessandra Dolci venerdì sera ha raccontata le indagini svolte in città.
    «La sicurezza di un territorio non la si fa combattendo solo la microcriminalità, il vero cancro del Nord sono le mafie».
    L’associazione «Penta» di Mariano Comense ha proposto una serata di confronto sul tema della presenza delle mafie locali al Nord. L’appuntamento è stato per venerdì 26 maggio, alle 20.30, alla sala civica di piazza Roma.
    Si sono passati la parola per l’occasione Pino Masciari divenuto testimone di giustizia, Alessandra Dolci, sostituto procuratore di Milano e Stefano Tosetti, responsabile di Libera Como. Ha moderato il giornalista del Giornale di Cantù, Alessandro De Servi
    «28 arresti. Smantellato il Locale di Mariano». La ’ndrangheta è sulla bocca di tutti. Era febbraio 2016.  Non era la prima volta che Mariano si trovava faccia a faccia con una criminalità organizzata. Questa era rimasta per troppo tempo sommersa nelle coscienze. Ma 28 arresti sono numeri che lasciano il segno. Si inizia a dare nome e cognome a chi lavora nell’ombra.
    Sembrerebbe una crociata infinita quella contro la ’ndrangheta. Lo dicono i nomi scelti dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano per connotare le maxi inchieste che in Brianza negli ultimi anni.
    Del 2008 è «Tenacia». Nel 2010 scatta invece «Infinito» in cui si chiarisce il ruolo di Salvatore Muscatello, il boss ultra-ottantenne che tirava le fila dalla sua casa al Pollirolo a Mariano Comense. Sono gli anni del famoso summit dei 16 Locali a Paderno Dugnano nel 2009. In quella occasione la ’ndrangheta si dà una gerarchia territoriale. 
    Poi nel 2012 parte «Ulisse». Viene passata al setaccio la cosca dei Cristello e i traffici tra Seregno e Giussano. Intanto gli inquirenti con «Insubria» nel 2014, grazie a un numero impressionante di intercettazioni, documentano i rituali tipici della mafia calabrese. Si va dal conferimento delle doti, quali la Santa e il Vangelo, fino alle occasioni dei battesimi, per fidelizzare i membri. In questo caso specifico, delle tre locali di Cermenate, Fino Mornasco e Caloziocorte.
    Sempre nel 2014 le indagini nell’ambito di «Quadrifoglio» portano alla decapitazione della cosca dei Galati con base a Cabiate.  Il rapporto connivente tra mafia e imprenditori è sotto gli occhi di tutti. Il colpo inferto è letale.
    Mariano torna invece alla ribalta nel 2016 con «Crociata»: la città è centro nevralgico dello spaccio di droga tra il sud e il nord Europa, un mercato tenuto in piedi con minacce ed estorsioni soprattutto a danno dei piccoli commercianti. E in tutto questo il treno di Expò è un catalizzatore potentissimo per la mafia.  Laura Mosca

