Nba, scandalo scommesse illegali. Coinvolta la mafia italiana a New York

 

11 Stati e 30 persone coinvolte, giocati milioni di dollari. Per il capo dell’Fbi è lo scandalo dell’insider trading per la Nba. Coinvolte le famiglie Gambino, Lucchese e Genovese. Vittime truffate per almeno 7 milioni di dollari

Sono 4 le famiglie della Mafia italo americana di New York coinvolte nella rete di scommesse illegali in 11 Stati americani.
Un giro da milioni di dollari tra match di basket del campionato più famoso al mondo e partite di poker segrete in oscuri club a Manhattan.
Lo ha detto in una conferenza stampa Joseph Nocella Jr., il procuratore degli Stati Uniti per New York.
In particolare, il sistema si basava su informazioni segrete su atleti e squadre dell’Nba, come ad esempio quando i giocatori sarebbero rimasti in panchina o avrebbero abbandonato una partita in anticipo. 
La maggior parte erano scommesse su singoli eventi, che sono più facili da manipolare. “Una rete che ricorda un film di Hollywood”, ha detto l’agente dell’Fbi a capo dell’indagine, Ricky Patel.
“Questo è lo scandalo dell’insider trading per la Nba”. Lo ha affermato il direttore dell’Fbi, Kash Patel, a proposito della rete di scommesse illegali, gestita dalla Mafia, smantellata a New York. 

Le indagini iniziate 4 anni fa

Le famiglie della Mafia di New York coinvolte nella rete di scommesse illegali nell’Nba sono i Bonano, i Gambino, i Lucchese e i Genovese, ha detto il procuratore, Joseph Nocella, precisando che le indagini sono iniziate quattro anni fa. Le vittime sono state truffate per almeno 7 milioni di dollari, secondo quanto riferito da fonti informate al New York Times.

Trenta arresti

L’inchiesta dell’Fbi e della polizia di New York, durata quattro anni e dal nome, evocativo, ‘Royal flush’, ‘scala reale’, ha portato all’arresto di oltre 30 persone tra cui tre nomi ben noti del campionato Nba: l’ex giocatore e allenatore della Nba, Damon Jones, il coach della squadra di Portland Trail Blazers, Chauncey Billups e la guardia dei Miami Heat, Terry Rozier.
Joseph Nocella Jr. Procuratore degli Stati Uniti per il distretto orientale di New York (getty)
Le accuse per gli imputati sono pesantissime: associazione a delinquere finalizzata alla frode telematica e al riciclaggio di denaro. Alcuni, poi, sono accusati anche di aver gestito un’attività di gioco d’azzardo illegale e di associazione a delinquere finalizzata all’estorsione e alla rapina.

Gli schemi criminali: scommesse manipolate e partite di poker

L’indagine ha portato alla luce due schemi criminali distinti ma intrecciati. 
Il primo prevedeva un sistema di scommesse sportive manipolate grazie a informazioni riservate fornite da giocatori e allenatori su infortuni, assenze e tempi di gioco. 
Il secondo riguardava una rete di partite di poker truccate, organizzate e controllate da quattro famiglie storiche di Cosa Nostra newyorkese: Bonanno, Gambino, Lucchese e Genovese (resta fuori Colombo). Le ‘famiglie’ avrebbero preso una percentuale sui profitti e usato ‘metodi classici’ di intimidazione per riscuotere i debiti. Il procuratore Nocella ha descritto un sistema sofisticato, con ‘scommettitori fantasma’ (prestanome) che piazzavano puntate in diversi Stati, spesso su ‘prop bets’, scommesse su eventi secondari delle partite.
Secondo le accuse, Rozier avrebbe informato i complici di una sua uscita anticipata da una partita, permettendo vincite fraudolente per centinaia di migliaia di dollari. Billups, invece, sarebbe stato coinvolto nel circuito del poker illegale insieme a esponenti mafiosi noti. Il direttore dell’FBI Patel ha parlato di “decine di milioni di dollari in furti, frodi e rapine”, definendo la rete “un intreccio tra sport d’élite e criminalità organizzata che non si vedeva dai tempi d’oro di Cosa Nostra”.
Un duro colpo per la lega di basket americana. La notizie è arrivata in un momento cruciale, durante la settimana di apertura della stagione e mentre si stanno trattando i nuovi accordi per i diritti televisivi per un valore di 76 miliardi di dollari in 11anni.
Uno dei due arrestati, Rozier, era una stella dell’Nba e aveva un patrimonio di ben 160 milioni di dollari patrimonio, ma era finito nel mirino delle autorità dopo una partita sospetta nel marzo del 2023.
L’Nba ha comunicato che Rozier e Billups saranno immediatamente allontanati dalle loro squadre. “Prendiamo queste accuse con la massima serietà”, ha sottolineato in una nota.
Le società di scommesse non sono state identificate dalla procura ma nell’indagine sono considerate vittime. Un portavoce di Draft Kings, il secondo bookmaker Usa e partner della lega, ha assicurato che continuerà a collaborare strettamente con l’Nba per garantire l’integrità del gioco. RAI NEWS 23.10.2025

MAFIA e SPORT

 

