: il governo gli anticipò la decisione Paolo Borsellino era ad un passo dalla Procura nazionale antimafia. C’era forse già la «decisione politica» – incautamente anticipata dal governo di allora – di affidargli la poltrona che Giovanni Falcone non aveva fatto in tempo ad ottenere. Il procuratore aggiunto di Palermo, dunque, sarebbe stato assassinato quando si apprestava a ricoprire l’incarico che gli avrebbe permesso di avere una visione completa su tutti gli intrecci criminali. Diventava Procuratore nazionale nel momento in cui cercava di affondare il bisturi nella cancrena che aveva provocato in primo luogo la strage di Capaci. Passo dopo passo prende, così, corpo la terza inchiesta sulla strage di via D’Amelio, che i magistrati di Caltanissetta conducono con la segreta speranza di riuscire a togliere un velo che nasconde i cosiddetti mandanti occulti della terribile stagione stragista del ’92 a Palermo. La fonte che ha consentito di aggiungere particolari nuovi ed interessanti è il tenente del carabinieri Carmelo Canale, oggi al centro di una poco comprensibile storia che lo vede addirittura sospettato di aver tradito la fiducia di Paolo Borsellino, ma allora certamente amico e confidente del magistrato. Ha raccontato Canale ai magistrati: «Qualche tempo prima di morire, all’inizio di luglio, il capo della polizia, Parisi, aveva fatto ve¬ dere a Borsellino l’alloggio che avrebbe occupato una volta nominato Procuratore nazionale». Ciò avviene probabilmente il primo di luglio, giorno in cui sull’agenda del giudice (quella ritrovata, perché un’altra ben più interessante è misteriosamente scomparsa) è segnato un appuntamento con Parisi. Ma quando il capo della polizia fu sen¬ tito a proposito di quell’appuntamento, Canale non aveva ancora ricordato il particolare dell’appartamento, ragione per cui al capo della polizia non ne venne chiesta conferma. Aggiunge Canale: «Era una cosa che non aveva (Borsellino) detto a nessuno, ma penso che la signora Agnese potrà testimoniarlo, perché lui vide l’appartamento». Ma su quali fatti la «Superprocura» gli avrebbe consentito di indagare a fondo? Il tenente Canale non ha dubbi nel sostenere che «Borsellino indagava sulla morte del suo amico Giovanni Falcone». Aveva una pista che gli sembrava più convincente delle altre? Una serie di testimonianze raccolte dai magistrati di Caltanissetta consentono di ricostruire un quadro abbastanza completo di ciò che stava facendo Borsellino tra giugno e luglio del 1992. Il magistrato aveva studiato gli appunti lasciati da Giovanni Falcone. La sua attenzione si era concentrata su una certa annotazione che faceva riferimento a «Mafia e appalti». Già nel 1991 Falcone aveva avuto tra le mani il famoso dossier dei carabinieri del Ros, una sorta di mappa degli affari illeciti portati avanti da Cosa nostra insieme con settori corrotti della politica e dell’amministrazione pubblica. Era, quello, il «rapportone» che il col. Mori e il cap. De Donno avevano scritto servendosi delle «soffiate» che gli venivano da personaggi come il costruttore Li Pera, o Angelo Siino, oggi collaboratore di giustizia ma allora soltanto confidente. Malìa e appalti, già. Borsellino sapeva, ma voleva andare a fondo. Specialmente dopo un colloquio col collaboratore Leonardo Messina che gli aveva detto (giugno 1992): «Totò Riina è il re degli appalti in Italia. Riina è il padrone della Calcestruzzi». La rivelazione del pentito venne accolta con qualche sorriso di sufficienza. Subito dopo, però, il Servizio centrale operativo trovò il nesso tra la Calcestruzzi di Gardini e la omonima impresa palermitana intestata al mafioso Buscemi. Sarà per questo che Borsellino si rivolse immediatamente al col. Mario Mori e al cap. De Donno per comunicare loro la decisione di recuperare i vecchi rapporti su mafia e appalti ed approntare una squadra investigativa che indagasse sulla strage di Capaci? Gli ufficiali hanno confermato: «Borsellino ci convocò a Palermo. Volle vederci in un posto che non fosse la Procura. La sua volontà era quella di riprendere l’inchiesta su mafia e Tangentopoli», «Da Roma contava di avere una visione intera sugli intrecci tra mafia e appalti» LA STAMPA