  • La ‘ndrangheta a Como é una presenza inquietante

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  • La procuratrice Alessandra Dolci, a capo della Direzione antimafia di Milano, conferma che i gruppi criminali hanno messo radici da tempo
  • Il Comasco per la sua vicinanza al Canton Ticino continua a essere in Lombardia la terra prescelta dalla ’ndrangheta. Lo afferma Alessandra Dolci, procuratore aggiunto, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, magistrato di lungo corso nella lotta alla criminalità organizzata: «La provincia di Como in questo momento è la zona di maggiore interesse operativa per il mio ufficio». Parole come pietre quelle pronunciate mercoledì sera a Erba, nel corso di un incontro promosso dal Lions Club erbese, dal magistrato inquirente che alla direzione della Dda è succeduta a Ilda Boccassini che in questi giorni lascia il servizio per aver raggiunto l’età della pensione: «Il primo territorio lombardo scelto dalla ’ndrangheta è stato la zona di Como.
    Fin dagli anni Cinquanta a Fino Mornasco, registriamo la prima ’ndrina di Giffone. E questo lo si può ben comprendere: la vicinanza con il Canton Ticino e le sue banche. Insomma, la possibilità di riciclare soldi, provenienti soprattutto dal traffico internazionale di droga. A questo proposito tengo a evidenziare il fatto che la ’ndrangheta sta colonizzando il mondo intero.
    Ci sono stati anni in cui la ’ndrangheta radicata nel Comasco controllava il traffico di armi dal Ticino alle regioni del Sud».
    Alessandra Dolci nel corso dell’incontro di Erba ha fatto capire che il suo ufficio è impegnato in inchieste che riguardano anche in Canton Ticino. Da qui la richiesta di rogatorie internazionali.
    Ovviamente il capo della Dda milanese non è entrata (e non poteva essere diversamente) nel merito delle inchieste. Si è limitata a rimarcare la stretta collaborazione con la magistratura svizzera: «Le notizie di reato da noi segnalate sono utili anche ai nostri colleghi svizzeri».
    A supportare l’affermazione che la ’ndrangheta ha messo le radici nel Comasco Alessandra Dolci ha fornito alcuni dati, riferiti agli ultimi dieci anni: oltre 100 arresti.
    Gli ultimi cinquanta provvedimenti restrittivi nell’ambito delle operazioni ‘Insubria’ e ‘Rinnovamento’ con addentellati in Canton Ticino.
    Prima ancora c’era stata l’operazione ‘Infinito’ che con la sentenza della Cassazione, per la prima volta, ha scolpito nella roccia la presenza della ’ndrangheta nel Comasco, oltre che in Lombardia.
    A proposito dell’operazione ‘Infinito’ il capo della Dda milanese ha raccontato un aneddoto: «Ricordo un funzionario di banca erbese entrato in affari con Pasquale Varca (capo della ’ndrina di Erba) e Franco Crivaro (entrambi pesantemente condannati per associazione mafiosa, ndr), che mi ha detto: “La loro protezione mi dà sicurezza”. Ecco, la mafia vende protezione e ancora oggi c’è chi si rivolge a lei».
    Anche nell’ambito dell’operazione ‘Insubria’ era stato accertato che il capo della ’ndrina di Cermenate, frontaliere a Bellinzona, oltre a garantire sicurezza, riscuoteva i crediti di un imprenditore comasco, all’epoca attivo nel Mendrisiotto. LA REGIONE 7.12.2019

  • 19.7.2018 – Ad ALESSANDRA DOLCI il Premio Nazionale Paolo Borsellino 2018

     

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    19.7.2018 Alessandra Dolci: “Nel loro sacrificio la forza per continuare”

    Il capo della direzione distrettuale antimafia di Milano: “Troppi ragazzi che incontro non sanno chi siano Falcone e Borsellino. Ma un Paese senza memoria non ha futuro. Se vogliamo contrastare la mafia dobbiamo remare tutti insieme”.

     

    ALESSANDRA DOLCI, Procuratore aggiunto e Coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia e Misure di Prevenzione di Milano, il 27 ottobre ha ricevuto il PREMIO NAZIONALE PAOLO BORSELLINOcon la seguente motivazione: “Alessandra Dolci, nemica numero uno della criminalità organizzata di tutto il Nord Italia. Ha coordinato una delle operazioni antimafia più monumentali di sempre, chiamata Crimine-Infinito.”

