13 novembre 1998 nel corso di un’udienza del processo d’Appello per la strage ci. is C’Amelio, l’avv. Fabio Passalacqua, nuovo difensore di Scarantino, deposita alcuni documenti che erano in possesso del suo cliente. I legali Giuseppe Scozzola e Paolo Petronio, difensori degli imputati Pietro Scotto e Salvatore Profeta, diramano una nota nella quale sostengono che il processo avrebbe assunto “connotazioni a dir poco sconvolgenti”. Tra i documenti prodotti dal legale, secondo Scozzola e Petronio, ci sarebbero “numerose annotazioni su verbali da correggere, vari appunti su discrasie da sanare, foto di imputati e verbali diversi o nuovi rispetto a quelli depositati ed in possesso delle difese nei due tronconi del processo. Le annotazioni sono scritte in stampatello e non pare proprio possano attribuirsi allo Scarantino, in quanto pressoché analfabeta”. MISTERI ITALIANI
14 novembre 1998 Al processo d’ appello per la strage di via D’ Amelio, la Corte ha ammesso i documenti esibiti dall’avvocato Fabio Passalacqua, difensore dell’ ex pentito Vincenzo Scarantino. Si tratta di ”bigliettini segnalibro”, intercalati tra le pagine degli atti processuali, e recanti frasi in stampatello e in corsivo. Per gli avvocati quelle frasi sarebbero ”suggerimenti”, una sorta di ”bussola” sulle dichiarazioni processuali da rendere.
Respinto il programma di protezione, Scarantino ha sostenuto di essere stati ”pilotato” da investigatori e magistrati. In un verbale del 24 giugno ’94, ad esempio, e’ inserito un biglietto con scritto ”Riunione mancano (non nominati)” ed in corsivo ”Toto’ Cancemi, Zu’ di Maggio, Raffaele Ganci”.
Su un altro si legge ”la 126”, e in corsivo ”non sono citati” ”Pino La Mattina, Di Matteo, Graviano”. Su un altro ”segnalibro” e’ scritto ”furto 126” e ”sempre errore nelle dichiarazioni”, oppure ”Consegna 126” e in corsivo ”Guadagna” ma viene aggiunto ”no” e quindi ”Guadagna”. In un verbale di interrogatorio del 28 luglio del 1994 e’ annotato ”Riconoscimento positivo del Ganci”h ed ancora: ”Preparazione automomba – Graviano c’ era!”. ANSA
SCARANTINO parla di “bigliettini” posti come segnalibro tra le pagine di atti processuali che lo riguardavano. Il processo si conclude il 23 gennaio 1999: due tre imputati del primo processo per la strage, Scotto e Orofino, vengono assolti in Appello.
23 gennaio 1998 ASSOLTI SCOTTO E OROFINO, PROCURA CREDE A SCARANTINO “Per il nostro ufficio le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino, se riscontrate, continueranno ad essere utilizzate”. Lo ha detto il Sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta 🟥 LUCA TESCAROLI. ”Nonostante questa sentenza – ha detto il Pm nisseno – noi crediamo ancora al pentito”. Per il Procuratore di Caltanissetta, 🟥 GIOVANNI TINEBRA: ”La sentenza della Corte d’ Assise d’ Apello non rappresenta una sconfitta per la Procura il cui impianto accusatorio ha retto”. Tinebra inoltre, non ha voluto commentare le dichiarazioni degli avvocati Pino Scozzola e Vittorio Mammana, difensori di Pietro Scotto e Giuseppe Orofino i quali si chiedono come mai dopo le dichiarazioni rese a Como da Scarantino non sia stata inviata alcuna ispezione ministeriale alla Procura di Caltanissetta. ANSA
