Lo scenario descritto dallo SCARANTINO nel corso dei processi viene radicalmente messo in discussione dalla collaborazione di Gaspare SPATUZZA.
Lo SPATUZZA (soprannominato “u tignusu”), decisosi a parlare dopo numerosi anni di dura detenzione carceraria, spiegava che la propria decisione era frutto di un sincero pentimento basato su una autentica conversione religiosa e morale, oltre che sul desiderio di riscatto.
Già condannato all’ergastolo per le stragi del 1993 e per altri numerosi e gravissimi delitti, tra i quali l’omicidio di padre PUGLISI e l’omicidio del piccolo DI MATTEO, iniziava a rendere le sue dichiarazioni il 26 giugno 2008 alle Procure di Caltanissetta, Firenze e Palermo.
SPATUZZA si attribuiva la responsabilità, unitamente ad altri soggetti inseriti in “cosa nostra” (tra i quali persone rimaste fino a questo momento estranee ai processi su quella vicenda) di un importante segmento della fase esecutiva della strage di Via D’Amelio
In particolare, sintetizzando appresso la mole enorme delle sue propalazioni, lo SPATUZZA confessava:
- di avere eseguito, in concorso con Vittorio TUTINO, uomo d’onore della famiglia di Corso dei Mille, su richiesta di Cristofaro “Fifetto” CANNELLA, uomo d’onore della famiglia di Brancaccio, il quale, a sua volta, era latore di un ordine proveniente dal capo di quel mandamento, Giuseppe GRAVIANO, il furto della autovettura Fiat 126 di proprietà di VALENTI Pietrina, successivamente imbottita di esplosivo ed utilizzata come autobomba;
- di avere, dopo il furto, provveduto alla custodia della suddetta vettura all’interno di un locale nella sua disponibilità;
- di avere curato il ripristino di un minimo di efficienza della vettura rubata (che si presentava in pessime condizioni al momento del furto, tanto che gli autori avevano avuto parecchie difficoltà a portarla via) provvedendo egli stesso a contattare un meccanico di sua fiducia e pagando il conto dell’intervento;
- di aver reperito il materiale necessario ad innescare l’ordigno e di essere l’artefice del reperimento di notevoli quantità di sostanze esplosive utilizzate per le stragi mafiose degli anni ‘92 e ’93;
- di avere partecipato allo spostamento della vettura, dal locale dove egli la teneva in custodia ad un altro locale (in Via Villasevaglios) più prossimo alla Via D’Amelio, dove poi sarà imbottita di esplosivo;
- di avere operato, su mandato diretto di Giuseppe GRAVIANO e sempre in concorso con Vittorio TUTINO, il furto delle targhe di un’altra autovettura della stessa tipologia e marca custodita presso l’autofficina di OROFINO Giuseppe, all’interno della quale si erano introdotti furtivamente la sera del sabato precedente la strage; degno di nota il fatto che SPATUZZA sottolinea che solo per caso arrivarono all’officina dell’Orofino, dopo che erano andati a vuoto altri due tentativi presso esercizi diversi della zona
- di avere, dopo il furto, consegnato le targhe personalmente a Giuseppe GRAVIANO il quale, nell’occasione, raccomandò allo SPATUZZA di allontanarsi, l’indomani, quanto più possibile dalla città di Palermo;
Va subito sottolineato che lo SPATUZZA, come dallo stesso dichiarato, pose in essere tutte queste operazioni senza che mai nessuno lo mettesse al corrente di quale sarebbe stato l’epilogo di quella sua attività, ma nella piena coscienza di stare arrecando il proprio contributo a “cosa nostra” per la perpetrazione di un fatto grave ed eclatante; non dimentichiamo al riguardo che si era nel pieno della stagione stragista inaugurata da “cosa nostra” già nel 1991. E’ di tutta evidenza come le suddette dichiarazioni dello SPATUZZA mettevano necessariamente in discussione l’esito di processi consacrati in sentenze passate in giudicato con le quali erano stati inflitti numerosi ergastoli e centinaia di anni di reclusione per gravissimi delitti.
26.6.1998 – Storia di un incontro segreto per 15 anni – VIGNA e GRASSO interrogano GASPARE SPATUZZA