     “Troppi ragazzi che incontro non sanno chi siano Falcone e Borsellino. Ma un Paese senza memoria non ha futuro. Se vogliamo contrastare la mafia dobbiamo remare tutti insieme” NEL LORO SACRIFICIO LA FORZA PER CONTINUARE”
    L’autorevolezza si coglie nella rapidità cortese con cui smista, senza negarsi a nessuno, le numerose interruzioni che si affacciano, bussando o trillando via telefono, al suo ufficio al sesto piano del Palazzo di Giustizia di Milano. Alessandra Dolci è da qualche mese al vertice della Direzione distrettuale antimfia (Dda) e solo alla quarta volta che non riesce a finire una frase, sbuffa tra sé ridendo: «Sembra il call center di un supermercato». 
    Dietro la scrivania assieme a un poster di Castel Del Monte, emblema architettonico di una solida razionalità che le corrisponde, e ai crest araldici, omaggio delle forze dell’ordine, la foto sorridente di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e il manifesto simbolo dei magistrati   uccisi nell’esercizio delle funzioni: due rose spezzate e l’elenco con i 27 nomi. Il senso di averli lì lo ha spiegato in pubblico, il 18 luglio 2018, commemorando al Pirellone alla Commissione antimafia di Milano, Paolo Borsellino e gli agenti caduti a via D’Amelio: «Capita nel nostro lavoro, di provare momenti di stanchezza, che di solito arriva dopo i periodi di massima tensione, di sentire lo sconforto per un risultato non raggiunto, per una sentenza che non condividi. In quei momenti mi volto, vedo le rose spezzate e sento tornare l’energia e la passione per il lavoro».
    La storia di Alessandra Dolci, pur poco nota ai più fin qui, dice che non le manca nulla per tenere il vortice sotto controllo: non l’esperienza, 32 anni di magistratura, molti in antimafia, portati benissimo; non le phisique du rôle, per guidare uno degli uffici più esposti. Dottoressa Dolci, la mafia è un nemico che si rigenera. Pensa mai: “Chi me lo fa fare?”  «Mai. Amo questo lavoro bello e nobile, cerco di farlo al meglio: mi muove questo, non la certezza della vittoria sul crimine organizzato».

    Difficile dare fiducia ai cittadini? «No, ma è importante che capiscano che si deve remare tutti nella stessa direzione. La legalità è faticosa: significa chiedere lo scontrino all’idraulico invece che accordarsi per non pagare l’Iva; significa rispettare le regole del vivere civile, non solo il Codice penale: in questo Paese si va affermando l’idea che tutto ciò che è penalmente lecito sia eticamente corretto, non è così».

    Negli anni siamo peggiorati? «Quando ho iniziato avvertivo più senso solidaristico, specie nelle comunità medio-piccole. Ora vedo una sorta di rassegnazione all’illecito. Le indagini ci dicono che spesso sono gli imprenditori lombardi a chiedere protezione e favori alla ’ndrangheta.
    Le tre grandi aree di devianza del Paese, crimine organizzato, corruzione ed evasione, a Milano si sono sposate».

    Il processo noto come “Infinito”, cui ha lavorato a lungo, ha dato ai cittadini coscienza della ’ndrangheta al Nord e a voi? «Lo dico sentendomi piccola: dal punto di vista processuale rappresenta qualcosa di simile al maxiprocesso di Palermo per Cosa nostra.
    L’aver dimostrato che la ’ndrangheta è unitaria, anche se in modo diverso da Cosa nostra e non parcellizzata in ’ndrine separate, permette a chi fa i processi dopo “Infinito” di non dover provare ogni volta che chi appartiene al singolo “locale” di ’ndrangheta si avvale del metodo mafioso, basta provarne l’appartenenza.
    Le istituzioni non possono dire non sapevo, come facevano prima nonostante le indagini della Procura di Milano negli anni ’90. Anche i cittadini sono più attenti, vogliono capire». 

    Secondo i dati emersi dalla ricerca presentata da Nando Dalla Chiesa e dalla sua squadra di ricercatori, la Lombardia è la quinta regione per beni confiscati alla criminalità organizzata, tra i beni capita che ci siano  aziende, si pone il problema dei posti di lavoro? «Se lo è posto anche il legislatore, che nel testo unico ha previsto un fondo di garanzia per le imprese sequestrate al crimine organizzato.
    Da un lato la riemersione nella legalità costa, perché le aziende mafiose fanno concorrenza sleale con prezzi al di sotto del mercato e vivono per questo: ci si chiede se sia giusto che il costo della riemersione gravi sulla collettività. Dall’altro lato, però, la confisca delle aziende ha un significato anche simbolico: non può passare l’idea che dove arriva lo Stato si perdono posti di lavoro. Riadattare gli immobili confiscati per destinarli a fini sociali è impegnativo per i Comuni, ma ci sono begli esempi: a Rescaldina un ristorante confiscato alle ’ndrine ora è gestito da una cooperativa sociale che dà lavoro a persone con disabilità, fantastico».