24. Novembre 1998 I ‘BIGLIETTINI’ DI SCARANTINO, CITATI DUE AGENTI DI PS Molti i ”non ricordo” nella deposizione di Vincenzo Scarantino, ex pentito, che sostiene di essere stato manipolato dai Pm. Il teste, nel processo stralcio per l’ uccisione di Paolo Borsellino e della scorta, doveva dire chi gli consegno’ i ”bigliettini” posti come segnalibro tra le pagine di atti processuali che lo riguardavano. Per gli avvocati degli imputati gli appunti sarebbero prova di un presunto inquinamento processuale. Il teste non e’ stato in grado di indicare con sicurezza chi gli avrebbe consegnato i ”bigliettini”, ed alla fine ha detto di averli forse ricevuti da due agenti di polizia, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, citati in conseguenza dalla corte per la prossima udienza fissata il 28 novembre. Oggi hanno deposto anche l’ ex direttore di Rebibbia, Maurizio Barbera, che ha confermato che Scararantino nel ’96 si presento’ per farsi arrestare, ma venne consegnato allo Sco. Ed ancora Hermes Macchioni, parroco di una frazione di Sassuolo (Modena), che ha riferito di essere stato avvicinato da Scarantino che gli chiese, vincolando al segreto, un alloggio riparato ed un lavoro per la moglie. Ascoltati infine Rosario, fratello di Scarantino, e sua moglie, Maria Antonietta Cammarata. Hanno ammesso di avere aiutato finanziariamente il congiunto, con circa otto milioni in due anni, ma negato di avere venduto una casa, consegnandogli altri 40 milioni. ANSA
28 novembre 1998 SCONTRO IN AULA SU ”APPUNTI” SCARANTINO indicazioni, annotati sui ”bigliettini segnalibro” inseriti nei verbali di interrogatorio dell’ ex collaboratore Vincenzo Scarantino, teste chiave della strage Borsellino, hanno riacceso la scontro tra accusa e difesa nel processo d’ appello.
Un ispettore di polizia, Fabrizio Mattei, ha riconosciuto come suoi solo alcuni degli appunti trascritti nel 1994, mentre Scarantino si trovava sotto protezione assieme ai familiari ad Imperia, spiegando di aver voluto ”aiutare” il pentito. La tesi e’ stata in parte confutata da Scarantino, il quale ha dichiarato che i verbali annotati gli furono consegnati alla presenza del Pm Anna Maria Palma e del suo legale, l’ avvocato Lucia Falzone.
”In quell’occasione – ha sostenuto Scarantino – non c’erano Mattei e Ribaudo (un altro ispettore di polizia, ndr), i quali successivamente mi hanno dato un blocco di interrogatori con sottolineature e bigliettini. Loro leggevano i verbali e io intervenivo: ad esempio, parlando dell’ officina in cui fu nascosta la Fiat ”126” loro dicevano che quelle persone che avevo indicato erano poche e io gli rispondevo ‘se vi sembrano pochi gliene metto ancora”’. Scarantino ha aggiunto che un secondo blocco di appunti annotati sarebbe ancora in possesso di sua moglie. La donna ne aveva consegnato dunque solo una parte.
Valutazioni opposte quelle dei difensori degli imputati nel processo d’ appello per la strage di via D’ Amelio e del sostituto procuratore generale Roberto Sajeva sulla testimonianza dell’ ispettore di polizia Fabrizio Mattei.
Per Sajeva ”Mattei ha ampiamente chiarito la vicenda degli appunti assumendosi la paternita’ di tutti quei manoscritti e spiegando come si e’ arrivati alla loro stesura”. ”Sostanzialmente – ha aggiunto – ha detto che lui rileggeva i verbali a Scarantino, avendo quest’ ultimo difficolta’ a leggere, e ogni tanto faceva delle annotazioni per conto dello stesso Scarantino che erano, presumibilmente indirizzate al difensore. Mattei pero’ non ha detto che gli appunti hano fatto questa fine”.
