E la Maiolo rivela la lettera-accusa della moglie Scarantino. Poche ore e Vincenzo Scarantino ci ha ripensato. Continua a collaborare con la giustizia, non toma in carcere, rimane superprotetto dagli agenti segreti antimafia. E sarà ancora pagato, come tutti gli altri pentiti. Nessun contraccolpo, dunque, sul processo per la strage di via D’Amelio. Il pentito coimputato della strage ha detto al pm Carmelo Petralia della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta che il suo è stato solo «un momento di sconforto».
E ha assicurato: «Confermo la volontà di collaborare con la giustizia». Intanto si accendono mille fuochi sulla sua scelta. E adesso si incrociano i dubbi sulla sua attendibilità e su quella di tanti altri pentiti. Dubbi che fanno il gioco della mafia. A Caltanissetta negli uffici della procura dove è stato istruito il processo i magistrati hanno aperto in fretta un’inchiesta. Cercano molte spiegazioni e, soprattutto, vogliono sapere perché i familiari di Scarantino, prima fra tutti l’anziana madre, mercoledì si erano affrettati a rendere pubblica la dissociazione.
Cosa c’è sotto? Un nuovo tentativo della mafia di scalfire la credibilità dei pentiti o soltanto le paure di un uomo che non riesce a vedere il suo domani? In una nota la procura di Caltanissetta ha definito «grave» il comportamento della madre di Scarantino e di quanti «hanno strumentalizzato un comprensibile desiderio di affetto per fini processuali che nulla hanno a che vedere con una vicenda che presenta tratti esclusivamente umani». L’inchiesta affidata ai due pm del processo (Carmelo Petralia e Anna Maria Palma) tende ad accertare se la mafia abbia esercitato pressioni su Scarantino e sui suoi congiunti. Di «comprensibile momento di sconforto» è tornato a parlare l’avvocato Luca Falzone che difende Scarantino che ieri le ha confermato il mandato. «Adesso l’ha superato e a nessuno è consentito strumentalizzare la fragilità del suo carattere – ha aggiunto l’avvocatessa Falzone -. Mi sembra evidente di poter dire che c’è una campagna di delegittimazione».
A Roma Tiziana Maiolo, presidente della commissione Giustizia della Camera ha ritenuto di rendere pubblica la lettera inviata il 26 marzo dell’anno scorso da Rosalia Basile, moglie di Scarantino, alla figlia di Enzo Tortora, Silvia, giornalista. Epoca, per cui lavora Silvia Tortora, non l’aveva pubblicata e dopo averne dato l’anticipazione ieri lo farà ora. Ne vien fuori la descrizione di tormenti inauditi inflitti al «picciotto» perché si pentisse nel penitenziario di Pianosa dove un funzionario di polizia per terrorizzarlo avrebbe detto a Scarantino di avergli iniettato il virus dell’Aids e lo avrebbe anche minacciato di impiccarlo, facendo poi credere ad un suicidio. «Un vero carnefice», scrive Rosalia Basile. Antonio Ravidà La Stampa
E ha assicurato: «Confermo la volontà di collaborare con la giustizia». Intanto si accendono mille fuochi sulla sua scelta. E adesso si incrociano i dubbi sulla sua attendibilità e su quella di tanti altri pentiti. Dubbi che fanno il gioco della mafia. A Caltanissetta negli uffici della procura dove è stato istruito il processo i magistrati hanno aperto in fretta un’inchiesta. Cercano molte spiegazioni e, soprattutto, vogliono sapere perché i familiari di Scarantino, prima fra tutti l’anziana madre, mercoledì si erano affrettati a rendere pubblica la dissociazione.
Cosa c’è sotto? Un nuovo tentativo della mafia di scalfire la credibilità dei pentiti o soltanto le paure di un uomo che non riesce a vedere il suo domani? In una nota la procura di Caltanissetta ha definito «grave» il comportamento della madre di Scarantino e di quanti «hanno strumentalizzato un comprensibile desiderio di affetto per fini processuali che nulla hanno a che vedere con una vicenda che presenta tratti esclusivamente umani». L’inchiesta affidata ai due pm del processo (Carmelo Petralia e Anna Maria Palma) tende ad accertare se la mafia abbia esercitato pressioni su Scarantino e sui suoi congiunti. Di «comprensibile momento di sconforto» è tornato a parlare l’avvocato Luca Falzone che difende Scarantino che ieri le ha confermato il mandato. «Adesso l’ha superato e a nessuno è consentito strumentalizzare la fragilità del suo carattere – ha aggiunto l’avvocatessa Falzone -. Mi sembra evidente di poter dire che c’è una campagna di delegittimazione».
A Roma Tiziana Maiolo, presidente della commissione Giustizia della Camera ha ritenuto di rendere pubblica la lettera inviata il 26 marzo dell’anno scorso da Rosalia Basile, moglie di Scarantino, alla figlia di Enzo Tortora, Silvia, giornalista. Epoca, per cui lavora Silvia Tortora, non l’aveva pubblicata e dopo averne dato l’anticipazione ieri lo farà ora. Ne vien fuori la descrizione di tormenti inauditi inflitti al «picciotto» perché si pentisse nel penitenziario di Pianosa dove un funzionario di polizia per terrorizzarlo avrebbe detto a Scarantino di avergli iniettato il virus dell’Aids e lo avrebbe anche minacciato di impiccarlo, facendo poi credere ad un suicidio. «Un vero carnefice», scrive Rosalia Basile. Antonio Ravidà La Stampa