    È lombarda d’origine e di studi, com’è arrivata all’antimafia? «Destino credo. A Monza durante il mio primo turno esterno da pubblico ministero, avevo 26 anni, la Polizia trovò sette chili e mezzo di esplosivo al plastico in capo a soggetti calabresi.
    Io da giovane magistrato interrogai subito il proprietario dell’area in cui era stato trovato il bidone, ma mentre parlava con me gli andò a fuoco casa.
    Quel processo finì perché tutti gli imputati furono vittima di due distinti agguati in una guerra tra famiglie».

    Succede di aver paura? «A me non è mai capitato, forse sono incosciente. Ma è vero che serve forte carica ideale per fare questo lavoro senza provare timore, io mi sento un po’ un soldato.
    Mi ripeto una citazione di Tacito: “Nel momento della prova ricordatevi di chi vi ha preceduto e pensate a chi verrà dopo di voi” (indica dietro la scrivania la foto di Falcone e Borsellino e l’elenco dei 27 magistrati italiani uccisi, ndr), per questo vado nelle scuole: se nessuno li racconta ai ragazzi, sono morti per niente».

    Ha figli? «No, ma penso ai figli degli altri: un Paese senza memoria non ha futuro».

    Milano è l’unica Dda che abbia visto fin qui due donne avvicendarsi al vertice, è stato complicato prendere il posto di una personalità forte e conosciuta come Ilda Boccassini? «Sono legata a Ilda Boccassini da grande stima e amicizia, abbiamo vissuto anni di magnifica collaborazione in questo ufficio che ha ancora bisogno di contare sulla sua esperienza.
    È una successione nel segno della continuità, ma avverto la responsabilità, spero di essere all’altezza dei predecessori».

    Il testo unico ha riordinato di recente le leggi antimafia. Aiuta? «È un ottimo strumento contro la criminalità organizzata e dà profitto: non solo mafiosi, anche corruttori, evasori, bancarottieri, truffatori seriali».

    Sono crimini transnazionali, l’Europa fa passi avanti? «Lentamente cresce la collaborazione, il mandato d’arresto europeo è in netto miglioramento».

    Da donna e magistrato che effetto le ha fatto il caso del corso per aspiranti magistrati in cui si chiedeva alle donne un “dress code” a base di minigonne in cambio di borse di studio? «Sono rimasta un po’ sorpresa dall’atteggiamento poco reattivo delle allieve del corso, spero sia dipeso dalla giovane età, spero che se sono diventate magistrati abbiano strutturato il carattere nei valori fondamentali: indipendenza ed equilibrio.
    Al magistrato servono schiena dritta e cuore saldo, deve resistere alle pressioni».

    Il carattere c’è o si impara? «L’esperienza aiuta: a 23 anni ero molto diversa da ora, ma, per com’ero, avrei mandato a correre chi mi avesse proposto una borsa di studio con un contratto improprio, anche se venivo da una famiglia che non poteva mantenermi a lungo. L’articolo 54 della Costituzione dice che le funzioni pubbliche si esercitano con disciplina e onore.
    La toga “si porta” anche nel privato: non solo per motivi disciplinari o penali, ma anche di opportunità».

    Ha indagato colleghi alla fine condannati. Che effetto fa? «Vorrei tanto che non mi capitasse mai più».

    Famiglia Cristiana  Elisa Chiari

     

    Dolci Alessandra

     

    6.2.2018  L’EVOLUZIONE DELLA ‘NDRANGHETA IN LOMBARDIA – VIDEO

     




  •   ALESSANDRA DOLCI (video) :

     

  • https://progettosanfrancesco.it/2018/10/22/ad-alessandra-dolci-il-premio-nazionale-paolo-borsellino-2018/
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  • «La ’ndrangheta ha il controllo sia fisico che economico del territorio comasco»

