26.9.1988 – MAURO ROSTAGNO, una voce scomoda da spegnere

 

 

Mauro Rostagno (Torino, 6 marzo 1942Lenzi di Valderice, 26 settembre 1988) è stato un sociologo, giornalista e attivista italiano. Cresciuto a Torino in una famiglia di umili origini, muore a 46 anni in Sicilia, vittima di un agguato mafioso.[1][2]. È stato uno dei fondatori del movimento politico Lotta Continua e della comunità socioterapeutica Saman, inizialmente ispirata al movimento di Osho Rajneesh.

Le prime esperienze Era figlio di genitori piemontesi, entrambi dipendenti Fiat. Cresciuto a Torino, in una casa popolare nella zona di corso Dante, nel 1960, a diciott’anni, si sposa con una ragazza poco più giovane di lui, dalla quale ha la prima figlia. Per tale motivo non riesce subito a conseguire la ormai prossima maturità scientifica.

Dopo pochi mesi lascia la moglie e la figlia e si allontana dall’Italia. Si reca prima in Germania, poi nel Regno Unito, dove si adatta a svolgere i mestieri più umili. Tornato in Italia, si stabilisce a Milano dove, presa la licenza liceale con il proposito di fare il giornalista, resta coinvolto in un clamoroso gesto di protesta, rischiando di essere investito da un tram mentre è sotto il consolato spagnolo si protesta per la morte di un ragazzo ucciso in Spagna dal regime franchista. Questo gesto servirà a fargli capire che la militanza politica sarà l’attività fondamentale nella sua vita.[3]

Emigra nuovamente, questa volta in Francia, e si stabilisce a Parigi. L’esperienza transalpina, tuttavia, dura poco. Nel corso di una manifestazione giovanile, viene fermato dalle forze dell’ordine e successivamente espulso dalla Francia..

A Trento si iscrive alla neonata facoltà di Sociologia, divenendo ben presto uno dei leader di punta del Sessantotto. Come giovane militante del Psiup, insieme ad altri studenti quali Marco Boato, Renato Curcio, Mara Cagol, Marianella Pirzio Biroli, dal 1966 anima il movimento degli studenti dell’Università degli Studi di Trento, e che culminerà nel 1968 con una pesante stagione di contestazioni. Da un lato si verificherà un’esperienza irripetibile nel panorama accademico italiano, determinando una clamorosa rottura dei vecchi schemi didattici, dall’altro condurrà molti dei suoi protagonisti all’estremismo di sinistra e alla drammatica esperienza della lotta armata, tra cui Curcio (Rostagno, in questo periodo soprannominato anche “il Che di Trento”, divise anche l’appartamento con lui per un po’ di tempo) e la Cagol, che fonderanno in seguito le Brigate Rosse.[4]

A confrontarsi con gli studenti del Movimento sono professori come Francesco Alberoni, Giorgio Galli, Beniamino Andreatta. Non mancano i momenti di tensione, le occupazioni della Facoltà, gli scontri con i missini e le forze dell’ordine. La fase più creativa della contestazione lascia dunque ben presto il posto a momenti molto più aspri.

Mauro, marxista libertario, non violento e profondamente contrario alla lotta armata, fu tra i fondatori del movimento Lotta Continua insieme con Adriano Sofri, Guido Viale, Marco Boato, Giorgio Pietrostefani, Paolo Brogi, Enrico Deaglio nel 1969.

Nel 1970 Rostagno si laurea in sociologia con una tesi di gruppo su Rapporto tra partiti, sindacati e movimenti di massa in Germania, con una provocatoria discussione nonostante la quale consegue il massimo dei voti e la lode.

Dopo l’arresto di Marco Boato in seguito ad alcuni scontri con la polizia (successivamente verrà assolto con formula piena), Rostagno intensifica la propria attività di leader politico di estrema sinistra.

Dopo la laurea, per due anni fa il ricercatore al CNR, poi si trasferisce a Palermo tra il 1972 e il 1975, perché gli viene conferito l’incarico di assistente nella cattedra di sociologia dell’Università di Palermo. In quegli anni si occupa di diffondere il movimento politico di Lotta Continua come responsabile regionale. Alle Elezioni politiche italiane del 1976 si candida alla Camera come LC nella lista Democrazia Proletaria nei collegi di Milano, Roma e Palermo, ma il seggio non scatta per pochi voti.

Dopo lo scioglimento di Lotta Continua, alla fine del 1976, da lui fortemente voluto, ritorna a Milano e nell’ottobre 1977 è fra i fondatori del locale Macondo (nome tratto da Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez), un centro culturale che divenne punto di riferimento per l’estrema sinistra alternativa, fino a quando non venne chiuso dalla polizia il 22 febbraio 1978, per le attività legate a spaccio di sostanze stupefacenti. Rostagno viene arrestato ma prosciolto.

Dopo la chiusura del centro culturale Macondo, sceglierà di recarsi in India insieme alla compagna Elisabetta Roveri, che è per tutti Chicca, una ragazza milanese conosciuta nel 1970 all’Università di Milano, e alla loro figlia Maddalena.[5]

A Poona si unisce agli arancioni del guru Bhagwan Shree Rajneesh (in seguito noto come Osho), di cui è divenuto seguace leggendo un suo libro che gli era stato portato mentre era in carcere per la vicenda del Macondo[6], prendendo nel 1979, dal suo Maestro il nome di Swami Anand Sanatano (Sanatano significa “eterna beatitudine”).[7]

Nel 1981, quando Osho si trasferisce negli Stati Uniti d’America per fondare la controversa comunità di Rajneeshpuram in Oregon, Rostagno torna in Italia e fonda a Lenzi, vicino a Trapani, la Comunità Saman, insieme a Francesco Cardella e Chicca Roveri, divenuta nel frattempo la sua seconda moglie. All’inizio si tratta di una comune arancione, centro di meditazione di Osho Rajneesh, e successivamente diviene comunità terapeutica che si occupa tra l’altro del recupero di persone tossicodipendenti.[8]

Durante questo periodo si avvicina al leader socialista Bettino Craxi, che sostiene le attività di Saman e degli amici di Rostagno e Cardella.

Dal giornalismo di denuncia alla morte Dalla metà degli anni ottanta lavora come giornalista e conduttore anche per l’emittente televisiva locale Radio Tele Cine (RTC), dove in seguito si avvale della collaborazione anche di alcuni ragazzi della Saman. Intervista Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia, e indaga su Cosa Nostra e il suo potere. Attraverso la TV denuncia le collusioni tra mafia e politica locale: tra i tanti servizi giornalistici di denuncia del fenomeno, la trasmissione di Rostagno seguiva tutte le udienze del processo per l’omicidio del sindaco Vito Lipari, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola e Mariano Agate, che durante la pausa di un’udienza mandò a dire a Rostagno che «doveva dire meno minchiate» sul suo conto[9].

