Borsellino e la strage di Via d’Amelio: 33 anni di misteri

 

Sono passati 33 anni dalla strage di via D’Amelio a Palermo in cui persero la vita Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. La vicenda – il magistrato che citofona alla madre, i 90 chilogrammi di esplosivo al plastico che si innescano, la Fiat 126 rossa trasformata in autobomba che salta in aria – è stata rievocata innumerevoli volte ma sull’episodio restano ombre e dubbi che a oltre tre decenni di distanza sono ancora tutti da chiarire.

L’autobomba esplosa alle 16.58 e venti secondi del 19 luglio 1992uccise il magistrato Paolo Borsellino, che aveva 52 anni ed era procuratore aggiunto a Palermo, gli agenti di scorta Agostino Catalano, 43 anni, Vincenzo Li Muli, 22, Walter Eddie Cosina, 30, Claudio Traina, 26, ed Emanuela Loi, 24, la prima donna della polizia a essere uccisa in servizio. Si salvò un agente, Antonio Vullo, che nel momento in cui venne azionata la bomba stava andando a parcheggiare in fondo alla via una delle auto della scorta. L’esplosione fu così potente che fu sentita in tutta la città e resti umani e pezzi di automobili furono trovati dietro il palazzo di via D’Amelio.

I punti da chiarire

La strage avvenne a distanza di soli 57 giorni dall’attentato a Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Nessuno, però aveva pensato a rendere più sicura via D’Amelio, una strada abitualmente frequentata da Borsellino: le auto potevano parcheggiare in quel tratto nonostante il metodo delle autobombe fosse già stato ampiamente collaudato in quegli anni dalla criminalità organizzata.

Molte delle scelte investigative prese fin dalla prima ora si rivelarono completamente sbagliate e ancora oggi non è stato chiarito se si sia trattato di un depistaggio o di superficialità e imperizia da parte di chi ha coordinato le indagini. Tra gli aspetti avvolti nel mistero spicca la sparizione della celebre “agenda rossa”, il taccuino personale in cui Borsellino annotava piste investigative e nomi. La sua borsa venne recuperata, consegnata al dirigente della squadra mobile Arnaldo La  Barbera; ma di quell’agenda non si sono più avute tracce. Secondo la procura di Caltanissetta, l’episodio rappresenta una fonte “inoppugnabile” – come sottolineato da Lucia Borsellino, che ricordava per certo di aver visto il padre metterla nella borsa la mattina del 19 luglio – che avrebbe potuto colmare i tasselli mancanti del quadro investigativo.

Ancora da chiarire anche il ruolo di Giovanni Tinebra, allora procuratore capo di Caltanissetta. Non avrebbe mai sollevato dubbi sul lavoro del gruppo “Falcone-Borsellino”, squadra di investigatori guidata da La Barbera, e sulle dichiarazioni del finto pentito Vincenzo Scarantino, criminale di basso rango che si auto-accusò della strage, fornendo informazioni false e portando a un grande depistaggio.

I processi finora

Finora sono stati cinque i processi svolti a Caltanissetta per la strage di via D’Amelio. Nel 2021 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva due boss palermitani, Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, e a condanne più lievi due finti pentiti.
Alcuni dei poliziotti della squadra mobile di Arnaldo La Barbera sono stati processati per favoreggiamento ma nel 2024 tre agenti sono stati prosciolti dalla Corte d’appello di Caltanissetta per prescrizione. Oggi per altri quattro componenti della squadra “Falcone-Borsellino” è in corso un processo.

Intanto è attiva la commissione parlamentare antimafia, guidata da Chiara Colosimo (Fratelli d’Italia), che ha avviato una serie di audizioni per ripercorrere ed esplorare piste alternative sulla strage e che prossimamente vuole convocare in audizione il procuratore Salvatore De Luca impegnato nelle inchieste, molte delle quali sono ancora coperte dal segreto investigativo.

La ultime mosse della procura

Negli ultimi mesi la procura di Caltanisetta guidata da De Luca, con il sostegno della Direzione nazionale antimafia, ha acceso i riflettori su piste rimaste a lungo nel cono d’ombra. Sono stati aperti fascicoli sull’ex procuratore Pignatone, Natoli e sul generale Screpanti, perché avrebbero occultato intercettazioni che mettevano in relazione mafia, servizi e gruppi economici. Gli oggetti originali sono stati successivamente ritrovati, ma saranno oggetto di perizie per valutare manipolazioni, qualità audio e contenuto.

Restano aperte anche le indagini sulla “agenda rossa”: i Ros hanno setacciato le case del procuratore defunto Tinebra in due province, cassaforte compresa, senza trovare nulla. Resta però una svolta: nelle sue carte sono emersi appunti che attestano la consegna in una scatola contenente una “agenda appartenente a Borsellino”.

A completare il mosaico ci sono le connessioni con ambienti massonici (il cosiddetto Terzo Oriente) e la procura sta interrogando persino figure di vertice per valutare se le logge abbiano agito come canale occultato per pilotare indagini e insabbiamenti.
Infine, torna ad essere considerata la “pista nera” per la quale la sinergia tra mafiosi e neofascisti potrebbe essere stata più stretta di quanto riconosciuto finora.

Le dichiarazioni

«La procura di Caltanissetta sta lavorando e sta lavorando con il sostegno e il supporto della procura nazionale antimafia e antiterrorismo» ha assicurato il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo. C’è ancora un «debito di verità, non solo nei confronti della famiglia Borsellino, ma del Paese intero, è un debito che grava sulle spalle di tutti e che siamo impegnati a onorare».

«Mio padre – ha detto Manfredi Borsellino – voleva vincere questa guerra, ma gli è stato impedito da troppe persone vicine a lui, al suo ambito lavorativo. Siamo ancora alla ricerca di questo amico che lo ha tradito, di coloro che lo hanno fatto, che gli erano vicini e lo hanno lasciato solo, non soltanto tra le istituzioni, ma in quel mondo professionale, lavorativo, giudiziario che lo circondava e che doveva blindarlo, proteggerlo, salvaguardarlo».

«Non ci rassegniamo – ripete il presidente della Corte d’appello di Palermo, Matteo Frasca – a non conoscere tutta la verità sulle stragi e questo impegno deve coinvolgere tutte le forze sane di questo Paese. Lo dobbiamo alle vittime e ai loro familiari, e lo dobbiamo alla nostra democrazia altrimenti destinata a rimanere incompiuta»

In attesa della verità, tante le manifestazioni di ricordo in occasione di Borsellino che per tutta la giornata di oggi si avvicenderanno davanti all’albero della pace per tenere vivo il ricordo e chiedere verità su una delle stragi più celebri e nel contempo più oscure della storia del nostro Paese. AVVENIRE