  • La ’ndrangheta esercita «il controllo del territorio sia fisico che economico» e lo fa attraverso personaggi che «appartengono alla storia della criminalità organizzata calabrese in Lombardia». Il tutto attraverso un «uso sistematico di violenze e di minacce nei confronti di un numero notevole di imprenditori». Aggressioni, estorsioni e violenze per le quali 11 persone sono finite a processo, davanti al Tribunale di Como, con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso e di una serie di reati, soprattutto di natura economica, che hanno denotato un tentativo di infiltrazione nel tessuto economico comasco.
    In sintesi è l’atto d’accusa pronunciato nell’aula del Tribunale di Como dal pubblico ministero Pasquale Addesso, della Direzione distrettuale antimafia di Milano. LA PROVINCIA 22.3.2023


    Comunità mafiose a Como: attive otto locali di ‘ndrangheta

    “Uno dei più fulgidi esempi di comunità mafiosa al Nord Italia”. Con queste parole viene presentata la provincia di Como nell’ultimo monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia,presentato il mese scorso dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata, in collaborazione con Polis Lombardia. Un documento che richiama le riflessioni emerse ieri, nel giorno della cattura del super latitante Matteo Messina Denaro, durante il convegno sul contrasto alle mafie organizzato dal Sindacato Autonomo di Polizia di Como. “Le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia sono partite dal territorio comasco – ha ricordato il magistrato antimafia Alessandra Dolci – ma se in passato si parlava di piccoli insediamenti, oggi si parla di radicamento”. Anna Campaniello ETV 17.1.2023


    Como, la mafia avanza sul Lario: “Presenti tutte le cosche

    Como la mafia non cresce solo d’estate, ma prolifica tutto l’anno come dimostra l’ultimo Rapporto Regionale sulla presenza della criminalità che individua il Lario come una delle aree a più alta infiltrazione di tutta la Lombardia. Sono presenti praticamente tutte le principali associazioni criminali, italiane e straniere, anche se a fare la parte del leone è la ‘ndrangheta con otto locali riconosciute: Como, Appiano Gentile, Senna Comasco, Fino Mornasco, Erba, Canzo-Asso e Mariano Comense. Nel caso di Fino Mornasco basta la definizione fornita dai magistrati che la indicano come “uno dei più fulgidi esempi di comunità mafiosa al Nord Italia”. Cantù non è da meno, dal 2014 al 2016 i rampolli del clan Morabito e le giovani leve della ‘ndrangheta ricorsero a una “strategia militare” a suon di pestaggi e minacce per controllare i locali del centro e imporre loro la gestione di un servizio di sicurezza. Alla fine, nel 2019, furono condannati in nove a oltre un secolo di carcere, pena successivamente confermata in Cassazione. Proprio il contrario del modus operandi seguito dai loro padri e i nonni, visto che la ‘ndrangheta da queste parti è presente dagli anni ’50, che preferivano agire nell’ombra tene ndo un basso profilo per compiere meglio i loro affari. Una strategia quest’ultima che le cosche sono tornate a seguire, secondo gli inquirenti, per svolgere i loro lucrosi affari legati, in particolar modo, al traffico di sostante stupefacenti.
    Altre attività centrali sono le estorsioni e l’usura, spesso collegate tra di loro, con gli imprenditori utilizzati come “collaboratori esterni” e l’utilizzo, grazie a commercialisti compiacenti, di architetture finanziarie elaboratissime per riciclare il denaro sporco e reinvestirlo nell’economia legale.
    «Il mondo dell’imprenditoria e il mondo della ‘ndranghetaconoscono la logica dei profitti che è il linguaggio comune di questi due mondi – spiega il sostituto procuratore di Como, Pasquale Addesso, in un passaggio della relazione – inoltre vi è un rapporto timoroso tra imprenditoria e Stato, c’è una resistenza a rivolgersi a quest’ultimo”. Negli ultimi anni è aumentato il numero delle imprese “nate per fallire” e destinate alla bancarotta fiscale: le società vengono create per durare pochi anni e consentire l’evasione, infine si avviano al fallimento. In questo modo diversi imprenditori sono stati assoggettati ai gruppi criminali e le loro aziende sono diventate di proprietà delle organizzazioni mafiose. IL GIORNO 10.12.2022