Il 26 settembre 1988 paga la sua passione sociale e il suo coraggio con la vita: viene assassinato in un agguato in contrada Lenzi, a poche centinaia di metri dalla sede della Saman, all’interno della sua auto, una Fiat Duna DS bianca, da alcuni uomini nascosti ai margini della strada; mentre rientrava alla comunità con una giovane ospite (che si salverà divenendo l’unica testimone del delitto) i sicari mafiosi gli spararono con un fucile a pompa calibro 12, che scoppiò in mano ad uno degli assassini, e una pistola calibro 38.[10]

Rostagno muore così all’età di 46 anni. È stato sepolto al cimitero di Valderice, con un funerale religioso.[10][11]

Bettino Craxi e Claudio Martelli, quest’ultimo presente al funerale di Rostagno, indicarono subito la responsabilità della mafia nell’omicidio, ma nel 1996 la procura di Trapani reagì all’indicazione della pista mafiosa, accusando i due esponenti socialisti di voler depistare le indagini. La pista mafiosa fu quella che venne proposta subito dopo il delitto anche dai quotidiani siciliani e nazionali.

Sul luogo dell’agguato è stato posizionato un monumento commemorativo che recita: Mauro Rostagno – “vittima della mafia” – «Io sono più trapanese di voi perché ho scelto di esserlo».[12]

Le ipotesi sull’omicidio  La Corte d’Assise di Trapani ha confermato la natura mafiosa dell’omicidio, condannando i boss Virga e Mazzara. Rimangono da accertare i rapporti tra la mafia e la massoneria deviata denunciati da Beniamino Cannas e Caterina Ingrasciotta.[13]

Indagini, piste alternative e depistaggi

La mafia  Il delitto mafioso fu la pista percorsa immediatamente dagli inquirenti: il capo della squadra mobile Calogero Germanà affermò che si trattava di un delitto tipicamente mafioso mentre il maggiore Nazareno Montanti, capo del Reparto operativo dei Carabinieri di Trapani, lo riteneva un omicidio commesso da dilettanti, per il fatto del fucile esploso in mano al sicario.[15]

Durante l’ultimo processo, che individuò in due esponenti della mafia siciliana i responsabili dell’omicidio, emerse in maniera evidente il modo maldestro con cui i Carabinieri di Trapani, comandati dal maggiore Nazareno Montanti, portarono avanti le indagini. Il pubblico ministero Gaetano Paci denunciò durante il processo come fossero scomparse delle prove, come testimoni chiave fossero stati ascoltati con ritardo e come le intercettazioni fossero state attivate solo otto mesi dopo l’omicidio[15][16]. Dichiarò in aula: «Le prime indagini sull’omicidio di Mauro Rostagno condotte dai carabinieri del Reparto Operativo di Trapani furono scandite da troppe anomalie. In quest’aula abbiamo dovuto inevitabilmente processare certi atteggiamenti delle forze dell’ordine, ma anche di questo palazzo di giustizia, e in generale della città di Trapani. Perché troppe sono state le insufficienze investigative, le omissioni, le sottovalutazioni. Ma anche orientamenti di pensiero di taluni rappresentanti istituzionali dell’epoca naturalmente adesivi verso la presenza mafiosa.[15]»

Forte emerse il sospetto di tentativi di depistaggio sulle prime indagini che esclusero subito il movente di mafia  Nel 1989 fu inoltre ucciso Giuseppe Mastrantonio, un tecnico dell’Enel, impiegato in contrada Lenzi, che era l’autista del boss mafioso Vincenzo Virga: infatti la sera dell’omicidio Rostagno, lungo il viottolo dove avvenne il delitto mancò misteriosamente la corrente elettrica a causa di un black out: secondo alcune testimonianze, la cabina elettrica era stata manomessa; secondo gli inquirenti, Mastrantonio manomise la cabina e partecipò anche al delitto ma la richiesta di riesumazione del cadavere per confrontare l’impronta dei polpastrelli di Mastrantonio con quella rinvenuta su un bossolo ritrovato sul luogo dell’omicidio non fu accolta.

I depistaggi. Tuttavia negli anni successivi, l’indagine passò nelle mani di diversi magistrati che indagarono su piste alternative a quella mafiosa: infatti poco tempo prima di essere ucciso, Rostagno ricevette una comunicazione giudiziaria sull’uccisione del commissario Luigi Calabresi e avrebbe potuto, secondo quest’ipotesi, accusare gli ex compagni di Lotta Continua di coinvolgimento nel delitto; anche in questo caso non si raccolsero che scarsi indizi. Il “pentito” di LC Leonardo Marino aveva accusato Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi dell’omicidio Calabresi e furono inviati avvisi di garanzia a gran parte dell’ex dirigenza del movimento extraparlamentare per coinvolgimento nel delitto o in rapine di autofinanziamento.[17] La pista che legava l’omicidio Rostagno al delitto Calabresi fu in realtà un depistaggio, suggerito da un carabiniere ad un giudice milanese, che poi difatti la smentì.[18] Il colonnello dei carabinieri Elio Dell’Anna attribuì al magistrato Lombardi (giudice istruttore nel processo per l’omicidio del commissario Calabresi) affermazioni come “il Rostagno era al corrente di tutte le motivazioni, compresi esecutori e mandanti concernenti l’omicidio Calabresi (…) il Rostagno aveva rotto i ponti con i suoi ex compagni di Lotta e forse aveva intenzione di dire la verità” e la convinzione che l’omicidio fosse maturato nel contesto di Lotta Continua. Lombardi invece negò decisamente di avere mai affermato che il delitto Rostagno era da collegarsi all’omicidio Calabresi.[18] Sofri, amico di Rostagno e a cui fu impedito di partecipare al funerale, fu uno dei più forti sostenitori della pista mafiosa difendendo sempre gli amici e la moglie di Rostagno che saranno accusati negli anni successivi.[17] Anche l’avvocato con cui il fondatore di Saman si era confidato, Giuliano Pisapia, smentirà seccamente le menzogne contenute nel rapporto del colonnello Dell’Anna: «Rostagno non voleva certo testimoniare contro i suoi compagni, come provano le registrazioni dei suoi interventi alla televisione privata di Trapani dove ribadiva la sua fiducia a Sofri e rivendicava la propria militanza in Lotta continua.[19]» La procura di Trapani, nel 1996, ipotizzò ancora – su indicazione della DIGOS – che il delitto potesse essere maturato all’interno di Saman per spaccio di stupefacenti tra i membri della comunità, suscitando forti polemiche. Inviò mandati di cattura ad alcuni ospiti della comunità, individuati come esecutori materiali del delitto, a Cardella (all’inizio raggiunto solo da un avviso di garanzia) come mandante (che si rifugiò in Nicaragua) e alla Roveri, compagna di Rostagno, accusata di favoreggiamento; anche questa pista completamente inconsistente, per altro oggetto di pesanti speculazioni giornalistiche, fu poi abbandonata. La Roveri venne scarcerata dopo un periodo, e la sua detenzione per ordine del pm Garofalo venne duramente criticata da molti, tra cui lo stesso Adriano Sofri.[17][20] Taluni hanno parlato di questa pista come di un altro depistaggio.[18] In seguito Francesco Cardella e il suo autista Giuseppe Cammisa furono indicati come trafficanti di armi: un’inquietante teoria, che descriveva la morte di Rostagno come legata alla scoperta di un traffico d’armi con la Somalia, attraverso due ex dragamine della marina svedese acquistati dal Cardella per la Saman come sede “marina” della comunità, ma che spesso furono visti a Malta e, sembra, nel corno d’Africa.