I difensori degli imputati sostengono di ”credere poco alla versione fornita da Mattei in aula e in molti punti contraddetta dall’ispettore Ribaudo”. ”E’ assurdo – aggiungono – ipotizzare che un avvocato abbia potuto influire sulle correzioni delle modalita’ del fatto poiche’ lo stesso non era presente al momento del verificarsi dell’ evento. Ed e’, inoltre, ridicolo ritenere che un legale possa suggerire al proprio cliente i motivi per i quali lo stesso si sarebbe pentito, considerato che sono di natura interiore”. ANSA
Bo, Mattei e Ribaudo facevano parte della squadra che indagava sulle stragi Falcone e Borsellino. Il pool era guidato da Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo e uomo dei servizi segreti, ed era coordinato dal procuratore Giovanni Tinebra. È proprio il gruppo che aveva creato il falso pentito Vincenzo Scarantino, piccolo malavitoso di borgata, e lo avrebbe indotto a lanciare accuse totalmente inventate. Sette persone furono condannate all’ergastolo e poi scagionate quando il vero pentito Gaspare Spatuzza ricostruì un diverso scenario della strage.
2022 Gli errori dei pm (da Boccassini a Di Matteo) sul depistaggio Borsellino
Il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana rimane senza colpevoli, almeno sul piano processuale. Martedì sera, il tribunale di Caltanissetta ha dichiarato prescritte le accuse nei confronti dei poliziotti Mario Bo e Fabrizio Mattei, accusati di aver depistato le indagini sulla strage di via d’Amelia del 17 luglio 1992, in cui morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Il terzo imputato. Michele Ribaudo, è stato assolto.
I tre poliziotti (che facevano parte del “Gruppo Falcone-Borsellino”, guidato da Arnaldo La Barbera) erano accusati di concorso in calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra e, in particolare, di aver contribuito a “costruire” il falso pentito Vincenzo Scarantino, le cui dichiarazioni portarono alla condanna all’ergastolo (poi annullata) di sette persone innocenti, che non avevano avuto alcun ruolo nella strage.
In precedenza, nel febbraio 2021, a Messina era stata archiviata, su richiesta della stessa procura, l’inchiesta nei confronti dei due pubblici ministeri Carmelo Petralia e Annamaria Palma, all’epoca dei fatti in servizio a Caltanissetta, che con i poliziotti si occuparono più da vicino della gestione di Scarantino, il piccolo picciotto semianalfabeta del rione Guadagna che riuscì a convincere i magistrati di essere stato l’uomo incaricato da Totò Riina di commettere una delle stragi più importanti della storia d’Italia.
I verdetti giudiziari non impediscono affatto di valutare la vicenda da un punto di vista non processuale e di concentrarsi sui tanti errori, acclarati, commessi negli ultimi trent’anni da molti pubblici ministeri, alcuni dei quali piuttosto noti. Su Petralia e Palma, all’epoca dei fatti pm a Caltanissetta, è stata la stessa gip di Messina a sottolineare che, pur in mancanza di condotte penalmente rilevanti, “ci furono molteplici irregolarità e anomalie nella gestione del collaboratore Scarantino”.
Basterebbe citare il mancato deposito dei verbali di confronto tra Scarantino e i collaboratori di giustizia Canremi, Di Matteo e La Barbera del gennaio 1995, da cui emergeva tutta l’inattendibilità dello stesso Scarantino. La prima a occuparsi della gestione di Scarantino dal 1993, in stretta collaborazione con il procuratore capo Giovanni Tinebra (morto nel 2017), fu però Ilda Boccassini, che per due anni esercitò le funzioni in Sicilia prima di fare ritorno a Milano.
Fu Boccassini ad autorizzare nel 1994 ben dieci colloqui investigativi della polizia con Scarantino, quando già era iniziata la collaborazione con i magistrati. In seguito, prima di tornare a Milano, Boccassini lasciò due relazioni al procuratore Tinebra in cui mise in discussione l’attendibilità di Scarantino, relazioni che vennero di fatto ignorate da Tinebra e dai colleghi. Negli anni successivi, Boccassini non intraprese comunque alcun’altra iniziativa per segnalare l’errore che, a suo dire, i pm stavano commettendo dando retta a Scarantino.
