L’omicidio Mattarella e il guanto del killer: un reperto fantasma

 

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©Archivio Publifoto/Lapresse 1978 Roma Italia Interni 25¡Anniversario dell’omicidio di Piersanti Mattarella avvenuta il 6 gennaio 1980 a Palermo. Nella foto : Il Presidente della Regione Sicilia PIERSANTI MATTARELLA.
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Il gip manda agli arresti domiciliari un funzionario, il prefetto Filippo Piritore, per depistaggio: ma la stessa ordinanza rivela le crepe di una ricostruzione realizzata sulla fragilità dei documenti e sull’oblio

 

L’Ombra lunga della storia torna ad allungarsi su uno dei delitti più dolorosi della nostra Repubblica: l’assassinio di Piersanti Mattarella, Presidente riformatore della Regione Siciliana, ucciso a Palermo il 6 gennaio 1980. Non fu solo un agguato mafioso, ma un colpo al cuore dello Stato, compiuto da Cosa nostra per fermare l’uomo politico che aveva osato spezzare il legame storico tra politica e affari, opponendosi a figure come Vito Ciancimino e all’intero sistema degli appalti.
Oggi, a decenni di distanza, le nuove indagini della Procura di Palermo riaprono il caso non solo per identificare gli esecutori materiali individuati in Nino Madonia e Giuseppe Lucchese, ma anche per fare luce su un presunto depistaggio. Al centro di questa nuova inchiesta c’è Filippo Piritore, all’epoca funzionario della Squadra Mobile di Palermo, oggi indagato per depistaggio. L’accusa non riguarda tanto l’omicidio in sé, quanto una sua condotta successiva e, soprattutto, le sue dichiarazioni più recenti, rese nel 2024.
La storia ruota attorno a un oggetto apparentemente insignificante ma di capitale importanza: un guanto di pelle marrone per mano destra, trovato nella Fiat 127 usata dai killer e abbandonata poco dopo l’agguato. Piritore fu il funzionario che, nel 1980, acquisì materialmente quel guanto. Se fosse stato conservato le attuali tecnologie avrebbero potuto estrarre tracce biologiche o impronte, identificando finalmente chi ha sparato. Ma il guanto è sparito. La domanda cruciale è: quando?
Tutto riparte nel 2019, quando in un vecchio faldone della Mobile vengono trovate quattro copie della relazione di servizio del 6 gennaio 1980. Una di queste porta in calce un’annotazione manoscritta: “Guanto pelle marrone consegnato 7-1-80 alla guardia Di Natale scientifica per il dott. Grasso”.
La firma è di Filippo Piritore. È un dettaglio che cambia tutto. Interrogato dai magistrati, Piritore ammette di aver scritto quella nota e di aver effettivamente gestito il reperto, raccontando di averlo consegnato alla Scientifica per il sostituto procuratore Pietro Grasso. Ma quest’ultimo, a sua volta interrogato, nega di aver mai ricevuto quel guanto.
Anche l’agente Di Natale, citata nell’appunto, smentisce di averlo avuto. Non c’è traccia della consegna nei registri della Scientifica né nei fascicoli della Procura. Da qui nasce l’ipotesi accusatoria: Piritore avrebbe simulato una consegna mai avvenuta, lasciando un appunto per costruire una falsa catena di custodia. Secondo i magistrati, l’obiettivo sarebbe stato impedire analisi che avrebbero potuto collegare i killer all’auto usata per la fuga.
Cosa non torna nell’accusa
Proprio questo elemento apre una crepa nella ricostruzione. Se l’obiettivo fin dal 6 gennaio 1980 era far sparire il guanto per proteggere i killer mafiosi, il modo in cui Piritore ha agito risulta anomalo. Il guanto non è svanito senza lasciare traccia. L’ordinanza stessa conferma che il reperto era stato identificato e riportato nel fascicolo dei rilievi tecnici del Gabinetto regionale di Polizia scientifica. Se davvero Piritore avesse voluto far sparire il reperto fin dall’inizio, perché lasciare una traccia così chiara, con tanto di firma e data? L’ordinanza non lo spiega fino in fondo.
C’è poi un’altra contraddizione. Il ritrovamento del guanto era già stato reso pubblico sia in un articolo di giornale sia in Parlamento. Il ministro dell’Interno Virginio Rognoni, nel resoconto stenografico alla Camera pochi giorni dopo l’omicidio, lo cita nel riferire dei primi accertamenti. Non si trattava dunque di un reperto “fantasma” da tenere segreto, ma di un fatto noto, discusso in Parlamento e riportato nei resoconti ufficiali. Se davvero qualcuno avesse voluto occultare l’esistenza del guanto, perché consentire che fosse menzionato in sede pubblica? Questo sposta l’attenzione su un’altra ipotesi che la procura pare non formulare: forse la sparizione non avvenne subito, ma anni dopo.
Alcuni indizi portano proprio lì. In un procedimento del 1991, citato nella stessa ordinanza, la Procura dispose accertamenti su materiale biologico collegato al caso Mattarella. È probabile che, se il guanto fosse ancora esistito, sarebbe stato incluso fra i reperti da esaminare. Ma non lo fu. Già allora sembrava introvabile. È possibile quindi che il guanto sia stato perso – o fatto sparire – non negli anni Ottanta, ma durante i passaggi degli anni successivi?
Resta però un fatto incontrovertibile: tra tutti gli uomini coinvolti, solo Piritore ha lasciato segni scritti che parlano del guanto. Ed è l’unico che, nei giorni successivi al delitto, firmò la restituzione degli altri oggetti al proprietario della 127, l’ingegnere Fulvo. La Procura gli contesta non tanto la scomparsa fisica del guanto, quanto il comportamento successivo: le dichiarazioni ritenute false, i tentativi di fornire una versione “costruita” a posteriori e il rischio attuale di inquinamento delle fonti di prova. Secondo i magistrati, la sua posizione non può essere letta come semplice negligenza. Ma anche qui l’equilibrio è sottile. Dopo quarantacinque anni la memoria può fare strani scherzi. Lo vediamo anche in altri casi testimoniali, come nella questione di Paolo Borsellino, perfino da parte di autorevoli magistrati.
In questa storia ogni documento si intreccia con la fragilità del tempo e della memoria. L’accusa parla di depistaggio. E c’è anche un imputato ombra: Bruno Contrada. È vivo, ma parliamo dell’unico caso che appare in tutte sentenze o ordinanze, senza essere indagato. È da Stato di Diritto?
Il vero depistaggio, forse, è quello che il tempo compie sui fatti, cancellando carte, confondendo ricordi, rendendo impossibile distinguere la menzogna dalla dimenticanza. Soprattutto quando, dopo quarantacinque anni, non si è ancora riusciti a identificare i killer, anche a causa di infinite indagini su piste nere (archiviate definitivamente) o piste rosse con Ciancimino che depistò subito verso le ex Br. Si spera in un vero colpo di scena.