Presunti collegamenti col delitto Alpi-Hrovatin Nel 1997 emerse una pista che portava al traffico d’armi e alla guerriglia somala, all’uccisione della giornalista Ilaria Alpi (assieme a quella del suo cameraman Miran Hrovatin) in Somalia e all’agente del SISMI (i Servizi segreti militari italiani), il maresciallo Vincenzo Li Causi; quest’ultimo operò in quegli anni per l’organizzazione Gladio a Trapani e nella zona coordinò una base logistica del SISMI, la Skorpio, presso il Centro Scorpione, nata nel 1987 e dietro alla quale, secondo diverse dichiarazioni, si nascose una cellula di Gladio. Nel 1991 il Sismi lo aveva poi inviato ripetutamente in Somalia dove il 12 novembre 1993 morì in un agguato compiuto da banditi, come successe anche alla Alpi il 20 marzo 1994. In sintesi, l’ipotesi suggerisce che Rostagno avesse scoperto un traffico di armi, tramite le rivelazioni della moglie di un ufficiale trapanese dei servizi (Angelo Chizzoni) [22] in cui fossero coinvolti Cardella, Cammisa e i Servizi deviati e volesse farne pubblica denuncia. Tuttavia non furono mai trovate prove concrete a sostegno di queste piste, che vennero tutte archiviate. Il legame con Gladio invece emergerà anche sulla pista mafiosa, attraverso un intreccio tra cosche, massoneria deviata, settori militari corrotti e Gladio stessa (in passato collegamenti di ex “gladiatori” con la mafia sono emersi già per quanto riguarda la strage di Alcamo Marina, avvenuta sempre nel trapanese), finalizzato al traffico di droga e armi, mettendo in luce un inquietante legame con episodi criminosi come l’omicidio Alpi-Hrovatin. L’accertamento della morte di Rostagno per mano della mafia non ha mai escluso difatti il collegamento con il traffico d’armi.[23][24] La convinzione che Rostagno fosse stato ucciso su ordine di “poteri forti” (e che fosse meno importante l’esecutore materiale quanto piuttosto il motivo), fu anche quella dell’amico di gioventù Renato Curcio; anche se successivamente dirà di aver parlato sull’onda dell’emozione, il fondatore delle BR nel 1993 dichiarò:«In tanti cercheranno di dire che è morto perché la mafia lo ha ucciso, perché qualche spacciatore lo ha ucciso, perché qualche amante deluso lo ha ucciso. Ma niente di tutto ciò ci racconterà la storia di Mauro perché Mauro non è morto per nessuna di queste ragioni. E la ragione per cui è morto resterà inconfessabile, impossibile da raccontare.[4]»

Pista mafiosa  Nel 1997 l’inchiesta passò alla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che acquisì le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia: secondo il collaboratore Vincenzo Sinacori (ex esponente di spicco della cosca di Mazara del Vallo), l’omicidio Rostagno era stato determinato dai suoi interventi giornalistici di denuncia che davano fastidio agli esponenti di Cosa Nostra della provincia di Trapani, i quali discussero la sua eliminazione in occasione di alcuni incontri tenutisi a Castelvetrano, a cui partecipò Sinacori stesso insieme ai boss mafiosi Francesco Messina Denaro (all’epoca rappresentante mafioso della provincia di Trapani), Francesco Messina (detto Mastro Ciccio, mafioso di Mazara del Vallo) e altri; in seguito Sinacori apprese che Messina Denaro aveva dato incarico a Vincenzo Virga (capo della cosca di Trapani e del relativo mandamento) perché provvedesse all’uccisione di Rostagno[25].

Le dichiarazioni di Sinacori vennero anche confermate dai collaboratori Giovanni Brusca ed Angelo Siino, che parlò anche di un misterioso viaggio compiuto in Sicilia da Licio Gelli (Gran Maestro della loggia P2) nel periodo del finto sequestro del bancarottiere Michele Sindona (agosto-ottobre 1979)[26]; secondo Siino, Gelli venne in Sicilia per proporre un piano separatista ai massoni trapanesi, che in realtà doveva servire per fare arrivare un avviso ricattatorio ai precedenti alleati politici di Sindona. Infatti le indagini dell’epoca non avevano considerato alcuni verbali redatti da Rostagno alcuni mesi prima di essere ucciso, in cui scriveva di essere venuto a conoscenza che Gelli era venuto a Trapani più di una volta ed era stato ospitato dai boss mafiosi Mariano Agate (iscritto alla loggia massonica segreta Iside 2) e Natale L’Ala[27].

Oltre alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, vennero acquisiti i risultati di una perizia balistica che accertò che Rostagno venne ucciso con lo stesso fucile impiegato per eliminare il poliziotto Giuseppe Montalto nel 1995 e per compiere altri omicidi di mafia nella provincia di Trapani; come esecutore materiale del delitto Montalto era già stato condannato in via definitiva Vito Mazzara, capo della cosca di Valderice e strettamente legato al boss Vincenzo Virga: per queste ragioni, nel 2009 venne inviato un mandato di custodia cautelare in carcere per Virga e Mazzara, accusati di essere rispettivamente il mandante e uno degli esecutori materiali del delitto Rostagno[28].

A Trapani, dal febbraio 2011, è stato riaperto il processo per la morte di Rostagno, dopo 23 anni dall’uccisione del giornalista per mano mafiosa.[29]

La Corte d’Assise di Trapani, presieduta da Angelo Pellino, nel maggio 2014 ha condannato in primo grado all’ergastolo i boss trapanesi Vincenzo Virga e Vito Mazzara, accusati dell’omicidio di Rostagno.[13] Tra le motivazioni del delitto, deciso dai vertici di Cosa Nostra trapanese vi sarebbero le sue numerose denunce del potere della criminalità mafiosa siciliana (specialmente sull’omicidio Lipari) e il rifiuto del giornalista a più miti consigli, fatto con minacce e pressioni.[30] In memoria di Mauro Rostagno nasce il premio di giornalismo scolastico “Mauro Rostagno” promosso da Libera.[31] Mauro Rostagno è ricordato ogni anno il 21 marzo nella Giornata della Memoria e dell’Impegno di Libera, la rete di associazioni contro le mafie, che in questa data legge il lungo elenco dei nomi delle vittime di mafia e fenomeni mafiosi.