Ci sarebbe poi da ricordare Gian Carlo Caselli, allora procuratore capo a Palermo. Nel luglio 1995, quando la moglie di Scarantino accusò La Barbera di avere fatto torturare il marito per convincerlo a riempire i verbali sulla strage di via D’Amelio, Caselli intervenne in difesa del superpoliziotto, convocando i giornalisti e parlando di notizie “inquinate e inquinanti” e di “una campagna di delegittimazione contro i collaboratori di giustizia”.
Di nuovo, nessuno osò mettere in dubbio le rivelazioni del “pentito”. Anche Nino Di Matteo, il pm simbolo del processo sulla “trattativa stato-mafia”, ritenne attendibili le rivelazioni di Scarantino, persino quando quest’ultimo nel 1998 decise di ritrattare denunciando le pressioni dei poliziotti.
In una requisitoria, il pm antimafia affermò infatti che “la ritrattazione dello Scarantino ha finito per avvalorare ancor di più le sue precedenti dichiarazioni”, sostenendo che il passo indietro del falso pentito fosse dovuto alla mafia. Il depistaggio Borsellino probabilmente non avrà mai colpevoli, ma gli errori dei pur sono evidenti. di Ermes Antonucci Il Foglio, 14 luglio 2022
2024 DEPISTAGGIO BORSELLINO, CHIESTA CONDANNA PER I TRE POLIZIOTTI
Il depistaggio sulla strage di Via D’Amelio “c’è stato” e la responsabilità “è dei poliziotti che non lo hanno fatto per una banale voglia di fare carriera ma per agevolare Cosa nostra. Un tradimento che non può essere perdonato”. Ecco perché i tre poliziotti sul banco degli imputati “vanno condannati”. A pene pesanti. Il procuratore generale di Caltanissetta, Fabio D’Anna, al termine di una requisitoria fiume, ha chiesto 11 anni e 10 mesi di carcere per Mario Bo e 9 anni e 6 mesi ciascuno per Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Le stesse pene richieste nel processo di primo grado. Sono accusati di calunnia aggravata per aver costruito a tavolino falsi pentiti, inducendoli a mentire, per depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio. Il tribunale di Caltanissetta, in primo grado, il 12 luglio 2022, aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, mentre il terzo imputato, Michele Ribaudo venne assolto. Ma la Procura generale non ci sta e chiede adesso la condanna per tutti. Con l’aggravante mafiosa. “Le indagini, fin da subito dopo la strage, hanno subito un inquinamento probatorio”, dice il Procuratore generale D’Anna. Che tira in ballo anche l’apparato dello Stato. Cioè i magistrati che 30 anni fa si occuparono delle indagini. “Leggendo la sentenza ci accorgiamo e non possiamo esimerci nel dire che a questo inquinamento probatorio ha contribuito anche il comportamento di alcuni colleghi. Colleghi poco attenti che non sono stati in grado di cogliere elementi di indici di falsità dell’ex collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino”, dice. “C’è stato un tradimento da parte degli apparati dello Stato che hanno tradito non solo Borsellino ma anche gli agenti della scorta. Un tradimento che non può essere perdonato. Si può tradire per tanti motivi: per soldi, sì ce ne sono stati nei confronti di La Barbera ma non nei confronti degli odierni imputati, per la carriera, ma La Barbera non ne aveva bisogno, era ancora giovane e a breve sarebbe diventato questore, che motivo aveva di impelagarsi con un balordo come Scarantino”. “Un altro motivo – ha continuato – poteva essere il fatto che occorreva dare un colpevole da dare all’opinione pubblica: ma perché Scarantino? Cioè l’unico che faceva parte di una famiglia che non c’entrava. Ma perché lui? La risposta me la sono data: l’unico interesse che spiega la pervicacia del gruppo Falcone-Borsellino è che loro sapevano perfettamente che con il loro comportamento stavano allontanando dalla verità delle indagini, vuoi per proteggere apparati dello Stato vuoi per proteggere apparati mafiosi”. Loro, gli imputati, “non sono, però, gli unici demoni”. “Sul