Le cinque famiglie mafiose che si spartiscono New York
I clan (in tutto circa tremila persone secondo l’Fbi) hanno in mano settori tradizionali quali traffico di droga, estorsioni, racket e scommesse ma sono entrate anche nel mercato dei capitali attraverso il riciclaggio. lo storico Lupo: mai interrotti i rapporti con la Sicilia
La Commissione formata dalle Cinque Famiglie della mafia si divide il controllo di #NewYork: un potere invisibile che l’omicidio dell’ultimo boss, Frank Calì, ucciso mercoledì sera a Staten Island, ha riportato alla luce, dimostrando che è ancora viva, a quasi un secolo di distanza.
L’idea di Cosa Nostra americana di dividersi in cinque famiglie nacque negli anni Trenta, quelli del Proibizionismo, quando Salvatore Maranzano, il “boss dei boss”, vincitore della prima guerra di mafia nel 1931, divise i clan in lotta in cinque famiglie, una diretta da lui, le altre da Lucky Luciano, Joe Profaci, Frank Scalice e Tommaso Gagliano. Gli altri si ribellarono e Maranzano venne ucciso, sostituito da Joseph Bonanno.
Le famiglie hanno mantenuto negli anni un’organizzazione precisa, verticale, che va dal capo ai consiglieri, ai capibastone alla manovalanza, ma molte hanno cambiato nome negli anni Sessanta, dopo il pentimento di Joe Valachi che decapitò l’organizzazione: adesso le famiglie si chiamano Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese e Lucchese. Ognuna si è spartita una parte del territorio: i Lucchese hanno il controllo di Brooklyn, Bronx e Manhattan, e di alcune zone in New Jersey e Florida. I Genovese sono nel Bronx e a Manhattan. I Gambino a Long Island, Florida, Ohio e Las Vegas. I Colombo si estendono fino al Massachusetts e Los Angeles. I Bonanno, invece, sono concentrati soprattutto a New York.
Attualmente, secondo l’Fbi, le famiglie sono alleate, a parte due: i Colombo e i Gambino, in continua guerra tra loro, come dimostra la morte del boss Castellano, l’ultimo delitto eccellente prima di quello di mercoledì, avvenuto nel 1985, quando Paul “Big” Castellano, venne ucciso su ordine di un membro dei Gambino, John Gotti, mentre si trovava in una bisteccheria nel cuore di Manhattan. Frank Calì, a sua volta, aveva poi preso il posto di Gambino, mettendo le mani sul traffico di eroina e di farmaci a base di oppiacei.
Le cinque famiglie – che hanno in mano settori tradizionali quali traffico di droga, estorsioni, racket e scommesse ma sono entrate anche nel mercato dei capitali attraverso il riciclaggio – fanno parte dell’immaginario collettivo con il romanzo di Mario Puzo, il Padrino, e poi grazie al film di Coppola in cui Bonanno venne interpretato da Marlon Brando con il nome fittizio di don Vito Corleone.
Mentre negli anni la narrazione televisiva si è arricchita con le serie di culto su Hbo, quella dei Soprano, e videogiochi o giochi da tavolo, nella vita reale non si è mai esaurita. Secondo l’Fbi, sarebbero almeno tremila i membri legati alle cinque famiglie, con l’organizzazione che avrebbe ripreso vigore soprattutto dopo l’11 Settembre quando l’Fbi si concentrò sul terrorismo, riducendo la squadra antimafia da 400 agenti a una trentina.
Nel 2011, l’ultima grande operazione con l’arresto di oltre un centinaio di appartenenti alle famiglie, ma secondo alcuni studiosi del fenomeno, la mafia a New York “vive più felice che mai”, come sostiene Anna Sergi, docente di criminologia all’Università dell’Essex. E continua a dettare legge, come l’omicidio dell’ultimo boss dimostra.
Un legame mai interrotto con la Sicilia
La mafia americana e quella siciliana “non hanno mai interrotto i rapporti tra loro”. È Salvatore Lupo – docente di Storia contemporanea all’università di Palermo e autore di ‘Quando la mafia trovo’ l’America. Storia di un intreccio intercontinentale’ (Donzelli), studio fondamentale sulle famiglie mafiose americane – a cercare di trovare con l’AGI un senso all’omicidio di Frank “Boy” Cali’, 53 anni, padrino della famiglia Gambino, abbattuto ieri a Staten Island da sei colpi di pistola.
Frank Calì aveva sempre avuto in mente un obiettivo: tornare a Palermo e conquistare la cima di Cosa Nostra servendosi dell’appoggio di coloro che erano scampati alla tremenda guerra di mafia degli anni Ottanta, che vide prevalere i corleonesi guidati d Toto’ Riina, e refrattari alle relazioni con i boss di oltreoceano.
“La storia della mafia – spiega Lupo – corre anche su quest’asse delle relazioni transoceaniche, chi ritiene di doverle avere e chi, invece, crede che ciò sia molto pericoloso”, e tra questi ultimi vi erano proprio i corleonesi, che sembravano aver fatto terra bruciata di questa sorta di versante diplomatico di Cosa Nostra e amavano sottolineare la regola, raccontata da Buscetta, che “proibiva ai mafiosi siciliani l’affiliazione in America”.
Le relazioni transoceaniche, però, spiega Lupo, “pesano e contano” nella stessa Palermo e nel resto della Sicilia poiché “le grandi chance per l’accesso alle risorse si giocano su queste, a partire dai mercati dei capitali, finanziari”. Non è un caso che “secondo atti processuali recenti, i resti delle cinque famiglie mafiose americane erano incarnati da figure con curriculum siciliani”, come siciliano era in sostanza quello di Calì, che, figlio di genitori palermitani, aveva sposato una Inzerillo, ovvero di quegli Inzerillo (alleati di Stefano Bontade contro Riina) che erano ‘scappati’ negli Stati Uniti per sfuggire alla mattanza corleonese. E che nella stessa città siciliana sono pian piano ritornati, in silenzio, negli ultimi anni.
di Massimo Basile, Fabio Greco AGI 25.10.2020