Nel 2011, insieme con Andrea Gentile, la figlia minore Maddalena Rostagno ha pubblicato un libro sulla storia e sul suo rapporto con l’amato padre, intitolato: Il suono di una mano sola – Storia di mio padre Mauro Rostagno, edito da Il Saggiatore, (2011).[32]


26.1.2021   LA CASSAZIONE: “FU MESSINA DENARO A ORDINARE L’OMICIDIO DI MAURO ROSTAGNO”» di Rino Giacalone. L’attività giornalistica di Mauro Rostagno, sociologo e giornalista, torinese di origine, tra i fondatori di Lotta Continua, «poneva in crisi il sistema di potere criminale imperante nella provincia di Trapani». Da qui la decisione di Cosa nostra di uccidere il 26 settembre 1988 Mauro Rostagno, 46 anni, che all’epoca dirigeva a Trapani l’emittente televisiva Rtc. 

La Cassazione (presidente Di Tomassi, relatore Santalucia) ha così scritto nelle 38 pagine con le quali ha motivato la conferma della condanna all’ergastolo del capo mafia di Trapani Vincenzo Virga, mandante, «per volere del capo mafia della provincia di Trapani, Francesco Messina Denaro» dell’omicidio. 

Rostagno, come hanno confermato diversi collaboratori di giustizia, testimoniando nel processo di primo grado svoltosi dinanzi alla Corte di Assise di Trapani (presidente Pellino a latere Corso) rappresentava per la mafia trapanese una “camurria”, una persona fastidiosa, da eliminare. Furono tentati dalla mafia tentativi a zittirlo attraverso l’editore della tv dove Rostagno, giornalista  intelligente e caparbio, dove di fatto faceva da direttore, un ridimensionamento dell’attività giornalistica che però non ci fu, tanto che la mafia aveva anche pensato di uccidere per vendetta e punizione l’editore, l’imprenditore Puccio Bulgarella. 

La Cassazione, che però nulla ha detto sulle connessioni esistenti nel trapanese tra mafia e massoneria, sui quali parecchio si soffermarono i giudici di primo grado descrivendo lo scenario in cui maturò il delitto, ha condiviso le sentenze di primo grado e di appello a proposito della responsabilità nel delitto del capo mafia di Castelvetrano, Francesco Messina Denaro, morto nel 1998, ma all’epoca dell’omicidio Rostagno indiscusso capo della cupola della provincia di Trapani. 

Da “don” Ciccio Messina Denaro, padre dell’attuale latitante Matteo, arrivò la condanna a morte di Mauro Rostagno. Il pentito Angelo Siino ha riferito dell’odio di Francesco Messina Denaro verso Rostagno, e dei relativi propositi di sopprimerlo a causa delle inchieste giornalistiche sul contesto mafioso trapanese. «Francesco Messina Denaro – ha riferito il pentito Vincenzo Sinacori – disse di aver dato incarico a Vincenzo Virga di eseguire l’omicidio di Mauro Rostagno» e questo «particolare non è per nulla incompatibile con la ricostruzione di come operassero gli organi di vertice di Cosa nostra nella deliberazione di omicidi eccellenti». E quello di Mauro Rostagno fu un delitto eccellente. Al quale fece seguito la solita opera di “mascariamento” della vittima, tipico comportamento mafioso per distrarre gli investigatori, messa in campo in molti delitti mafiosi. 

La sentenza di primo grado fu pronunciata nel 2014, 26 anni dopo il delitto. Anni segnati da gravissime lacune investigative, veri e propri depistaggi, scomparsa di brogliacci di intercettazioni e verbali, che hanno agevolato Cosa nostra nel potersi nascondere bene dietro le quinte del delitto. Il processo si concluse anche con l’ipotesi di accusa per falsa testimonianza di dieci testi, tra loro un paio di massoni e un luogotenente dei Carabinieri, Beniamino Cannas. 

Il processo per le false testimonianze è nella fase finale, si profila la prescrizione per i dieci imputati e tra loro c’è anche l’elvetica Leonie Heur, la vedova di un generale dei servizi segreti, Angelo Chizzoni. La donna ha negato di avere informato Rostagno di certi segreti. Segreti che porterebbero alla cosiddette piste alternative che però per la Cassazione sono infondate: non vi sono nel delitto partecipazioni di “entità esterne” a Cosa nostra. Si è sempre detto che Rostagno sarebbe stato prossimo a svelare l’esistenza di traffici di armi all’interno di un aeroporto militare abbandonato, ai quali partecipavano servizi di intelligence, ma per i giudici della massima corte «non vi sono dati di fatto sui quali poter ipotizzare che, successivamente alla deliberazione dell’omicidio, intervennero altri soggetti, estranei al contesto mafioso e comunque interessati alla eliminazione fisica di Mauro Rostagno». 

Sulle cosiddette piste esterne la Cassazione sostiene che sono state tutte sondate, e comunque le ipotesi che richiamerebbero altro movente per il delitto non sono tesi che vedrebbero esclusa la matrice mafiosa.  Mancanza di riscontri per l’altro imputato del processo, il conclamato killer di mafia Vito Mazzara, ergastolano e presunto esecutore del delitto Rostagno per gli investigatori, condannato in primo grado ma assolto in Appello e in Cassazione. 

Mazzara, nel trapanese capo della famiglia mafiosa di Valderice e Custonaci – campione nazionale di tiro al volo – andava in giro in quegli anni a uccidere spesso accompagnato dall’attuale latitante Matteo Messina Denaro, che all’epoca sebbene giovanissimo era stato già autore di spietati delitti. Ma i sicari dell’omicidio Rostagno dopo la Cassazione restano ancora senza volto. Vincenzo Mastrantonio, operaio Enel, guardia spalle del mafioso Virga, per come ha raccontato il pentito Francesco Milazzo, sarebbe stato l’unico che avrebbe conosciuto i nomi dei “picciotti”. Milazzo raccolse la confidenza da Mastrantonio che gli disse che a fare il delitto erano stati “i picciotti di Valderice”. Mastrantonio, che avrebbe fatto si di far restare al buio la stradina di campagna dove Rostagno fu ucciso, a sua volta però fu ammazzato qualche settimana dopo l’omicidio del giornalista.