    La ‘ndrangheta di casa su quel ramo del lago di Como


  • 2023 – FORTE PRESENZA DEI CLAN NEL COMASCO
  • 2022 – ’NDRANGHETA A COMO – INTERVISTA C.TE GUARDIA DI FINANZA
  • 2022 – ’NDRANGHETA NEL COMASCO
  • 2022 – LA MAFIA AVANZA SUL LAGO
  • 2021 – MAFIA A COMO E IN LOMBARDIA
  • 2021 – IL COMASCO TERRA DI CONQUISTA PER
  • 2021 – LA PROCURA: UNA ‘NDRANGHETA 2.0
  • 2020 – COMO SECONDA PROVINCIA DEL NORD PER DENSITÀ MAFIOSA

  • 7.12.2019 La ‘ndrangheta a Como é una presenza inquietante
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  • La procuratrice Alessandra Dolci, a capo della Direzione antimafia di Milano, conferma che i gruppi criminali hanno messo radici da tempo
  • Il Comasco per la sua vicinanza al Canton Ticino continua a essere in Lombardia la terra prescelta dalla ’ndrangheta. Lo afferma Alessandra Dolci, procuratore aggiunto, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, magistrato di lungo corso nella lotta alla criminalità organizzata: «La provincia di Como in questo momento è la zona di maggiore interesse operativa per il mio ufficio». Parole come pietre quelle pronunciate mercoledì sera a Erba, nel corso di un incontro promosso dal Lions Club erbese, dal magistrato inquirente che alla direzione della Dda è succeduta a Ilda Boccassini che in questi giorni lascia il servizio per aver raggiunto l’età della pensione: «Il primo territorio lombardo scelto dalla ’ndrangheta è stato la zona di Como. Fin dagli anni Cinquanta a Fino Mornasco, registriamo la prima ’ndrina di Giffone. E questo lo si può ben comprendere: la vicinanza con il Canton Ticino e le sue banche. Insomma, la possibilità di riciclare soldi, provenienti soprattutto dal traffico internazionale di droga. A questo proposito tengo a evidenziare
    il fatto che la ’ndrangheta sta colonizzando il mondo intero. Ci sono stati anni in cui la ’ndrangheta radicata nel Comasco controllava il traffico di armi dal Ticino alle regioni del Sud».
    Alessandra Dolci nel corso dell’incontro di Erba ha fatto capire che il suo ufficio è impegnato in inchieste che riguardano anche in Canton Ticino. Da qui la richiesta di rogatorie internazionali. Ovviamente il capo della Dda milanese non è entrata (e non poteva essere diversamente) nel merito delle inchieste. Si è limitata a rimarcare la stretta collaborazione con la magistratura svizzera: «Le notizie di reato da noi segnalate sono utili anche ai nostri colleghi svizzeri».
    A supportare l’affermazione che la ’ndrangheta ha messo le radici nel Comasco Alessandra Dolci ha fornito alcuni dati, riferiti agli ultimi dieci anni: oltre 100 arresti. Gli ultimi cinquanta provvedimenti restrittivi nell’ambito delle operazioni ‘Insubria’ e ‘Rinnovamento’ con addentellati in Canton Ticino. Prima ancora c’era stata l’operazione ‘Infinito’ che con la sentenza della Cassazione, per la prima volta, ha scolpito nella roccia la presenza della ’ndrangheta nel Comasco, oltre che in Lombardia.
    A proposito dell’operazione ‘Infinito’ il capo della Dda milanese ha raccontato un aneddoto: «Ricordo un funzionario di banca erbese entrato in affari con Pasquale Varca (capo della ’ndrina di Erba) e Franco Crivaro (entrambi pesantemente condannati per associazione mafiosa, ndr), che mi ha detto: “La loro protezione mi dà sicurezza”. Ecco, la mafia vende protezione e ancora oggi c’è chi si rivolge a lei».
    Anche nell’ambito dell’operazione ‘Insubria’ era stato accertato che il capo della ’ndrina di Cermenate, frontaliere a Bellinzona, oltre a garantire sicurezza, riscuoteva i crediti di un imprenditore comasco, all’epoca attivo nel Mendrisiotto. LA REGIONE