banco degli imputati la fila di demoni dovrebbe essere lunga, ma o sono morti o l’hanno fatta franca”, dice il pm Maurizio Bonaccorso, applicato alla Procura generale. “Ci sono vertici e soggetti che l’hanno passata liscia e sappiamo chi sono”, aggiunge. E poi sottolinea: “Ci sono una serie di elementi che danno certezza del coinvolgimento di figure istituzionali nell’eliminazione del dottore Borsellino”. Secondo il sostituto procuratore generale Gaetano Bono, la sentenza di primo grado era “contraddittoria, illogica, iniqua e fuorviante”. Perché i poliziotti sul banco degli imputati, oggi tutti in pensione, hanno deliberatamente depistato le indagini sull’attentato a Paolo Borsellino. “Il regista del depistaggio fu Arnaldo La Barbera, morto alcuni anni fa da osannato investigatore antimafia”, aggiunge il pg Gaetano Bono, che al momento della strage era ancora una bambino di nove anni. Dice: “Si registra una illogicità della sentenza di primo grado che a distanza di poche pagine traccia un quadro incoerente sull’attendibilità di Vincenzo Scarantino”, il falso collaboratore di giustizia che fece condannare sette innocenti, dice Bono che cita alcune frasi della sentenza di primo grado. I giudici scrivono: ‘E’ da ritenersi sussistente un nucleo di limitata attendibilità’, e Bono elenca “4 punti”. “Poi, a distanza di diverse pagine la sentenza afferma che ‘Scarantino è pienamente attendibile ove evidenzia un indottrinamento fin dal primo interrogatorio del giugno 1994′”, dice il pg. Secondo il pg Gaetano Bono la sentenza va riformata “sia per i profili di fatto che di diritto”. In quanto la “pronuncia assolutoria è incoerente”. Per l’accusa la “contraddittorietà riguarda l’associazione mafiosa che è la questione più importante di tutto il processo. Si ritiene sussistente la circostanza aggravante che permetterebbe alla Corte di pronunciarsi sulle responsabilità di Mario Bo e Fabrizio Mattei ma anche su quella di Michele Ribaudo”. Secondo Bono “siamo in presenza di una motivazione insufficiente”. Il pm Maurizio Bonaccorso spiega nel suo lungo intervento: “Solo dopo la morte di Arnaldo La Barbera si scoprì che c’era un rapporto di collaborazione tra il poliziotto e il Sisde, da cui emerge che la Barbera aveva intrattenuto un rapporto di collaborazione dal febbraio 1986 al marzo 1988, con nome in codice ‘Rutilius’, mentre era dirigente della Squadra mobile di Venezia”. L’ex dirigente ed ex questore di Palermo “era pagato in nero, e non per pagare i confidenti ma per esigenze personali, perché amava stare in albergo”, dice Bonaccorso . “Una situazione di una gravità inaudita un dirigente che viene finanziato in nero dai Servizi segreti”, aggiunge il pm. E se la prende con la sentenza di primo grado che “ha minimizzato un dato molto importante”. Poi sottolinea che Arnaldo La Barbera “era a libro paga dei Madonia”. “La Barbera aveva un tenore di vita altissimo. Abbiamo accertato che versava continuamente soldi sul suo conto corrente. In un anno circa 100 milioni di vecchie lire. Difficile credere che si potesse trattare di trasferte. Neanche avesse fatto il giro del mondo. Quello che è significativo sono le modalità in cui questo contante viene versato. Nel ’91 c’è un solo versamento di 8 milioni di lire, nel ’92 questa persona di colpo cambia abitudini rispetto alla sua attività bancaria e comincia a fare versamenti continui per importi davvero consistenti. Certamente non sono tutti proventi illeciti ma questo dato ci conferma quello che hanno detto i collaboratori Vito Galatolo e Francesco Onorato e cioè che La Barbera era a libro paga dei Madonia. Quindi abbiamo un personaggio ambiguo che da un lato viene costantemente finanziato dal Sisde. Dall’altra parte abbiamo i collaboratori che ci raccontano di un rapporto con la mafia”. Ribadisce poi che la “collaborazione tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde nacque dall’ostinazione del Procuratore Tinebra”. Il magistrato parla di una “anomala collaborazione, per non dire inquietante, tra la Procura di Caltanissetta e il Sisde nella fase iniziale delle indagini”. Poi, rivolgendosi alla difesa dei tre imputati dice: “Mi auguro di non sentire frasi da parte della difesa, sul fatto che si processano i morti, chi non è in grado di difendersi, sugli schizzi di fango, così come fatto in primo grado. Perché al di là delle frasi ad effetto mi piacerebbe capire cosa dovrebbe fare un pubblico ministero quando c’è l’ipotesi di un’azione delittuosa concorsuale nel momento in cui la figura centrale è deceduta. Dovremmo archiviare anche per gli altri? E nemmeno si possono omettere tutte le argomentazioni che riguardano la figura centrale”. Poi dice: “Ho il rammarico che, purtroppo, in questo processo non è stato possibile effettuare la discovery completa degli elementi finora emersi, e mi auguro che un giorno non dovremmo mangiarci le mani in relazione all’esigenza di preservare un indagine in corso”. Il magistrato fa riferimento all’inchiesta sull’agenda rossa e sulla documentazione ritrovata a casa dell’ex dirigente della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera. A settembre del 2023 un teste aveva detto: “A casa dei familiari di La Barbera c’è l’agenda rossa di Paolo Borsellino”. E i carabinieri del Ros effettuarono perquisizioni molto accurate, l’agenda rossa non c’era. Però fu sequestrata una copiosa documentazione bancaria risalente all’inizio degli anni Novanta. Sul conto di La Barbera sarebbero finiti tanti soldi, che lui stesso depositava mese dopo mese nel suo conto. “Fra il 1990 e il 1992 furono fatti versamenti per complessivi 114 milioni delle vecchie lire”, ha detto in aula il pubblico ministero Maurizio Bonaccorso. ”Le anomalie riguardano soprattutto il 1992, la Guardia di finanza ha accertato una sperequazione di circa 97 milioni rispetto al reddito percepito”. Nel corso della lunga requisitoria la Procura generale è tornata a parlare dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. “In questa agenda lui annotava una serie di riflessioni sulla strage di Capaci nella speranza di essere sentito a Caltanissetta”, dice il pm Maurizio Bonaccorso. “La signora Agnese Piraino, vedova di Paolo Borsellino ha spiegato che, nella certezza di essere ucciso, Borsellino aveva cominciato a usare due agende, quella grigia e quella rossa, dove annotava sue riflessioni spiega la Procura generale – Il secondo dato è la presenza dell’agenda rossa nella borsa di Borsellino il 19 luglio 1992. Abbiamo sul punto le dichiarazioni della figlia, Lucia Borsellino, che ci dice: ‘Papà aveva tre agende, una marrone, dove metteva qualche dato e numeri di telefono, l’altra grigia, dove annotava alcune cose, e quella rossa che per lui era importantissima’. Quella mattina aveva portato l’agenda con sé perché non verrà ritrovata a casa dei familiari”. “Altro dato significativo è che non stata Cosa Nostra ad appropriarsi dell’agenda rossa. Perché non è pensabile che sulla scena della strage ci fossero dei mafiosi intervenuti per appropriarsi dell’agenda”. E ricorda che “la borsa ricompare nella stanza di Arnaldo La Barbera a mesi di distanza, in maniera irrituale, senza che sia stato fatto un verbale di sequestro, e soprattutto viene riconsegnata in maniera irrituale alla famiglia di Borsellino”. Dopo la richiesta di condanna ha preso la parola l’avvocato di parte civile Giuseppe D’Acquì che rappresenta due dei sette innocenti condannati ingiustamente, Natale Giuseppe Gambino e Gaetano Scotto. Il processo è stato rinviato al prossimo 23 aprile per sentire le parti civili. (dall’inviata Elvira Terranova 16.4.2024 ADNKRONOS )
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IL PROCESSO “DEPISTAGGIO”
Quando il dottor ANTONINO DI MATTEO non credette alla ritrattazione di SCARANTINO