Opere letterarie

Note

  1. ^ fonte: Mauro Rostagno: Prove tecniche per un mondo migliore
  2. ^ Rostagno, operaio, sociologo e sessantottino Da Lotta Continua a Saman, fino ai killer, la Repubblica, 23 maggio 2009. URL consultato il 26 settembre 2019 (archiviato il 28 maggio 2009).
  3. ^ fonte: Mauro Rostagno: Prove tecniche per un mondo migliore.
  4. ^ a b Omicidio Rostagno, lacrime e segreti di Curcio, su altriconfini.it. URL consultato il 1º ottobre 2015 (archiviato il 10 agosto 2015).
  5. ^ Rostagno, operaio, sociologo e sessantottino. Da Lotta Continua a Saman, fino ai killer, su repubblica.it. URL consultato l’8 ottobre 2011 (archiviato il 28 maggio 2009).
  6. ^ Come detto dalla sorella Carla nel documentario Rai della serie Diario civile dedicato a Rostagno (Mauro Rostagno: il giornalista vestito di bianco)
  7. ^ Maddalena Rostagno, Andrea Gentile, Il suono di una sola mano. Storia di mio padre Mauro Rostagno, 2011, su books.google.it. URL consultato il 1º ottobre 2015 (archiviato il 2 ottobre 2015).
  8. ^ Da Lotta Continua agli “arancioni”. Storia di un leader, su ricerca.repubblica.it. URL consultato l’8 ottobre 2011 (archiviato il 16 gennaio 2014).
  9. ^ L’omicidio del sindaco di Castelvetrano, Vito Lipari Archiviato il 5 ottobre 2015 in Internet Archive. Castelvetranoselinunte.it
  10. ^ a b Rostagno tu finirai ammazzato, su ricerca.repubblica.it. URL consultato l’8 ottobre 2011 (archiviato il 16 gennaio 2014).
  11. ^ L’hanno crivellato di colpi, su ricerca.repubblica.it. URL consultato l’8 ottobre 2011 (archiviato il 16 gennaio 2014).
  12. ^ Frase dello stesso Rostagno, che ripeteva spesso.
  13. ^ab Mafia: Rostagno;condannati all’ergastolo due boss – Sicilia – ANSA.it, su ansa.it. URL consultato il 16 maggio 2014 (archiviato il 16 maggio 2014).
  14. ^ Le indagini sull’omicidio Rostagno furono depistate Archiviato il 21 ottobre 2013 in Internet Archive. Antimafiaduemila.com
  15. ^ a b c d Depistaggi eccellenti per coprire i boss che uccisero, su ricerca.repubblica.it. URL consultato il 2 giugno 2015 (archiviato il 2 ottobre 2015).
  16. ^ Mauro Rostagno, l’ultima proroga (1.a parte – dicembre 2007) – YouTube, su youtube.com. URL consultato il 2 giugno 2015 (archiviato il 16 marzo 2016).
  17. ^abc Adriano Sofri, Vi ricordate di Mauro Rostagno? Ve lo ricordate vivo? Vi ricordate che morì ammazzato? Archiviato il 4 ottobre 2015 in Internet Archive., il Foglio, 23 maggio 2009
  18. ^abc Benedetta Tobagi, L’ombra dei depistaggi sul processo Rostagno Archiviato il 1º ottobre 2015 in Internet Archive., 26 settembre 2012, Centro Impastato
  19. ^ Delitto Rostagno, la sentenza a 25 anni dall’omicidio, tra menzogne e piste inesistenti, su ilfattoquotidiano.it. URL consultato il 1º ottobre 2015 (archiviato il 26 settembre 2015).
  20. ^ «Il magistrato che ne ordinò la plateale cattura non aveva altro appiglio che la propria stolida vanità. Arrivò al punto di deplorare i sospetti sollevati sulla mafia, e quasi scusarsene… Per non farsi mancare niente, quel magistrato mandò un manipolo di armati a cercare Chicca anche a casa mia, la mattina dell’arresto: trovata imbecille e lusinghiera» scrisse l’exc leader di LC nel 2009.
  21. ^ L’omicidio di Mauro Rostagno e l’omicido mascherato da suicidio di Niki Aprile Gatti, su agoravox.it. URL consultato il 3 maggio 2019 (archiviato il 2 febbraio 2017).
  22. ^ www.linformazione.eu, su linformazione.eu. URL consultato il 2 ottobre 2018 (archiviato il 2 ottobre 2018).
  23. ^ Rostagno e la storia di una città che subisce ancora la mafia e le connivenze pericolose
  24. ^ Mauro Rostagno e gli appunti dimenticati: forse le prove della “trattativa”, su ilariaalpi.it. URL consultato il 1º ottobre 2015 (archiviato il 2 ottobre 2015).
  25. ^ Delitto Rostagno, i racconti dei pentiti Archiviato il 4 ottobre 2013 in Internet Archive. Antimafiaduemila.com
  26. ^ Mauro Rostagno, processo sotto silenzio, su ilfattoquotidiano.it. URL consultato il 29 agosto 2012 (archiviato il 15 agosto 2012).
  27. ^ Marsala.Tp24.it , Il primo quotidiano on line di Marsala e della Provincia di Trapani: cronaca, politica, antimafia, sport, cultura[collegamento interrotto]
  28. ^ Il delitto Rostagno fu deciso dai boss dopo 21 anni scoperti mandante e killer – Repubblica.it, su repubblica.it. URL consultato il 17 settembre 2013 (archiviato il 9 settembre 2013).
  29. ^ Trapani, parte il processo Rostagno Archiviato l’11 marzo 2011 in Internet Archive., giovanidivalore.it, febbraio 2011
  30. ^ Mauro Rostagno, le motivazioni: “Logge e 007, ma ad ammazzarlo fu Cosa nostra”, su ilfattoquotidiano.it. URL consultato il 1º ottobre 2015 (archiviato il 9 ottobre 2015).
  31. ^ Premio di giornalismo scolastico “Mauro Rostagno”, su libera.it (archiviato dall’url originale il 18 ottobre 2011).
  32. ^ Maddalena Rostagno è anche membro attivo di Ciao Mauro, con cui è riuscita a raccogliere le 10.000 firme, provenienti da tutta Italia, che richiedevano la riapertura delle indagini sull’omicidio di Rostagno. Nel processo riaperto la figlia e la madre si sono anche costituite parte civile. (A.V. La giusta parte. Testimoni e storie dell’antimafia 2011; Intervista di Fabrizio Feo a Maddalena Rostagno all’apertura del processo sul delitto Rostagno – Rai 3 – Persone; liberainformazione.org Archiviato il 12 dicembre 2011 in Internet Archive.; Recensione di Valeria Gandus Il fatto quotidiano su Maddalena Rostagno Archiviato il 26 giugno 2012 in Internet Archive.)
  33. ^ Maddalena Rostagno – Andrea Gentile – Il suono di una sola mano. Storia di mio padre Mauro Rostagno, Ed. Il Saggiatore – 2011

