…gli accordi tra politici e grandi imprese precedono, il sistema delle combine precede il co protagonismo di cosa nostra. Perché è un disegno egemonico specifico di Salvatore Riina quello di pretendere, visto che il sistema dei partiti sta crollando, attraverso l’istanza economica, agganciando i grandi imprenditori nazionali, di raggiungere le sedi del potere.
L’aleatorietà dei punti di riferimento, conseguente al processo irreversibile di disgregazione del sistema partitocratico, impone alla mafia di ridisegnare i collegamenti e i meccanismi di controllo, perché la politica non può essere più il campo della mediazione. Questo è andato bene nel vecchio sistema, quando tutti, chi da una parte e chi dall’altra, per fini diversi, avevano l’interesse a ottenere il controllo del territorio.
La politica in termini di assistenzialismo clientelare e di controllo dell’elettorato, la mafia in termini di controllo del territorio tout-court, in una interazione costante reciproca di totale tentativo di plasmare in tal modo una società civile capace di andare oltre le dinamiche e i contrasti all’interno di una stessa organizzazione politica.
In altri termini, quel sistema di potere che si era in qualche modo consolidato da circa trent’anni in Sicilia, dagli anni Sessanta fino alle stragi del 1992, andava bene a tutti.
Io vi leggerò, se volete, un’intercettazione tra Domenico La Cavera, consigliere di amministrazione della Sirap, ed Emanuele Macaluso, in cui si parla dello studio di via Sciuti di Ciancimino in cui tutti si recavano a prendere la loro parte di tangente, e ridono nell’ambito di quella trascrizione.
Io trovo tutto questo sommamente immorale, lo trovo sommamente immorale.
La conventio ad excludendum riguardava il Partito Comunista ed era una conventio ad excludendum nel senso che la mafia non aveva un’ideologia, non ha mai avuto un’ideologia, ma sicuramente non ha mai detto votate per il Partito Comunista.
Il Partito Comunista, attraverso il sistema delle cooperative, aveva un modo indiretto di partecipare alla gestione della torta.La conventio ad excludendumera per il Movimento Sociale, Destra nazionale, in quanto se c’è una cosa che ha sostanzialmente sempre unito, in Sicilia in particolarmente, mafia, clero, politica, l’antifascismo da un lato e l’anticomunismo dall’altro.
C’è da dire che tutto questo, come vedete, ci fa comprendere che cosa?
Ci fa comprendere innanzitutto l’importanza del dossier. Ripeto, è un atto imperfetto, non possiamo considerarlo un rapporto perfetto. Così come non era perfetta la mazzetta di Chiesa, però alla fine si è arrivati alla megatangente Enimont. Bisognava starci sopra.
D’altra parte Falcone, che ne sollecitò la consegna nel febbraio del 1991, disse in un dibattito che bisognava in qualche modo riaffinare le metodologie di indagine, anche perché ormai, disse, esiste una centrale unica. Non centrale mafiosa. No, parla di centrale unica degli appalti. Falcone dice «centrale unica degli appalti» in cui sono coinvolti tutti. E lo dice a Castello Utveggio nel marzo del 1991.
Mi interessava fare questa premessa perché è importante calare l’interesse prima di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino per il rapporto del ROS, perché altrimenti non si capisce l’importanza dell’interesse stesso e dell’indagine e perché è possibile, in un’ottica preventiva, che siano stati entrambi assassinati.
Nel caso di Borsellino l’elemento è ancora più importante laddove si consideri che l’accelerazione dell’esecuzione della strage non ha senso guardando agli interessi puri e semplici dell’organizzazione di Salvatore Riina.
Voi sapete meglio di me che era in discussione la conversione in legge del decreto legge dell’8 giugno del 1992, con cui, come Pag. 20secondo pacchetto di norme voluto da Giovanni Falcone, finalmente si dota la magistratura, le forze dell’ordine e chi deve sul territorio combattere la mafia, di un sistema di norme che forte dell’esperienza di Giovanni Falcone finalmente poteva contrapporre una certa efficacia nell’azione di contrasto.
Venne introdotto il doppio binario procedurale. Venne introdotto il 41 bis!
E, come sempre era successo in ragione di quella contiguità, di quella commistione di cui parlavo prima tra forze di governo e mafia, perché la mafia è sempre stata un antistato, sì, ma ha svolto più una funzione di complementarietà nell’azione di controllo del territorio, controllo della società civile.
Io mi sono sempre chiesto da bambino perché Palermo diventa sempre lo sfondo per atti che non potevano accadere in nessun’altra parte d’Italia? Palermo è stato il luogo in cui si sono consumate delle tragedie che probabilmente, nel momento stesso in cui venivano compiute, si sapeva che l’opinione pubblica, la società civile avrebbe assorbito il colpo; e dall’altro le forze di governo, in qualche modo contigue a questo sistema malato, avrebbero garantito quella sorta di camera di compensazione per un frazionamento della risposta legata a una logica emergenziale. E poi tutto ricominciava daccapo.
La fine del sistema dei partiti introduce un elemento di aleatorietà per cui questo non è più possibile. Riina lo capisce subito, lo capisce nel 1991, quando Falcone e Violante riescono, tramite Brancaccio, a sottrarre il maxiprocesso affidandolo al collegio di Arnaldo Valente.
Sa che il sistema ha i suoi problemi, c’è il malessere, ampi settori della società civile non accettano più perché stanno male economicamente, c’è uno scollamento, c’è una crescita (finalmente, dico io) della società civile rispetto a un fenomeno che ha distrutto le magnifiche sorti progressive di questo Paese. Finalmente la società civile comincia a reagire,il corpo elettorale ha reagito.
Così come il Movimento 5 Stelle nel 2017 hanno ottenuto il 30 per cento e oltre, giustamente. Perché il corpo elettorale in una democrazia matura, quando le cose vanno male, decide.
Non necessariamente bisogna passare da chissà quali strategie eversive, politicamente eversive, solo politicamente eversive. Questo è un punto chiave.
Questa analisi di contesto va fatta perché dobbiamo capire innanzitutto perché Borsellino in qualche modo a un certo punto, arrivato alla Superprocura…
Questo è un punto fondamentale: non si può ammazzare Borsellino e sperare che lo Stato non reagisca. Quindi ci deve essere stato qualcosa di talmente importante per cui Riina va sopra gli interessi dell’organizzazione e deve fermare i magistrati su indicazione, su suggerimento di terzi, deve fermare quei magistrati che possono mettere in pericolo il già morente sistema dei partiti, che pensava in tal modo di poter evitare l’inevitabile.
Doveva morire anche Di Pietro, non dimenticatelo. Doveva morire anche Di Pietro. Quindi devono morire quei magistrati che hanno a che fare con inchieste che possono portare a disvelare il sistema marcio dei partiti, che aveva sostanzialmente distrutto l’economia italiana. Questo Borsellino lo capisce.
C’è un’importantissima testimonianza resa da Di Pietro nell’aprile del 1999nell’ambito del processo Borsellino ter, in cui parlando con Borsellino dicono «dobbiamo trovare il sistema per fare parlare gli imprenditori». Questo è molto importante. Di Pietro dice: «Io attraverso gli imprenditori arrivo ai politici».
Borsellino dice: «No, in Sicilia c’è cosa nostra, gli imprenditori non è così facile farli parlare. Però dobbiamo trovare il sistema per farli parlare». È molto importante che sia Di Pietro che Borsellino mirano ai politici indirettamente. Sanno che facendo parlare gli imprenditori sarebbero arrivati al sistema politico.
27 settembre 2023 – tratto dall’audizione in Commissione Parlamentare Antimafia