Bibliografia

Filmografia

  • A Trento, vent’anni dopo, intervista di Lillo Gullo a Mauro Rostagno, Rai- TgR Trentino-Alto Adige, 27 febbraio 1988
  • Saman, regia di Guido Tosi, film per la TV trasmesso da Rai Due, 1992
  • Vita e morte di Mauro Rostagno, Luci ed ombre di Gianni Lo Scalzo, 1996
  • Macondo a Milano 1977-78, di Michele Sordillo, 2004
  • Una voce nel vento, su koinefilm.it., documentario su Mauro Rostagno, regia di Alberto Castiglione, 2005
  • Le due città, il ’68 a Trento, di L. Pevarello, 2008
  • Sanatano. La Vita di Mauro Rostagno, di Federico Zanghì, 2012
  • La Rivoluzione in Onda, documentario di Alberto Castiglione, 2015
  • Mauro Rostagno, il giornalista vestito di bianco, documentario di Antonio Carbone, Rai Storia, 2016

Omicidio Il 26 settembre 1988, alle 20:20, Rostagno usciva dagli studi televisivi di Rtc assieme assieme ad una sua collaboratrice. Tutti i lampioni che portavano dalla stazione televisiva alla comunità di Saman erano stranamente spenti. In seguito si sarebbe scoperto che il tecnico dell’Enel incaricato di quel settore era niente meno che l’autista di Vincenzo Virga, capo mandamento di Trapani. All’altezza della frazione di Valderice, in contrada Lenzi, l’auto di Rostagno venne fermata da due uomini nascosti nell’ombra, che spararono con un fucile a pompa calibro 12 e una pistola calibro 38. Rostagno morì sul colpo, mentre la sua collaboratrice rimase pressoché illesa

Varie indagini furono condotte in merito all’omicidio.

  • La pista mafiosa (condotta dal commissario Rino Germanà) fu una delle prime ad essere vagliata dagli inquirenti, ma le indagini non riuscirono a individuare prove sufficienti.
  • La pista interna: il giornalista sarebbe stato ucciso per contrasti interni alla comunità di Saman; Francesco Cardella, il suo socio e co-fondatore della comunità, venne accusato di essere il mandante, e la compagna Elisabetta Roveri di favoreggiamento.
  • La pista politica: Rostagno, pochi giorni prima di essere ucciso, era stato chiamato a Milano a deporre dai giudici che stavano indagando sull’omicidio del commissario Luigi Calabresi; ad ucciderlo, dunque, sarebbero stati i suoi ex compagni di Lotta Continua perché Rostagno conosceva il nome dell’assassino del commissario Calabresi.

Un’ulteriore pista legava l’attività giornalistica di Rostagno all’uccisione in Somalia dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Dalle dichiarazioni rese dai testi e dai collaboratori della comunità, emerse che Rostagno aveva dichiarato di aver assistito nei pressi dell’Aeroporto di Chinisia, abbandonato, all’atterraggio di un aereo militare, da cui erano state scaricate delle casse, e caricatene delle altre. I testi a cui Rostagno aveva poi raccontato l’accaduto, dichiararono che il giornalista era riuscito a scorgere l’interno delle casse, piene di armi. Rostagno aveva filmato tutta l’operazione, e si era recato agli studi per riversare il contenuto della minicassetta in una cassetta da vedere in un videoregistratore. Quel giorno Rostagno avrebbe dichiarato: “Stasera manderò in onda un servizio che farà tremare l’Italia“, ma il servizio non sarebbe stato mai trasmesso. Contenuta nella borsa dalla quale non si separava mai, la misteriosa videocassetta sparì nel nulla dopo l’omicidio: dalle fotografie del luogo dell’agguato il contenuto della borsa appariva rovesciato sul sedile posteriore dell’auto, senza che della videocassetta vi fosse però traccia.

L’iter giudiziario Nel 1997 la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo prese le redini delle indagini. Grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Sinacori (esponente di spicco della cosca di Mazzara del Vallo), si apprese come il movente dell’omicidio Rostagno sarebbero state le denunce e le indagini compiute dal giornalista, diventate troppo scomode per gli affari di Cosa Nostra. La decisione di uccidere Rostagno sarebbe stata presa ad una riunione a Castelvetrano (TP) alla quale avrebbe partecipato lo stesso Sinacori, insieme al boss trapanese Francesco Messina Denaro, a Francesco Messina mafioso di Mazzara del Vallo, ed altri esponenti della zona.

Le indagini erano prossime all’archiviazione tombale, fino a quando il procuratore aggiunto Antonio Ingroia non richiese una perizia balistica sui proiettili utilizzati nell’omicidio (mai effettuata fino ad allora). Si riuscì così a raccogliere prove sufficienti per richiedere il rinvio a giudizio dei due sospettati dell’omicidio: il boss trapanese Vincenzo Virga, come mandante dell’omicidio, e il killer Vito Mazzara, come uno degli esecutori materiali.

Processo di 1° grado Il processo si aprì il 2 febbraio 2011, a quasi 23 anni dall’uccisione del giornalista, a Trapani. La figlia di Rostagno, Maddalena, aprì un gruppo su facebook che tuttora segue ogni udienza del procedim Il 16 aprile 2014 i pm della Dda di Palermo Gaetano Paci e Francesco Del Bene chiesero la pena dell’ergastolo per i due imputati. Per la pubblica accusa, “il modus operandi seguito nel delitto Rostagno è quello tipicamente mafioso” e il movente sarebbe stato da ricondurre “all’attività giornalistica, destabilizzante della quiete criminale” che Rostagno conduceva dagli schermi dell’emittente televisiva locale Rtc. I difensori Stefano Vezzadini e Giancarlo Ingrassia, per Virga, e Vito e Salvatore Galluffo, per Mazzara, chiesero invece l’assoluzione dei loro assistiti “per non aver commesso il fatto”. Alle 23:38 del 15 maggio 2014 la Corte, presieduta da Angelo Pellino e riunita in Camera di Consiglio dalle 12 del martedì precedente nell’aula bunker del carcere di Trapani, ha emesso una condanna all’ergastolo per Vito Mazzara e Vincenzo Virga per l’omicidio di Mauro Rostagno. Il collegio ha condannato inoltre i due imputati al risarcimento delle parti civili tra le quali l’Ordine dei giornalisti, la comunità Saman, di cui Rostagno era il fondatore, i familiari del sociologo e l’Associazione della stampa. La Corte ha anche disposto la trasmissione in Procura delle deposizioni dell’ex sottufficiale dei carabinieri Beniamino Cannas, di Caterina Ingrasciotta (vedova dell’editore di Rtc), di Leonild Heur (moglie del generale dei serivizi segreti Angelo Chizzoni), del giornalista Salvatore Vassallo Salvatore, dell’ufficiale della GdF Angelo Voza, del massone Natale Torregrossa, di Antonio Gianquinto e dei tre muratori che fecero un pic-nic nell’area dove fu bruciata l’auto usata dai killer.

Ulteriori gradi di giudizio Appello Il 19 febbraio 2018 la corte d’Assise d’appello di Palermo confermò la pena dell’ergastolo per il boss Vincenzo Virga, in qualità di mandante dell’omicidio, mentre ha disposto l’assoluzione per Vito Mazzara, considerato l’esecutore materiale.


L’omicidio di Mauro Rostagno. La sorella: “Aprite gli archivi di Stato, un pezzo di verità è lì”L’unico killer individuato è stato assolto in appello. Sull’inchiesta hanno pesato depistaggi istituzionali e il segreto di Stato imposto dai vertici del Sismi, l’ex servizio segreto militare. Il giornalista sociologo indagava su un traffico d’armdi SALVO PALAZZOLO. 26 settembre 2019. LA REPUBBLICA   “Che grande amarezza — sussurra Carla Rostagno — non sappiamo ancora i nomi degli assassini di mio fratello. Ogni anno che passa è un’altra coltellata in pancia. Anche perché nessuno più indaga sulla morte di Mauro”. Di anni ne sono passati trentuno, ma la sorella del sociologo che voleva cambiare Trapani con la sua Tv non vuole arrendersi. “Dopo un lungo silenzio e tanti depistaggi, la magistratura ha fatto tanto — dice — adesso, però, è necessario che intervenga la politica. Perché un pezzo di verità è ancora custodito dentro qualche archivio di Stato”. Carla Rostagno lancia un appello: “Vorrei che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte desse un segnale chiaro in questa direzione. Disponendo l’apertura di tutti gli archivi”.

La sera del 26 settembre del 1988, entrò in azione un commando per uccidere suo fratello. L’anno scorso, l’unico killer finito sotto processo, Vito Mazzara, è stato assolto dalla corte d’assise d’appello di Palermo, che ha invece confermato la condanna per uno dei mandanti, il capomafia di Trapani, Vicenzo Virga. Una “sentenza illogica” l’ha definita lei. Ne è ancora convinta? “Dopo aver letto le motivazioni della decisione, ancora di più. Mi conforta che la procura generale diretta da Roberto Scarpinato abbia fatto ricorso in Cassazione. C’era una prova scientifica contro Mazzara: una traccia del suo Dna era emersa su un pezzo di fucile ritrovato sul luogo del delitto. Ma non è bastato”.

Mazzara ha messo in campo l’ex comandante del Ris di Parma, il generale Luciano Garofano, per smontare la perizia. “Gli esperti che sostenevano l’accusa erano altrettanto bravi e autorevoli. Confido nella Cassazione”.

Dall’esame sul pezzo di fucile era emersa un’altra traccia. “Era stata avviata un’ulteriore inchiesta della procura distrettuale antimafia di Palermo, ma non ha portato a nessun sviluppo. E i componenti del commando di sicari sono rimasti senza nome. Mauro non merita questo destino, lui che ha lottato sempre per la ricerca della verità”.

A Trapani è in corso il processo a tredici testimoni che in corte d’assise non avrebbero detto tutto quello che sapevano. “Spero che la prescrizione non spazzi via quest’altro percorso. È ormai passato molto tempo. Sono comunque grata al presidente Angelo Pellino, che ha presieduto la corte d’assise del primo processo, ha fatto una ricostruzione certosina”.

In questo caso giudiziario, il depistaggio nelle indagini non è più solo un’ombra, ma una certezza. E anni fa, i vertici del Sismi, l’ex servizio segreto militare, opposero il segreto di Stato ai magistrati di Trapani che volevano approfondire il ruolo svolto da alcuni agenti in Sicilia. L’inchiesta ruotava attorno all’ipotesi che suo fratello avesse scoperto un traffico d’armi nel vecchio aeroporto di Kinisa. “Ci vorrebbe un’iniziativa chiara da parte della politica, del governo. Chissà quante verità sulle vicende siciliane sono conservate dentro gli archivi di Stato, quelli dei ministeri, delle forze dell’ordine”.

Dopo 31 anni ha ancora fiducia che si possa arrivare a una verità? “Per anni ho combattuto in solitudine la battaglie per la verità, studiando le carte delle richieste di archiviazione e proponendo opposizione. Oggi, c’è bisogno dell’impegno di tutta la società civile per continuare questa ricerca su un delitto che fu politico-mafioso”.

Da dove ricominciare? “Nelle carte ci sono molti spunti, che riguardano ad esempio personaggi che gravitavano attorno a Francesco Cardella, morto improvvisamente all’estero mentre all’interno del processo veniva ripetutamente citato per varie circostanze. Sarà morto davvero? Questa, di certo, è una storia ancora piena di misteri”.


26 settembre 1988, la mafia uccide Mauro Rostagno di Claudio Geymonat. 26 settembre 2018

Trent’anni dopo, il ricordo della figlia Maddalena Trent’anni fa, il 26 settembre 1988, il sociologo e giornalista Mauro Rostagno veniva ucciso in un agguato mafioso alle porte di Trapani. Aveva 46 anni e aveva succhiato energia da ogni singolo giorno vissuto: giovanissimo emigrato all’estero, quindi studente di Sociologia a Trento attorno al 1968, assistente alla cattedra di sociologia all’università di Palermo, responsabile regionale siciliano di Lotta Continua (clamorosa l’occupazione della cattedrale con i senza tetto della città), fondatore a Milano del centro sociale Macondo, a cui seguiranno gli anni in India nell’ashram di Osho a Pune e infine Trapani con Saman, prima centro di meditazione, poi comunità terapeutica per tossicodipendenti, cui negli ultimi due anni aveva affiancato il lavoro da giornalista alla rete televisiva locale Rtc. Saranno proprio i suoi servizi, le inchieste e la comprensione della penetrazione di Cosa Nostra a Trapani a portare alla reazione dei capi mafia: ora trent’anni dopo, c’è finalmente anche una sentenza a certificarlo. Maddalena è la seconda figlia di Rostagno. E’ con lei che lo ricordiamo, senza la pretesa di esaurire tante esperienze in un articolo soltanto. Troppe vite in una per pensare di cavarsela con qualche migliaio di battute.

Trent’anni. Mauro Rostagno prestava attenzione alle date comandate? Ai compleanni, al Natale? «In questo, come in pressoché tutte le cose, esprimeva una sua via, non convenzionale. Il Natale credo di non averlo mai festeggiato con lui, diceva che la nostra vita era un’eterna vacanza; i compleanni sì invece. Non era per nulla legato alle ricorrenze. A Trento però andò, ci teneva molto, era il ventennale del 1968 alla Facoltà di Sociologia, con tutto quel che ne era derivato. Era febbraio, mancavano pochi mesi alla sua morte».

C’è un video di quel celebre incontro trentino del 1988: Rostagno parla con una giacchetta di un beige improponibile, ed è fin banale dire che il suo «Per fortuna abbiamo perso» suona proprio come la parola finale su un’intera lunga stagione, «amata, irripetibile». Pochi mesi dopo, all’inizio dell’autunno, Mauro Rostagno è in auto, quando sicari del boss locale Vincenzo Virga lo aspettano a poche decine di metri da quella che da 7 anni è la sua nuova casa. Con lei in Sicilia ci sono la compagna Chicca e la figlia Maddalena, che all’epoca ha 15 anni.

Inclassificabile dunque. Non è bizzarro che oggi siano in molti a celebrarne la figura, anche tanti che in vita lo guardavano – quando erano generosi – come un tipo strambo? «Ha avuto esperienze molto diverse fra loro e tutte vissute con grande intensità di rapporti e impegno. Ecco perché nei convegni, agli incontri, salta sempre fuori un trapanese, o un “macondino” che mi vengono incontro per raccontare la loro esperienza con il mio papà, il pezzo di strada fatto insieme. Penso quindi a singoli, non alle categorie, cui era allergico, direi ricambiato».

Torino, Trento, Palermo, Milano, poi l’India e infine Trapani, realtà molto differenziate. E’ la Sicilia che in questi anni ha mostrato la maggiore attenzione nel ricordare la sua figura? «Forse. Per Trapani e questa fetta di isola il suo arrivo è stato come uno choc, soprattutto quando sono iniziate le inchieste televisive. Nomi e cognomi di mafiosi detti davanti alle telecamere, prese in giro dei boss locali, naso ficcato nei malaffari. “E’ meglio che un giornalista esageri piuttosto che taccia” era una sua frase. Puoi immaginare che terremoto. E infatti Trapani ci ha messo un po’ a elaborare la sua vita e la sua morte. La prima manifestazione è del 2004. Da allora è vero che le iniziative si sono moltiplicate. Non si possono fare classifiche: penso al contributo di tutti i suoi amici degli anni di Trento che da subito hanno iniziato a raccogliere materiale di documentazione sia sulla sua figura che sulla sua morte, e ad organizzare convegni. E come dicevo prima ci sono i frequentatori di Macondo, un universo a sé».

Trent’anni, una vita, un giorno. «Sono tantissimi. Oggi ho l’età che aveva mio papà allora, e mio figlio ha la mia età di allora. La mia età da ora in poi sarà maggiore della sua, dovrò farci i conti. Sarebbe oggi un bellissimo vecchietto con barba e capelli bianchi».

Ho letto nelle testimonianze dei parenti delle vittime di mafia e terrorismo esperienze profondamente differenti su come viene vissuto il periodo successivo a un simile trauma. Fra loro c’è anche chi ha vergogna a raccontare cosa fosse accaduto al padre, al fratello. Che cosa è successo a te? «Sapevamo che cosa stava facendo lui, le inchieste, quanto era esposto. Ma era invincibile ai miei occhi, davvero mai si può pensare “potrebbe toccare a noi“. Dopo la sua morte sono tornata a scuola e in tutte le aule, sui muri, sul mio banco, c’erano frasi e disegni su Mauro. Per anni ero stata isolata dai miei compagni, e non solo, perché ero la figlia dei fricchettoni, dei drogati che fingono di curare i drogati. Stessa cosa era successa a Mauro, per lo meno fino a quando non ha iniziato il lavoro in TV. Ho smesso di andarci dal giorno dopo. Con Chicca ci siamo trasferite a Milano e lì anche all’Università non ho mai raccontato niente a nessuno, ed ero fierissima di questo: non volevo che mi conoscessero come “figlia di”, avevo bisogno di compiere il mio percorso. Ne ho parlato quando sono stata in pratica costretta dall’arresto di mia madre nel 1996».

Certo il 1996, la svolta nelle indagini, la soluzione finalmente raggiunta. Un omicidio fra drogati, con corna, amanti, passioni, solitudini. Tutto interno a Saman. Cherchez la femme; ma lo diceva già anche Sciascia, è troppo facile così. Però, prima che il castello di accuse crolli miseramente come miseramente era stato innalzato, Chicca Roveri, la compagna di Rostagno, passa 15 giorni a San Vittore. Clitennestra la chiamerà uno dei massimi giornalisti italiani. La nostra categoria ne esce discretamente a pezzi. La storia di lenzuola e sangue eccita le penne: chi in malafede, chi per sciatteria, chi per accontentare il proprio ego, si sprecano i racconti del delitto maturato fra amici.

Come hai vissuto quei giorni? «Sono stati una svolta. Prima non avevo mai letto le carte delle indagini sulla morte e sulle inchieste. Avevo 15 anni nel 1988, ne avevo 23 nel 1996, ero giovane e c’erano state altre fasi da superare. Al momento dell’arresto di mia madre ho capito che dovevo conoscere perfettamente tutti gli aspetti della vicenda per non cadere in un altro incubo. Tutto quel fango dai giornali e dalla Procura, quelle ricostruzioni false del nostro mondo, non le potevo accettare. Studiare e quindi raccontare sono stati gli strumenti che avevo in mano e con quelli ho giocato la mia partita. Abbiamo conservato tutti gli articoli, per anni, fino al processo, e prima di me era stata Chicca fin dall’inizio a mettere da parte qualsiasi cosa riguardasse questa storia. Ciò che mi dava più rabbia era la descrizione di un Mauro nell’ultimo periodo triste e solo che molti volevano dare. E’ sempre stato allegrissimo, gioioso».

Sono pochi i giornalisti che vanno contro corrente e contribuiscono a dimostrare l’assurdità della pista “interna”: fra loro si spendono in particolare Adriano Sofri e Enrico Deaglio. Questo filone si dimostra presto totalmente arido, e finalmente, siamo nel 1997, viene imboccata la strada giusta, quella che dall’inizio era apparsa immediatamente chiara ai veri servitori dello Stato, a figure come il capo della squadra mobile Calogero Germanà: il delitto era opera della Mafia. Questo ficcanaso andava messo a tacere. Nel 2011, a 23 anni dai fatti, si apre il processo contro Vincenzo Virga, capo della cosa trapanese, in qualità di mandante, e Vito Mazzara, quale esecutore materiale dell’omicidio.

La sentenza di primo grado li condanna entrambi all’ergastolo. La sentenza di appello, del febbraio di quest’anno, conferma la matrice mafiosa e l’ergastolo a Virga. Assolto invece Mazzara e le motivazioni, ancora non pubblicate nonostante siano già scaduti i termini per la consegna, sono attese per comprendere il perché di questa decisione che ancora una volta ridisegna parte della vicenda.Molte sono le manifestazioni previste in questi giorni in tutta Italia: da Trento a Torino, da Trapani a Palermo per ricordare la figura di Rostagno, sociologo, giornalista, uomo libero.